Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Profilo costituzionale del licenziamento nullo (di Vincenzo Bavaro (Prof. Associato di Diritto del Lavoro dell’Università di Bari Aldo Moro) Madia D’Onghia (Prof. Ordinario di Diritto del Lavoro dell’Università di Foggia))


L’articolo tratta del licenziamento nullo dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015. Ricostruiti i tratti salienti della disciplina sanzionatoria del licenziamento illegittimo, gli Autori si concentrano, innanzitutto, sulla distinzione tra nullità e annullabilità del licenziamento, sostenendo la correlazione logico-giuridica fra sanzione della nullità e rimedio della reintegrazione. Si concentrano, poi, sulla ratio della nullità del licenziamento riconducendo la sua origine alla tutela degli interessi generali posti da norme imperative. In questa prospettiva la nullità deriva certamente dalla violazione di norme costituzionali con particolare riferimento ai diritti sanciti nell’art. 41, comma 2, Cost.; secondo gli Autori, quando il licenziamento contrasta con l’utilità sociale e lede la dignità dei lavoratori, non può che essere nullo.

A costitutionally oriented perspective about void dismissal

The article deals with the dismissal null and void after the entry into force of Legislative Decree n. 23 of 2015. After rebuilding the salient features of the sanction of dismissal unlawful, the authors focus, first, on the distinction between nullity and annulment of the dismissal, arguing the logical-legal correlation between nullity and remedy of reinstatement. The article reflects on the foundation of the dismissal invalidity which is led back to the protection of public interests underlying the mandatory rules. In this perspective the nullity certainly derives from the violation of constitutional norms with particular reference to the rights enshrined in art. 41, paragraph 2 of the Constitution; according to the authors, when the dismissal runs counter to the social utility and affects the dignity of workers, can not be null.

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1. Il licenziamento nullo nel contratto a tutele crescenti: quando si applica la reintegrazione? La ragione per la quale l’attenzione della dottrina si è incentrata sulle ipotesi di nullità del licenziamento dei lavoratori assunti col c.d. “contratto a tutele crescenti” è data dalla circostanza che solo in questo caso il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore. Secondo alcuni commentatori, col d.lgs. n. 23/2015 (da ora, decreto 23) si sarebbe operato un capovolgimento del sistema di sanzioni per licenziamento illegittimo, nel campo di applicazione che era delimitato dall’art. 18 St. lav.: la regola non sarebbe più la tutela reintegratoria e l’eccezione la tutela indennitaria, bensì la regola sarebbe la tutela indennitaria e l’eccezione la reintegrazione [1]. Ci sarebbe da questionare sul punto perché tale considerazione sarebbe vera se riferita alla regola precedente la modifica dell’art. 18 St. lav. ad opera della legge n. 92/2012, perché nel sistema oggi vigente, l’area coperta dalla reintegrazione (la regola) ha subìto una significativa sottrazione di casi a favore della “eccezione” al punto che non è più chiaro quale sia la regola e l’eccezione. Perciò, sarebbe più preciso dire che il decreto 23 vorrebbe completare un capovolgimento iniziato con la legge 92/2012. Usiamo il condizionale perché in questo scritto sosterremo che non crediamo trattarsi di un capovolgimento, giacché la questione, a nostro avviso, deve essere ricondotta a quanto sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2006: «oggi, l’obbligazione di ricostruire la situazione di fatto anteriore alla lesione del credito rendendo così possibile l’esatta soddisfazione del creditore, non tenuto ad accontentarsi dell’equivalente pecuniario, costituisce la traduzione nel diritto sostanziale del principio, affermato già dalla dottrina processuale degli anni trenta e poi ricondotto all’art. 24 Cost. (Corte cost. 23 giugno 1994, n. 253, id., 1994, I, 2005; 10 novembre 1995, n. 483, id., 1996, I, 2986), secondo cui il processo (ma potrebbe dirsi: il diritto oggettivo, in caso di violazione) deve dare alla parte lesa tutto quello e proprio quello che le è riconosciuto dalla norma sostanziale [...]. Questa conclusione valida sul piano generale serve a maggior ragione nel diritto del lavoro non solo perché qualsiasi normativa settoriale non deve derogare al sistema generale senza necessità […] ma anche perché il diritto del lavoratore al proprio posto, protetto dagli art. 1, 4 e 35 Cost., subirebbe una sostanziale espropriazione se ridotto in via di regola al diritto ad una somma. Da ciò la necessità non solo di interpretare restrittivamente l’art. 2058, 2° comma, cit., ma anche di considerare [continua..]

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