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Verso il "superamento" del contratto a progetto. La disciplina transitoria e gli incentivi a favore della stabilizzazione
Fabrizia Santini (Ricercatrice di diritto del lavoro dell’Università del Piemonte Orientale)
Il contributo analizza la disciplina transitoria delle collaborazioni a progetto, delle associazioni in partecipazione e delle partite Iva in corso di esecuzione al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015. L’indagine vuole dimostrare l’inidoneità del complesso normativo ad intaccare in maniera significativa l’area della parasubordinazione. Non si tratta solo della riviviscenza delle collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 409 c.p.c.; proprio la disciplina transitoria che accompagna l’entrata a regime del provvedimento contribuisce a creare un sistema complesso, di discipline parallele, “conservando” tutti i rapporti di lavoro attualmente in vigore e riconducibili alla parasubordinazione. In stretta connessione all’obiettivo di “superare” il lavoro a progetto, si inserisce purtuttavia la previsione di cui all’art. 54 che esplicita la propria ratio nel tentativo di “promuovere la stabilizzazione della occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonché di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo”, servente a sua volta alla realizzazione della scelta di politica legislativa sottesa a tutto l’intervento riformatore del Jobs Act ed identificata nella centralizzazione del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato come contratto standard. La norma incentiva la conversione delle collaborazioni a progetto e delle partite Iva in rapporti di lavoro subordinato prevedendo l’estinzione di tutti gli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi alla erronea qualificazione del rapporto di lavoro.
The paper analyzes the transitional provisions of project work, joint venture and of VAT in progress at the time of entry into force of Legislative Decree No. 81/2015. The survey wants to show the inability of the rulebook for significant dent in the area of parasubordination. It is not just the revival of coordinated and continuous collaborations ex art. 409 c.p.c .; precisely the transitional rules helps to create a complex system of parallel disciplines, "preserving" all employment relationships currently in force and due to parasubordination. In close connection to the objective of "overcoming" the project work, the provisions of art. 54 express its ratio in an effort to “promote the stabilization of employment through the use of open-ended contracts as well as to ensure the correct use of self-employment contracts”, serving the implementation of legislative policy choice underlying all the jobs Act and identified in the centralization of the open ended contract. The rule encourages the conversion of project workers and of VAT in employment activities providing for the termination of all the offenses (administratives, tax and social security) related to the erroneous classification of the employment relationship.
Keywords: project work, joint venture, Vat, transitional previsions
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1. La transizione al nuovo regime
1.1. Dal “superamento” alla “ricomposizione” dell’area della parasubordinazione
L’intervento del Jobs Act che più ha attirato l’attenzione, degli operatori così come della dottrina, è la previsione contenuta nell’art. 52 del d.lgs. n. 81/2015, che determina, con chiarezza, fin dalla sua rubrica, il proprio oggetto: “Superamento del contratto a progetto”. La norma a tal fine abroga le disposizioni di cui agli artt. 61-69 bis del d.lgs. n. 276/2003 disponendo, in combinata lettura con l’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 [1], che a decorrere dal 1° gennaio 2016 alle collaborazioni coordinate e continuative, non più a progetto, organizzate dal committente con riferimento ai tempi e al luogo della prestazione lavorativa si applica la disciplina del lavoro subordinato.
Tanto è bastato ad indurre alcuni ad affermare il dissolvimento dell’area della parasubordinazione, i cui rapporti sarebbero stati ricondotti forzatamente nell’area della subordinazione.
Senza poter entrare nel merito della questione, in ragione dell’ambito specifico entro cui deve essere contenuto questo contributo, è però possibile affermare fin d’ora che il complesso normativo non può affatto dirsi idoneo ad intaccare in maniera significativa la c.d. area “grigia”.
Vi è innanzitutto la riviviscenza delle collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 409 c.p.c. che, ai sensi dell’art. 52, comma 2, a fronte della abrogazione delle cococpro “restano salv(e)”, o, si dovrebbe meglio dire, vengono addirittura rilanciate dopo essere state abrogate dalla disciplina del lavoro a progetto ad opera del d.lgs. n. 276/2003.
Vi è poi l’interpretazione dell’art. 2, comma 1 che ne dà un certo orientamento [2] secondo cui la norma, seppure oggetto di letture diversificate (che ne escludono una reale efficacia normativa [3] o vi ravvisano un intervento estensivo della nozione di subordinazione, per la maggior parte), identificherebbe le collaborazioni coordinate e continuative cui si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato senza però mutarne la qualificazione. In altri termini, secondo tale lettura [4], il referente socialtipico delle collaborazioni etero-organizzate andrebbe sempre rintracciato nella “zona grigia” delle collaborazioni parasubordinate [5].
Ed ancora, una delega “in bianco” alla contrattazione collettiva consente di identificare quelle ipotesi cui non troverà applicazione l’art. 2, comma 1, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del settore (i call center ad esempio).
Ma non solo. Il superamento della disciplina del lavoro a progetto comporta anche il venir meno del divieto previsto da quella disciplina di regolare forme di lavoro autonomo continuativo a tempo indeterminato al di fuori delle ipotesi già esistenti e regolate dal codice civile, ovvero al di fuori delle poche eccezioni espresse e tassative previste dall’art. 61, comma 3, d.lgs. n. 276/2003. Pertanto, a seguito della loro abrogazione, l’ordinamento riconosce nuovamente all’autonomia privata individuale il potere di regolare, al di fuori delle ipotesi previste dal codice civile e delle eccezioni espresse, forme di lavoro coordinato e continuativo a tempo indeterminato.
La seppur breve disanima condotta suscita già un dubbio di coerenza tra delega e decreto delegato in quanto il prospettato “superamento” delle collaborazioni coordinate e continuative non può certo dirsi realizzato, senza arrivare a sostenere che è avvenuto addirittura il contrario [6].
Oltre alle manovre di cui si è detto, poi, un pò in secondo piano, la disciplina transitoria che accompagna l’entrata a regime del provvedimento contribuisce a creare un sistema complesso, di discipline parallele, “conservando” tutti i rapporti di lavoro attualmente in vigore e riconducibili alla parasubordinazione.
Il legislatore, con una tecnica che ricorre in tutto il provvedimento, non ha fissato infatti una scadenza temporale dei contratti di collaborazione a progetto già perfezionati alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015. Disponendo all’art. 52, comma 1, che gli artt. 61-69 bis “continuano ad applicarsi per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto” legittima un sistema composito di discipline e di tutele che accompagnerà, senza che se ne possa prefigurare una fine certa, il nuovo regime stabilito dall’art. 2, d.lgs. n. 81/2015.
Si scorge dunque l’avvenuta (ri)composizione dell’area della parasubordinazione, più che il suo “superamento”, ad opera di rapporti che variamente vi si dovranno continuare a ricondurre e che sono destinati ad operare fino alla fisiologica scadenza.
La formulazione dell’art. 52 appare meditata e volutamente diversa da quella utilizzata in occasione della abrogazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa ad opera del d.lgs. n. 276/2003 [7] così come da quella utilizzata in occasione dell’affermazione del contratto a tutele crescenti ai sensi del d.lgs. n. 23/2015 [8].
Ne consegue in primo luogo che i contratti a progetto sottoscritti prima del 25 giugno 2015, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015, potranno continuare a regolare rapporti di lavoro sorti sulla base degli artt. 61 ss., d.lgs. n. 276/2003 per molti anni a venire ancora. Sebbene infatti i contratti a progetto debbano avere un termine, questo può essere determinato o determinabile [9] ed abbastanza lontano nel tempo; senza contare altresì che la disposizione nulla prevede, non vietandola dunque, circa la possibilità di prorogare la collaborazione a progetto precedentemente instaurata.
Nell’ambito di tutti i contratti sottoscritti prima del 25 giugno 2015 si possono poi distinguere diversi regimi giuridici.
Vi sono le collaborazioni stipulate prima del 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge n. 92/2012, cui, ai sensi dell’art. 1, comma 25, non si applica la revisione tipologica operata per mezzo del comma 23, con la conseguenza che potranno aversi ancora contratti di lavoro a programma ed una disciplina complessiva in tema di corrispettivo e recesso alquanto diversa; ai quali ancora non si applicherà il comma 24 secondo cui, con norma sostanzialmente di interpretazione autentica dell’art. 69, alla mancanza di uno specifico progetto consegue, senza possibilità di prova contraria, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. A questi si affiancano i contratti a progetto stipulati sempre prima del 25 giugno ma dopo il 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015, in virtù del quale la conversione del rapporto avverrà in contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Vi sono poi le collaborazioni coordinate e continuative etero-organizzate stipulate dal 25 giugno 2015 in poi a seguito della abrogazione del lavoro a progetto, che potranno essere utilizzate con le regole vigenti prima della legge Biagi fino al 1° gennaio 2016, momento in cui entrerà in vigore la disciplina del lavoro subordinato. Differendo al 1° gennaio 2016, l’operatività della nuova disciplina, si è venuto a creare un singolare iato, riconosce la dottrina, di poco più di nove mesi rispetto alla caducazione degli artt. 61-69 del d.lgs. 276/2003, con il che pare necessario, per individuare le norme di riferimento e il diritto vivente cui rifarsi in via provvisoria, tornare alla vigilia dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003 [10].
Al panorama già sufficientemente complesso delle tipologie a carattere generale devono aggiungersi le ipotesi particolari.
Si prevede che seguiteranno a trovare applicazione per un arco di tempo rilevante collaborazioni a progetto che hanno ad oggetto una attività di ricerca scientifica, per cui l’art. 61, comma 2 bis, d.lgs. n. 276/2003 prevede la legittimità di proroghe e prosecuzione del progetto per attività di ricerca ampliata a temi connessi. Così come i contratti a progetto utilizzati nei call center outbund [11]. L’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 introduce poi quattro ulteriori ipotesi di non applicazione della disciplina del lavoro subordinato prevista dal comma 1 in tema di collaborazioni etero-organizzate, cui troverà applicazione la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 409 c.p.c. Si tratta delle “collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”; delle “collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali”; “alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni”; ed infine “alle collaborazioni rese ai fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I”.
Sono a ben vedere le stesse ipotesi previste dal d.lgs. 276/2003, all’art. 61, che continueranno dunque anch’esse ad essere valide, seppure con una portata diversa da quella originaria. Secondo l’art. 61 citato queste erano escluse dall’applicazione dell’intero capo in tema di contratti a progetto; oggi, l’art. 2, comma 2, si limita a prevedere la non operatività nei loro confronti del comma 1. Ne conseguirebbe, in questa prospettiva, che, per effetto delle (attese) “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale” tali rapporti dovrebbero trovare lì una disciplina e tutela minima.
Per coloro che riconoscono purtuttavia nella formula utilizzata nel comma 1, dell’art. 2, la riconduzione al lavoro subordinato delle collaborazioni organizzate dal committente, tali esclusioni, sottraendo alla disciplina del lavoro subordinato fattispecie che ai sensi della previsione normativa dovrebbero esservi ricondotte, sarebbero idonee a sollevare dubbi di legittimità costituzionale. Trattandosi di rapporti che in concreto possono presentare tutte le caratteristiche che giustificano, ai sensi dell’art. 2, comma 1, l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, la separazione fra fattispecie e relativo trattamento normativo violerebbe l’art. 3 Cost., oltreché, il principio della indisponibilità del tipo secondo cui non sarebbe possibile applicare diversa disciplina a quei rapporti aventi natura subordinata [12]. Considerando poi nello specifico la prima categoria di rapporti esclusi, quella rappresentata dalle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore, l’art. 2, comma 2 consentendo di disapplicare la disciplina legale del lavoro subordinato, potrebbe essere censurata per incostituzionalità perché consentirebbe ad un accordo economico collettivo di disporre del tipo [13].
Invero, si potrebbe innanzitutto sostenere che le collaborazioni elencate non sono escluse dalla disciplina del lavoro subordinato ma dall’applicazione del comma 1 dell’art. 2 [14]; od ancora che la lett. a) affidi alle parti sociali del compito di offrire ai giudici indicazioni utili nell’accertamento della ricorrenza dei requisiti della subordinazione alla luce “delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore” [15].
Quanto detto vale solo qualora però, si ripete, l’art. 2 effettui un intervento di estensione dell’area della subordinazione, conclusione comunque di cui si è indotti a dubitare. Trattandosi di una fattispecie autonoma rispetto a quella dell’art. 2094 c.c. le esclusioni previste dal comma 2 dell’art. 2, non dovrebbero suscitare alcuna questione di legittimità costituzionale [16].
La tenuta del complesso sistema della disciplina transitoria sarà comunque da verificarsi sul piano della applicazione giurisprudenziale. La dottrina si attende infatti, sulla scorta di quanto accaduto in materia di trasferimento di azienda così come all’applicazione dell’art. 18 Stat. lav. riformato [17], che la giurisprudenza si collochi subito in prospettiva futura, regolando secondo la nuova disciplina situazioni pur verificatesi nel vigore di quella precedente [18].
1.2. Segue. Il “ridimensionamento” dell’associazione in partecipazione
Inserendosi su di una linea di sostanziale continuità con i numerosi interventi di riforma succedutisi negli ultimi anni, anche l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro da parte delle persone fisiche viene, nel linguaggio del legislatore della riforma, “superata”.
A differenza del testo presentato al Parlamento dopo l’approvazione preliminare del 20 febbraio 2015, il d.lgs. n. 81/2015 non contiene però una abrogazione completa dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro; d’altra parte, la legge delega 183/2014 non investiva specificamente il Governo del compito di “superare” completamente anche questa tipologia contrattuale, come al contrario indicato per le collaborazioni a progetto.
Facendo seguito ai diversi tentativi di ridimensionamento dell’ambito di operatività dell’apporto di lavoro nell’associazione in partecipazione [19], comprensivi di un più recente intervento di stabilizzazione (cfr. infra), l’art. 53, d.lgs. n. 81/2015 introduce un generale divieto di apporto di lavoro da parte di una persona fisica completando il processo [20] di definitivo inquadramento del contratto di associazione in partecipazione tra i contratti di natura meramente commerciale. La previsione indebolisce la categoria dei rapporti associativi di lavoro che se da un lato rappresentano strumenti funzionali alla libertà e pluralità contrattuale vengono considerati dall’altro prestarsi più facilmente nella prassi ad un utilizzo elusivo e sbilanciato a tutto favore della parte più forte del contratto rispetto a quella più debole [21]. In questa prospettiva, la norma salva dunque la possibilità di associazione con apporto di lavoro qualora l’associato non sia una persona fisica ma una società.
La stipulazione di contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro dopo l’entrata in vigore del decreto n. 81/2015, il 25 giugno 2015, determinerà la nullità del contratto per contrarietà con norma imperativa ai sensi dell’art. 1418 c.c. [22].
Viene però disposta la “salvezza” dei contratti di associazioni partecipazione “in atto alla data di entrata in vigore” del decreto “fino alla loro cessazione”. Non si tratta, come per le collaborazioni a progetto, della sopravvivenza delle disposizioni abrogate per il futuro, al fine di regolare i rapporti in corso di esecuzione, ma questa appare l’unica conseguenza connessa alla disposta sopravvivenza della fattispecie, per la quale dunque non possono che rimanere vigenti quelle regole.
Così come per il lavoro a progetto, anche il panorama delle tipologie dei contratti di associazione in partecipazione si configura composito, con l’operatività in contemporanea di diversi nuclei di disciplina, che il legislatore salva tutti proprio con la previsione in oggetto. In relazione alla data di stipulazione si applicherà dunque la disciplina ante 2003, incentrata sul solo art. 2554 c.c.; la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 276/2003; la disciplina modificata dalla legge n. 92/2012 per i contratti stipulati a partire dal 18 luglio 2012; la disciplina ulteriormente modificata dal d.l. n. 76/2013; la disciplina del d.lgs. n. 81/2015 per i contratti stipulati dal 25 giugno in poi.
Deve ritenersi inapplicabile al contrario ai rapporti di associazione in partecipazione anche in corso di esecuzione alla data del 25 giugno 2015 la presunzione di cui all’art. 1, comma 30, legge n. 92/2012, secondo cui in riferimento ai “rapporti di associazione in partecipazione con apporto i lavoro instaurati o attuati senza che vi sia stata un’effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare, ovvero senza consegna del rendiconto previsto dall’art. 2552 del codice civile” questi “si presumono, salvo prova contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.
Il sistema presuntivo non può più trovare applicazione a seguito della espressa abrogazione da parte dell’art. 55, comma 1, lett. h), d.lgs. n. 81/2015, dell’art. 1, commi 13 e 30, legge n. 92/2012, e ciò pare valere per il futuro ma anche per i rapporti in corso di esecuzione alla data del 25 giugno, momento da cui deve essere fatta decorrere l’abrogazione della disposizione. Per questa ragione probabilmente il legislatore non ha potuto dichiarare nel caso specifico la sopravvivenza della normativa di disciplina dell’associazione in partecipazione, come invece è accaduto per il lavoro a progetto, stante proprio l’abrogazione di parte di essa ad opera della disposizione finale.
Ne consegue che nelle controversie relative all’accertamento della subordinazione in capo all’associante in caso di conferimento di prestazioni di lavoro, l’accertamento del giudice dovrà avvenire con riferimento ai criteri fondati sul riscontro della prevalenza di fatto tra gli elementi caratterizzanti il contratto di associazione in partecipazione rispetto a quello di lavoro.
La differenza rispetto alla disciplina transitoria delineata dall’art. 52 in materia di cocopro diviene da semplicemente formale a sostanziale [23] laddove soltanto per l’associazione in partecipazione si fa riferimento espressamente alla loro cessazione come termine ultimo di utilizzo, mentre nel lavoro a progetto manca un qualsiasi riferimento al termine finale.
Si ritiene dunque rimanere aperta la possibilità nel lavoro a progetto di disporre di proroghe alla scadenza della durata dell’originario contratto di lavoro a progetto, da escludersi al contrario, data la precisazione, per il caso dell’associazione in partecipazione. Qualora perdurasse l’esigenza di prestazioni di lavoro alla scadenza del contratto, queste dovranno essere formalizzate nelle altre forme previste dall’ordinamento e non più quale apporto di lavoro in quello schema contrattuale [24].
1.3. L’efficacia intertemporale dell’art. 69 bis, d.lgs. n. 276/2003, sulla presunzione di subordinazione delle Partite Iva
Nel “superare” il lavoro a progetto, l’art. 52, d.lgs. 81/2015 dispone l’abrogazione altresì dell’art. 69 bis, d.lgs. n. 276/2003 che, rubricato “altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo”, riconduceva alcune prestazioni di lavoro autonomo rese da titolari di Partita Iva nell’alveo di collaborazioni a progetto e, per tale via, al rapporto di lavoro subordinato. Attraverso un sistema di presunzioni, i contratti d’opera svolti da titolari di partita Iva (qualora ricorressero almeno due delle condizioni ora indicate) di durata superiore a 8 mesi annui per due anni consecutivi, con reddito costituito per più dell’80% dai corrispettivi annui complessivamente percepiti da soggetti riconducibili allo stesso centro di imputazione o che avessero una postazione fissa presso una delle sedi del committente erano “presunti” rapporti di lavoro a progetto e, conseguentemente, ai sensi dell’art. 69, comma 1, in mancanza di un vero e proprio progetto (come normalmente è nel momento in cui viene attivata una prestazione con un lavoratore autonomo) a loro volta convertiti in lavoro subordinato.
L’art. 52 interviene in questo caso non sulla operatività della fattispecie ma prevedendo l’abrogazione di una specifica sanzione, motivo per cui suscita perplessità il fatto che la norma non sia stata collocata tra le abrogazioni ma contestualmente al superamento del lavoro a progetto.
Sempre il comma 1 dell’art. 52, si ricorda, dispone subito a seguire però che le stesse disposizioni “continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
La norma non pare in questo modo lasciare dubbi sulla efficacia intertemporale dell’art. 69 bis che dovrà dunque continuare ad applicarsi con riferimento ai contratti di lavoro autonomo che siano stati stipulati prima del 25 giugno 2015 ancora in essere.
Dovendo far riferimento al biennio 2013-2014, si può constatare la limitata operatività dell’art. 69 bis, che troverà dunque applicazione a partire dal 1° gennaio 2015 [25]per i rapporti stipulati fino al 25 giugno 2015, restando purtuttavia insolute tutta una serie di criticità. Non si tratta tanto del lamentato timore del legislatore che ha aggirato la diretta conversione della partita Iva in rapporto di lavoro subordinato attraverso un sistema di presunzioni a catena; quanto piuttosto della irrisolta questione della natura della presunzione di cui all’art. 69, comma 1, oscillando nelle letture della dottrina tra assoluta o relativa.
Nel valutare l’efficacia intertemporale della disposizione nel più ampio contesto della disciplina transitoria, essa si segnala sicuramente quale ulteriore incentivo alla stabilizzazione disciplinata dall’art. 54, d.lgs. n. 81/2015. Anzi, il cosiddetto “condono” delle partite IVA (cfr. infra) diviene di particolare interesse per i datori di lavoro in relazione alla perdurante efficacia del sistema disciplinato dall’art. 69 bis. Il datore di lavoro infatti che, titolare di una collaborazione con un soggetto che integri i requisiti disciplinati dalla norma sanzionatoria, nella certa riconduzione del rapporto ad un rapporto di lavoro subordinato, attraverso il condono potrà godere di tutta una serie di benefici rimanendo indenne dalle sanzioni di carattere amministrativo, fiscale e tributario connesse alle violazioni commesse.
2. Il cosiddetto condono
In stretta connessione con l’eliminazione delle collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto si inserisce una disposizione divenuta oggetto di alterne fortune nelle valutazioni della dottrina che oscilla da una sua pacifica accettazione ad un aperta critica, anche in relazione ad una sua supposta illegittimità per contrasto con le disposizioni costituzionali.
Ai sensi dell’art. 54, d.lgs. n. 81/2015, i datori di lavoro che procedano, a decorrere dal 1° gennaio 2016, “alla assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e i soggetti titolari di partita IVA con cui abbiano intrattenuto rapporti di lavoro autonomo” beneficiano, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, della “estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro”.
La previsione, che esplicita la propria ratio nel tentativo di “promuovere la stabilizzazione della occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonché di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo”, si configura servente alla realizzazione della scelta di politica legislativa sottesa a tutto l’intervento riformatore del Jobs Act ed identificata nella centralizzazione del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato come contratto standard (cfr. la “norma bandiera”, l’art. 1, d.lgs. n. 81/2015).
In un contesto che ambisce ad attuare una vera e propria “rivoluzione copernicana” [26], la disposizione rappresenta niente più che la riproposizione di schemi e concetti del passato. Ancora una volta oltre gli “allettamenti normativi” e le “riduzioni del costo del lavoro tanto minimi quanto complicati” [27], a presidio della diffusione del lavoro standard troviamo un intervento di “stabilizzazione” dei contratti precari, o di “sanatoria” o “condono” o di “conversione” [28] come variamente indicato dalla dottrina.
La stabilizzazione del lavoro prestato irregolarmente (nella sua duplice variante di lavoro irregolare tout court e autonomo coordinato non utilizzato correttamente) può ritenersi d’altronde recare in sé la estensione delle tutele del lavoro subordinato [29] sottintendendo un suo ruolo privilegiato come strumento per la migliore inclusione del lavoratore nel contesto aziendale e in quello civile-sociale. Promozione della regolarità e promozione del lavoro subordinato sono risultate in altre parole inscindibili in prospettiva storica, quale espressione, più che dell’art. 36 Cost., dell’art. 4 Cost. inteso quale diritto al lavoro e alla occupazione regolare. A decorrere dalla Finanziaria 2007 in particolare, il procedimento di emersione è stato indirizzato più che ai volumi di costo del lavoro non dichiarati alla stabilizzazione occupazionale. Significa che da allora la logica che caratterizza i procedimenti di emersione è prevalentemente prospettica ed occupazionale più che economica.
Lo schema adottato dalla riforma è comune a diversi interventi promossi dal legislatore nell’ultimo decennio, indirizzati all’emersione del sommerso con conseguente estinzione degli illeciti connessi da un lato e ad agevolare il passaggio da forme atipiche di impiego all’occupazione a tempo pieno ed indeterminato dall’altro.
Dalla disciplina dei contratti collettivi di riallineamento alla Legge Finanziaria del 2007 passando per la legge n. 383/2001, il d.lgs. n. 276/2003, il d.lgs. n. 124/2004, la legge n. 248/2006, il legislatore ha fatto del contrasto e dell’emersione al lavoro sommerso gli obiettivi delle politiche legislative degli ultimi anni.
Due in particolare sono i provvedimenti normativi cui si richiama l’art. 54, d.lgs. n. 81/2015 e da cui il legislatore della riforma pare mutuare lo schema di base, seppure con qualche, non irrilevante, modifica [30].
Muoviamo dalla Legge Finanziaria 2007, legge n. 296/2006, art. 1, commi 1202-1210, secondo cui, al fine di garantire il corretto utilizzo dei rapporti di co-co-co, a progetto e non, e favorire la stabilizzazione dell’occupazione mediante la stipulazione di contratti di lavoro subordinato, è prevista la possibilità per i committenti di trasformare le collaborazioni in rapporti di lavoro subordinato della durata di almeno 24 mesi (comma 1210), senza incorrere nelle sanzioni previste per l’abuso di queste forme contrattuali. Sono ammessi alla procedura di stabilizzazione i rapporti di collaborazione in essere anche se oggetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali concernenti la errata qualificazione, purché non definitivi, i cui effetti vengono sospesi fino al completo assolvimento degli obblighi connessi al versamento del contributo straordinario integrativo. Condizioni per procedere alla stabilizzazione sono la stipulazione di accordi aziendali con le organizzazioni sindacali aderenti alle associazioni nazionali comparativamente più rappresentative, contenenti la disciplina per la trasformazione dei contratti di co-co-co e la sottoscrizione diatti di conciliazione individuale, ai sensi dagli artt. 410 e 411 c.p.c. Per il primo periodo del comma 1207 “gli atti di conciliazione di cui al comma 1203 producono l’effetto di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile con riferimento ai diritti di natura retributiva, contributiva e risarcitoria per il periodo pregresso” e per effetto del terzo periodo dello stesso comma a seguito “degli atti di conciliazione, è precluso ogni accertamento di natura fiscale e contributiva per i pregressi periodi di lavoro prestato dai lavoratori interessati dalle trasformazioni d cui ai commi 1202 e 1208”. Il committente datore di lavoro non è in questo caso però sgravato di ogni onere contributivo, essendo previsto un versamento alla Gestione Separata di un contributo straordinario integrativo, con lo scopo di migliorare il trattamento previdenziale dei lavoratori interessati alla trasformazione (comma 1205) pari al 50% della quota a carico del committente per il periodo di vigenza del contratto di collaborazione da trasformare [31], destinato a sanare gli illeciti contributivi [32].
Si veda poi l’art. 7 bis del d.l. 76/2013, convertito in legge 99/2013, sulla “Stabilizzazione di associati in partecipazione con apporto di lavoro” [33]. La disposizione, disciplinando la stabilizzazione degli associati in partecipazione con apporto di lavoro, conferma gli elementi caratteristici del precedente intervento: l’estinzione degli illeciti previsti dalla normativa in materia di versamenti contributivi, assicurativi e fiscali; un arco temporale massimo di operatività del condono; il rinvio ad un contratto collettivo che renda applicabile la disciplina predisposta dall’art. 7 bis; la possibilità per le assunzioni di ricorrere anche a contratti di apprendistato; la conclusione di conciliazioni nelle sedi e con le procedure di cui agli artt. 410 ss. c.p.c.; un vincolo di stabilità per il contratto di almeno 6 mesi dopo la stipulazione; il versamento, ai fini della validità degli atti di conciliazione, di una somma pari al 5% dei contributi dovuti per un massimo di sei mesi per ciascun associato; l’accesso alla sanatoria anche per le aziende che siano destinatarie di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali non definitivi concernenti la qualificazione dei pregressi rapporti che verranno estinti in caso di positiva verifica del rispetto di tutte le fasi della procedura [34].
Il decreto n. 81/2015 si inserisce, si è detto, su di una linea di sostanziale continuità con questi due precedenti interventi di stabilizzazione, seppure con elementi di novità.
Introducendo un meccanismo diretto ad indurre i committenti alla “trasformazione” di collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto ovvero delle collaborazioni affidate a lavoratori autonomi a partita IVA [35] in rapporti di lavoro standard, il legislatore della riforma conferma l’operatività di uno speciale meccanismo di condono fiscale e contributivo (che comprende sia i contributi previdenziali che quelli assicurativi) per i periodi pregressi nei quali tali contratti fossero stati utilizzati in maniera non conforme alla legge, cui si aggiunge la estinzione anche degli eventuali illeciti amministrativi.
La prima questione che si pone in relazione alla interpretazione della disposizione è la liceità dell’utilizzo, ai fini della stabilizzazione, dei contratti di apprendistato. Stante la formulazione della norma, che rinvia genericamente a “contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato”, non pare vi possano essere preclusioni. Sicuramente ciò consentirebbe al datore di lavoro di godere di uno sconto contributivo importante che si andrebbe a sommare ad un trattamento previsto dalla disposizione già alquanto vantaggioso, come si avrà modo di vedere; l’apprendistato sembra purtuttavia incompatibile con un precedente periodo di lavoro, in cui il lavoratore si sarebbe già formato [36]. Il ricorso al contratto di apprendistato impedirebbe poi di godere degli sgravi disposti per l’instaurazione di nuovi rapporti di lavoro dalla Legge di stabilità 2015 e 2016 (v. oltre), inducendo dunque i datori di lavoro a valutare attentamente le convenienze economiche legate a questo contratto.
Ai fini del perfezionamento della procedura di stabilizzazione oggi il legislatore richiede vengano rispettate due sole condizioni, ossia che a) i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano presso una sede protetta atti di conciliazione riferiti a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro; b) nei dodici mesi successivi alla assunzione il datore di lavoro non receda dal rapporto di lavoro salvo che per giusta causa ovvero giustificato motivo.
La legittimità della estinzione di qualsivoglia pretesa dal lato del lavoratore discende dal perfezionarsi di un atto di rinuncia di diritti da parte del lavoratore che viene assistito e protetto nelle sedi di conciliazione di cui all’art. 2113 c.c., cui vengono equiparate le commissioni di certificazione.
Il Legislatore parla soltanto delle sedi individuate dal codice di procedura civile ignorando la sede della conciliazione monocratica prevista dall’art. 11 del d.lgs. n. 124/2004: la ragione di tale omissione si rinviene nel fatto che le conseguenze di natura contributiva riferite all’intercorso rapporto sono direttamente disciplinate dall’art. 54 e non possono dunque scaturire dalla pattuizione delle parti cui la norma in questione rimette la possibilità di determinare la sorte.
La dottrina più critica [37] rileva nell’art. 54 una significativa riduzione delle tutele a favore del lavoratore, laddove, nei precedenti interventi normativi, la chiave di accesso ai benefici di legge era l’autonomia collettiva mentre qui è sufficiente la sola conciliazione individuale.
L’obiezione non può essere condivisa; la conciliazione richiesta dalla disposizione avviene ai sensi dell’art. 2113 c.c., in sede “protetta”, con frequenza sindacale, al fine di garantire che il lavoratore sia adeguatamente consigliato per il raggiungimento di un accordo vantaggioso. Per la validità della conciliazione è necessario inoltre che il lavoratore sia effettivamente assistito, che il rappresentante sindacale, così come richiede la giurisprudenza, cooperi attivamente alla formazione dell’accordo con l’esposizione al lavoratore dei diritti rinunziati e del conseguente vantaggio, escludendo al contrario che possa parlarsi di assistenza sindacale qualora vi sia un intervento tardivo senza conoscenza della vicenda [38]. Molto di più dunque, in un’ottica di protezione “a misura” del singolo caso, dell’intervento della contrattazione a livello aziendale.
Viene dunque rimesso alla sede conciliativa il raggiungimento di soluzioni equilibrate atte a bilanciare gli interessi in campo, non limitandosi ad ottenere da parte del lavoratore la rinuncia ad ogni suo diritto concernente il periodo pregresso, ma trovando un compromesso tra quanto integralmente “dovuto” e la totale liberazione del datore.
La necessaria attivazione di una procedura sindacale aveva poi in passato determinato l’arresto dei processi di emersione per mancanza di attività sindacale in azienda da un lato, di contrattazione territoriale dall’altro. Il legislatore evita dunque in questo modo la possibilità che la manovra di stabilizzazione resti lettera morta.
La successiva lett. b) del comma 1, pone invece un limite oggettivo ai datori di lavoro i quali, nei dodici mesi successivi alle assunzioni, possono procedere alla risoluzione dei rapporti soltanto per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Si tratta di un limite alla facoltà di recesso del datore di lavoro, del tutto analogo, almeno per la parte imprenditoriale, a quello in essere per il contratto di apprendistato (art. 2, d.lgs. n. 167/2011), i cui termini finiscono dunque per sovrapporsi. Ne consegue che, nel periodo sopra ipotizzato i lavoratori stabilizzati devono essere esclusi sia da una eventuale procedura collettiva di riduzione di personale che da una individuale strettamente correlata alla casistica del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
L’art. 54 esclude però uno dei maggiori vantaggi che ha indotto in passato alla stabilizzazione, ovvero la possibilità di ricorrervi per quelle aziende che sono state oggetto di accertamenti ispettivi e, successivamente, destinatari di provvedimenti amministrativi e giurisdizionali, seppure non definitivi, riguardanti la qualificazione dei pregressi rapporti. La conclusione positiva della procedura produceva infatti effetti diretti comportando l’estinzione degli illeciti in materia di versamenti contributivi, assicurativi e fiscali, pur se accertati attraverso un’attività di vigilanza compiuta alla data di entrata in vigore della legge di conversione. L’obiettivo perseguito dal legislatore con la disposizione in oggetto non sembra dunque essere quello di concedere una sanatoria al datore di lavoro, bensì quello di incidere sulla qualità della occupazione favorendo la stabilizzazione di rapporti di lavoro in fase di svolgimento.
In senso affatto contrario, in contrasto anche con il dato normativo, che non prevede espressamente la possibilità di procedere alla stabilizzazione di rapporti ormai cessati, è purtuttavia intervenuta la Circolare del Ministero del Lavoro 1 febbraio 2016, n. 3 “Primi chiarimenti interpretativi sulla nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente e del c.d. Condono”, ammettendo alla stabilizzazione, sulla scorta di una (non condivisibile) interpretazione letterale della norma nella parte in cui richiama soggetti “già parti”, anche rapporti di collaborazione ormai esauriti.
Il perfezionarsi delle condizioni di cui sopra, determina la “estinzione” di tutti gli “illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro”.
Nel prevedere anche la sanatoria ai fini fiscali il legislatore evita di indurre il datore di lavoro in una autodenuncia che lo esporrebbe all’azione degli organi a ciò competenti e lo dissuaderebbe dall’affrontare il percorso di stabilizzazione, problema emerso al contrario con la procedura disciplinata ai commi 1192 ss., legge n. 296/2006.
Resta invece insoluto anche nel Jobs Act il problema della mancata previsione della possibilità di una regolarizzazione graduale del lavoratore in relazione agli obblighi in materia di salute e sicurezza del lavoro, con il che il datore di lavoro è onerato della immediata attivazione di tutte le misure disciplinate dal T.U. in materia di salute e sicurezza e contemporaneamente esposto alle eventuali sanzioni.
A fronte della previsione in passato della sospensione delle “eventuali ispezioni e verifiche da parte degli organi di controllo e vigilanza” (comma 1192, legge n. 296/2006) e della possibilità di “completare, ove necessario, gli adeguamenti organizzativi e strutturali previsti dalla vigente legislazione in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori” entro “un anno dalla data di presentazione dell’istanza di regolarizzazione” (comma 1198, terzo periodo), il legislatore attribuisce evidentemente oggi alle norme prevenzionali valore di “misure la cui attuazione non può essere dilazionata nel tempo pena l’incolumità stessa del lavoratore”.
Sebbene la considerazione debba essere condivisa, va tenuto conto che si configura difficile in termini pratici un’immediata attuazione di tutti gli obblighi previsti dall’ordinamento, con il che la previsione di una progressiva regolarizzazione, magari assistita dalle strutture pubbliche competenti in tale ambito, avrebbe sicuramente costituito un intervento importante nel contesto più ampio della stabilizzazione.
In forza della stabilizzazione, il committente beneficerà dunque da un lato dell’azzeramento di ogni possibile contenzioso sul rapporto di lavoro pregresso sia con il lavoratore (sulla base dell’accordo transattivo che deve essere stipulato ex art. 2113 c.c. secondo quanto disposto dal comma 1, lett. a), sia con le autorità competenti in materia di controllo sulla regolarità dei rapporti di lavoro e con le autorità previdenziali e fiscali [39], garantendosi dall’altro, il contenimento del costo del lavoro.
Proprio per quanto riguarda il duplice beneficio dell’opponibilità a terzi dell’auto qualificazione del rapporto convenuta dalle parti in sede conciliativa e dell’estinzione ope legis degli illeciti commessi, la norma non ha mancato di sollevare dubbi di legittimità costituzionale [40].
In particolare è stata rilevata, ma si ritiene di non condividere questo assunto, una violazione del principio di uguaglianza nella predisposizione di una disciplina diversa per la stessa situazione di lavoro irregolare in ragione di criteri di mero rilievo temporale (la c.d. “tecnica del prima-dopo”), che collega la differenza di trattamento non a situazioni dissimili dal punto di vista soggettivo o oggettivo bensì a circostanze o eventi esterni assunti dal legislatore come “spartiacque” della disciplina applicabile. Non si tratta solo del rispetto della successione di leggi nel tempo; basta qui richiamare gli interventi della legislazione previdenziale per rilevare come, proprio il criterio temporale non possa ritenersi di per sé idoneo, laddove applicato, a generare violazioni del principio di parità.
Come è possibile constatare, il legislatore opta con l’art. 54 per una disciplina minimale della stabilizzazione, contrariamente ai citati precedenti interventi.
Fissato un termine iniziale per l’operatività del condono, con tecnica ricorrente anche in altre disposizioni, il legislatore non definisce neppure, contrariamente a quanto accaduto in passato, alcun arco temporale di efficacia della procedura, con la conseguenza che questa potrà essere usata dai datori privati per ottenere la “sanatoria” senza limiti di tempo.
Il vantaggio che i datori di lavoro oggi trarranno dalla stabilizzazione deriva anche da altre previsioni. Non solo il legislatore non prevede alcun pagamento di contributi aggiuntivo come venne richiesto in occasione della stabilizzazione degli associati in partecipazione, sebbene qui si trattasse di una somma che finiva per essere simbolica. Questa misura, realizzandone così appieno l’effetto incentivante, opera contestualmente all’applicazione degli sgravi previsti per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.
La Legge Stabilità 2016 ha prorogato infatti il “bonus assunzioni” già previsto per il 2015. Lo sconto contributivo per le imprese che assumono a tempo indeterminato nel 2016 è pari al 40%, fino a massimo di esonero pari a 3.250 euro. Lo sconto sul versamento dei contributi è riconosciuto sulle assunzioni effettuate dal primo gennaio al 31 dicembre 2016, per un periodo massimo di 24 mesi (2 anni) [41] e non è dichiarato incompatibile con la procedura di stabilizzazione.
In tal senso avrebbe inciso l’esperienza della legge n. 383/2001 che non coordinata con altri strumenti che, seppure in modo indiretto, stimolavano l’emersione, avrebbe indotto gli imprenditori a nascondere processi di emersione sotto la veste di nuove assunzioni [42].
La prima bozza del decreto non prevedeva invero il differimento al 1° gennaio 2016 del termine per la “stabilizzazione” incentivata dei vecchi contratti di collaborazione o partite IVA. In sede di prima approvazione (datata 20 febbraio 2015) il periodo per la stabilizzazione era compreso tra la data di entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015 ed il 31 dicembre 2015, data quest’ultima coincidente con il termine ultimo per il godimento, in caso di sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi, del beneficio contributivo triennale previsto dalla legge di Stabilità per il 2015, precisamente dall’art. 1, comma 118, legge n. 190/2014, applicabile alle sole assunzioni a tempo indeterminato effettuate entro l’anno.
Quella stessa previsione aveva però determinato lo stallo dell’iter dello schema di decreto legislativo, non passato alle Camere per i prescritti pareri, in ragione dei rilievi della Ragioneria generale dello Stato proprio sulle possibili coperture per la stabilizzazione dei lavori a progetto e partite IVA.
Il testo è stato dunque oggetto di modifica tra la prima e seconda approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, da cui è derivato il differimento al 1° gennaio 2016 della operatività della norma; si tratta dunque di problemi di copertura finanziaria, e non certo, come supposto da alcuni, della volontà di non consentire ai datori di lavoro cumulare i vantaggi economici derivanti dall’esonero contributivo dagli sgravi fiscali ad aver inciso sulla formulazione della norma.
Se a queste misure aggiungiamo il portato del d.lgs. n. 23/2015, in vigore dal 7 marzo 2015, che determina l’applicazione ai rapporti stabilizzati del contratto di lavoro a tutele crescenti, con disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi modificata, il quadro delle incentivazioni risulta particolarmente vantaggioso.
Si aggiunga a tali considerazioni un rilievo non secondario. Il progressivo aumento della contribuzione assicurativa da versare alla gestione separata Inps, in base al quale nel 2018, per effetto del percorso disegnato dalla legge n. 92/2012 si raggiungerà la parificazione del regime contributivo del lavoro a progetto con quello del rapporto di lavoro subordinato, non rende sicuramente più conveniente il rischio di accertamenti da parte degli organi di vigilanza e di riqualificazione del rapporto.
Premesso che i datori non hanno dovuto attendere il 1° gennaio 2016 per procedere alla stabilizzazione, possiamo rilevare la sopravvenuta esistenza di un regime composito: i datori di lavoro hanno potuto stabilizzare già nel corso del 2015 le collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto e le partite IVA che negli ultimi sei mesi precedenti non hanno avuto un rapporto a tempo indeterminato, in questo caso fruendo degli sgravi per le nuove assunzioni operativi nel corso dell’anno ma rinunciando alla sanatoria [43]; oppure, attendendo il 1° gennaio 2016, procedere alla conversione dei medesimi rapporti godendo sia degli sgravi contributivi secondo la nuova disciplina che della “sanatoria”; infine, potranno continuare la stabilizzazione dei medesimi rapporti dal 1° gennaio 2017 godendo sicuramente del condono ma degli sgravi contributivi solo qualora il legislatore ne proroghi ulteriormente l’operatività.
L’aspettativa della proroga per l’accesso al regime agevolato ha evidentemente posto gli operatori in una situazione alquanto difficile: aderire subito o aspettare con la speranza che aumentassero i benefici [44]. Ne è conseguito il vantaggio evidentemente dei datori formalmente più refrattari alla stabilizzazione, ovvero coloro che hanno mantenuto più a lungo nella illegalità i rapporti di lavoro.
3. Il diverso rilievo della contrattazione collettiva nella disciplina di transizione e nella procedura di stabilizzazione
Il d.lgs. n. 81/2015 è caratterizzato da un sistematico rinvio, presente in pressoché tutti i diversi blocchi di disciplina, ad una successiva decretazione o alla contrattazione collettiva.
A fronte di casi in cui la normativa si configura immediatamente applicabile, vi sono tipologie contrattuali la cui disciplina richiede in particolare l’integrazione da parte, per quanto ora più ci interessa, del contratto collettivo.
In caso di contratti ad orario ridotto, modulato o flessibile è intervento il legislatore a sancire precisi limiti di operatività, anche in assenza di previsioni collettive. Lo stesso vale per il contratto a termine e la somministrazione a tempo indeterminato che, in assenza di diverse indicazioni da parte dell’autonomia collettiva, soggiacciono a clausole di contingentamento legali pari al 20% ella forza lavoro a tempo indeterminato.
Diverso è il caso dell’apprendistato, condizionato dalla presenza di un complesso apparato di regolamentazioni secondarie o regionali e contratti collettivi, così come della somministrazione a tempo determinato, la cui operatività è condizionata dalla presenza di tetti di contingentamento individuati dalla contrattazione collettiva dell’utilizzatore.
Si consideri poi il caso del lavoro etero-organizzato. In un contesto di traghettamento forzoso da uno statuto protettivo debole ad uno statuto protettivo forte, appare centrale la delega alla contrattazione collettiva di cui all’art. 2, comma 2, lett. a), verso una promozione morbida di passaggi convenzionali, modulati nelle tempistiche e nelle discipline di gestione del rapporto, con l’evidente esigenza di garantire la salvaguardia delle imprese, quindi della stessa occupazione [45]. In passato la legge aveva delegato alla contrattazione poteri regolativi molto intensi in questa materia, ma raramente si era spinta fino al punto di legittimare differenze di trattamento così rilevanti, applicando od escludendo la disciplina del diritto del lavoro, in base alla mera volontà delle parti stipulanti [46].
Ciò detto, si pone il problema di stabilire il reale margine di operatività delle principali tipologie contrattuali in attesa dei rinnovi contrattuali che rispondano alle sollecitazioni del legislatore della riforma.
L’art. 55, comma 3, d.lgs. n. 81/2015 si ritiene comunque applicabile anche con riferimento alla contrattazione collettiva laddove questa prevede appunto che “sino all’emanazione dei decreti richiamati dalle disposizioni del presente decreto legislativo, trovano applicazione le regolamentazioni vigenti” [47].
Una interpretazione formalistica, sostiene la dottrina [48], “finirebbe per paralizzare non solo larga parte della contrattazione collettiva oggi vigente, ma lo stesso processo di implementazione del Jobs Act in attesa di rinnovi contrattuali che facciano espresso riferimento al nuovo testo di legge”.
Stessa conclusione d’altro canto dovrebbe raggiungersi, conformemente a quanto sostenuto dallo stesso autore, anche a prescindere dalla disposizione richiamata. Ad una analisi più attenta infatti, laddove la norma di legge richiama la contrattazione collettiva effettuerebbe un rinvio innanzitutto di tipo sostanziale ad un atto, il contratto collettivo, che dovrebbe anch’esso soggiacere al principio della conservazione, nel senso che “nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno” ed in questo caso, lo scopo della contrattazione collettiva, anche se ancora riferentesi a testi di legge oggi abrogati, deve intendersi quello di evitare vuoti normativi che finirebbero con penalizzare tanto le imprese che i lavoratori cui il contratto si applica.
Tale conclusione deve dirsi purtuttavia valevole solo nel caso in cui la contrattazione collettiva non sia intervenuta in senso contrario, comunque difforme rispetto a quanto stabilito dal decreto. Un caso non certo isolato, dal momento che uno studio ha rivelato come ben 9 contratti collettivi su 15 prevedano una disciplina contrastante con il decreto legislativo. La decisione in questi casi dell’azienda di disapplicare il contratto collettivo a favore di un regime legale maggiormente funzionale ai propri interessi potrebbe essere disincentivata da un lato da parte di possibili azioni di dissenso dei lavoratori, dall’altro, dall’obbligo di applicare integralmente il contratto collettivo, in ragione delle clausole di inscindibilità, per le imprese che beneficiano di incentivi economici.
Al contrario, si rileva la scelta di non prevedere l’intervento della contrattazione collettiva quale tassello fondamentale nella promozione della stabilizzazione dei rapporti di lavoro ai sensi dell’art. 54. Il legislatore ha infatti optato per non assegnare al controllo collettivo la gestione dei processi di emersione, contrariamente a quanto accaduto in un più e meno recente passato.
Laddove il legislatore dell’art. 1, comma 1193, legge n. 296/2006 ha previsto che l’istanza per la regolarizzazione dei rapporti di lavoro può essere “presentata esclusivamente dai datori di lavoro che abbiano proceduto alla stipula di un accordo aziendale ovvero territoriale, nei casi in cui nelle aziende non siano presenti le rappresentanze sindacali o unitarie, con le organizzazioni sindacali aderenti alle associazioni nazionali comparativamente più rappresentative finalizzato alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro di cui al comma 1192”, oggi il legislatore del d.lgs. n. 81/2015 nulla dispone al riguardo.
Del rilevante ruolo delle organizzazioni sindacali per garantire l’efficacia dei processi di emersione la dottrina ha ampiamente detto [49]. Posto che la funzione storica del sistema di relazioni industriali è il governo del mercato del lavoro, è logico pensare che ogni strategia di attacco al sommerso, che è parte di esso, debba necessariamente coinvolgere gli attori collettivi che appunto operano in quel sistema. Il difetto principale della legge n. 383/2001 venne in tale prospettiva identificato proprio nel non coinvolgimento delle parti sociali nel processo di emersione con il conseguente venir meno delle “dosi di fiducia imprescindibili per assicurare l’adesione dei singoli al meccanismo di emersione” [50]. Anche sul piano pratico fu facile rilevare l’impossibilità di prescindere da qualche accordo a livello aziendale che consentisse nella prospettiva di una efficace regolarizzazione l’adattamento della disciplina legislativa alla specifica situazione di ogni contesto aziendale [51].
Non si può trascurare purtuttavia che il silenzio normativo consente oggi di evitare quelle situazioni di stallo che hanno inficiato l’operatività dei precedenti processi di stabilizzazione, laddove l’organizzazione sindacale non si è attivata o è mancata la contrattazione territoriale; fattori che finirono con il pregiudicare la riuscita delle manovre di emersione attuate con la finanziaria del 2007.
4. Il rinvio al lavoro autonomo nell’art. 54 del d.lgs. 81/2015: spunti critici
All’art. 54 compare un timido accenno al lavoro autonomo, laddove il legislatore riconosce la necessità di “garantir(ne) il corretto utilizzo”, assente invero in tutta la decretazione attuativa. Questo non porta con sé alcuna conseguenza dal punto di vista applicativo e neppure apre ad un intervento di sviluppo dell’area della autonomia, essendo il legislatore nazionale impegnato a ricondurre i sostituti commerciali del lavoro subordinato all’impiego stabile [52].
Pare non esservi via d’uscita nel nostro ordinamento dalla sineddoche giuslavoristica che identifica il “lavoro per altri” con la subordinazione [53].
Ribadendo un’affermazione da tempo “scritta nelle nostre leggi” [54], “la norma bandiera” (art. 1, Capo I) del d.lgs. n. 81/2015 conferma infatti la funzione accentratrice e polarizzante l’insieme della normativa lavoristica del “contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato” riconoscendovi la “forma comune di rapporto di lavoro”. Ciò risulterebbe conforme alle “indicazioni europee” che indicherebbero la via per una crescita oltre che quantitativa anche qualitativa dell’occupazione nella promozione del “contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratti in termini di oneri diretti ed indiretti” (art. 1, comma 7, lett. b), legge n. 183/2014).
La rispondenza alle sollecitazioni comunitarie costituisce una argomentazione alquanto fragile a supporto della necessità di perseguire la centralizzazione sistemica del rapporto di lavoro standard.
Vero è che la Commissione europea ha rilevato come la diffusione fisiologica di rapporti di lavoro non standard, soprattutto a tempo determinato, ha “comportato una maggiore fluidità nel mercato del lavoro e ha permesso alle imprese di adattare più facilmente la manodopera a nuove forme di produzione e di organizzazione del lavoro” [55]; purtuttavia “questi posti di lavoro non costituiscono un punto di partenza verso forme di lavoro più stabili” con la conseguenza che il rischio della in-work poverty è significativamente più alto per i lavoratori che instaurano soltanto rapporti di lavoro a breve termine o part-time [56]; di qui, la miglior tutela contro la in-work poverty è stata identificata nell’avere un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato. Parallelamente, le strategie riformatrici dell’Unione europea hanno ravvisato però nella regolazione delle forme di lavoro autonomo caratterizzate da particolare situazione di “dipendenza economica” [57] del prestatore un ulteriore obiettivo. Il Libro Verde della Commissione europea sulla “modernizzazione del diritto del lavoro” [58] ha distinto il falso lavoro autonomo, da reprimere e ricondurre nell’alveo della subordinazione, dal lavoro autonomo “economicamente dipendente”, da promuovere in un quadro di nuove garanzie. Negli stessi termini si è pronunciato [59] anche il Comitato economico e sociale europeo (CESE) che, affrontando l’analisi delle tendenze del lavoro autonomo, ha rilevato come il fenomeno del lavoro economicamente dipendente debba essere chiaramente distinto dall’utilizzo, deliberatamente falso, della qualificazione di lavoro autonomo.
Il Comitato ha rimesso tuttavia ai legislatori nazionali il compito di contribuire a meglio tutelare queste categorie di lavoratori precisando che ciò deve avvenire “senza assimilarle al lavoro subordinato”. Assimilare il lavoro parasubordinato alla subordinazione è inesatto sia nei presupposti culturali che tecnico giuridici giacché non risponde alla “trasformazione antropologica” del lavoro autonomo di nuova generazione, né riconosce il suo anelito liberatorio [60]. Il lavoro autonomo economicamente dipendente deve qualificarsi, secondo il Comitato, come un fenomeno fisiologico e “normale” del mercato del lavoro e dell’economia, nell’ambito del quale si dovrebbe studiare il modo per far beneficiare questi prestatori di un sistema comune di tutele, anche dal punto di vista della sicurezza sociale.
Se in altri paesi europei il segmento del lavoro autonomo, sulla scia dell’impulso comunitario, è divenuto oggetto di un intervento incentivante e di nuove forme di tutela, nel nostro Paese il legislatore continua a muoversi in una prospettiva eminentemente antielusiva [61], con l’obiettivo, almeno teoricamente, come si è avuto modo di precisare (cfr. par. 1), della sostanziale estinzione del lavoro autonomo personale, continuativo e funzionalmente coordinato alle esigenze dell’impresa [62].
Impronta tale tecnica normativa il pregiudizio diffuso secondo cui in particolare “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nascenti dai più svariati contratti giusta la definizione dell’art. 409, n. 3, c.p.c., siano fraudolenti e falsi e debbano quindi tutti scomparire dalla realtà sociale che invece fisiologicamente li richiede, e in misura crescente li richiederà” [63].
In verità “l’insieme del lavoro indipendente non sta crescendo a discapito del lavoro dipendente, e dunque non ne sta erodendo l’area” [64] anzi, la riduzione dell’occupazione autonoma è tra le più consistenti verificatesi negli ultimi trent’anni” [65] e non può negarsi una certa “enfatizzazione” del fenomeno elusivo [66] contro cui, secondo la Corte di Giustizia, sarebbe sufficiente introdurre un regime di controllo a posteriori presidiato da sanzioni dissuasive al fine di lottare in modo efficace contro l’attività lavorativa dissimulata [67].
NOTE
[1] Sul rilevante ruolo della disposizione nella “storia della subordinazione” cfr. P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015: una norma apparente, in corso di pubblicazione in Arg. dir. lav., 2015, 6, 1117.
[2] Per una analisi delle interpretazioni emerse sul punto, cfr. P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, cit., 1125-1131 e, per le posizioni della dottrina, R. PESSI, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 282/2015, 7-9.
[3] In quanto “nel diritto vivente non è configurabile eterodirezione senza eterorganizzazione e neppure eterorganizzazione senza eterodirezione”, nella lettura di P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, cit., 1127.
[4] A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 272/2015, 4.
[5] A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., 9; con il che l’area resta tale nonostante il congegno estensivo delineato dal legislatore, che interverrebbe sulla disciplina e non sulla fattispecie, R. PESSI, Il tipo contrattuale, cit., 11.
[6] G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuate e coordinative ex art. 409, n. 3 c.p.c., WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 278/2015, 9.
[7] L’art. 86, d.lgs. n. 276/2003 disponeva: “Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente, che non possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. Termini diversi, comunque non superiori al 24 ottobre 2005, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente potranno essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime di cu al presente decreto, stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale”.
[8] L’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 dispone: “per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il regime di tutela in caso di licenziamento illegittimo è disciplinato dalle disposizioni di cui al presente decreto”.
[9] E ciò a differenza delle collaborazioni coordinate e continuative che potevano essere concluse anche a tempo indeterminato; ragione per cui il legislatore ritenne forse opportuno fissare un termine oltre il quale queste non potessero proseguire.
[10] P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015: una norma apparente, in corso di pubblicazione in Arg. dir. lav., 2015, 6.
[11] Si tratta dell’ipotesi prevista dall’art. 61 ss., d.lgs. n. 276/2003 così come modificato dall’art. 24 bis, comma 7, d.l. n. 83/2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 134/2012, secondo cui “per le attività di vendita diretta di beni e servizi realizzati attraverso call-center outbund … il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento”.
[12] Così G. FONTANA, Inderogabilità, derogabilità, crisi dell’eguaglianza, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 276/2015, 27.
[13] La legittimità dell’intervento dispositivo del tipo da parte della contrattazione collettiva è stato escluso anche se il procedimento qualificatorio è trasferito in tal caso ad un livello nel quale i rapporti di forza appaiono meno squilibrati, cfr. L. MONTUSCHI, Il contratto di lavoro fra pregiudizio ed orgoglio giuslavoristico, in Lav. dir., 1993, 33, ed ivi rinvii di dottrina.
[14] P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, cit., 1127.
[15] Cfr. M. D’ANTONA, Limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, in Arg. dir. lav., 1995, I, 63 ss.
[16] P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, cit., 1127.
[17] Si veda il contributo di P. TOSI, La “preesistenza” del ramo d’azienda tra Corte di Giustizia U.E. e Corte di Cassazione: il re ora è nudo, in Giur. it., 2014, 1952 ss.
[18] P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015,cit., 1124.
[19] Si veda per un commento alle ultime riforme, T. TREU, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 155/2012 e P. TOSI, Associazione in partecipazione con la riforma Fornero, in Lav. giur., 2012, 10, 965.
[20] Il primo riconoscimento normativo dell’apporto di lavoro nell’ambito della associazione in partecipazione si ha con l’art. 84, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, che ne ha limitato l’operatività definendo alcune tutele per il lavoratore associato. La Riforma Fornero, legge n. 92/2012, aveva contenuto considerevolmente l’ambito di operatività dell’apporto di lavoro nell’ambito dell’associazione limitando il numero degli associati a tre e prevedendo un modello presuntivo che, in presenza di determinati indicatori, facesse riconfluire il rapporto entro la subordinazione. Successivamente, il d.l. n. 76/2013, convertito in legge n. 99/2013, ha anche previsto una modalità di progressivo assorbimento dei contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro nell’ambito della subordinazione.
[21] P. PASSALAQUA, Il “superamento” dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 271/2015, 6.
[22] Sulle conseguenze, v. la disamina di P. PASSALAQUA, Il “superamento” dell’associazione in partecipazione, cit., 8-11.
[23] P. PASSALAQUA, op. cit., 11.
[24] Identificati come la possibile valvola di sfogo per il sistema delle imprese in termini di accesso a lavoro flessibile a costo ridotto dopo l’abrogazione del lavoro a progetto e dell’associazione in partecipazione, il ricorso ai voucher ha iniziato a subire un incremento ben prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015. A fronte delle novità operative introdotte, anche in questo caso il legislatore ha previsto la perdurante vigenza della precedente disciplina fino al 31 dicembre 2015 per l’utilizzo dei buoni già richiesti alla data di entrata in vigore della riforma, cfr. M. TIRABOSCHI, Prima lettura del d.lgs. n. 81/2015 recante la disciplina organica dei contratti di lavoro, in ADAPT, Labour studies, e-Book series, n. 45, 20 ss.
[25] Cfr. Circolare Ministero del lavoro n. 32/2012.
[26] M. TIRABOSCHI, Prima lettura del d.lgs. n. 81/2015, cit., 6.
[27] L. ZOPPOLI, Flessibilità, l’Europa dica la sua, 25 novembre 2006, www.eguaglianzaeli
bertà.it.
[28] G. FONTANA, Inderogabilità, derogabilità e crisi dell’uguaglianza, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT – 276/2015, 28.
[29] M. FAIOLI, Il lavoro prestato irregolarmente, Giuffrè, Milano, 2008, 32.
[30] Se si esclude tutta la normativa sulla emersione del lavoro sommerso. La storia non manca di consegnarci ipotesi analoghe: basti pensare ai contratti di riallineamento retributivo per combattere il lavoro sommerso; favorendo contratti di emersione derogatori in cambio della regolarizzazione dei rapporti lavorativo, con esclusione del potere di ricondurre le violazioni pregresse al regime sanzionatorio comune, R. DE LUCA TAMAJO, I contratti di riallineamento retributivo, in Riv. giur. lav., 1999, supp. n. 3, 87 ss.
[31] Poteva essere versato in forma rateale: in tal caso occorreva versare subito un terzo del contributo dovuto così determinato, mentre il residuo poteva essere versato in 36 rate mensili successive.
[32] Nel 2012 e nel 2013 il legislatore si dedica alla stabilizzazione dei contratti atipici. Con decreto Interministeriale del 5 ottobre 2012, ha perseguito l’incremento, in termini quantitativi e qualitativi, dell’occupazione giovanile e delle donne, non patologica questa volta, favorendo la stabilizzazione di rapporti di lavoro precari (collaborazioni coordinate e continuative anche nella modalità di progetto o delle associazioni in partecipazione) a fronte del riconoscimento di una somma pari a 12 mila euro. La Legge di Stabilità 2014, legge n. 147/2013 ha introdotto invece un sistema composito, articolato in un nuovo sgravio fiscale per le assunzioni di lavoratori che determinano un incremento del numero di dipendenti in azienda e due incentivi nelle ipotesi di “stabilizzazione” dei lavoratori. Si tratta in questo secondo caso della stabilizzazione dei contratti a termine: nell’ipotesi in cui un contratto a tempo determinato sia convertito in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, è prevista la possibilità per il datore di lavoro di recuperare, per l’intero importo versato, la contribuzione aggiuntiva dell’1,4% introdotta dalla legge n. 92/2012 per il finanziamento dell’Aspi. La disposizione va a modificare la precedente normativa, secondo la quale, in caso di trasformazione del contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, il datore di lavoro poteva recuperare solamente un importo pari agli ultimi sei mesi di contribuzione aggiuntiva. E della Stabilizzazione operatori call center: per i datori di lavoro gestori di call center e che abbiano “stabilizzato” i propri dipendenti usufruendo della specifica procedura, è previsto un incentivo pari ad 1/10 della retribuzione lorda mensile ai fini previdenziali per ciascun lavoratore stabilizzato. L’incentivo, che può essere riconosciuto per un massimo di 12 mesi, non può superare i 200 euro al mese con riferimento a ciascun lavoratore interessato e i 3 milioni di euro e/o il 33% dei contributi pagati nel periodo successivo all’1 gennaio 2014, con riferimento all’intero personale occupato in azienda. Inoltre la diposizione stabilisce l’emanazione, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, di un decreto ministeriale per la definizione delle modalità attuative.
[33] Art. 7 bis “Stabilizzazione di associati in partecipazione con apporto di Lavoro”.
- Al fine di promuovere la stabilizzazione dell’occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nonché di garantire il corretto utilizzo dei contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro, nel periodo compreso fra il 1º giugno 2013 e il 30 settembre 2013, le aziende, anche assistite dalla propria associazione di categoria, possono stipulare con le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale specifici contratti collettivi che, ove abbiano i contenuti di cui al comma 2, rendono applicabili le disposizioni di cui ai commi successivi.
- I contratti di cui al comma 1 prevedono l’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, entro tre mesi dalla loro stipulazione, di soggetti già parti, in veste di associati, di contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro. Per le assunzioni sono applicabili i benefici previsti dalla legislazione per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Le assunzioni a tempo indeterminato possono essere realizzate anche mediante contratti di apprendistato. I lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivono, con riferimento a tutto quanto riguardante i pregressi rapporti di associazione, atti di conciliazione nelle sedi e secondo le procedure di cui agli articoli 410 e seguenti del codice di procedura civile.
- Nei sei mesi successivi alle assunzioni di cui al comma 2, i datori di lavoro possono recedere dal rapporto di lavoro solo per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.
- L’efficacia degli atti di conciliazione di cui al comma 2 e’ risolutivamente condizionata all’adempimento dell’obbligo, per il solo datore di lavoro, del versamento alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, a titolo di contributo straordinario integrativo finalizzato al miglioramento del trattamento previdenziale, di una somma pari al 5 per cento della quota di contribuzione a carico degli associati per i periodi di vigenza dei contratti di associazione in partecipazione e comunque per un periodo non superiore a sei mesi, riferito a ciascun lavoratore assunto a tempo indeterminato.
- I datori di lavoro depositano, presso le competenti sedi dell’INPS, i contratti di cui al comma 1 e gli atti di conciliazione di cui al comma 2, unitamente ai contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato stipulati con ciascun lavoratore e all’attestazione dell’avvenuto versamento di cui al comma 4 entro il 31 gennaio 2014, ai fini della verifica circa la correttezza degli adempimenti. Gli esiti di tale verifica, anche per quanto riguarda l’effettività dell’assunzione, sono comunicati alle competenti Direzioni territoriali del lavoro individuate in base alla sede legale dell’azienda.
- L’accesso alla normativa di cui al presente articolo è consentito anche alle aziende che siano destinatarie di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali non definitivi concernenti la qualificazione dei pregressi rapporti. Gli effetti di tali provvedimenti sono sospesi fino all’esito della verifica di cui al comma 5.
- Il buon esito della verifica di cui al comma 5 comporta, relativamente ai pregressi rapporti di associazione o forme di tirocinio, l’estinzione degli illeciti, previsti dalle disposizioni in materia di versamenti contributivi, assicurativi e fiscali, anche connessi ad attività ispettiva già compiuta alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e con riferimento alle forme di tirocinio avviate dalle aziende sottoscrittrici dei contratti di cui al comma 1. Subordinatamente alla predetta verifica viene altresi’ meno l’efficacia dei provvedimenti amministrativi emanati in conseguenza di contestazioni riguardanti i medesimi rapporti anche se già oggetto di accertamento giudiziale non definitivo. L’estinzione riguarda anche le pretese contributive, assicurative e le sanzioni amministrative e civili conseguenti alle contestazioni connesse ai rapporti di cui al presente comma.
[34] La stabilizzazione avrebbe operato tra il 1° giugno 2013 e, in un primo momento il 30 settembre 2013, poi prorogato al 31 marzo 2014 dalla legge n. 99/2013.
[35] La previsione della stabilizzazione anche delle partite IVA potrebbe rispondere al rilievo, effettuato anche da parte del mondo sindacale (cfr. le dichiarazioni di Claudio Treves, segretario generale di Nidil Cgil), secondo cui, se già dal 2012 se ne è già registrato un significativo aumento, il superamento del contratto a progetto avrebbe condotto ad un ulteriore incremento delle false partite Iva. Un fattore incentivante deve sicuramente essere ravvisato nelle disposizioni della legge di Stabilità 2015 e nella contemporanea entrata in vigore dei controlli sulle partite Iva così come disposto dalla legge n. 92/2012. Sono scattati infatti dal 1° gennaio 2015 i controlli sulle false partite Iva finalizzate a smascherare veri e propri rapporti di lavoro subordinato secondo i criteri stabiliti dalla Riforma Fornero e contestualmente le nuove regole sul regime dei minimi contenute nella Legge di Stabilità 2015 che ha altresì triplicato l’aliquota di imposta passando dal 5% al 15%. Nel più generale insieme, assai eterogeneo, di soggetti iscritti agli albi professionali, che esercitano con abitualità professioni non ancora riconosciute e, comunque, non organizzate in albi professionali (procacciatori di affari, idraulici, personal trainer) si rinvengono infatti anche ipotesi di soggetti che non svolgono una professione e che sono chiamati dal committente ad aprire una partita Iva quale condizione per poter instaurare un rapporto di collaborazione. Quest’ultimo gruppo rappresenterebbe ben il 40% dell’intero insieme e raccoglierebbe quei soggetti che precedentemente sarebbe stato assunto con contratto di lavoro a progetto oppure tramite contratto di lavoro subordinato. Anche la dottrina, G. SANTORO-PASSARELLI, I rapporti organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 490 n. 3 c.p.c., in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 278/2015, 25, indica soprattutto in queste ipotesi i destinatari della procedura di stabilizzazione.
[36] P. PENNESI-D. PAPA, Emersione e stabilizzazione: primi orientamenti dopo la Finanziaria, in Guida lav., 2007, 5, 25.
[37] G. FONTANA, Inderogabilità, derogabilità e crisi dell’uguaglianza, cit., 29.
[38] Cass. 22 maggio 2008, n. 13217, Mass. giur. lav., 2009, 77; Cass. 23 ottobre 2013, n. 24024, in Foro it., 2014, I, 102.
[39] Il sistema sanzionatorio che si delinea in caso di erronea qualificazione dei collaboratori a progetto e delle partite Iva è complesso. In relazione alla mancata instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato vengono applicate le sanzioni amministrative per mancata consegna al lavoratore di copia della comunicazione di assunzione inoltrata al Centro per l’Impiego o del contratto di assunzione (ex art. 19, comma 2, d.lgs. n. 276/2003) e omessa o infedele registrazione nel Libro Unico del Lavoro (art. 39, commi 1, 2 e 7, d.l. n. 112/2008); le sanzioni in materia di contributi Inps e Inal (art. 116, comma 8 ss, legge n. 388/2000) e le sanzioni in materia di obblighi tributari (art. 13, d.lgs. n. 471/1997). Per quanto riguarda ad esempio il regime sanzionatorio previsto in caso di inadempimento contributivo per erronea qualificazione di una collaborazione a progetto, questo è a sua volta articolato in sanzioni civili, penali ed amministrative, in base alla gravità della violazione. Stabilito con circolare dell’INPS n. 74/2003, dopo oscillanti orientamenti, che si tratta di una omissione (cfr. art. 116, comma 8, lett. a)) e non di una evasione contributiva, oltre al recupero dei contributi non versati in ragione della maggiore aliquota applicabile, la sanzione civile che si applica è pari al tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema (ex tasso ufficiale di riferimento, TUR) maggiorato di 5,5 punti percentuali in ragione di anno (con un tetto massimo del 40% dei contributi dovuti), ad oggi del 5,75% in ragione di anno. Il d.lgs. n. 8/2016 ha previsto la depenalizzazione parziale del reato per mancato versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali: in caso di omissione del versamento di ritenute per un importo massimo di 10 mila euro, è prevista una sanzione amministrativa da 10 mila a 50 mila euro; in caso di importo superiore, resta l’illecito penale che prevede la reclusione fino a 3 anni ed il pagamento di una multa fino a 1032 euro. In ogni caso, per evitare la sanzione l’azienda dovrà versare entro 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento della violazione i contributi omessi. Le sanzioni amministrative sono invece ancora disciplinate dal d.lgs. n. 276/2003, art. 19, che, disponendo una sanzione da 100 a 500 euro per lavoratore, punisce la mancata comunicazione obbligatoria in caso di assunzione, proroga, trasformazione e cessazione dei rapporti di lavoro. Resta in capo al lavoratore la richiesta di ricongiunzione dei periodi resi come cocopro o partita Iva.
[40] G. FONTANA, Inderogabilità, derogabilità e crisi dell’uguaglianza, cit., 29.
[41] Sono esclusi contributi e premi INAIL. Per i contratti stipulati fino al 31 dicembre 2015 valgono le regole della manovra dell’anno scorso: esonero contributivo al 100% fino a un tetto di 8060 euro, per tre anni. Esclusioni: Sono escluse le assunzioni con contratti di apprendistato e lavoro domestico e previsti tetti e regole particolari per il settore agricolo. L’agevolazione non si applica alle assunzioni di lavoratori che nei 6 mesi precedenti sono stati occupati a tempo indeterminato (presso qualsiasi datore di lavoro) e non spetta se nel 2015 è già stata applicata l’esenzione contributiva prevista dalla legge n. 190/2014. Niente bonus neanche se il lavoratore nei 3 mesi precedenti la data di entrata in vigore della Legge Stabilità (ultimo trimestre 2015) ha avuto un contratto a tempo indeterminato con una società controllata o collegata o facente capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto.
[42] CNEL, L’esperienza della l. 18 ottobre 2001, n. 383 e le prospettive future per l’emersione del lavoro irregolare. Osservazioni e proposte, 18 dicembre 2003.
[43] Con la conseguenza che nei limiti della prescrizione quinquennale gli organi di vigilanza possono ricondurre il precedente rapporto nell’alveo della subordinazione, con i conseguenti effetti sanzionatori e di recupero contributivo ma anche con l’annullamento delle agevolazioni ottenute, in quanto verrebbe a mancare il requisito dell’inesistenza di un rapporto a tempo indeterminato nel semestre antecedente.
[44] Rilevava già T. TREU, Conclusioni, in V. PINTO (a cura di), Le politiche pubbliche di contrasto al lavoro irregolare, Cacucci, Bari, 2008, 146.
[45] R. PESSI, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, in WP C.S.D.
L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 282/2015, 14.
[46] G. FONTANA, Inderogabilità, derogabilità, crisi dell’eguaglianza, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 276/2015, 28.
[47] Ne consegue la perdurante operatività del lavoro intermittente anche nei confronti di tutte quelle ipotesi oggettive elencate tra le attività discontinue della tabella allegata al r.d. n. 2657/1923, cui faceva rinvio la legge Biagi, sebbene abrogato.
[48] M. TIRABOSCHI, Prima Lettura del d.lgs. n. 81/2015 recante la disciplina organica dei contratti di lavoro, in ADAPT, Labour Studies, e-Book series, n. 45, 2015, 26.
[49] A. BELLAVISTA, Al di là del lavoro sommerso, in Riv. giur. lav., 2008, 1, 15-20.
[50] A. BELLAVISTA, Le politiche statali di emersione del lavoro nero: strumenti e tecniche, in V. PINTO (a cura di), Le politiche pubbliche di contrasto al lavoro irregolare, Cacucci, Bari, 2008, 17.
[51] A. BELLAVISTA, Le politiche statali di emersione del lavoro nero, cit., 23.
[52] A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 272/2015, 4.
[53] Così anche A. PERULLI, Un Jobs Act per il lavoro autonomo: verso una nuova disciplina della dipendenza economica, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, 235/2015, 6.
[54] T. TREU, Lavoro e previdenza: Jobs Act, riordino dei contratti di lavoro e il lavoro autonomo, in www.ipsoa.it. Nella prospettiva di proteggere il “tipo” dagli attentati eversivi del contraente forte, non era il codice civile ma già il legislatore con la legge n. 230/1962 ad aver enfatizzato il carattere di modello assolutamente privilegiato del contratto a tempo indeterminato, così F. CARINCI, Diritto privato e diritto del lavoro: uno sguardo dal ponte, in WP Massimo D’Antona, n. 54/2007, 14, prevedendo che “il contratto si reputa a tempo indeterminato, salvo le eccezioni appresso indicate”, condannando il termine ad elemento eccezionale, ancorato ad un elenco tassativo, con a sanzione la conversione (artt. 1 e 2, legge n. 230/1962). Nel presidiare il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, così M.T. CARINCI, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2012, 15, anche il legislatore della legge n. 92/2012, nelle norme di apertura, dichiara tra le finalità generali perseguite quella di realizzare un “mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione in particolare a) favorendo l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili e ribadendo il rilievo paritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato, cosiddetto “contratto dominante”, quale forma comune di rapporto di lavoro (art. 1/1, lett. a)), legge n. 92/2012). Disposizione programmatica questa cui si affianca la previsione, nella parte in cui apporta modifiche al contratto a tempo determinato, secondo cui “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” (art. 1, comma 1, d.lgs. n. 368/2001), in sostituzione della norma che in precedenza recitava “il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”.
[55] Commissione Ue, Verso una ripresa fonte di occupazione, Bruxelles, 18.04.2012, Swd (2012)97 final.
[56] Commissione Ue, Employment and Social Developments in Europe 211, Bruxelles, 2012.
[57] La formula è variamente adottata negli ordinamenti europei e riceve significativi avalli nelle elaborazioni dottrinali, P. DAVIES, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, in Dir. rel. ind., 2000, 210 ss; A. SUPIOT, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, in Dir. rel. ind., 2000, 2, 217 ss.; P. ICHINO, Il lavoro e il mercato, Per un diritto del lavoro maggiorenne, Mondadori, Milano, 1996. Il criterio sembra il più congruo alle caratteristiche dei nuovi modi di produzione che alleggeriscono taluni aspetti di soggezione funzionale e personale propri della impresa fordista, riflessi nei caratteri attribuiti alla subordinazione giuridica, ma ripropongono vincoli di dipendenza economica di varia entità a chi lavora per altri nell’impresa e sul mercato, così T. TREU, Statuto dei lavori e carta dei diritti, in Dir. rel. ind., 2004, 200. Diversa concettualmente è però la nozione di “dipendenza economica” accreditata nella riforma dell’art. 2094 proposta ora da P. ICHINO, Il codice semplificato del lavoro, http://www.pietroichino.it, secondo cui l’attuale fattispecie di subordinazione si sdoppia, acquisendo una duplice dimensione: la prima, identica a quella tradizionale, identificata in base alla eterodirezione; la seconda comprensiva del lavoro autonomo continuativo, qualificata in base alla dipendenza (economica) del prestatore, confondendo la dipendenza “personale” con la dipendenza economica come criterio tipico di identificazione di talune forme di lavoro autonomo genuino.
[58] Libro Verde della Commissione, del 22 novembre 2006, “Modernizzare il diritto del lavoro per affrontare le sfide del XXI secolo” (COM(2006)708); v. l’analisi dei I giuslavoristi e il libro verde “Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo”. Una valutazione critica e propositiva, in www.lex.unict.it; G. ARRIGO, Un breve commento al Libro Verde sulla modernizzazione del diritto del lavoro, in www.cgil.it/giuridico.it.
[59] Parere CESE 2011/C 18/08.
[60] A. PERULLI, Un Jobs Act per il lavoro autonomo, cit., ed ivi per una disamina critica della fattispecie.
[61] Così anche G. SANTORO PASSARELLI, Crisi economica globale e valori fondamentali del Diritto del lavoro, in Dir. lav. merc., 2012, III, 438.
[62] Quando, al contrario, sarebbe opportuno garantirne la esistenza P. ICHINO, Il contratto di lavoro, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. CICU e F. MESSINEO, continuato da L. MENGONI, XXVII, 2, Giuffrè, Milano, 2000, nota 64; già A. PERULLI, Il lavoro autonomo, in A. CICU e F. MESSINEO, Trattato di diritto civile e commerciale, XXVII, t. 1, Giuffrè, Milano, 1996, 227.
[63] Così M. PEDRAZZOLI, Prefazione, Lavoro coordinato e subordinazione. L’interferenza delle collaborazioni a progetto, Bonomia University Press, Bologna, 2012, 9.
[64] A. ACCORNERO, B. ANASTASIA, Realtà e prospettive del lavoro autonomo: un po’ di attenzione, please, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 2.
[65] Banca d’Italia, Bollettino e conomico n. 46, in www.bancaditalia.it, 37 ss.
[66] Inidoneo anch’esso a giustificare interventi così radicali che più che scongiurare gli abusi rischiano di precludere l’accesso ad un particolare segmento del lavoro flessibile che in questi anni ha offerto una soluzione occupazionale per chi ambiva a gestire autonomamente il proprio tempo di lavoro, M. MARAZZA, Il lavoro autonomo dopo la riforma del governo Monti, in Arg. dir. lav., 2012, 4-5, 876; G. SANTORO PASSARELLI, Crisi economica globale e valori fondamentali del Diritto del lavoro, in Dir. lav. merc., 2012, III, 425; già M. MAGNANI, Verso uno “Statuto dei lavori”?, in Dir. rel. ind., 1998, 3, 312.
[67] Corte di Giustizia, sentenza 15.6.2006 – Causa C-255/04, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica francese, in Riv. it. dir. lav., 2007, II, 239, punto 53.