Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
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La Corte costituzionale sulla causalità del contratto a termine: lo strano caso delle fondazioni lirico-sinfoniche (di Claudio de Martino (Dottore di ricerca in diritto del lavoro all’Università degli Studi di Bari “A. Moro”))


Con la sentenza n. 260 dell’11 dicembre 2015 la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità delll’art. 3, comma 6, d.l. n. 64 del 2010, in quanto norma falsamente interpretativa, avente efficacia retroattiva, ed evidenzia il contrasto con i principi comunitari, derivanti dalla Direttiva 1999/70/Ce, del peculiare contesto normativo delle Fondazioni lirico-sinfoniche, che si presenta totalmente privo di ogni tutela anti-abusiva, quantomeno per i contratti stipulati dopo la trasformazione delle Fondazioni in soggetti di diritto privato e prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 368/2001. L’Autore, dopo aver ricostruito la specifica di­sciplina di questi Enti, fornisce una lettura della pronuncia anche alla luce della riforma della disciplina del contratto a termine ad opera del d.lgs. 81/2015, evidenziando i vuoti di tutela presenti nella nuova disciplina, ponendoli in relazione ai principi espressi dalla Consulta.

The Constitutional Court on acausality of fixed-term work: the strange case of the symphony foundations

With the judgement No. 260 of 11 December 2015 the Italian Constitutional Court declares the illegitimacy of the art. 3 paragraph 6 D.L. No. 64 of 2010 as falsely interpretative rule, having retroactive effect. It highlights the contrast with the EU principles. resulting by the Directive 1999/70/EC, of the unique regulatory environment of the opera and symphony foundations, which looks totally devoid of any protection anti– abusive, at least regarding contracts stipulated after the transformation of the Foundations in private law bodies and before the entry into force of Legislative Decree. n. 368/2001. The Author, after reconstructing the specific rules of those bodies, also provides a reading of the judgement in the light of the reform of the regulations on fixed-term work completed by the D.Lgs. no. 81/2015, highlighting the gaps of protection in the new discipline, and relates them to the principles expressed by the Court.

1. Premessa Non c’è tema che negli ultimi anni abbia provocato le Corti nazionali e sovranazionali, interessato gli interpreti e stimolato l’iperattività del legislatore come quello della disciplina del contratto a tempo determinato, e ciò sia nel settore privato che in quello pubblico. Il continuo alternarsi, a volte schizofrenico, di novelle legislative e di interventi della giurisprudenza delle supreme corti, nazionali e comunitarie, ha messo a dura prova le capacità ricostruttive degli interpreti. Basti pensare che il d.lgs. n. 81/2015 non è che il diciottesimo intervento di riforma della materia nell’arco di quattordici anni (vale a dire dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 368/2001), mentre sono addirittura venti le pronunce della Corte di Giustizia UE sul caso italiano (sentenza Viscido [1] del 7 maggio 1998; sentenza Vitari [2] del 9 giugno 2000; sentenza sui lettori universitari [3] del 26 giugno 2001; sentenza sulla discriminazione dei lavoratori comunitari nei con­corsi per l’assunzione di personale docente [4]del 12 maggio 2005; sentenze Marrosu-Sardino e Vassallo [5] del 7 settembre 2006; sentenza sulla discriminazione dell’anzianità professionale dei lavoratori comunitari nell’assunzione nel pubblico impiego scolastico [6] del 26 ottobre 2006; sentenza Sorge [7] del 24 giugno 2010; ordinanza Affatato [8] del 1° ottobre 2010; 1ª ordinanza Vino [9] dell’11 novembre 2010; 2ª ordinanza Vino [10] del 22 giugno 2011; sentenza Sibilio [11] del 15 marzo 2012; sentenza Valenza [12] del 18 ottobre 2012; 1ª ordinanza Bertazzi [13] del 7 marzo 2013; sentenza Della Rocca [14] dell’11 aprile 2013; sentenza Carratù [15] del 12 dicembre 2013; ordinanza Papalia [16] del 12 dicembre 2013; ordinanza D’Aniello [17] del 30 aprile 2014; sentenza Fiamingo [18] del 3 luglio 2014; 2ª ordinanza Bertazzi [19] del 4 settembre 2014; sentenza Mascolo [20] del 26 novembre 2014). Anche la Corte costituzionale, del resto, è stata investita più volte negli ultimi anni di una serie di questioni di legittimità inerenti vari profili della disciplina del contratto a termine, a partire dalla sentenza 41/2000 [21] in cui la Consulta dichiarava il nostro ordinamento già conforme alla Direttiva 1999/70/Ce, ed ancora in un futuro prossimo ci si attende un nuovo pronunciamento per il “precariato” del settore scolastico [22], in relazione al quale la Corte ha sollevato un’inedita pregiudiziale comunitaria, poi risolta dalla Corte di Giustizia nel già citato caso “Mascolo”. Quanto sopra, per sottolineare come la sentenza n. 260/2015 sui contratti a termine nelle [continua..]

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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. I precari delle fondazioni lirico-sinfoniche nella legislazione speciale - 3. L'elaborazione giurisprudenziale sul decreto n. 64/2010 e l'inter­vento della norma interpretativa - 4. La Corte costituzionale sul divieto di leggi falsamente interpretative - 5. Le ragioni obiettive quale mezzo adeguato a prevenire gli abusi - 6. Spunti problematici: ragioni oggettive, jobs act e divieto di conversione nel pubblico impiego - NOTE


1. Premessa

Non c’è tema che negli ultimi anni abbia provocato le Corti nazionali e sovranazionali, interessato gli interpreti e stimolato l’iperattività del legislatore come quello della disciplina del contratto a tempo determinato, e ciò sia nel settore privato che in quello pubblico. Il continuo alternarsi, a volte schizofrenico, di novelle legislative e di interventi della giurisprudenza delle supreme corti, nazionali e comunitarie, ha messo a dura prova le capacità ricostruttive degli interpreti. Basti pensare che il d.lgs. n. 81/2015 non è che il diciottesimo intervento di riforma della materia nell’arco di quattordici anni (vale a dire dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 368/2001), mentre sono addirittura venti le pronunce della Corte di Giustizia UE sul caso italiano (sentenza Viscido [1] del 7 maggio 1998; sentenza Vitari [2] del 9 giugno 2000; sentenza sui lettori universitari [3] del 26 giugno 2001; sentenza sulla discriminazione dei lavoratori comunitari nei con­corsi per l’assunzione di personale docente [4] del 12 maggio 2005; sentenze Marrosu-Sardino e Vassallo [5] del 7 settembre 2006; sentenza sulla discriminazione dell’anzianità professionale dei lavoratori comunitari nell’assunzione nel pubblico impiego scolastico [6] del 26 ottobre 2006; sentenza Sorge [7] del 24 giugno 2010; ordinanza Affatato [8] del 1° ottobre 2010; 1ª ordinanza Vino [9] dell’11 novembre 2010; 2ª ordinanza Vino [10] del 22 giugno 2011; sentenza Sibilio [11] del 15 marzo 2012; sentenza Valenza [12] del 18 ottobre 2012; 1ª ordinanza Bertazzi [13] del 7 marzo 2013; sentenza Della Rocca [14] dell’11 aprile 2013; sentenza Carratù [15] del 12 dicembre 2013; ordinanza Papalia [16] del 12 dicembre 2013; ordinanza D’Aniello [17] del 30 aprile 2014; sentenza Fiamingo [18] del 3 luglio 2014; 2ª ordinanza Bertazzi [19] del 4 settembre 2014; sentenza Mascolo [20] del 26 novembre 2014). Anche la Corte costituzionale, del resto, è stata investita più volte negli ultimi anni di una serie di questioni di legittimità inerenti vari profili della disciplina del contratto a termine, a partire dalla sentenza 41/2000 [21] in cui la [continua ..]


2. I precari delle fondazioni lirico-sinfoniche nella legislazione speciale

La normativa speciale relativa alle fondazioni lirico-sinfoniche (già enti autonomi lirici [24] nasce con la legge 14 agosto 1967, n. 800 (c.d. “Legge Corona”), che disciplinava tali enti come persone giuridiche di diritto pubblico, poiché considerava l’attività lirica e concertistica di rilevante interesse generale, in quanto intesa a “favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale” (art. 1). Dapprima con il d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367 [25], e poi specificamente con il d.lgs. 23 aprile 1998, n. 134, nell’ambito del più complesso processo di privatizzazione degli anni ’90, il legislatore decise di de-pubblicizzare gli enti lirici, disponendone la trasformazione in altrettante fondazioni di diritto privato. Alla nuova personalità giuridica conseguì anche un diverso regime (appunto privatistico) dei rapporti di lavoro del personale che, in coerenza con le nuove previsioni, furono assoggettati alle disposizioni del codice civile e ad una regolamentazione di matrice contrattuale. In particolare, l’art. 22, d.lgs. n. 367/1996, stabilì che «i rapporti di lavoro dei dipendenti delle fondazioni sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa e sono costituiti e regolati contrattualmente». Alla luce del dato letterale della citata disposizione, sembrava non vi fossero dubbi che il contratto di lavoro con le fondazioni de quibus fosse regolato dallo statuto del lavoratore subordinato privato e non, invece, dalla disciplina del pubblico impiego di cui al d.lgs. n. 165/2001. Ebbene, seppure queste brevi premesse conducessero, senza ombra di dubbio, all’applicabilità alla fattispecie in esame della legge n. 230/1962 prima, e del d.lgs. n. 368/2001 poi (seppur con le precisazioni che vedremo), la stratificazione normativa ha richiesto uno sforzo interpretativo, che si cercherà di ricostruire nei suoi tratti essenziali [26]. Infatti, nella tipizzazione delle causali legittimanti l’apposizione del termine, di cui alla legge n. 230/1962, si faceva esplicito riferimento, alla lett. e), alle “assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi” [27]. Al contempo, il comma 2 del già citato art. 22, d.lgs. n. [continua ..]


3. L'elaborazione giurisprudenziale sul decreto n. 64/2010 e l'inter­vento della norma interpretativa

Il descritto risultato ermeneutico è stato confermato dal costante orientamento della Suprema Corte [36] che ha interpretato il nuovo rinvio alla legge n. 426/1977, contenuto nell’art. 3, comma 6, decreto legge n. 64/2010, nel senso che la conversione non si applicava solo nel caso di abuso nei rinnovi o nelle proroghe e non già per i vizi genetici o di forma riguardanti la mancanza delle ragioni giustificative del termine, posto che siffatto richiamo «ha un valore meramente confermativo della inapplicabilità ai rapporti di lavoro del personale dipendente delle norme in tema di rinnovi dei contratti a tempo determinato, dovendosi intendere tale termine riferito alla continuazione del rapporto di lavoro dopo la sua scadenza e oltre la durata indicata dal legislatore, alla riassunzione del lavoratore effettuata prima della scadenza del periodo minimo fissato dalla legge, nonché, infine, alle assunzioni successive effettuate senza soluzione di continuità”, mentre “non riguarda invece i vizi afferenti alla mancanza dell’atto scritto e alla insussistenza delle ipotesi tipiche ovvero delle ragioni di carattere produttivo che legittimano l’apposizione del termine» [37]. A sostegno di tale tesi la Cassazione richiamava lo stesso articolo 3, comma 6, del decreto 64/2010, chiarendo che è solo per effetto di tale disposizione che le fondazioni vengono esonerate dall’obbligo di forma scritta e dall’affer­mazione del rapporto regola – eccezione tra contratto a tempo indeterminato e contratto a termine. Sostanzialmente, dunque, la Cassazione ha affermato la diretta applicazione delle ragioni “obiettive” come causa giustificativa dell’apposizione del termine contrattuale (anche per quanto riguarda i contratti a termine conclusi nel vigore della legge n. 230/1962), superando il dato normativo interno ostativo all’applicazione di qualsiasi misura preventiva e sanzionatoria contro l’utilizzo abusivo del contratto a tempo determinato in questo settore, in attuazione (sia pure non espressa) dei principi espressi dalla sentenza Adeneler [38], quanto alla necessaria presenza di ragioni obiettive nei rinnovi dei contratti a termine. Tuttavia, al dichiarato scopo di contenere le conseguenze derivanti dall’in­terpretazione restrittiva – adottata dalla giurisprudenza di merito e avallata anche dalla [continua ..]


4. La Corte costituzionale sul divieto di leggi falsamente interpretative

Nel rispondere al quesito postole dalla Corte d’Appello di Firenze, quanto alla compatibilità della norma di interpretazione autentica con gli artt. 3 e 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, la Corte costituzionale con la sentenza n. 260 dell’11 dicembre 2015 [39], dapprima ricostruisce correttamente la fattispecie che ha originato l’atto di promovimento della questione [40], e poi ripercorre il complesso iter normativo su descritto, rilevando dai lavori parlamentari che il legislatore del 2013 ha imputato alla giurisprudenza di aver travisato il senso dell’art. 3, comma 6, decreto n. 64/2010, «che intendeva evitare la stabilizzazione dei rapporti di lavoro». La Consulta, sul punto, è opportunamente tranchante nel difendere il diritto vivente della Cassazione [41], affermando che “la norma, oggetto di interpretazione, contiene un riferimento specifico ai rinnovi dei contratti a termine”, locuzione che, secondo l’interpretazione letterale, è qualcosa di ben diverso dall’illegittimità originaria del termine. Anche l’altro argomento adoperato dalla Corte costituzionale è dedotto dalle pronunce della Suprema Corte: quello del “rinnovo” – afferma la Consulta parafrasando la Cassazione – è un termine tecnico, presente in tutta la recente legislazione sui contratti a termine e la cui liberalizzazione caratterizza da sempre il settore delle fondazioni lirico-sinfoniche. Di conseguenza, la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità dell’art. 40, comma 1-bis, d.l. n. 69/2013 in quanto “la norma impugnata lede, in pari tempo, l’affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria (sentenza n. 209/2010, per l’indissolubile legame che unisce tali valori dello stato di diritto, posti in risalto anche dall’ordinanza di rimessione della Corte fiorentina)”, considerata la distinzione, chiara in giurisprudenza, tra rinnovi e fattispecie di illegittimità originaria del contratto a termine. Come già spiegato, infatti, sull’interpretazione del decreto n. 64/2010 non vi era alcun contrasto giurisprudenziale [42] e, quindi, sulla tesi ermeneutica restrittiva già descritta, si fondava il legittimo affidamento dei lavoratori [continua ..]


5. Le ragioni obiettive quale mezzo adeguato a prevenire gli abusi

Dopo aver difeso l’interpretazione restrittiva della Cassazione, l’indagine della Corte costituzionale si sposta, sempre ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost. [46], sulla incompatibilità della normativa speciale dettata per i lavoratori delle fondazioni lirico-sinfoniche con il diritto dell’Unione Europea ed, in specie, con la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva n. 1999/70/Ce. La Corte costituzionale distingue le ragioni oggettive temporanee che giustificano l’eccezione alla regola del contratto a tempo indeterminato [47], rispetto alla disciplina dei rinnovi e dei contratti successivi [48], sia ai fini delle misure preventive che delle sanzioni anti-abusive. Ed infatti, la Corte non ritiene conforme ai principi comunitari un contesto normativo totalmente privo di ogni tutela anti-abusiva come quello delineato dall’art. 3, comma 6, dal 1° al 3° periodo, decreto n. 64/2010, quantomeno per i contratti stipulati dopo la trasformazione delle fondazioni in soggetti di diritto privato e prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 368/2001, “in quanto pregiudica un aspetto fondamentale delle tutele accordate dall’ordinamento ai rapporti di lavoro, in un contesto già connotato in senso marcatamente derogatorio rispetto al diritto comune”. In particolare, la Consulta richiama le pronunce “Mascolo” e “Commissione contro Granducato di Lussemburgo” le quali, pur precisando che non vi è un obbligo del legislatore interno di indicare come misura preventiva quella delle ragioni obiettive [49], ne hanno valorizzato il ruolo come mezzo adeguato a prevenire gli abusi nei rinnovi [50]. Il rinvio al caso lussemburghese – anziché, come pure sostenuto da una parte della dottrina [51], all’ordinanza “Vino”, che invece riguardava il diverso caso dell’unico contratto alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 368/2001 – risulta particolarmente opportuno in quanto, in quella causa, la Corte di Giustizia si è confrontata con un ordinamento molto simile a quello italiano. Anche nel Granducato, infatti, per i lavoratori dello spettacolo non è prevista una durata massima totale (ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera b), dell’accordo quadro) in caso di successione di [continua ..]


6. Spunti problematici: ragioni oggettive, jobs act e divieto di conversione nel pubblico impiego

Se prima facie la questione affrontata dalla Consulta sembrerebbe quasi di dettaglio, afferente a un settore per così dire di nicchia e relativa a un periodo circoscritto temporalmente, in realtà, i Giudici costituzionali, specialmente nella parte conclusiva della pronuncia, affermano principi dotati di una notevole vis espansiva, tanto da aver attratto subito l’attenzione dei commentatori sugli sviluppi che dalla stessa potrebbero derivare, in relazione ai più recenti mutamenti legislativi. L’interesse è massimo, anzitutto, per la rinnovata natura pubblica delle fondazioni, che è stata affermata dal decreto 64/2010 e, successivamente, confermata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 153/2011 [64], all’esito del giudizio promosso dalla Regione Toscana. Se, infatti, le fondazioni lirico-sinfoniche sono, ad oggi, enti a carattere pubblicistico, aver ribadito il diritto alla conversione a tempo indeterminato dei contratti a termine illegittimi sembra aprire uno squarcio di tutela effettiva, proporzionata e dissuasiva anche per altri enti pubblici [65], e ciò sebbene ancora di recente le Sezioni Unite [66] si siano assestate su una posizione diversa, che continua a negare il diritto alla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato alle dipendenze della P.A., pur riconoscendo il diritto a un risarcimento del danno dall’ammontare forfettizato e (finalmente) non soggetto alla prova diabolica a carico del lavoratore [67]. Ma v’è di più. La pronuncia costituzionale suscita un profondo interesse anche perché, in seguito al d.lgs. n. 81/2015 [68] (che ha abbandonato definitivamente la strada della causalità necessaria del contratto a termine), sembra riproporsi, in relazione ad una vasta gamma di ipotesi, il vuoto di tutele, che, prima la Corte di Giustizia, poi la Corte costituzionale, hanno colmato con il richiamo alle ragioni oggettive. In proposito, la dottrina ha immediatamente rilevato che, posto che l’attua­le normativa italiana conosce l’unica tutela della durata massima totale dei contrati successivi, desta più di un dubbio di legittimità la norma che include nel computo dei mesi lavorati solo i contratti stipulati per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale [69]. A ben vedere, però, un possibile contrasto con il diritto [continua ..]


NOTE