Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Illegittimità del contratto a termine nel lavoro pubblico e risarcimento del danno: la soluzione delle Sezioni Unite (di Luigi Menghini (Prof. Ordinario di diritto del lavoro nell’Università di Trieste))


Lo scritto aggiorna un precedente saggio apparso sul n. 1/2016 di questa rivista in tema di lavoro precario nel pubblico impiego, concentrando l’attenzione su una serie di sentenze delle Sezioni unite della Cassazione di metà marzo 2016 che si sono pronunciate sulla natura e dimensione del risarcimento del danno previsto per il caso di “violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni”. La soluzione delle Sezioni unite è molto importante e va valutata positivamente sul piano pratico, perché, soprattutto dove elimina ogni problema sulla prova del danno, fa conseguire ai lavoratori un indennizzo sicuro, superiore a quello risultante da altre soluzioni prospettate da decisioni della Sezione lavoro. L’opzione prescelta è tuttavia discutibile sul piano tecnico-giuridico, è stata contrastata da altre pronunce della Sezione lavoro e soprattutto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 303/2011 e non pare conforme alle caratteristiche che la Corte di Giustizia richiede alle misure nazionali di prevenzione e repressione degli abusi derivanti dalla successione di contratti a termine con lo stesso lavoratore. La vicenda, in conclusione, non sembra conclusa.

Illegitimacy of the fixed-term contract within the public sector and compensation for damages: the solution of the united sections

This work updates a previous essay appeared on n. 1/2016 of this journal on the subject of precarious work in the public sector, focusing on a series of judgments of the United Sections of the Supreme Court in mid-March 2016 that pronounced on the nature and size of compensation for the damage in the event of "infringement of binding provisions on the recruitment or employment of workers by the public administrations". The solution of the Joint Sections is very important and should be evaluted positively in practice. It solves up every problem on the proof of damage and allowed the worker to achieve a secure compensation, greater than the one resulting from other solutions envisaged by decisions of the Labour section of the same Supreme Court. The preferred option, however, is questionable on the technical and legal terms. It is non consistent with was other judgments of the Labour section and especially with the Constitutional Court'judgment no. 303/2011. Moreover it does not seem consistent with the characteristics that the Court of Justice requires for national measures of prevention and repression of abuse arising from successive fixed-term contracts with the same worker. The story, in the end, it does not seem concluded.

1. Introduzione: sentenze importanti che forse non chiudono ogni questione Nel primo numero di questa rivista è comparso un mio scritto che cercava di chiarire il punto in cui si era giunti, al 1° dicembre 2015, sul terreno giurisprudenziale e legislativo, nella soluzione dei problemi posti dal precariato pubblico [1]. Nell’occasione criticavo l’inerzia e l’eccessiva furbizia del legislatore e ritenevo che anche dopo le ultime importanti pronunce della Corte di Giustizia sulla conformità della nostra normativa interna rispetto al diritto euro unitario (specie l’ordinanza Papalia [2] e la sentenza Mascolo [3], molte questioni fossero ancora aperte, confidando in ulteriori interventi della nostra Corte Costituzionale e della Corte di Lussemburgo per un soddisfacente assestamento della materia. Ricordavo pure le varie ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite della questione del risarcimento del danno derivante dall’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro, con una prima discussione tenutasi davanti alle sezioni stesse il 1 dicembre 2015 [4]. A metà marzo 2016 le Sezioni Unite della Cassazione, depositando sei sentenze, hanno fornito la loro soluzione al problema del risarcimento del danno, individuandone la natura e la misura e superando ogni questione relativa alla prova [5]. Si è trattato di una serie di pronunce molto importanti da un punto di vista politico-sociale, ma che lasciano ancora aperti molti dubbi e interrogativi, anche perché siamo in attesa della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale sulla questione del precariato scolastico, già considerata in sede di rinvio pregiudiziale dalla sentenza Mascolo. La discussione davanti alla Consulta si è svolta il 17 maggio scorso e chi sa cosa dirà la Corte [6]. Davanti ai giudici di Lussemburgo, poi, sono state sollevate ulteriori questioni pregiudiziali, non considerate dalle sentenze delle Sezioni Unite sopra indicate e ciò potrà provocare ulteriori pronunce della Corte di Giustizia e della Corte Edu. Questioni di costituzionalitào di conformità al diritto euro unitario potrebbero essere sollevate anche in relazione alla soluzione data dalle Sezioni Unite al problema del risarcimento del danno. In questo breve scritto mi concentrerò su quest’ultimo punto e sulla sentenza “madre”, cercando di non ripetere cose già dette. 2. Illegittimità del contratto o della successione di contratti a tempo determinato nel settore pubblico ed il problema delle loro conseguenze Com’è noto, da molti anni il nostro ordinamento è caratterizzato dalla disposizione per la quale “la violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non [continua..]

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SOMMARIO:

1. Introduzione: sentenze importanti che forse non chiudono ogni questione - 2. Illegittimità del contratto o della successione di contratti a tempo determinato nel settore pubblico ed il problema delle loro conseguenze - 3. La soluzione concreta delle Sezioni Unite - 4. Motivazioni e caso di specie: la questione del concorso pubblico - 5. Misura e prova del risarcimento del danno secondo le Sezioni Unite - 6. Dubbi e perplessità: nuovi interventi della Consulta o della Corte di Giustizia? - 7. Eventuale eliminazione legislativa del risarcimento del danno e responsabilità dei dirigenti nella normativa oggi vigente: assoluta incompatibilità con l'accordo quadro europeo - 8. Conclusioni: superare la misura del risarcimento del danno - NOTE


1. Introduzione: sentenze importanti che forse non chiudono ogni questione

Nel primo numero di questa rivista è comparso un mio scritto che cercava di chiarire il punto in cui si era giunti, al 1° dicembre 2015, sul terreno giurisprudenziale e legislativo, nella soluzione dei problemi posti dal precariato pubblico [1]. Nell’occasione criticavo l’inerzia e l’eccessiva furbizia del legislatore e ritenevo che anche dopo le ultime importanti pronunce della Corte di Giustizia sulla conformità della nostra normativa interna rispetto al diritto euro unitario (specie l’ordinanza Papalia [2] e la sentenza Mascolo [3], molte questioni fossero ancora aperte, confidando in ulteriori interventi della nostra Corte Costituzionale e della Corte di Lussemburgo per un soddisfacente assestamento della materia. Ricordavo pure le varie ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite della questione del risarcimento del danno derivante dall’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro, con una prima discussione tenutasi davanti alle sezioni stesse il 1 dicembre 2015 [4]. A metà marzo 2016 le Sezioni Unite della Cassazione, depositando sei sentenze, hanno fornito la loro soluzione al problema del risarcimento del danno, individuandone la natura e la misura e superando ogni questione relativa alla prova [5]. Si è trattato di una serie di pronunce molto importanti da un punto di vista politico-sociale, ma che lasciano ancora aperti molti dubbi e interrogativi, anche perché siamo in attesa della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale sulla questione del precariato scolastico, già considerata in sede di rinvio pregiudiziale dalla sentenza Mascolo. La discussione davanti alla Consulta si è svolta il 17 maggio scorso e chi sa cosa dirà la Corte [6]. Davanti ai giudici di Lussemburgo, poi, sono state sollevate ulteriori questioni pregiudiziali, non considerate dalle sentenze delle Sezioni Unite sopra indicate e ciò potrà provocare ulteriori pronunce della Corte di Giustizia e della Corte Edu. Questioni di costituzionalità


2. Illegittimità del contratto o della successione di contratti a tempo determinato nel settore pubblico ed il problema delle loro conseguenze

Com’è noto, da molti anni il nostro ordinamento è caratterizzato dalla disposizione per la quale “la violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime …, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave”. I dirigenti che operano in violazione del presente articolo rispondono anche sotto il profilo della responsabilità dirigenziale e di tali violazioni si deve tener conto in sede di valutazione del loro operato ex art. 5, d.lgs. n. 286/1999 (art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165/2001). Su questo testo, poi integrato, come vedremo, nel 2013, si sono pronunciate le Sezioni Unite. Il regime sanzionatorio previsto per i dipendenti pubblici contrattualizzati si differenzia di molto rispetto a quello riservato ai dipendenti privati, da tempo caratterizzato dalla “conversione” del rapporto, accompagnata prima da un risarcimento del danno vero e proprio a copertura del mancato lavoro dalla scadenza del termine illegittimo (o dalla messa in mora) alla data della sentenza e, dopo l’entrata in vigore dell’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, come interpretato dall’art. 1, comma 13, della l. n. 92/2912, da un indennizzo, compreso tra 2,5, e 12 mensilità, avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 8, legge n. 604/1966, che ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la sentenza del giudice. Il suddetto art. 32, comma 5, è stato ora abrogato dall’art. 55, lett. f, del d.lgs. n. 81/2015, il quale lo ha riprodotto, con una piccola modifica concernente la retribuzione da prendere a base del calcolo, nel comma 2 dell’art. 28. Il nuovo sistema introdotto nel 2010 a molti non è piaciuto ed è stato sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale, che ne ha comunque difeso la legittimità [7]. I dipendenti [continua ..]


3. La soluzione concreta delle Sezioni Unite

Con le sentenze del 14 e 15 marzo scorso le Sezioni Unite hanno fornito una soluzione concreta al problema del risarcimento del danno molto importante. I mezzi di comunicazione ne hanno subito sottolineato il rilievo per il fatto che faceva conseguire ai lavoratori un risarcimento automatico, sicuro, di importo variabile e non molto consistente, ma in certi casi non disprezzabile. La Corte ha fatto propria, attraverso complessi passaggi, la soluzione prospettata dalla già ricordata sentenza n. 19371/2013, ritenendo di poter applicare al settore pubblico il sistema dell’indennizzo previsto dal comma 5 dell’art. 32, legge n. 183/2010 per il settore privato in aggiunta alla “conversione del rapporto”, sistema che prescinde dalla esistenza e dalla prova di un danno, ma che affida al giudice la quantificazione dell’indennità, tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità, tenendo conto dei criteri di cui all’art. 8, legge n. 604/1966, criteri parzialmente innovati dall’art. 30, comma 3, legge n. 183/2010: dimensioni e condizioni dell’attività esercitata dal datore di lavoro, situazione del mercato del lavoro locale, anzianità e condizioni del lavoratore, comportamento delle parti. Gli elementi in questione sono dettati per graduare l’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato nelle piccole imprese; se deve quantificare l’indennizzo derivante dalla nullità di una clausola appositiva del termine nel settore privato, il giudice è chiamato ad un unico adattamento, e cioè ad adattare i suddetti elementi per valutare i pregiudizi subiti dal lavoratore per il fatto di non aver prestato le sue opere sino alla sentenza di “conversione”; se deve quantificare l’indennizzo derivante dalla nullità di una clausola appositiva del termine nel settore pubblico, il giudice è chiamato ad un duplice adattamento, dovendo considerare sia il periodo precedente che quello successivo alla sentenza. Nell’ipotesi prevista dalle Sezioni Unite, poiché l’indennizzo costituisce la riparazione di ogni conseguenza dell’illegitti­mità del termine o della successione dei rapporti, non essendo consentita la “conversione”, la quantificazione dell’indennizzo tra il minimo ed il massimo dovrebbe essere ragionevolmente più alta rispetto ai casi in cui l’indennità [continua ..]


4. Motivazioni e caso di specie: la questione del concorso pubblico

Venendo alle complesse motivazioni rinvenibili nella sentenza del 15 marzo 2016, n. 5072, una prima impressione è costituita da una sua parziale lontananza rispetto al caso concreto dei signori Gianluca Sardino e Cristiano Marrosu. Nel riportare le vicende di causa le Sezioni Unite non riferiscono il fatto che entrambi i dipendenti erano stati assunti dopo aver superato una procedura selettiva [16] e che i ricorsi per cassazione dell’Azienda Ospedaliera vertevano solo sulla quantificazione del danno e non sulla “conversione” del rapporto. Appare, pertanto, fuori luogo, rispetto al caso di specie, il richiamo del precetto di cui all’art. 97 Cost., per il quale agli impieghi nelle p.a. si accede mediante concorso, come contesto normativo che caratterizza la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato alle dipendenze delle p.a., escludendo che la violazione di norme imperative possa condurre alla “conversione” del rapporto. Di quest’ultima, infatti, non si doveva discutere più. L’enfasi sul principio del concorso quale ostacolo alla “conversione” del rapporto mi sembra in ogni caso esagerata. Da tempo, infatti, l’accesso al lavoro pubblico può avvenire solo “tramite procedure selettive” o “mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo…”. (art. 35, comma 1, d. lgs. n. 165/2001). Non esiste più il problema, molto presente nella storia del lavoro pubblico italiano, delle assunzioni fuori ruolo senza concorso, frutto di scelte clientelari [17]. Oggi vi è sempre un concorso, sia per le assunzioni a tempo indeterminato che per quelle a termine, tranne il caso degli iscritti nelle liste di collocamento. Non ritengo che il superamento di un concorso per un posto a tempo determinato faccia superare tutti gli ostacoli per ritenere possibile la “conversione” [18], ma nel caso di specie non era l’assenza di un concorso ad impedirla, ma, se mai, il fatto che il concorso superato dai lavoratori in questione era relativo ad un posto a termine e non a tempo indeterminato. Veniva assicurata, dunque, sia l’impar­zialità che la professionalità. Ma è molto diversa la situazione di chi ha già fatto [continua ..]


5. Misura e prova del risarcimento del danno secondo le Sezioni Unite

La sentenza delle Sezioni Unite del 15 marzo 2016 è un po’ contraddittoria laddove, da una parte, e con un po’ di fretta, alla fine del punto 6 afferma che il sistema interno del risarcimento del danno e della responsabilità dei dirigenti prevede nel complesso misure energiche e fortemente dissuasive per contrastare l’illegittimo ricorso al lavoro a termine, assicurando la piena compatibilità comunitaria della disciplina nazionale, ribadendo tutto ciò alla fine del punto 8; dall’altra, solo in seguito si pone il problema della sufficienza, ai fini di tale compatibilità, del risarcimento del danno inteso, evidentemente, come strumento principe di attuazione delle prescrizioni europee.


6. Dubbi e perplessità: nuovi interventi della Consulta o della Corte di Giustizia?

La soluzione delle Sezioni Unite è indubbiamente molto ingegnosa ed in concreto tutela i lavoratori molto di più di quanto non facesse la giurisprudenza che richiedeva la prova del danno o quella che sulla interessante base teorica del “danno comunitario” [20] finiva per garantire un’indennità molto bassa, tra le 2,5 e le 6 mensilità. Io stesso l’ho difesa, in quanto preferibile rispetto a queste altre [21]. A ben pensare, tuttavia, sarà difficile convincere i precari storici del pubblico impiego che l’assenza, per loro, del rimedio della “conversione” del rapporto è ben compensata dalla possibilità di provare un ulteriore danno, ammessa dalle stesse Sezioni Unite come difficilissima! In via generale, inoltre, nei casi di successione di contratti per lunghi periodi, è difficile ammettere che la stessa indennità spetti sia a chi gode anche del ben più rilevante rimedio della “conversione” sia a chi ne è privo. Forse, quindi, aveva ragione la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 303/2011, a negare l’appli­cabilità al settore pubblico del sistema previsto dall’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, per l’inestricabile connessione dell’indennizzo con la trasformazione del rapporto. Se la sanzione non può essere costituita dalla costituzione giudiziale di un rapporto stabile, l’unica via d’uscita per rendere il nostro diritto interno conforme a quello euro unitario è quella di una interpretazione conforme delle norme sul danno che evitino ogni problema di prova e portino ad una indennità di misura elastica, ma consistente. Le Sezioni Unite ritengono sbagliato il riferimento a ciò che ottiene il lavoratore licenziato, perché nel caso in esame non c’è alcun posto a tempo indeterminato ad essere stato perso. L’obiezione non mi convince, perché in entrambi i casi vi è un lavoratore che, o per un atto di recesso illegittimo o perché è stato impiegato con abuso di una tipologia negoziale, lavorava e non lavora più, ed ha, quindi, bisogno di tutela. E forzatura per forzatura, forse è meglio quella che porta ad un risarcimento più alto quale misura effettiva, dissuasiva ed energica per prevenire e sanzionare gli abusi della successione di contratti a termine. Il punto [continua ..]


7. Eventuale eliminazione legislativa del risarcimento del danno e responsabilità dei dirigenti nella normativa oggi vigente: assoluta incompatibilità con l'accordo quadro europeo

Come già detto, le Sezioni Unite si sono pronunciate sul vecchio testo dell’art. 36, d.lgs. n. 165/2001. Il testo vigente del comma 5 dell’art. 36 è stato arricchito, tra l’altro, di un comma 5 quater, inserito nel testo originario dall’art. 4, comma 1, lett b, del d.l. n. 101/2013, convertito in legge n. 125/2013, che non menziona il risarcimento del danno tra le conseguenze derivanti dalla stipula di contratti a termine in violazione del medesimo art. 36 ed aggrava la responsabilità dei dirigenti, aggiungendo a quelle già esistenti la responsabilità erariale. La lettera del comma 5 quater e la sua sistemazione dopo il comma 5 dell’art. 36 può certamente far ritenere che il comma 5 valga per tutti i contratti flessibili, tranne che per il contratto a tempo determinato, per il quale dispone in modo specifico il comma 5 quater, prevedendo, in modo coerente, la nullità dell’intero contratto in caso di violazione delle regole di cui all’art. 36 e la responsabilità erariale dei dirigenti, unita a quella dirigenziale ed alla negazione dell’indennità di risultato, senza menzionare il diritto al risarcimento del danno ed il dovere delle P.A. di rivalersi sui dirigenti [23]. In questo contesto non è davvero facile recuperare, anche per il contratto a tempo determinato, il risarcimento del danno previsto per tutti i contratti flessibili nel comma 5. In caso di illegittima sequela di assunzioni a tempo determinato potrà farsi ricorso, tuttavia, ad una interpretazione conforme alla clausola 5 dell’accordo quadro europeo, perché, come ora vedremo, senza risarcimento le misure espressamente previste del comma 5 quater sono del tutto insufficienti rispetto a ciò che notoriamente richiede la Corte di Giustizia [24]. Potrà essere utilizzato, peraltro, anche un argomento sistematico: per l’art. 1, comma 131, legge n. 107/2015 (quella sulla “buona scuola”) dal 1° settembre 2016 i contratti a tempo determinato stipulati con il personale docente e amministrativo per la copertura di posti vacanti e disponibili non possono superare i 36 mesi, anche non continuativi; la norma non prevede quale sia la “sanzione” in caso di superamento di questo limite, ma nel comma successivo si preoccupa di istituire un apposito fondo per il pagamento del [continua ..]


8. Conclusioni: superare la misura del risarcimento del danno

Capisco che una soluzione diversa da quella in termini di risarcimento del danno è molto difficile. Più ci penso, tuttavia, più mi sembra che il risarcimento sia una misura poco adatta, perché, in pratica, comporta esborsi di somme tratte dai bilanci pubblici, alimentati soprattutto dalle tasse di tutti, di fronte a comportamenti illegittimi di dirigenti o personale della p.a., in difetto di ogni contraprestazione da parte dei lavoratori e quindi senza alcuna compensazione sul piano dell’erogazione di servizi pubblici o comunque del miglior funzionamento della p.a. Si tratta, in sostanza, di un grande spreco di risorse. E vero che i dirigenti o funzionari della p.a. spesso sono costretti ad assumere illegittimamente perché hanno un servizio da erogare inderogabilmente, ma perché non scegliere altre soluzioni, quanto la tipologia a termine, ripetuta, può costare non solo la normale retribuzione, ormai parificata a quella dei dipendenti stabili, ma ulteriori somme sotto il profilo risarcitorio e delle spese legali? Le poche risorse economiche disponibili devono essere erogate di fronte a prestazioni di lavoro! Ed allora perché non proseguire sulla strada delle stabilizzazioni legali di chi è precario da molto tempo? E perché non ammettere interventi giudiziali che costituiscano un rapporto a tempo indeterminato a beneficio di chi, lavorando da tento tempo previo concorso, dimostra di coprire un posto che corrisponde al fabbisogno ordinario, magari differendo la decisione delle p.a. di attribuire un preciso posto e di far iniziare le prestazioni ad un esame della specifica situazione dell’ente, quanto a vincoli specifici alla dimensione e costi del personale (ma i costi ci sono comunque!), a possibilità organizzative, ad utilizzo dei processi di mobilità? Questa, a mio avviso, dovrebbe essere la linea su cui dovrebbe muoversi il legislatore, magari delegando in tal senso la contrattazione collettiva.


NOTE