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Le prospettive di applicazione dei criteri di distinzione fra lavoro autonomo e subordinato dopo il d.lgs. n. 81/2015
Renato Greco (già Presidente della sezione lavoro della Corte d’Appello di Catanzaro)
Il saggio intende analizzare quale incidenza potrà avere sui tradizionali criteri distintivi tra lavoro autonomo e subordinato la nuova figura della prestazione di lavoro organizzata dal committente, introdotta dall’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015. Dopo avere esposto le ragioni che fanno ritenere che la riforma ha inteso soltanto delineare un modo di essere della subordinazione, positivizzando alcuni degli indici utilizzati dalla giurisprudenza nella individuazione della fattispecie, lo studio si sofferma sui criteri distintivi tra le prestazioni etero-organizzate dal committente e le prestazioni d’opera coordinate e continuative e ipotizza quali difficoltà applicative dovrà affrontare la giurisprudenza di fronte a due fattispecie contigue, ma con una radicale divaricazione di tutele.
The essay intends to analyse what impact the new figure of self-employed work organised by the enterprise – introduced by art. 2, paragraph 1, of Legislative Decree No. 81/2015 – will exercise on traditional criteria for the differentiation between self-employment and subordinate work. After setting out the reasons leading to the idea that the reform intended only to outline a particular way of performing a professional activity under an employment contract, defining some of the indicators used by courts in order to identify subordination within a statutory provision, the study focuses on the criteria that distinguish the new model of self-employed work organised by the enterprise from the previous forms of self-employed work performed in coordination with the enterprise. It also analyses the possible difficulties that courts will encounter in the application of the new statutory provisions applying these two contractual models, similar but with two different level of protections for workers involved.
Keywords: subordinate work and self-employed, self-employed work organised by the enterprise, differentiation between self-employed work organised by the enterprise and previous forms of self-employed work performed in coordination with the enterprise
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1. L’obiettivo (mancato) del superamento dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
La legge delega di riforma del mercato del lavoro, n. 183/2014, prendendo atto del sostanziale fallimento della strategia adottata con il d.lgs. n. 276/2003, si era posta l’obiettivo di superare le collaborazioni coordinate e continuative, utilizzate spesso a fini elusivi dello statuto protettivo del lavoro subordinato, e di riportarle nell’area della subordinazione, dopo aver reso la fattispecie tipica dell’art. 2094 c.c. meno costosa, economicamente e normativamente, e più attraente per le imprese.
In questa prospettiva devono essere inquadrate le disposizioni che hanno introdotto il contratto a tutele crescenti, con l’eliminazione della reintegrazione come sanzione del licenziamento economico illegittimo, che consentono la variazione unilaterale in peius delle mansioni del prestatore, che ampliano le possibilità di controllo a distanza del lavoratore e il d.lgs. n. 81/2015, il cui art. 2, comma 1, prescrive che “si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, mentre l’art. 52, comma 1, abroga la figura del lavoro a progetto (artt. da 61 a 69-bis, d.lgs. n. 276/2003).
L’enunciato obiettivo del superamento di tutte le collaborazioni coordinate e continuative non è stato, però, raggiunto perché l’estensione delle tutele del lavoro subordinato riguarda soltanto “alcuni tipi di collaborazione morfologicamente contigui al lavoro subordinato” [1] e perché l’art. 52, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 stabilisce la sopravvivenza dell’art. 409, n. 3, c.p.c., fonte delle svariate forme di collaborazioni autonome e delle connesse pratiche elusive della disciplina protettiva del lavoratore subordinato. Inoltre, per effetto dell’abrogazione della disciplina del lavoro a progetto, sono venuti meno anche i divieti che quella normativa prevedeva, per cui, con le nuove disposizioni, l’ordinamento finisce per riconoscere nuovamente all’autonomia privata individuale il potere di regolare, anche al di fuori delle ipotesi tipiche previste dal codice civile e delle eccezioni espresse, forme di lavoro autonomo coordinato e continuativo con limiti ridotti [2]. Ne risulta, pertanto, appannata la funzione antielusiva che il progetto di riforma del mercato del lavoro si era assegnata.
Il d.lgs. n. 81/2015 non accoglie i suggerimenti a favore di un assetto normativo modulare che tenga conto della dipendenza economica del lavoratore autonomo [3], da attuare con un Codice semplificato del lavoro [4], in cui si individui un tertium genus tra lavoro subordinato e lavoro autonomo [5] (peraltro, il concetto di dipendenza economica è essenzialmente sociologico, identifica una vasta e multiforme area di rapporti di mercato e appare eterogeneo rispetto alle categorie della subordinazione e dell’autonomia, dalle quali va, forse, tenuto distinto sul piano giuridico [6]. La riforma non si discosta da una logica dicotomica e distingue l’area dell’autonomia, comprensiva delle collaborazioni coordinate e continuative, da quella della subordinazione, all’interno della quale colloca le collaborazioni organizzate dal committente.
Tuttavia la nuova figura delle collaborazioni con prestazioni etero-organizzate, che gode del regime di tutela della subordinazione, crea una duplice sofferenza esegetica: da un lato pone problemi di raccordo e distinzione con la etero-direzione, elemento che più di ogni altro qualifica il rapporto di lavoro come subordinato, e dall’altro rende incerta la linea di confine con la sub-categoria autonoma delle collaborazioni coordinate e continuative dell’art. 409, n. 3, c.p.c., rinate a nuova vita per effetto dello stesso decreto n. 81/2015.
Il nuovo assetto normativo è destinato, pertanto, ad avere un impatto significativo sulla attività interpretativa dei giudici, da tempo faticosamente alle prese con le nozioni di etero-direzione, coordinamento e potere organizzativo al fine di individuare gli indici, anche sussidiari, della subordinazione e i criteri di distinzione con il lavoro autonomo coordinato. Potrebbe avere anche implicazioni di sistema, poiché idoneo a incidere sulla nozione di subordinazione dell’art. 2094 c.c., e, quanto meno, potrebbe dare ulteriore alimento all’annosa disputa qualificatoria riguardante la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, conseguente all’inidoneità della vaga definizione codicistica della subordinazione a determinare la diretta sussunzione nella fattispecie astratta dei rapporti di lavoro situati nella zona grigia tra subordinazione e autonomia.
2. La natura giuridica delle prestazioni organizzate: lavori autonomi meritevoli della tutela del lavoro subordinato …
Anche se non rientra negli scopi di queste note ripercorrere l’iter delle elaborazioni teoriche tese all’individuazione della fattispecie, un accenno ai possibili sbocchi interpretativi dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 è opportuno per gli effetti che sul piano applicativo un approccio qualificatorio per fattispecie può avere.
La tecnica normativa adottata dalla disposizione, che non attua per via definitoria una riscrittura dei tipi, consente diverse interpretazioni sui criteri distintivi tra etero-direzione e etero-organizzazione nonché tra quest’ultima e le collaborazioni autonome dell’art. 409, n. 3, c.p.c. alle quali deve essere fatto un accenno.
Un filone esegetico d’interesse non trascurabile riguarda quelle letture dell’art. 2, d.lgs. n. 81 come “norma di disciplina e non di fattispecie” [7], che non sposta l’asse qualificatorio della subordinazione dall’etero-direzione all’etero-organizzazione. La collaborazione organizzata dal committente rimane una fattispecie che, seppure al confine con l’area della subordinazione, mantiene i caratteri dell’autonomia e della parasubordinazione e che, solo ai fini protettivi del prestatore “viene ricondotta per l’effetto nell’area della subordinazione, senza che essa sia tipologicamente qualificabile come tale, ovvero che ne venga disposta una conversione automatica o, ancora, che operi una presunzione assoluta di subordinazione” [8]. Questa ricostruzione valorizza il dato letterale, “si applica”, che indurrebbe a ritenere che la norma non incida sulla fattispecie subordinazione, ma ne estende la disciplina ad altri rapporti che, evidentemente, non sono subordinati. Inoltre metterebbe al riparo dal rischio di violazione del principio costituzionale d’indisponibilità del tipo lavoro subordinato [9] la scelta dell’art. 2, comma 2, di escludere alcune ipotesi di collaborazioni etero-organizzate dalla estensione della disciplina protettiva del lavoro subordinato [10].
Questo schema ricostruttivo appare essenzialmente nominalistico e radicato sul dato lessicale che, in effetti, in parte richiama la formula dell’art. 409 n. 3 c.p.c., ma non considera che anche sotto tale profilo l’art. 2 di cui si discute presenta indici poco coerenti con un rapporto di tipo autonomo e, piuttosto, tarati sulle caratteristiche della subordinazione. Tali sono il riferimento alla prestazione non più di ‘opera’ ma di ‘lavoro’, il carattere non più ‘prevalentemente’ ma ‘esclusivamente’ personale della prestazione e il potere di organizzazione che determina le ‘modalità di esecuzione’ della prestazione e, quindi, incide sull’attività e non sul risultato. Non appare dirimente, inoltre, l’adozione del termine ‘committente’ poiché il legislatore intende proprio ridisciplinare quei rapporti ai quali era riservato lo schema della parasubordinazione e che facevano riferimento a un committente e non ad un datore di lavoro. Peraltro il legislatore ha già utilizzato il termine ‘imprenditore committente’ con riferimento ad una tipologia di subordinazione (art. 1, comma 2, della legge 877/1973 sul lavoro a domicilio).
Non convince neppure il ‘suggerimento’ della necessità di accogliere l’opzione interpretativa della mera estensione dello statuto protettivo del lavoro subordinato a fattispecie che restano autonome per salvare il secondo comma dell’art. 2 dall’illegittimità costituzionale. In primo luogo va considerato che la ‘delega’ all’autonomia collettiva (l’ipotesi più rilevante fra le quattro previste, le altre in gran parte ricalcano quelle già previste per il lavoro a progetto) potrebbe essere interpretata in senso costituzionalmente orientato; nel senso, cioè, di consentire all’autonomia collettiva di predisporre una disciplina specifica, adattata alle “particolari esigenze del relativo settore”, ma equivalente alla tipologia di tutela prevista dal primo comma dell’art. 2 e, comunque, tale da non escludere l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato se ne ricorrono i requisiti. In ogni caso, ove permanessero i dubbi di costituzionalità di una disposizione che, in effetti, potrebbe essere foriera di un contenzioso di non poco conto, non appare condivisibile attribuire alla norma principale un determinato significato al solo fine di salvaguardare la legittimità costituzionale di una disposizione che introduce una deroga [11].
La possibile interpretazione sopra ricordata, inoltre, incontrerebbe non trascurabili difficoltà sul piano applicativo e palesi incongruenze sistematiche.
Se si considera che l’art. 2, d.lgs. n. 81 dispone l’estensione in modo universalistico e non selettivo dell’intera disciplina del lavoro subordinato a collaborazioni che, si presume, mantengono il carattere di autonomia, non appare chiaro in che misura il committente potrebbe utilizzare nei confronti di un lavoratore autonomo, in rapporti caratterizzati da un potere organizzativo e non dal potere direttivo, le prerogative che il codice riserva al datore di lavoro, quali, ad esempio, il potere disciplinare o lo ius variandi in tema di mansioni.
Non è chiara neppure quale disciplina previdenziale e assistenziale si applicherebbe a rapporti che continuerebbero ad avere natura autonoma: quella tipica del lavoro parasubordinato (gestione separata INPS, iscrizione del collaboratore all’INAIL e partecipazione nella misura di un terzo all’onere assicurativo) o l’estensione del regime previsto per il lavoro subordinato, indipendentemente da ogni previsione di spesa che la cosa comporterebbe [12]?
Sono questioni che evidenziano problemi di difficile soluzione, apparendo poco praticabile in sede giudiziaria una selezione delle discipline applicabili, che non pare consentita dalla chiara espressione normativa, e che comunque potrebbe dar luogo ad una incontrollabile discrezionalità. Se ne rende conto anche chi propende per tale soluzione, allorché lamenta che “il legislatore avrebbe dovuto essere più preciso e selettivo, distinguendo all’interno della disciplina complessiva le materie non estensibili” e auspica un “chiarimento dello stesso legislatore o degli istituti previdenziali” [13], oppure confida nell’autonomia collettiva che, se ben utilizzata, dovrebbe garantire il processo di graduale armonizzazione [14].
Infine, se si dovesse continuare a ritenere lavoratori autonomi i soggetti ai quali l’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81 attribuisce la tutela integrale del lavoro subordinato bisognerebbe presumere che il legislatore abbia voluto effettuare una profonda disarticolazione dell’area delle collaborazioni autonome, con una radicale divaricazione delle tutele per la quale non si vedono ragioni giustificatrici adeguate [15]. Infatti, non saremmo alla presenza di un’ipotesi di applicazione di una particolare disciplina (o di parti di essa) a fattispecie diverse, ma di fronte ad una “trasmigrazione di una certa fattispecie nell’area di regolazione propria di una fattispecie rispetto ad essa tradizionalmente contrapposta” [16]. E ciò significherebbe introdurre nel sistema un’aporia dalle conseguenze imprevedibili. Appare, pertanto, più coerente sul piano sistematico, oltre che compatibile con il testo e la ratio della nuova disposizione, adottare un’interpretazione dell’art. 2 del decreto n. 81 che non sconvolga l’impianto di sistema che distingue il lavoro subordinato da quello autonomo.
3. Segue: o un modo di essere della subordinazione
Nella ricostruzione sistematica del citato art. 2, comma 1, alcuni autori ritengono che la norma, indipendentemente dalla formula lessicale utilizzata, introducendo un nuovo criterio legale di subordinazione-organizzazione, incide sul tipo contrattuale dell’art. 2094 c.c. attraverso un’operazione di “allargamento della nozione di subordinazione che ricomprenderebbe le prestazioni di lavoro eterodirette ed eterorganizzate” [17], con una formula additiva che implica una rielaborazione della fattispecie. Nella stessa prospettiva si pone chi rileva che il decreto 81 non si limita ad una modulazione delle discipline, ma attua una “estensione dell’intera disciplina del lavoro subordinato al nuovo ambito indicato dalla norma, cioè in realtà alla nuova fattispecie” [18].
Non pare, però, che la formulazione dell’art. 2 comma 1 del d.lgs. 81/2015 presenti elementi definitori e sistematici tali da mettere in evidenza la volontà del legislatore di attuare una modifica in senso tipologico della norma base del lavoro subordinato [19].
Appare più aderente al testo e allo scopo della riforma ritenere che il legislatore non abbia voluto introdurre un’altra nozione di subordinazione, ma, preso atto della crisi del potere direttivo come indice sempre e comunque presente nel lavoro subordinato, emergente anche in alcuni recenti orientamenti della giurisprudenza, abbia “semplicemente ‘aggiornato’ quella definizione con indicatori legali più moderni, tenendo conto che la tipologia sociale del lavoro subordinato non è più riassumibile, se mai lo è stata, nel concetto di etero-direzione” [20]. Di fatto immettendosi nel solco di quella dottrina che, da tempo, invoca la revisione delle categorie giuridiche fondamentali enucleate attorno all’art. 2094 c.c., ipotizzando, accanto al modello tradizionale della subordinazione-eterodirezione, caratterizzato da una divisione gerarchica del lavoro, modelli organizzativi diversi, come quello della “subordinazione-coordinamento”, più flessibile e caratterizzato non più dalla eterodirezione gerarchica ma dalla integrazione formale della prestazione di lavoro nell’organizzazione produttiva [21].
Non si discostano da questo orientamento quanti descrivono l’intervento normativo come la presa d’atto del legislatore della nozione di ‘subordinazione allargata’ o ‘attenuata’ elaborata dalla giurisprudenza e, quindi, funzionale a ‘positivizzare’ alcuni degli indici elaborati dalla giurisprudenza nella qualificazione del rapporto di lavoro subordinato, attraverso un meccanismo “non più rimesso al prudente apprezzamento del giudice ma imposto allo stesso giudice senza possibilità di scelta qualora sussistano tutti i requisiti della nuova disposizione” [22], ponendo una “presunzione assoluta di lavoro subordinato” [23].
Sempre nella stessa ottica è stato rilevato che nel diritto vivente non esiste eterodirezione senza eterorganizzazione e viceversa, per cui la collaborazione personale e continuativa che si concreta in prestazioni le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente coerentemente deve essere ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 2094 c.c. Deducendone drasticamente che l’art. 2, comma 1, “malgrado la sua formulazione in termini precettivi è privo di efficacia propriamente normativa”, di fatto una “norma apparente”, che si risolve in un “intervento di sostegno, a latere dell’art. 2094 c.c., dell’approccio pragmatico della giurisprudenza improntato alla prudente valutazione della ricorrenza nel caso concreto degli indici della soggezione del lavoratore ad un pieno potere organizzativo del datore di lavoro” [24].
Forse la definizione di “norma apparente” è frutto di una lettura minimalista dell’art. 2 del decreto n. 81, ma si può comunque convenire che il legislatore non abbia inteso realizzare uno sconvolgimento di sistema. Frutto di un apprezzabile pragmatismo, la nuova norma appare una “disposizione di normalizzazione” [25], diretta a far rientrare nell’area del lavoro subordinato le fattispecie limitrofe, assimilabili al lavoro dipendente. La nuova norma non ha, quindi, stabilito una qualificazione imperativa di un rapporto autonomo come subordinato, ma, in presenza di un potere organizzativo che incide sulle modalità della prestazione e che riguarda anche i tempi e i luoghi dell’attività prestata dal collaboratore, ha fornito “un indicatore legale della natura effettivamente subordinata della prestazione lavorativa e perciò un criterio di qualificazione della fattispecie”, decretando in sostanza che “la eterorganizzazione di cui al comma 1 è un modo di essere della subordinazione” [26]. In altri termini, il decreto n. 81/2015 non aggiunge alla subordinazione la categoria dell’organizzazione, ma dà indicazioni vincolanti su una possibile lettura dell’art. 2094 c.c., nel senso che “l’organizzazione delle modalità di esecuzione della collaborazione non coincide con la subordinazione, ma non identifica neppure un ulteriore negozio tipico, aggiuntivo rispetto a quello dell’art. 2094 c.c. e contrapposto a quelli autonomi. Se mai è una forma di rilevazione della subordinazione e, cioè, mette in luce suoi elementi identificativi, considerati in via imperativa sufficienti ai fini del completamento del processo di qualificazione” [27].
Da queste condivisibili considerazioni si può desumere che “l’etero-organizzazione altro non sia che una manifestazione del potere direttivo, di modo che il lavoro etero-organizzato altro non è che il lavoro descritto all’art. 2094 c.c.” [28].
Senza alterare la fattispecie dell’art. 2094 c.c., dunque, la nuova norma la modula attribuendo “visibilità normativa” a quei profili indiziari individuati dalla giurisprudenza in riferimento alle ipotesi di subordinazione attenuata o di governo del tempo e del luogo di lavoro in termini non necessariamente corrispondenti al tradizionale potere direttivo [29].
4. Le ricadute sul piano applicativo: nuovi criteri di rilevazione della subordinazione
Se si cerca di ipotizzare quali potranno essere le ricadute sul piano applicativo della novità introdotta dal decreto n. 81 e delle ricostruzioni interpretative che ne sono seguite, bisogna partire dalla considerazione preliminare che, quasi sempre, “quando ci si pone nell’ottica dell’applicazione del diritto, la fattispecie va di pari passo con la tutela ad essa imputata e una qualche correlazione tra i due termini deve essere configurata” [30]. È molto probabile che la giurisprudenza che dovrà decidere su questioni inerenti alle collaborazioni con prestazioni organizzate dal committente e al distinto potere direttivo attribuito al datore di lavoro si atterrà a questo principio, per cui l’uniformità di disciplina svuoterà di significato agli occhi dei giudici il pur interessante dibattito teorico sulla ipotizzata diversità delle fattispecie.
Si può ritenere, peraltro, che la giurisprudenza terrà conto nell’interpretazione dell’art. 2, comma 1, dell’intero contesto normativo e degli obiettivi enunciati nel progetto di riforma del mercato del lavoro e non prescinderà dal principio espresso nella disposizione immediatamente precedente, l’art. 1, nel quale si ribadisce che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune dei rapporti di lavoro”. Le due norme delineano una concezione dei contratti di lavoro più semplificata e organizzata per tipi o sotto-tipi ‘morfologicamente contigui’, nel contesto di un sistema binario che contrappone lavori subordinati, ricondotti nel nuovo contratto a tutele crescenti, e lavori autonomi.
Solo in quest’ottica si può ritenere che l’art. 2, d.lgs. 81 attui una ridefinizione, anche se indiretta, del tipo lavoro subordinato in una prospettiva di semplificazione qualificatoria, non sovrapponendo etero-organizzazione ed etero-direzione, ma assicurando la tutela protettiva piena a tutti quei rapporti che presentano i tradizionali elementi indiziari della subordinazione e a quelli caratterizzati dalla totale soggezione al potere organizzatorio del committente-datore di lavoro, anche essa indicativa di un rapporto di lavoro subordinato.
Si può, quindi, prevedere che sul fronte giurisprudenziale la nuova disposizione avrà l’effetto di consolidare e far definitivamente prevalere quel filone interpretativo che, rifacendosi al concetto di ‘subordinazione attenuata’, ha attribuito minor peso al potere direttivo e ha valorizzato indici diversi, sufficienti per la qualificazione del rapporto come subordinato, in caso di prestazioni di lavoro semplici e ripetitive [31] o in presenza di prestazioni di elevato contenuto professionale [32]. Ipotesi in cui la giurisprudenza reputa non necessario che il datore impartisca quotidiane e puntuali direttive, per la elementarità e ripetitività dei compiti del prestatore oppure per il livello delle competenze professionali del dipendente, la cui capacità creativa ed intellettuale non richiede prescrizioni specifiche sulle modalità di svolgimento della prestazione.
Si può presumere anche che perderà consistenza quel tradizionale orientamento che assegnava assoluta preminenza alle direttive assidue del datore di lavoro [33], e che ha mantenuto nel tempo una consistente rilevanza [34], e che si consoliderà il più recente orientamento che sopperisce all’evanescenza dell’eterodirezione della prestazione dando rilevo qualificatorio preminente ad indici sussidiari o integrativi, quali l’inserimento nell’organizzazione produttiva, “l’intensità” dell’etero-organizzazione della prestazione, le direttive programmatiche, il coordinamento con l’attività degli altri lavoratori [35], e che individua l’essenza della subordinazione nella dipendenza intesa come “cessione di energie lavorative” e di obbligo di “impiegarle con continuità secondo le direttive di ordine generale impartite dal datore di lavoro ed in funzione dei programmi cui è destinata la prestazione per il perseguimento dei fini propri dell’impresa” [36].
La disposizione dell’art. 2, d.lgs. n. 81, disponendo che non solo il potere direttivo puntuale e dettagliato ma anche l’organizzazione delle modalità esecutive della prestazione è un valido criterio selettivo della subordinazione, potrà far cessare l’utilizzo giudiziale incerto e “per approssimazione” di indici sussidiari e integrativi della subordinazione nel giudizio di qualificazione. Il giudizio legislativo di equivalenza funzionale al tipo lavoro subordinato della prestazione eterorganizzata, infatti, costituisce un solido supporto per operazioni ermeneutiche che intendono ridisegnare i confini della subordinazione in termini non restrittivi e, al contempo, può avere “un effetto di facilitazione probatoria e argomentativa a favore di chi agisce per vedere riconosciuta la subordinazione” [37], poiché consente al giudice di ricercare, senza ordine di priorità, sia gli elementi sintomatici del potere direttivo che quelli rivelatori dell’organizzazione unilaterale delle modalità esecutive della prestazione, anche nella sua dimensione spazio-temporale.
5. I criteri distintivi tra l’area della subordinazione e quella dei lavori autonomi
Il decreto n. 81, specifica la nozione di subordinazione contenuta nell’art. 2094 c.c. e nello stesso tempo svolge (o dovrebbe svolgere) la funzione di delimitazione dell’area delle collaborazioni coordinate a cui fa riferimento l’art. 409, n. 3, c.p.c., ma è prevedibile che è proprio su questo versante che gli interpreti dovranno affrontare le maggiori criticità ricostruttive.
Anche se i criteri distintivi tra le prestazioni organizzate dal committente e le collaborazioni coordinate e continuative sono astrattamente desumibili in termini relativamente netti dall’art. 2, comma 1, che configura solo le prime come prestazioni di lavoro continuative, esclusivamente personali e le cui modalità di esecuzioni sono totalmente organizzate dal committente, per cui sul piano teorico appare agevole discernere tra le due ipotesi, sul piano pratico la distinzione resta sempre sottile e può diventare opaca e incerta.
Deve essere tenuto presente che l’impresa, per definizione, è attività economica organizzata (art. 2082 c.c.) dall’imprenditore, il quale ha il potere di conformare i vari fattori produttivi, materiali ed umani, al contesto organizzativo di detta attività. Il potere di conformazione del fattore lavoro si atteggia in modo diverso secondo la natura giuridica della collaborazione lavorativa: attraverso l’esercizio del potere direttivo o attraverso la determinazione unilaterale delle modalità di esecuzione della prestazione ovvero attraverso forme di collaborazioni autonome. Poiché l’organizzazione, in senso ampio, delle prestazioni lavorative è comune a tutte le prestazioni acquisite dall’impresa, il ventaglio di possibilità con cui tale potere di conformazione del fattore lavoro può essere esercitato può consentire all’imprenditore una impropria elasticità o modalità tali da rendere più labile la linea di confine che separa le collaborazioni autonome da quelle organizzate, come previste dall’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015.
Ne deriva che il giudice non può radicare il suo convincimento esclusivamente su elementi normativi analiticamente indicati a priori, ma deve calarsi nel singolo contesto organizzativo in modo che il suo giudizio qualificatorio sia il frutto di una operazione circolare nella quale anche le dichiarazioni e il comportamento delle parti concorrono ad individuare la fattispecie e a delinearne il contenuto.
La formulazione dell’art. 2 offre, in effetti, nuovi elementi distintivi su cui far leva per distinguere le due fattispecie, ma molto dipenderà anche dal contenuto che assumerà il disegno di legge sul lavoro autonomo in corso di presentazione al Parlamento [38].
Sul piano normativo, allo stato, è possibile individuare alcuni punti fermi ai quali la giurisprudenza verosimilmente dovrà attenersi.
In primo luogo deve ritenersi che solo la coesistenza di tutti i requisiti che caratterizzano le collaborazioni organizzate descritte dal d.lgs. n. 81 consente una netta distinzione dalle collaborazioni coordinate di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. Pertanto si potrà riservare la tutela piena della disciplina del lavoro subordinato solo alle collaborazioni che siano continuative, esclusivamente personali e le cui modalità di esecuzione della prestazione siano totalmente organizzate unilateralmente dal committente, anche se il peso e la capacità distintiva dei tre suddetti elementi è molto diversa.
Il primo di essi, la durata nel tempo, sembra accomunare le due tipologie di collaborazioni, in quanto entrambe le prestazioni collaborative devono essere, per disposizione di legge, ‘continuative’. Ma se si tengono presenti le indicazioni di una classica ricostruzione dogmatica dei contratti di durata [39] si coglie il diverso atteggiarsi della durata del vincolo contrattuale nelle due ipotesi, in relazione alla diversità dell’oggetto dell’obbligazione (prestazione di lavoro nell’art. 2, comma 1, e prestazione d’opera nell’art. 409, n. 3, c.p.c.).
La differenza potrebbe apprezzarsi sulla base della risalente distinzione tra “obbligazioni di mezzi” e “obbligazioni di risultato” [40], nel senso che la collaborazioni coordinate sarebbero finalizzate al raggiungimento di un risultato mentre le prestazioni di lavoro organizzate sarebbero obbligazioni di mezzi in quanto caratterizzate dai vincoli che legano chi partecipa e si inserisce in una organizzazione. Ma sia i rapporti obbligatori che derivano dalle collaborazioni organizzate che quelli conseguenti alle collaborazioni coordinate implicano aspetti di comportamento e aspetti di risultato: oggetto del contratto in entrambi i casi non è il risultato atteso dal creditore ma la prestazione del debitore, ossia il suo comportamento destinato a produrre il soddisfacimento dell’interesse del creditore. Varia, però, l’interesse tipico del creditore-committente nelle due tipologie di collaborazioni, maggiormente orientato all’esecuzione dell’opera o del servizio nell’ipotesi delle prestazioni coordinate, rivolto alla prestazione personale organizzata secondo modalità spazio-temporali nelle collaborazioni organizzate ex art. 2, d.lgs. n. 81 [41].
Pertanto, il diverso modo di incidere del requisito della durata e della continuità può così riassumersi: nelle collaborazioni coordinate di prestazione d’opera la durata non ha una funzione autonoma, non è utile in sé, poiché non corrisponde a un interesse specifico del creditore, ma è utile in funzione dello scopo, dell’opera dedotta in contratto; nelle collaborazioni organizzate di prestazioni di lavoro la durata è solo in funzione del tempo, è utile in sé e “il rapporto è utile sinché dura e per il solo fatto che dura, con quel determinato contenuto obbligatorio” [42].
Così inteso, il diverso operare del requisito della dimensione temporale dell’obbligazione può contribuire a discernere le prestazioni di lavoro organizzate dalle prestazioni coordinate, anche se, sul piano applicativo, il solo elemento della continuità poche volte sarà sufficiente a distinguere le due figure, soprattutto nei casi in cui anche le collaborazioni coordinate si concretano in un’attività lavorativa protratta nel tempo per realizzare un servizio o un’opera. Sarà, invece, agevole la distinzione nei casi di contratti di collaborazione coordinata il cui oggetto sia un singolo opus, la cui esecuzione richieda un certo periodo di tempo. La durata in questa ipotesi è subita dalle parti e non rientra nell’oggetto del contratto e nell’interesse perseguito, non qualifica sul piano causale il rapporto obbligatorio, ma attiene unicamente al momento preparatorio dell’adempimento finale e, pertanto, connota esclusivamente le prestazioni d’opera coordinate [43].
Sicuramente più selettivo è il requisito della prestazione ‘esclusivamente’ personale richiesto dall’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, mentre possono essere ‘prevalentemente’ personali sia la prestazione d’opera contemplata dall’art. 409, n. 3, c.p.c. che l’esecuzione di un’opera o di un servizio prevista dal contratto d’opera disciplinato dall’art. 2222 c.c.
L’art. 2 tratteggia un’obbligazione di comportamento che, pur se destinato a realizzare un risultato utile per il creditore, impegna il debitore a inserire la sua attività personale nell’organizzazione altrui senza alcun apporto di mezzi o di collaboratori, anche se di ridotta rilevanza. Anche nelle prestazioni organizzate, così come nel classico lavoro subordinato, risalta l’alienità totale dell’organizzazione produttiva cui la prestazione di lavoro si riferisce e sulla quale, come ha rilevato la Corte Costituzionale [44], il prestatore non ha alcun potere di modifica e d’intervento. Ciò che caratterizza, dunque, la prestazione di lavoro organizzata e destinata a una struttura produttiva altrui è la totale personalità della stessa, ossia l’assenza di una propria micro-organizzazione di lavoro, che determina un rapporto con il committente e destinatario della prestazione che è esclusivamente personale, al pari di quello inerente al datore di lavoro e lavoratore subordinato. Risalta sotto tale profilo la differenza con le prestazioni degli operatori autonomi e dei lavoratori di cui agli artt. 2222 c.c. e 409, n. 3, c.p.c., le quali, anche se devono in qualche misura essere coordinate e inserite nell’organizzazione produttiva altrui, presupponendo la mera prevalenza del lavoro personale, consentono l’utilizzazione di strutture materiali e l’apporto dell’attività di collaboratori. In tale evenienza il rapporto con il committente non è esclusivamente personale, ma è connotato dal modo di essere del collaboratore, che può essere dotato di una piccola struttura e che si può avvale di collaboratori, e della composizione dell’attività dedotta in contratto nella quale l’elemento personale è solo prevalente.
Ai fini dell’applicazione delle tutele processuali dell’art. 409 c.p.c., il giudizio in merito alla prevalenza o meno della personalità della prestazione è affidato alla giurisprudenza che, in riferimento all’apporto di ausiliari del collaboratore o all’utilizzo di macchinari, a volte esprime una valutazione meramente quantitativa, a volte si sofferma sull’incidenza qualitativa dell’attività altrui o dell’utilizzo di strutture e macchinari, con inevitabile disomogeneità delle decisioni conseguente alla diversità dei casi specifici e al variabile approccio discrezionale del singolo giudice. Si è così ritenuto che la qualità di piccolo imprenditore non esclude la prevalenza del lavoro personale [45] e che il ricorso a macchinari e strumenti, anche di ingente valore, è compatibile con la prevalente personalità della prestazione [46], mentre è stato ritenuto che viene meno il carattere prevalentemente personale della prestazione quando il collaboratore si avvale di una struttura con diversi livelli di operatività e collaboratori in posizione subalterna [47]. Piuttosto costantemente, invece, la giurisprudenza esclude la personalità della prestazione quando l’attività è svolta non da una persona fisica ma da una società, anche se di persone, irregolare o di fatto [48].
Non dovrebbe incidere su tali orientamenti l’innovazione introdotta con l’art. 2, d.lgs. n. 81, se non nel senso che nessuno dei casi di ‘apertura’ della giurisprudenza al giudizio di prevalenza del lavoro personale può consentire un’equiparazione alle prestazioni di lavoro organizzate, e una estensione dell’ambito applicativo del citato art. 2. Il requisito dell’esclusività personale della prestazione non consente modulazioni o interpretazioni estensive in relazioni ad apporti umani o all’ausilio di strutture organizzative. L’’esclusiva personalità’ della prestazione nel lavoro etero-organizzato va intesa in senso pieno, come assenza di una propria micro-organizzazione, per cui l’obbligo dedotto in contratto si risolve totalmente nella dimensione personalistica dell’impegno professionale. Pertanto non possono essere considerati prestatori organizzati, ai sensi della suddetta norma, gli imprenditori, siano essi titolari di un’impresa grande o piccola, i soggetti organizzati in forma societaria e coloro che si avvalgono di ausiliari, sia pure occasionali, ovvero di strutture e macchinari incompatibili con una prestazione personale. Deve ritenersi, peraltro, che non altera il carattere esclusivamente personale della prestazione l’utilizzo di modesti strumenti personali (basilari attrezzi di lavoro, mezzi di scrittura, computer, mezzo di trasporto) necessari per l’esecuzione della prestazione secondo le modalità stabilite dal committente.
Da parte della giurisprudenza occorrerà, probabilmente, una particolare attenzione in un diverso senso, verificando se, in concreto, l’utilizzo da parte del prestatore di strutture di supporto o la sua composizione in forma societaria non sia un artificio imposto dal committente, che pur organizza unilateralmente modalità, tempi e luoghi della prestazione, al fine di celare il carattere personale della stessa ed eludere le relative tutele [49].
6. Requisiti costitutivi e caratteri distintivi delle prestazioni etero-organizzate e coordinate
Probabilmente le maggiori criticità nell’applicazione delle nuove norme saranno incontrate nel momento in cui dovranno essere individuati i criteri distintivi dei requisiti costitutivi della nozione di etero-organizzazione unilaterale e globale della prestazione dell’art. 2 comma 1, e di quella di coordinamento della prestazione d’opera a cui fa riferimento l’art. 409 n. 3 c.p.c., che ha riacquistato centralità dopo l’abrogazione del lavoro a progetto. Operazione più complessa rispetto alla tradizionale distinzione tra l’area della subordinazione, connotata dal solo potere direttivo, e quella delle prestazioni d’opera coordinate e continuate, a causa dell’apparente contiguità tra prestazioni organizzate e prestazioni coordinate.
Le difficoltà interpretative saranno maggiori se si considerano le prestazioni organizzate un genus della più ampia specie del lavoro autonomo avente ad oggetto un facere rientranti, al pari delle prestazioni d’opera coordinate, nel minisistema normativo della locatio operis. La distinzione in tal caso dovrebbe radicarsi su sottili differenze riguardanti livello di autonomia, responsabilità e assunzione di rischio e sul diverso atteggiarsi del potere del committente che, in un caso, ‘organizza’ il lavoro altrui e nell’altro lo ‘conforma’ per renderlo compatibile con la propria organizzazione produttiva.
Se, invece, si ritiene l’etero-organizzazione delle prestazioni di lavoro sia nulla di più che una forma di rilevazione e un modo di essere della subordinazione, come appare preferibile, è sufficiente tornare alla classica distinzione tra locatio operarum e locatio operis per reperire criteri distintivi più incisivi.
Un elemento distintivo deriva dall’oggetto delle collaborazioni e dalle diverse relazioni tra le singole prestazioni e l’organizzazione del committente. Nel coordinamento la relazione tra il prestatore e l’organizzazione del committente, e gli eventuali vincoli anche di tempo e di luogo che ne potrebbero derivare, sono solo quelli necessari al raggiungimento del risultato oggetto della collaborazione. Nella prestazione etero-organizzata la relazione tra le parti e le modalità di esecuzione della prestazione, con i vincoli relativi alla dimensione spazio-temporale, sono quelli generali e indeterminati tipici dei soggetti che partecipano e si inseriscono in una organizzazione altrui, sottoponendosi allo ius variandi del titolare della stessa [50].
In un caso acquista rilievo l’attività lavorativa in quanto tale, la cui gestione è prerogativa del creditore che determina unilateralmente le modalità di esecuzione della stessa, anche nel tempo e nello spazio. Nell’altro assume rilevanza l’opus per la realizzazione del quale è utilizzata l’attività lavorativa del collaboratore, il quale assume la gestione del proprio lavoro determinandone autonomamente le dimensioni spazio-temporali, con il solo vincolo di renderlo coordinabile con l’organizzazione produttiva del committente nei modi convenzionalmente stabiliti.
Sul piano giuridico le differenze sono nette. Nella fattispecie dell’art. 2, comma 1, è riservato al committente un potere giuridico di organizzazione che investe direttamente le modalità esecutive della prestazione (distinto dal generale potere organizzativo dell’impresa, artt. 2082 e 2086 c.c., da cui discendono tutte le prerogative del datore di lavoro) a cui corrisponde dall’altra parte un dovere di soggezione, in un evidente squilibrio contrattuale tra le parti, simile, se non identico, a quello che caratterizza il rapporto tra il titolare del potere direttivo e il lavoratore subordinato, sul quale grava il dovere di osservare le direttive impartite, in quanto entrambi si esercitano nella fase di esecuzione della prestazione determinandone contenuto e modalità.
Nelle collaborazioni coordinate il committente non esercita alcun potere giuridico unilaterale sull’esecuzione della prestazione, né direttivo né organizzativo, e la coordinazione della prestazione, finalizzata a realizzare l’interesse perseguito, non può manifestarsi attraverso prerogative individuali, ma deve assumere la dimensione bilaterale del contratto, “unico contenitore volitivo in grado di garantire la congruenza fra l’attività espletata dal prestatore e gli obiettivi propri del committente secondo una programmazione negoziale concordata tra le parti” [51].
Naturalmente nella realtà accade spesso che le modalità di coordinamento di una prestazione autonoma debbano essere rimodulate e riadattate alle mutevoli esigenze aziendali e produttive. Da ciò, però, non può derivare un potere unilaterale del committente di nuova conformazione della prestazione; la dimensione consensuale del coordinamento, come attività svolta di comune accordo tra le parti, comporta che anche le eventuali modifiche al regolamento contrattuale iniziale siano adottate in sede di rinegoziazione successiva, facendo salva per il debitore della prestazione la possibilità di eseguirla in condizioni di autonomia gestionale e organizzativa, pur nel rispetto delle modalità consensualmente ridefinite.
Si può, quindi, ritenere che sul piano normativo l’introduzione della fattispecie delle prestazioni organizzate se da un lato contribuisce a ridefinire gli ambiti della subordinazione, dall’altro determina una delimitazione più rigorosa della categoria della parasubordinazione e ha una ricaduta sull’interpretazione della figura contemplata dall’art. 409, n. 3 c.p.c.: il potere di organizzazione del committente non può riguardare tempi e luoghi della prestazione e “il coordinamento si colloca all’esterno di questa in quanto attiene alla utilizzazione del risultato e non all’attività necessaria per la sua produzione” [52].
Accade, però, che, a volte, anche il collaboratore autonomo debba adeguarsi nell’esecuzione della prestazione alle esigenze produttive imposte dal committente o che l’eterogeneità delle attuali forme di lavoro diano luogo ad attività che presentano i tratti ibridi di autonomia e dipendenza, sia giuridica che economica. Queste ipotesi accentuano la difficoltà di tratteggiare i caratteri costitutivi e distintivi del lavoro etero-organizzato e coordinato e provano che sarebbe stata opportuna una indicazione legislativa che ridefinisse i caratteri e i limiti delle residue collaborazioni autonome. In questa direzione pare muoversi il citato disegno di legge sul lavoro autonomo varato dal Governo, il cui art. 13 offre una più circoscritta nozione di lavoro coordinato specificando che “la collaborazione s’intende coordinata, quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente la propria attività lavorativa”.
In ogni caso, i giudici dovranno affinare i criteri selettivi finora utilizzati e dovranno individuare con maggiore rigore i caratteri di autonomia della prestazione d’opera coordinata.
Dovrebbe essere rimeditata, quindi, quella giurisprudenza che ritiene sussistente, anche nelle collaborazioni autonome, un potere di conformazione del committente che si traduce in una ‘ingerenza’ unilaterale sulle modalità di esecuzione dell’attività del collaboratore circa l’osservanza di un orario di lavoro [53], la previsione di turni lavorativi predisposti dal committente [54], la previsione di fasce orarie o di limiti di durata minima [55], che inevitabilmente comportano poteri unilaterali di controllo sui tempi di esecuzione della prestazione. Queste forme d’ingerenza sulle modalità temporali o sui luoghi di svolgimento della prestazione d’opera sono state addirittura ritenute, con non poche ambiguità, “necessarie al fine di consentire l’inserimento della stessa nell’organizzazione del committente e il collegamento con gli scopi dallo stesso perseguiti” [56].
Per effetto dell’art. 2, comma 1, gran parte di queste ‘ingerenze’, se dirette a organizzare tempi e luoghi della prestazione, considerate finora compatibili con la collaborazione autonoma coordinata, contribuirebbero ad integrare la fattispecie del lavoro etero-organizzato, con la conseguente applicazione delle tutele del lavoro subordinato.
Le criticità, comunque, resteranno perché gli interpreti, di fronte ai caratteri ibridi dei nuovi lavori e a una normativa che non distingue a sufficienza fattispecie contigue, perdono i riferimenti sociali e normativi che “un tempo davano sostanza e certezza alle categorie giuridiche della subordinazione e dell’autonomia” [57]. Forse sarebbe stato più coerente sul piano sistematico e utile in sede applicativa portare fino in fondo il (dichiarato) progetto di semplificazione del mercato del lavoro, eliminando tutte le forme di collaborazioni di lavoro coordinate e riconducendo tutte le prestazioni di lavoro personale, eterodiretto, etero-organizzato e coordinato, nell’ambito del nuovo contratto di lavoro subordinato, a tutele crescenti, che, ormai depurato dalle ‘rigidità’ tanto invise al sistema delle imprese, avrebbe potuto diventare, senza ‘traumi’, la forma generale del lavoro dipendente.
NOTE
[1] La specificazione è contenuta nella Relazione illustrativa dello schema del decreto legislativo.
[2] G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409 n. 3 c.p.c., in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, n. 278/2015, 10. Per una ricostruzione dei passaggi legislativi concernenti le collaborazioni coordinate e continuate e il lavoro a progetto fino al d.lgs. n. 81/2015 v. l’intervento di V. FERRANTE, in A. VALLEBONA (a cura di), Colloqui giuridici del lavoro, supplemento al n. 12/2015 del Mass. giur. lav., sul tema Il lavoro parasubordinato organizzato dal committente, 35-38.
[3] Per un’ampia ricostruzione della figura del lavoro economicamente dipendente cfr. M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, Cedam, Padova, 2013. V. anche A. PERULLI, Un Jobs Act per il lavoro autonomo: verso una nuova disciplina della dipendenza economica?, in Dir. rel. ind., 2015, 109 ss., il quale anche in Il lavoro autonomo,le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, in WP C.S.D.L.E., n. 272/2015, 34, auspica una nuova disciplina non per confini ma per ‘soglie’, “cioè per selezioni ragionate di discipline in base ad una idea di ‘lavoro autonomo economicamente dipendente’ che sola può guidare un serio processo legislativo di articolazione delle tutele nella zona grigia tra subordinazione e autonomia nonché, più in generale, nell’ambito delle relazioni personali di lavoro”.
[4] In merito all’idea maturata nell’ambito governativo, ma poi abbandonata, di un Codice semplificato cfr. l’intervento di P. ICHINO, in A. VALLEBONA (a cura di), Colloqui giuridici del lavoro, supplemento al n. 12/2015 del Mass. giur. lav., cit., 52-53.
[5] L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. 81/2015: alla ricerca dell’”autorità del punto di vista giuridico”, in WP C.S.D.L. “Massimo D’Antona”, n. 267/2015, 19, ritiene che il d.lgs. n. 81 imprime il sigillo dell’archiviazione alla teoria della differenziazione ‘meramente’ quantitativa tra direzione e coordinamento e segna la sconfitta della tesi del tertium genus.
[6] T. TREU, In tema di Jobs Act. Il riordino dei tipi contrattuali, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2015, 168 ss. V. la diversa opinione di A. PERULLI, Un Jobs Act per il lavoro autonomo: verso una nuova disciplina della dipendenza economica?, cit.
[7] L’espressione è di R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2015, 371.
[8] A. PERULLI, Il lavoro autonomo,le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, in WP C.S.D.L.E., n. 272/2015, 12; nello steso senso R. PESSI, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, in WP C.S.D.L.E., n. 282/ 2015, 10-15.
[9] Affermato dalle note sentenze della Corte cost. 29 marzo 1993, n. 121 e 31 marzo 1994, n. 115.
[10] Il secondo comma dell’art. 2 del d.lgs. n. 81 esclude l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato a quattro ipotesi, eterogenee, la più significativa delle quali si riferisce alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi “prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”.
[11] Considerazioni di questo tenore svolge V. NUZZO, Il lavoro personale coordinato e continuativo tra riforma e prospettive di tutela, WP C.S.D.L.E., n. 280/2015, 13-14.
[12] Sui profili previdenziali si sofferma A. ANDREONI, La nuova disciplina per i lavori eterorganizzati: prima osservazione, in Riv. dir. sic. soc., 2015.
[13] A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate …, cit., 15-16.
[14] R. PESSI, Il tipo contrattuale …, cit., 15.
[15] G. FERRARO, Collaborazioni organizzate dal committente, in corso di pubblicazione, non reputa ragionevolmente credibile che da un giorno all’altro masse di lavoratori possano essere scorporate dalla categoria giuridica di appartenenza per essere trasferite, armi e bagagli, nell’area del lavoro subordinato sia sotto il profilo della disciplina sostanziale sia di quella previdenziale, determinando uno scalino tanto drastico nella scala delle tutele nei confronti delle collaborazioni coordinate e continuative, incomprensibile e irragionevole, 9-10 del dattiloscritto.
[16] C. CESTER, intervento in A. VALLEBONA (a cura di), Colloqui giuridici del lavoro, supplemento al n. 12/2015 del Mass. giur. lav., sul tema Il lavoro parasubordinato organizzato dal committente,28.
[17] O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente. Prime considerazioni, in WP C.S.D.L.E, 266/2015, 4.
[18] TREU, In tema di Jobs Act ..., cit., 163.
[19] Sotto tale profilo sono condivisibili le considerazioni di A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate …, cit., 8 ss., il quale esclude anche che la riforma, “disponendo la riconduzione delle prestazioni di lavoro organizzate dal committente nell’alveo del lavoro subordinato abbia introdotto a latere dell’art. 2094 c.c. una nuova fattispecie ‘additiva’ di subordinazione (che potremmo definire come lavoro eterorganizzato)”.
[20] V. NUZZO, Il lavoro personale coordinato e continuativo tra riforme e prospettive di tutela, in WP C.S.D.L.E., 280/2015, 9.
[21] E. GHERA, Subordinazione, statuto protettivo e qualificazione del rapporto di lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2006, 8. Lo stesso autore, Il lavoro autonomo nella riforma del mercato del lavoro, inRiv. it. dir. lav., 2014, 518 ribadisce che “alla subordinazione-eterodirezione ... si è venuta progressivamente affiancando nei rapporti di produzione, nell’organizzazione del lavoro e nel mercato del lavoro, la subordinazione-coordinamento, riferibile a una pluralità eterogenea di figure sociali e professionali originate dai nuovi tipi di lavoro e dalle nuove forme di organizzazione produttiva la cui caratteristica è la sostituzione della dipendenza gerarchica”.
[22] G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente …, cit., 16-17.
[23] L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. 81 …, cit., 17-18, afferma che l’art. 2 si limita a porre una presunzione assoluta di ricorrenza del lavoro subordinato e che sul fronte giurisprudenziale potrà avere un ruolo di consolidamento dei più innovativi orientamenti degli ultimi anni che, nella individuazione della subordinazione, fanno leva su criteri sussidiari al potere direttivo (Cass. 21 ottobre 2014, n. 22289), ritengono sufficienti direttive programmatiche impresse nella struttura aziendale (Cass. 26 agosto 2013, n. 19568 e Cass. 23 aprile 2014, n. 9196) oppure ritengono sufficiente il coordinamento con l’attività degli altri lavoratori (Cass. 8 aprile 2015, n. 7024). G. FERRARO, Collaborazioni organizzate dal committente, cit., 22, osserva che dal preannunciato provvedimento legislativo sul lavoro autonomo “dovrebbe apparire più lineare se il legislatore con la recente riforma ha inteso consolidare orientamenti giurisprudenziali evolutivi della nozione di subordinazione, ancorché minoritari”.
[24] P. TOSI, L’art. 2, comma,1, d.lgs. n. 81/2015: una norma apparente, in corso di pubblicazione su Arg. dir. lav., 14 del dattiloscritto.
[25] G. FERRARO, Collaborazioni organizzate dal committente, cit., 3.
[26] E. GHERA, Intervento, in A. VALLEBONA (a cura di), Colloqui giuridici del lavoro, supplemento al n. 12/2015 del Mass. giur. lav., sul tema Il lavoro parasubordinato organizzato dal committente, 50.
[27] E. GRAGNOLI, Intervento, in A. VALLEBONA (a cura di), Colloqui giuridici del lavoro, cit., 52.
[28] V. FERRANTE, Intervento, in A. VALLEBONA (a cura di), Colloqui giuridici del lavoro, cit., 37, il quale aggiunge che le previsioni ulteriori in tema di tempi e luogo di lavoro finiscono per disegnare un cerchio di più ridotta area rispetto a quello di cui all’art. 2094 c.c. A tal riguardo, C. CESTER, Intervento ..., cit., 30, reputa abnorme concludere che la norma addirittura irrigidisce la stessa nozione di subordinazione e preferisce leggere l’avverbio “anche”, riferito a tempi e luogo della prestazione, in una prospettiva non additiva, nel senso che l’organizzazione dei tempi e dei luoghi esprime, comunque, una particolare espressione del potere direttivo.
[29] Sulla identità della funzione svolta dalla etero-direzione e dalla etero-organizzazione e sulla “visibilità normativa” accordata dall’art. 2 ai criteri individuati dalla giurisprudenza in tema di subordinazione attenuata v. C. CESTER, Intervento, in A. VALLEBONA (a cura di), Colloqui giuridici del lavoro, cit., 30.
[30] M. PEDRAZZOLI, Consensi e dissensi sui recenti progetti di ridefinizione dei rapporti di lavoro, in Quad. dir. lav. rel. ind., 1998, 13.
[31] V. fra le tante Cass. 26 febbraio 2002, n. 2842 e Cass. 5 maggio 2004, n. 8569 inerenti a rapporti di lavoro di una cameriera e di un addetto alle pulizie.
[32] V. ad esempio, Cass. 13 agosto 2008, n. 21591 e Cass. 13 aprile 2012, n. 5886 rispettivamente relative a un rapporto di lavoro giornalistico e ad una prestazione intellettuale e specialistica di una operatrice grafica.
[33] V. Cass. 14 luglio 1993, n. 7796, in Riv. it. dir. lav., 1994, II, 317 ss. con nota di L. NOGLER, con la quale si statuiva che “carattere distintivo essenziale del rapporto di lavoro subordinato rimane quello della subordinazione intesa come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro”. Nello stesso senso,Cass. 13 marzo 1990, n. 2024; Cass. 29 marzo 1995, n. 3745; Cass. 26 ottobre 1994, n. 8804.
[34] V. Cass. 21 novembre 2001, n. 14664; Cass. 20 giugno 2003, n. 9900; Cass. 13 maggio 2004, n. 9151; Cass. 17 giugno 2010, n. 14639, fino alle più recenti pronunce in relazione ad una attività libero professionale, Cass. 6 maggio 2015, n. 9121, o inerenti ad un caso di associazione in partecipazione, Cass. 10 aprile 2015, n.7296.
[35] Decisioni significative di questo indirizzo sono Cass. 15 giugno 2009, n. 13858 e Cass. 14 febbraio 2011, n. 3594, le quali affermano che se l’organizzazione non richiede direttive e potere gerarchico continuo con ordini precisi la subordinazione va verificata in relazione alla intensità dell’eterorganizzazione; Cass. 26 agosto 2013, n. 19568, Cass. 4 marzo 2015, n. 4346, Cass. 8 giugno 2015, n. 11746 le quali sostengono la sufficienza di direttive generali e programmatiche e l’inserimento nell’organizzazione aziendale per la configurazione del rapporto di lavoro subordinato; Cass. 8 aprile 2015, n. 7024 che descrive come indici della subordinazione l’osservanza di un orario e l’inserimento nell’altrui organizzazione produttiva, specie in relazione al coordinamento con l’attività degli altri lavoratori, in un caso di prestazioni saltuarie rese da un cameriere ai tavoli di un ristorante.
[36] Cass. 5 maggio 2004, n. 8569. V a riguardo le considerazioni di O. RAZZOLINI, La nozione di subordinazione alla prova delle nuove tecnologie, in Dir. rel. ind., 2014, 974 ss., in particolare in riferimento alla svalutazione dell’etero-direzione nel giudizio di qualificazione della subordinazione ed il rilievo che ha di recente assunto nella giurisprudenza l’etero-organizzazione unilaterale della prestazione e la messa a disposizione temporale delle energie lavorative, 993 ss.
[37] L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. 81/2015 …, cit., 18.
[38] Si tratta del disegno di legge intitolato “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato a tempo indeterminato”, varato dal Consiglio dei ministri il 28 gennaio 2015.
[39] G. OPPO, I contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1943, 143 ss.
[40] Per l’approfondimento della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato cfr. lo studio di L. MENGONI, Obbligazioni di “risultato” e obbligazioni di “mezzi”, in Riv. dir. comm.,1954, ora in C. CASTRONOVO-A. ALBANESE-A. NICOLUSSI (a cura di), Luigi Mengoni. Scritti, vol. II, Milano, 2011, 141 ss. V. anche V. DE LORENZI, Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, inDig. civ., Torino, 1995, vol. XII, 392 ss. Per una rilettura delle due fattispecie in relazione al rendimento e alla diligenza del prestatore v. F. PANTANO, Il rendimento e la valutazione del lavoratore subordinato nell’impresa, Cedam, Padova, 2012, 35 ss.
[41] Si sofferma su tale elemento distintivo tra le due fattispecie A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate …, cit., 39. V. le considerazioni critiche nei riguardi della ricostruzione di A. Perulli formulate da G. FERRARO, Collaborazioni organizzate dal committente, cit., 17-20.
[42] A. PERULLI, op. cit., 41, il quale, reputando necessario prospettare una “lettura più rigorosa e tecnica del requisito della durata”, coerente con la ratio della riforma legislativa, riprende le specifiche considerazioni di G. OPPO, op. cit., riportate nel testo.
[43] Per un riscontro in giurisprudenza di tale impostazione v. Cass. 14 febbraio 2001, n. 2120. A riguardo v. le considerazioni di O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni …, cit., 7 ss., la quale ritiene che la continuità dell’art. 2 deve essere intesa in senso tecnico, nel senso che la continuità che caratterizza le collaborazioni organizzate è la stessa che caratterizza la prestazione di lavoro subordinato, con significative ricadute sul piano applicativo, mentre dovrebbe escludersi la continuità nelle prestazioni aventi ad oggetto un singolo opus, anche quando ciò richieda un certo lasso di tempo.
[44] Corte cost. 12 febbraio 1996, n. 30.
[45] Cass. 21 agosto 2003, n. 12309.
[46] Cass. 30 giugno 1998, n. 6398.
[47] Cass. 6 aprile 2009, n. 2009.
[48] Cass. 21 aprile 2011, n. 9273; Cass. 14 luglio 2011, n. 15535.
[49] Denuncia tale pericolo, O. RAZZOLINI, La nuova disciplina …, cit., 6, in riferimento, in particolare, alla possibilità di costituire s.r.l. unipersonali, sempre più agevole e meno onerosa, facilitata dalla direttiva europea del 9 aprile 2014.
[50] In questi termini, con riferimento all’oggetto delle collaborazione e alla diversità delle relazioni tra le prestazioni e le strutture organizzative del committente, T. TREU, In tema di Jobs Act. Il riordino dei tipi contrattuali, cit., 173.
[51] A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate …, cit., 44. Nello stesso senso O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate …, cit., 15 ss.
[52] E. GHERA, Intervento …, cit., 50.
[53] Cass. 8 maggio 2015, n. 7024.
[54] Cass. 22 maggio 2013, n. 12572.
[55] Cass. 14 febbraio 2001, n.3594.
[56] Cass., sez. un., 5 giugno 1989, n. 2698; Cass. 19 aprile 2002, n. 5698, Cass. 9 dicembre 2002, n. 17534, Cass. 6 maggio 2004, n. 8598; Cass. 25 giugno 2007, n. 14702.
[57] T. TREU, op. loc. cit., il quale, rilevando l’incerta linea di confine tra il lavoro organizzato e le collaborazioni coordinate e continuative, ritiene di dubbia utilità il ricorso al metodo tipologico nell’attività interpretativa.