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Gli strumenti di controllo e i mezzi di produzione
Enrico Gragnoli (Prof. Ordinario di diritto del lavoro dell’Università di Parma)
Il saggio analizza le novità introdotte dalla nuova formulazione dell’art. 4 Stat. lav., così come modificato dall’art. 23, d.lgs. n. 151/2015, focalizzando, in particolare, l’attenzione sulla previsione contenuta nel comma 2 e sull’esatto significato che a essa deve essere attribuito. Dopo aver fornito una panoramica delle ragioni che hanno spinto il legislatore a modificare l’art. 4 Stat. lav., l’Autore avanza alcune critiche a quell’impostazione interpretativa che vorrebbe delimitare il concetto di “strumenti utilizzati” per “rendere la prestazione” sulla base di una definizione del livello di inerenza dei beni stessi rispetto all’intrinseca natura della prestazione. Sottolineato come tale interpretazione non presenti una base testuale, non sia coerente sul piano sistematico e presenti notevoli difficoltà applicative, lo studio offre una diversa soluzione interpretativa, secondo la quale una possibile limitazione dell’area di applicazione dell’art. 4 Stat. lav., comma 2, dovrebbe basarsi sulle modalità di funzionamento degli “strumenti utilizzati” per “rendere la prestazione”, fermo il divieto di un controllo costante, occulto e “in diretta” dell’adempimento del prestatore di opere.
The goal of this paper is to analyze the changes introduced by the new article. 4 Stat. lav., as amended by art. 23, Legislative Decree. n. 151/2015.
The purpose of this essay is to focus on the precise meaning that must be attributed to the provision’s comma 2 of the article 4.
After providing an overview of the reasons that brought the italian government to amend art. 4 Stat. lav., the author makes some criticisms on the doctrinal interpretation that would define the concept of “instruments used” to “perform employees’duties” in the context of a definition based on the level of inherent character of the assets compared with the intrinsic nature of the required performance.
After pointing out that this interpretation does not present a textual basis, is inconsistent on the systematic point of view and could lead to considerable difficulties in implementation, the essay offers a reframing of provision’s comma 2 of the article 4 aimed purposes highlighting that it should be based on the functional principle of the “instrumend used” to “perform employees duties”, with the regard to the prohibition of a constant, hidden and “live” control on workers’performances.
Keywords: Art. 4, ley n. 300/1970, control instruments, means of production
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1. Le novità dell’art. 4, comma 2, Stat. lav. e le ragioni della trasformazione normativa
A ragione, si è ridimensionata la portata innovativa dell’art. 4, comma 1, Stat. lav. nel testo oggi vigente e si è concentrata l’attenzione sul comma 2, perché, con riferimento agli strumenti di produzione, «il legislatore ha fatto una valutazione ex ante di legittimità dell’installazione nonché dell’impiego dei medesimi, in quanto giustificati da esigenze aziendali qualificate», così che non è necessaria alcuna autorizzazione per i mezzi «utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione», purché «risulti una stretta correlazione tra gli strumenti tecnologici e le mansioni», con la risposta alla “obsolescenza informatica” della vecchia norma [1]. Il commento è convincente e recupera una delle tradizionali critiche all’art. 4, nella formulazione originaria, poiché, nato con riguardo a impianti audiovisivi [2], il divieto si era scontrato nel volgere di qualche anno con soluzioni telematiche o informatiche, molto più incisive [3], ma, al tempo stesso, insite nei beni usati per la produzione, sia manuale, sia intellettuale [4].
Il quesito interpretativo creato da questa situazione ha costituito una affascinante palestra per almeno due generazioni di studiosi [5], in modo inevitabile attratti da una sfida sistematica impegnativa e, forse, impossibile, cioè costruire un modello in grado di mettere in relazione una norma con un oggetto al quale, per ragioni cronologiche, non aveva potuto pensare il suo autore e, non a torto, come si commenta oggi, gli esiti di questi sforzi concettuali hanno condotto a risultati incerti [6]. Non ci si sarebbe potuti attendere altro, a volere considerare quanto difficile fosse il tema e quanto opinabili fossero le conclusioni [7]-[8]. Su un argomento che non dovrebbe essere caratterizzato da eccessive tensioni ideologiche [9], ma lo è stato per molti lustri, la risposta del legislatore ha tardato fino al 2015. La valutazione critica dell’impatto tecnologico è stata complessa, proprio perché l’art. 4 Stat. lav. era stato pensato in un contesto differente e sulla scorta di una superata esperienza sociale. Per quanto siano stati delicati gli sforzi di comprensione dell’art. 4 Stat. lav., in nessun modo sono stati impediti o rallentati il progresso e la modernizzazione costante delle strategie produttive.
Il nuovo art. 4 Stat. lav. dimostra di avere compreso queste idee e sono inspiegabili le critiche suscitate dalla disposizione nel dibattito sindacale degli ultimi mesi, perché, qualunque lettura teorica si volesse dare della norma originaria, il controllo telematico nelle aziende odierne è capillare, diffuso e radicato a qualsiasi livello di risorse economiche e culturali del datore di lavoro. Se la nostra condizione è una oppressione radicata delle tecniche informatiche sulla vita quotidiana, in ogni suo aspetto, non si comprende perché a questo destino ... globale si dovrebbe sottrarre il solo contratto di lavoro subordinato, al contrario inserito in pieno nell’articolata civiltà degli scambi costanti a livello planetario.
L’ultima stesura dell’art. 4 suona comunque (e a prescindere dall’esegesi preferibile) come la consacrazione dell’inevitabile vittoria della tecnologia [10], consumata prima nella prassi e, ora, con il coronamento di una esplicita disposizione. È persino stucchevole sia celebrare, sia contestare questa obbedienza del diritto alla trasformazione tecnica, poiché, se mai, si deve accettare come componente della nostra vita l’assoggettamento di qualunque struttura sociale (comprese quelle giuridiche) alle modificazioni dei processi di comunicazione e di produzione. La tecnologia è la nostra civiltà. Ciò non esime dal cercare un equilibrato contemperamento degli interessi, ma solo nella pacata comprensione della cultura odierna e delle sue istanze prioritarie, a cominciare da quelle informatiche. Marginali problemi suscita l’espresso riferimento dell’art. 4 Stat. lav. agli strumenti di rilevazione delle presenze, per l’univoco tenore della disposizione [11].
L’attuale art. 4 Stat. lav. accetta i mezzi di produzione con implicazioni di controllo ed esclude che il loro uso debba essere autorizzato, superando tutto il dibattito tradizionale e facendone sorgere uno nuovo, quello rivolto a chiarire l’esatto significato del comma 2 in vigore [12]. Sarebbe ingeneroso rimproverare all’art. 4 di avere fatto emergere ulteriori quesiti, poiché il precetto presuppone comunque definizioni generali, a fronte di processi in rapida trasformazione e quanto mai articolati. Di qualunque natura fossero state la scelta lessicale e la valutazione culturale del legislatore, sarebbe stato impossibile impedire dubbi esegetici. Sono eccessive le critiche talora mosse alla pretesa imprecisione concettuale del nuovo art. 4 [13], perché, se si può discutere il suo taglio, si deve riconoscere quanto sia delicato classificare in modo sintetico le risorse dei datori di lavoro, per cercare una sintesi fra protezione della riservatezza e accettazione del controllo [14]. Qualsiasi soluzione alternativa avrebbe dovuto fare ricorso a locuzioni generali e ambigue per loro caratteristica, perché costrette ad abbracciare fattispecie differenti. Ci si chiede quali siano gli «strumenti utilizzati (...) per rendere la prestazione», fermo il fatto che la loro utilizzazione è possibile solo nel rispetto del decreto n. 196/2003, un corpo normativo separato, ma di applicazione concorrente [15].
2. La delimitazione del concetto di “strumenti utilizzati” per “rendere la prestazione” e la loro inerenza al fulcro della stessa prestazione
Come si è affermato in uno dei primi contributi [16], si può discutere sull’esatta lettura dell’art. 4, comma 2, Stat. lav. e, si è commentato, «affinché scatti l’eccezione (...), è necessario che l’applicativo sia direttamente funzionale allo svolgimento della prestazione», poiché, a ragione, si dà per scontato il riferimento della disposizione non solo a res in senso materiale, ma a programmi informatici, per i quali, anzi, la norma è stata pensata; al contrario, si è suggerito, qualora l’apparato «sia rivolto a finalità sempre (...) di natura organizzativa (e non ... di mero controllo), ma che eccedono le immediate esigenze della prestazione del singolo lavoratore, anche se possono ripercuotersi positivamente sulla produttività e sulla qualità (...), si fuoriesce dall’eccezione», nel senso che tali strumenti possono essere utilizzati, ma solo previa autorizzazione [17]. Si è proseguito, «una interpretazione che ritenesse (...) che per il solo fatto di essere incorporato nello strumento utilizzato dal lavoratore, e quindi di essere in qualche modo uno “strumento di lavoro” (...), un certo applicativo sia esentato dalla procedura autorizzativa, toglierebbe virtualmente qualsiasi spazio al primo comma, eccezion fatta probabilmente per i soli impianti audiovisivi epoco altro; la quale conseguenza sarebbe poco plausibile dal punto di vista dell’equilibrio interpretativo» [18].
Seppure proposta con arguzia e motivata con convinzione, la tesi non persuade e, se non ci si inganna, è il frutto di una visione conservativa della riforma, con una interpretazione portata a non introdurre una eccessiva frattura rispetto al passato; senza agganci testuali, di fronte alle locuzioni generali e persino un po’ asettiche dell’art. 4, comma 2, Stat. lav., la contrapposizione vuole salvaguardare l’operare dell’autorizzazione, con una demarcazione di disagevole attuazione, tanto che, si è commentato, «gravitano nell’incertezza quei casi difficili nei quali è arduo tracciare un confine preciso tra ciò che serve per lavorare, e quindi anche per rendere più efficiente e/o sicura la singola prestazione (...), e ciò che serve a rendere più efficiente e/o sicura l’organizzazione del lavoro (al limite, anche su richiesta del cliente), con benefiche ricadute di efficienza e/o sicurezza anche per la singola prestazione» [19].
A prescindere dalla concezione dell’organizzazione [20], essa non è solo prerogativa del datore di lavoro [21], ma un elemento esterno al rapporto [22], se mai inerente all’impresa, come espressione del progetto sotteso alla sua creazione e alla sua costante trasformazione [23]. Non è plausibile contrapporre i beni strumentali forniti al lavoratore in relazione alla più o meno stretta incidenza rispetto all’esecuzione del facere [24], poiché questo è oggetto di una obbligazione definita nelle linee generali nel contratto, ma specificata nella sua puntuale articolazione con l’esercizio del potere conformativo e di quello direttivo. Vincolato all’obbedienza, il dipendente deve eseguire la sua attività secondo modalità predeterminate e regolate in via unilaterale e cogente, senza che il datore di lavoro si debba chiedere se, con il ricorso all’una o all’altra soluzione tecnica, si rivolga al nucleo essenziale della prestazione o a un miglioramento estrinseco dell’efficienza. Per chi imposta le forme di adempimento programmato e per il lavoratore, chiamato a ottemperare, non vi può essere una demarcazione basata sulla selezione di risorse «che eccedono le immediate esigenze della prestazione (...), anche se possono ripercuotersi positivamente sulla produttività e sulla qualità» [25], poiché l’una e l’altra sono l’indistinto obbiettivo aziendale, perseguito con il ricorso a tutto quanto reputato utile. Una classificazione in nome dell’attinenza dei beni strumentali alla prestazione inverte i termini del ragionamento. Essa è richiesta al lavoratore a seguito della delimitazione del suo fare con l’esercizio dei poteri dell’impresa, compreso quello, indiscusso, di definire le risorse da utilizzare, senza altri vincoli se non quelli di protezione della sicurezza e della serenità del dipendente [26].
Non si può postulare una astratta idea di prestazione, come se preesistesse all’identificazione delle mansioni, sulla scorta delle clausole del contratto individuale e dell’esercizio del potere conformativo e di quello direttivo, e come se vi fosse un nucleo originario della stessa prestazione, in contrapposizione con il perseguimento della massima utilità, nel rispetto dell’art. 2087 c.c. e dell’imponente disciplina di protezione della salute del collaboratore. La prestazione è definita in ogni aspetto dal datore di lavoro, a fronte del programma negoziale, così che non è facile parlare di «elementi meramente accessori della strumentazione tecnologica fornita (...), che, dunque, non sono (...) funzionali a rendere la prestazione» [27]. Su tale inerenza si pronuncia la sola impresa e non si può sovrapporre il giudizio di un terzo, tanto meno alla stregua dell’art. 4, comma 2, Stat. lav., il quale non dà nessuno spiraglio per una simile valutazione selettiva.
La prestazione risulta dall’esercizio del potere del datore di lavoro e non preesiste all’organizzazione, va da sé per il modo e nei limiti nei quali questa ultima rileva rispetto al singolo rapporto [28]. Soprattutto nella scelta delle modalità tecniche di esecuzione, il fare è definito in ogni sua parte dall’impresa, senza limiti se non quelli esterni, volti alla tutela di interessi riconosciuti per legge, come quelli alla sicurezza e alla protezione della salute del dipendente. Nell’attuale stesura, l’art. 4, comma 2, Stat. lav. ridimensiona la portata dei valori inerenti alla salvaguardia della serenità e della riservatezza, vedendoli soccombenti rispetto al potenziamento delle risorse tecniche e al loro pieno esplicarsi sul controllo. Questa soluzione non sorprende, perché molto diffusa nell’esperienza e non contrastata in modo significativo dal vecchio art. 4, incapace di frenare il progresso [29], come il legislatore del 2015 ha riconosciuto in modo più chiaro.
3. L’impossibilità di una lettura selettiva dell’art. 4, comma 2, Stat. lav. sulla base di una definizione del livello di inerenza dei beni strumentali rispetto all’intrinseca natura della prestazione
Se non è convincente sul piano ricostruttivo, l’interpretazione proposta è giunta a conclusioni in parte accettabili nelle soluzioni operative, a dire il vero con esempi non del tutto coerenti con le affermazioni di principio, poiché, nell’esame delle principali eventualità, si è persa la distinzione imperniata sulla selezione di risorse «che eccedono le immediate esigenze della prestazione (...), anche se possono ripercuotersi positivamente sulla produttività e sulla qualità» [30]. Per esempio, a proposito del cronotachigrafo, con realismo, si è commentato che, «nonostante la funzione dello strumento ecceda quanto è richiesto dalla prestazione del (...) conducente (...), è una componente necessaria, in quanto obbligatoria per legge, della strumentazione di bordo dei veicoli commerciali e industriali, per cui non sembra avere senso richiedere una autorizzazione» [31], con un esempio in evidente contraddizione rispetto al criterio suggerito come generale. Da un lato, il cronotachigrafo non serve per guidare, ma, se mai, fornisce dati sul modo nel quale lo si faccia e, dall’altro lato, l’obbligatorietà ad altri fini non attiene all’applicazione dell’art. 4 Stat. lav.
Sulla stessa linea, si è optato per una analisi casistica a proposito di applicativi «che consentono la geolocalizzazione del lavoratore» [32], sebbene esulino dall’esecuzione dell’attività in senso stretto [33] e, se mai, possano «ripercuotersi positivamente sulla produttività e sulla qualità». Né in modo diverso si può dire per il telepass, che non è utile alla guida, sebbene sia denominato «uno strumento direttamente funzionale all’efficienza della singola prestazione» [34], con una distorsione del criterio interpretativo proposto.
Le soluzioni sono in parte convincenti, ma il loro esame critico dimostra come il parametro suggerito in linea di principio non solo non abbia una base testuale e non sia persuasivo sul piano sistematico, ma non sia neppure di realistica applicazione, tanto da imporre immediate distinzioni e adattamenti così pronunciati che fanno rinnegare la soluzione complessiva. Rientrerebbero nell’area presidiata dall’art. 4, comma 1, Stat. lav. solo «applicativi installati in strumenti in dotazione ai lavoratori, e finalizzati all’analisi delle chiamate registrate dei clienti così da ricavarne informazioni essenziali per una migliore commercializzazione dei prodotti» [35]. Soltanto in tale ipotesi, nonostante gli strumenti siano considerati di produzione, sarebbe necessaria l’autorizzazione. La conclusione specifica è esatta, ma per una motivazione diversa e, cioè, perché, in questo caso, i meccanismi non sono di produzione, ma funzionali al mero controllo, nozione da intendere in senso ampio, come comprensiva di tutte le ipotesi di verifica sul comportamento solutorio e sulle sue implicazioni, non solo qualora abbiano natura ispettiva sulla condotta individuale, ma anche se arrecano conseguenze organizzative e commerciali a più ampio raggio. Per la semplice vigilanza opera l’art. 4, comma 1, Stat. lav. ed è sempre necessaria l’autorizzazione, e lo stesso vale per il cronotachigrafo, qualora sia utilizzato dal datore di lavoro per un riscontro su quanto occorso, e non messo a disposizione dell’autorità pubblica, e per applicativi «che consentono la geolocalizzazione del lavoratore», se sono usati per stabilire dove si trovi e se esegua in modo legittimo la sua attività, e non per definire migliori percorsi per i suoi spostamenti.
Se l’attuale testo dell’art. 4 Stat. lav. considera legittimi i mezzi di produzione che permettano il controllo, lascia inalterato il precedente regime per quelli di semplice vigilanza e, cioè, di riscontro sull’adempimento, funzione del tutto legittima e opportuna in una logica organizzativa, ma, se eseguita a distanza, bisognosa dell’autorizzazione. Il conducente non si serve del cronotachigrafo per offrire la sua prestazione e, se mai (meno spesso di quanto si creda), lo può usare l’impresa per un riscontro sui comportamenti solutori. Al contrario, il telepass serve a una guida più rapida ed è mezzo di produzione, con il connesso esonero dall’autorizzazione, a seguito della riforma dell’art. 4, comma 2, Stat. lav. e lo stesso vale per i programmi informatici, per i computer, per i telefoni cellulari di servizio, per dispositivi comunque utilizzati per il fare. Né ci si può chiedere quanto esso sia influenzato dal loro impiego e se questi siano indispensabili, sia perché si sovrapporrebbero criteri arbitrari alle insindacabili decisioni dell’impresa, sia in quanto l’art. 4 Stat. lav. parla con un taglio estensivo (e voluto) del nesso fra controllo e produzione quale presupposto della rinuncia all’autorizzazione, proprio nella consapevolezza del fatto che l’inarrestabile progresso tecnico porta al miglioramento dell’efficienza e alla trasformazione delle modalità di esecuzione dell’attività, senza la possibilità di distinguere alla stregua di un elemento quantitativo come la maggiore o minore inerenza al cuore del facere.
Questo fulcro non è identificabile in modo convincente, nell’esasperata ricerca della più rapida e proficua produzione, guidata dal potere dell’impresa, senza limiti interni a tali valutazioni e, anzi, incoraggiata nella nostra civiltà, incline alla sperimentazione e al cambiamento, concepiti come fattori di legittimo e auspicato vantaggio competitivo. Tutta la strategia di produzione in senso ampio rientra nell’oggetto delle scelte aziendali [36], con la possibilità di fare ricorso ai beni considerati migliori alla stregua di indicazioni estranee alla sfera di controllo del lavoratore, purché rispettose del contratto individuale e della protezione della salute e della sicurezza. Diversa è la semplice vigilanza, poiché, in tale caso, la tutela della riservatezza e della serenità del dipendente non ostacola il miglioramento della produzione, nonostante il controllo abbia ovvie e pesanti ricadute organizzative. Però, organizzazione e produzione sono concetti diversi nell’art. 4 Stat. lav. e, qualora il miglioramento della prima sia perseguita con verifiche, ma senza che incidano sul fare, si resta nell’oggetto dell’art. 4, comma 1, Stat. lav. L’agevolazione riguarda non tutte le soluzioni utili sul piano programmatico, poiché in questa nozione dovrebbero essere comprese le forme di controllo, ma i meccanismi i quali rendano insieme possibili produzione e verifiche, a vantaggio del più lineare ed efficace dispiegarsi della prima.
4. Una possibile limitazione dell’area di applicazione dell’art. 4, comma 2, Stat. lav. sulla base delle modalità di funzionamento degli “strumenti utilizzati” per “rendere la prestazione”
Una recente sentenza interviene su una questione assai delicata, in qualche modo al centro della riforma, ma regolata nel caso di specie dal vecchio art. 4 Stat. lav., per ragioni cronologiche [37]. La violazione dell’art. 4 Stat. lav., nel testo anteriore alle modificazioni apportate dall’art. 23, d.lgs. n. 151/2015, era stata ravvisata nell’installazione, senza stipulazione di un accordo sindacale, di un sistema mediante il quale il responsabile dell’ufficio poteva verificare in tempo reale le operazioni eseguite allo sportello dagli addetti. La vigilanza era possibile di momento in momento, poiché l’acquisizione delle informazioni era rimessa alla mera scelta del superiore gerarchico e alla sua discrezione. In effetti, è significativo il problema del carattere intenzionale e strutturale (e non accidentale o episodico) dei controlli costanti. Per la pronuncia, per un simile impianto sarebbe stata comunque necessaria l’autorizzazione, poiché esso aveva obbiettivi produttivi e avrebbe consentito la verifica a distanza, come effetto collaterale, va da sé nel previgente contesto normativo. Tale affermazione è convincente ed è coerente con il piano tenore letterale del vecchio art. 4, comma 2, Stat. lav.; in sostanza, «le garanzie procedurali imposte per l’installazione di impianti richiesti da esigenze organizzative, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza, trovano applicazione anche a quelli cosiddetti difensivi, diretti ad accertare comportamenti illeciti, quando riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni e non la tutela dei beni estranei al rapporto» [38].
Anzi, “qualora l’attività sia svolta in costante collegamento con un centro elettronico (...) aziendale programmato in modo da rendere possibile la registrazione, in riferimento a ciascun lavoratore, dell’orario di inizio e fine della prestazione, di eventuali pause o tempi morti, della quantità delle operazioni svolte e dei dati trattati, nonché di eventuali errori e del tempo impiegato per lo svolgimento delle singole operazioni, esistono sia l’illecito previsto nel comma 1 dell’art. 4, sia quello regolato nel comma 2, ancora una volta con riferimento al vecchio testo [39].
L’ultima decisione lascia un dubbio, a dire il vero irrilevante per la soluzione del caso di specie e, cioè, se la motivazione volesse intendere che, se anche fosse stato stipulato l’accordo dell’art. 4, comma 2, Stat. lav., il particolare meccanismo non sarebbe stato comunque legittimo. Se non aveva grande importanza nel quadro della pronuncia, il punto assume rilievo ai fini dell’interpretazione del nuovo art. 4, comma 2, Stat. lav., perché, funzionale alla produzione, il bene è ora utilizzabile senza autorizzazione, dopo la riforma. Ci si può chiedere se esistano vincoli ulteriori e, per esempio, quale sia la sorte di controlli per così dire in diretta, con cui il superiore veda di secondo in secondo come proceda l’attività del sottoposto e abbia una rappresentazione costante dei suoi comportamenti. Sebbene in un altro quadro regolativo, il tema è stato messo in luce con precisione dalla citata pronuncia, la quale, in via incidentale, ha commento come da tale vigilanza derivassero conseguenze oppressive e inutili sullo stato di animo del lavoratore, costretto a confrontarsi con una visione telematica continuativa delle sue condotte solutorie, perché, di attimo in attimo, il responsabile dell’ufficio era in grado di stabilire se il sottoposto stesse lavorando, digitasse sui tasti, fosse in pausa, stesse riflettendo o altro.
Non solo simili modalità di riscontro sull’adempimento sono molto pesanti e intrusive per il benessere del dipendente e per la tranquilla esecuzione della prestazione, ma sono analoghe a quelle indicate in via diretta dal legislatore del 1970, nell’impostazione originaria del divieto. Seppure con l’uso delle risorse informatiche, si ricreano condizioni paragonabili a quelle derivanti dal ricorso alle telecamere, con una sorta di eterna rappresentazione della condizione del lavoratore, nella sottoposizione alla perenne osservazione altrui. Se ciò potenzia a dismisura l’impatto dell’esercizio del potere di controllo, queste conseguenze sono, per un verso, superflue per il perseguimento dell’efficienza (poiché non vi è bisogno di una eterna vigilanza in ogni istante) e, per altro verso, di notevole rilievo psicologico. Chiunque sarebbe in uno stato di disagio se, in qualunque frangente, sentisse la possibile analisi altrui, oltre tutto in una logica ispettiva e di verifica “in diretta” dell’adempimento, dei suoi ritmi e delle sue forme.
Ci si può domandare se il tema non debba essere ripreso nell’analisi del nuovo art. 4 Stat. lav., perché, fermo il carattere superfluo dell’autorizzazione qualora il controllo abbia luogo con mezzi di produzione, ci si deve chiedere se non vi siano limiti insiti nei criteri della verifica e nelle sue modalità; se non altro, questo profilo non ostacola il progresso tecnico e ritorna alla questione di fondo dell’art. 4 Stat. lav. Più del controllo “a distanza”, l’idea originaria del divieto dei mezzi audiovisivi voleva impedire un riscontro continuativo, se così si intende quanto si può ottenere con le riprese televisive e, cioè, una visione dell’intera vita in azienda, di minuto in minuto. L’ultima decisione ha sottolineato un concetto cruciale per la comprensione dell’art. 4 Stat. lav.; le verifiche non devono essere solo sul risultato, ma anche sul percorso della sua realizzazione, in sintonia con la natura subordinata del rapporto, ma è diversa e pericolosa per il benessere del prestatore di opere una costante osservazione, soprattutto se messa in opera senza che il dipendente ne sia avveduto, così che, in ogni frangente, il suo comportamento possa essere esaminato senza che se ne accorga, con una insicurezza ostile alla protezione della persona.
Anche in azienda e in un ambiente altrui, ciascuno deve avere la serenità di vita protetta dall’art. 4 Stat. lav., non perché sfuggano o debbano essere ignorate condotte illecite (il cui riscontro deve essere possibile e facilitato), ma perché, nella vita professionale dei milioni di lavoratori onesti, è impossibile pretendere e dare una ragionevole produzione senza quei momenti limitati di pausa e di distrazione che fanno parte della vita di ognuno di noi, a qualunque livello di impegno, di competenze professionali e di diligenza. Se la recente decisione ripropone questo tema, resta da stabilire quale sia una plausibile soluzione sulla base del testo oggi vigente dell’art. 4 Stat. lav.
5. Il funzionamento degli “strumenti utilizzati” per “rendere la prestazione” e il divieto di un controllo costante, occulto e “in diretta” dell’adempimento del prestatore di opere
Nel suo impianto originario, vietando gli apparecchi audiovisivi, l’art. 4 Stat. lav. voleva un controllo saltuario e conoscibile dal prestatore di opere, consapevole di essere sottoposto all’osservazione altrui [40]; il problema rimane centrale anche nel mutato contesto normativo, che non ha cambiato l’obbiettivo ultimo della disposizione. Essa vuole la “umanizzazione” della vigilanza, proprio nel senso letterale dell’espressione (e non solo in quello abituale) e, cioè, costringere chi effettui la verifica ad adattarsi a ritmi e soluzioni tali da riprodurre entro certi limiti le caratteristiche del contatto umano e a evitare o contenere gli eccessi indotti dalle risorse tecniche. La precisione delle notizie ricavate da flussi telematici conduce spesso alla cosiddetta “disumanizzazione” del lavoro, imponendo una esasperata produttività e la competizione fra colleghi, con organizzazioni più vicine al “cottimo” (in senso atecnico) che caratterizzate da una misurata e ragionevole ricerca dell’efficienza. Le novità prescrittive riconoscono come il nesso fra produzione e controllo sia ineliminabile nella società degli ultimi anni, ma non deve andare dispersa la difesa del carattere “umano” [41] della prestazione e delle modalità di riscontro.
Resta un divieto di indagini imprevedibili e senza percezione della verifica da parte del dipendente, quindi con una osservazione imperscrutabile e incombente, nonostante si sia detto che «il controllo effettuato “a distanza” con la consapevolezza del lavoratore non cessa di essere disumano e vessatorio, giacché sempre sono violate la dignità e la libertà del sorvegliato e ne consegue l’applicabilità dell’art. 4 St. lav.» [42]. Tale visione più rigorosa può essere sottoposta a revisione critica, perché, almeno, in simili situazioni, in particolare con l’uso di apparati di produzione e di vigilanza, se il prestatore di opere sa di essere esposto allo studio altrui, si ricreano condizioni paragonabili a quelle di un riscontro fra uomini avvertiti della presenza reciproca e si rende meno esasperata e incombente la tensione verso l’efficienza e il miglioramento dell’organizzazione [43].
Alcuni anni fa avevo scritto che «la tesi dell’illegittimità delle verifiche esperite con l’elaboratore sopravvaluta l’elemento della ‘meccanizzazione’, dimenticando come l’indagine si rivolga alla sola dimensione professionale, con macchine inserite nella funzione produttiva, di cui l’osservazione è esito complementare e derivato» [44], e il nuovo art. 4, comma 2, Stat. lav. supera dubbi contraddetti dalla tensione verso il cambiamento tecnico. Avevo aggiunto, «sarebbe contraria all’art. 4 Stat. lav. l’utilizzazione delle tecnologie per verifiche improvvise e imprevedibili, “a distanza” perché tali da colpire, a sua insaputa, il dipendente, costretto a subire reali lesioni della sua serenità, per l’esposizione continua ad analisi repentine, non percepibili. Ne deriverebbe una soggezione costante a indagini ignote nella loro esplicazione, capaci di rivolgersi a un lavoratore ignaro e timoroso di continue contestazioni» [45]. Tale forma di protezione resta attuale, perché non è insito nell’accettazione del nesso fra produzione e controllo il fatto che questo ultimo debba avere luogo di istante in istante e, anzi, tale aspetto non è stato preso in considerazione dal legislatore del 2015, in quanto restano in vigore i principi precedenti, con le indicazioni della recente giurisprudenza di legittimità, meritevole di considerazione.
Il riscontro automatico, in specie se collegato alla produzione, non determina un aggiuntivo disvalore sociale, poiché, anche in assenza di un contatto fisico, può avere luogo in modo leale, al limite con la garanzia al prestatore di opere della possibilità di replica. Persino in ambiente informatico, si possono creare le condizioni di un confronto aperto. L’art. 4 Stat. lav. invoca il contatto, seppure non fisico, con una diversa curvatura del concetto di luogo di lavoro [46], come dimostra la possibilità di dialogo o di sorveglianza di persone tramite apparati di localizzazione della loro posizione e delle loro attività. Nonostante la separazione fisica, è sempre più facile esplicare il potere direttivo, quello di controllo e quello disciplinare, secondo canoni simili a quelli possibili nella coabitazione in azienda [47]. Però, proprio per questa ragione, la vigilanza non può essere continuativa e occulta al tempo stesso, cioè compiuta in modo equiesteso all’attività senza che il prestatore di opere ne sia consapevole. Se l’art. 4, comma 2, Stat. lav. riduce lo spazio dell’autorizzazione, e fa bene, non incide sulle modalità di uso degli strumenti, i quali devono permettere verifiche selettive e la cui esecuzione sia percepibile. Con queste avvertenze, la riforma del 2015 non incide in modo esasperato sulla posizione del prestatore di opere [48], anche perché, già venti anni fa, si mise in luce come «la circolazione delle informazioni in ambito aziendale su qualsiasi argomento avvenga attraverso i personal computer e i terminali di cui sono dotati i dipendenti, compresi quelli che svolgono attività lavorativa in parte fuori dalle sedi aziendali» [49].
Questa diffusione non è contrastabile in modo realistico e il legislatore del 2015 ha riconosciuto che i fenomeni di controllo e di congiunta produzione fanno parte del nostro vivere collettivo [50], al punto da rendere antistorica una autorizzazione, la quale sarebbe un relitto di un passato nemmeno troppo vicino nel tempo. Se mai, il problema non è l’esistenza degli apparati, ma il loro uso, il quale non può essere portato fino alla costante osservazione, oltre il limite dell’intrusione accettabile in quella sfera di protezione della persona cui chiunque ha diritto [51], anche nell’ambiente produttivo più dinamico e frenetico, e senza che si voglia nulla togliere alla ricerca dell’efficienza.
NOTE
[1] V. R. DEL PUNTA, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro (art. 28 del decreto legislativo n. 151 del 2015), in Riv. it. dir. lav., 2016, I, 99 ss.; M.T. CARINCI, Il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori dopo il job acts (art. 23 del decreto legislativo n. 151 del 2015): spunti per un dibattito, in Labour Law Issues, n. 1, 2016, 3 ss.
[2] V. F. CARINCI, Rivoluzione tecnologica e diritto del lavoro: il rapporto individuale, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1985, 224 ss.
[3] V. B. VENEZIANI, L’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300: Una norma da riformare?, in Riv. giur. lav., 1991, I, 84 ss.
[4] V. G. GHEZZI-F. LISO, Computer e controllo dei lavoratori, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1986, 354 ss.; P. ZANELLI, Innovazione tecnologica e controllo sui lavoratori, in Dir. inf., 1985 296 ss.; A. ROSSI, Softwaree controllo a distanza sul lavoro, in Foro it., 1985, II, 287 ss.
[5] V. A. BELLAVISTA, Il controllo sui lavoratori, Giappichelli, Torino, 1995, 150 ss.
[6] V. R. DEL PUNTA, op. cit., 100 ss.
[7] V. M. DELL’OLIO, Art. 4 St. lav. ed elaboratori elettronici, in Dir. lav., 1986, I, 487 ss.
[8] V. G. SANTORO PASSARELLI, Osservazioni in tema di artt. 3 e 4 St. lav., in Dir. lav., 1986, I, 490 ss.
[9] V. G. FONTANA, Statuto e vigilanza sull’attività lavorativa, in Riv. dir. civ., 1985, I, 192 ss.
[10] V. F. CARINCI, op. cit., 224 ss.
[11] Peraltro, «l’installazione di un sistema automatico di rilevazione delle presenze del personale non contrasta con il divieto di cui all’art. 4 St. lav., sia perché il controllo si esaurisce nel momento in cui il lavoratore, consapevole, si presta ad essere controllato, sia perché la registrazione di taluni dati (presenze, assenze, ritardi, pause, sospensioni) è imposta dalla legge ai fini della compilazione delle buste paga e degli adempimenti previdenziali» (v. Trib. Milano, 29 settembre 1990, in Giur. it. Rep., 1990). Anzi, «il divieto dell’art. 4 St. lav. postula l’uso di una apparecchiatura esterna che operi in via automatica, senza l’intervento del lavoratore che si suppone controllato (nella specie, è stata ritenuta lecita l’installazione di un sistema di rilevazione di presenze, perché, tale sistema, da un lato riguarda dati del tutto estrinseci rispetto alla prestazione lavorativa, dall’altro, è attivato, di volta in volta, da ciascun dipendente mediante l’inserimento di un tesserino magnetico)» (v. Pret. Napoli, 15 marzo 1990, in Giur. it. Rep., 1990). In sostanza, «il divieto del controllo a distanza dell’attività dei lavoratori dell’art. 4 St. lav. è inapplicabile ad un sistema elettronico di rilevazione delle presenze del personale in azienda, essenziale ai fini del pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali; del pari, è inapplicabile il divieto di cui all’art. 8 statuto, ove non risultino provate le indagini da esso vietate» (v. Pret. Milano, 12 luglio 1988, in Giur. it. Rep., 1988).
[12] In modo persuasivo, sulla riduzione della cosiddetta procedimentalizzazione dei poteri del datore di lavoro, v. M. MARAZZA, Dei poteri (del datore di lavoro), dei controllo (a distanza) e del trattamento dei dati (del lavoratore), in CSDLE “Massimo D’Antona”, n. 300, 2016, 15 ss.
[13] V. M.T. CARINCI, op. cit., 7 ss.
[14] V. A. SITZIA, Il controllo (del datore di lavoro) sull’attività dei lavoratori: il nuovo articolo 4 St. lav. e il consenso (del lavoratore), in Labour Law Issues, n. 1, 2016, 5 ss.
[15] V. I ALVINO, I nuovi limiti al controllo a distanza dell’attività dei lavoratori nell’intersezione fra le regole dello Statuto dei lavoratori e quelle del Codice della privacy, in Labour Law Issues, n. 1, 2016, 5 ss.
[16] V. R. DEL PUNTA, op. cit., 100 ss.
[17] V. R. DEL PUNTA, op. cit., 100 ss.
[18] V. R. DEL PUNTA, op. cit., 100 ss.
[19] V. R. DEL PUNTA, op. cit., 100 ss.
[20] Cfr. M. PERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, Cedam, Padova, 1966, 35 ss.; sul nesso fra l’organizzazione aziendale e le obbligazioni del prestatore di opere, v. L. MENGONI, Il contratto di lavoro nel diritto italiano, in AA.VV., Il contratto di lavoro nel diritto dei Paesi membri della Ceca, Lussemburgo, 1965, 498 ss.
[21] V. M. MARAZZA, Saggio sull’organizzazione del lavoro, Cedam, Padova, 2002, 145 ss., per cui «qualsiasi contesto nel quale è resa la prestazione di lavoro subordinato presuppone (...) che vi sia un soggetto, il datore di lavoro, che tramite una attività organizza beni e rapporti giuridici. Ciò avviene anche quando l’unico rapporto giuridico sia quello che intercorre con il prestatore di lavoro, ed i beni abbiano una minima consistenza».
[22] Sull’impossibilità di configurare l’organizzazione quale elemento del contratto di lavoro subordinato, v. M. GRANDI, Rapporto di lavoro, in Enc. dir., XXV, 330 ss., per cui il rapporto di lavoro non presuppone «la sua “inerenza” all’organizzazione tecnica d’impresa (...), né ad altro contesto organizzativo specifico». V. anche R. PESSI, Contributo allo studio della fattispecie lavoro subordinato, Giuffrè, Milano, 1989, 44 ss. Sul nesso fra contratto di lavoro e organizzazione, v. F. LISO, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Giuffrè, Milano, 1982, 53 ss.
[23] Cfr. M. PERSIANI, op. cit., 17 ss.; da ultimo, v. M. MARAZZA, Saggio sull’organizzazione del lavoro, cit., 154 ss., per cui «l’assoggettamento al potere direttivo (...) starà proprio ad indicare come da quell’inserimento» nell’organizzazione «il lavoratore diverrà, per mezzo delle energie lavorative, elemento a sua volta organizzato. Ciò che ne scaturisce è l’organizzazione del lavoro, e, cioè, l’adesione del lavoratore al programma che il datore di lavoro intende realizzare con l’attività che pone in essere».
[24] V. R. DEL PUNTA, op. cit., 100 ss.
[25] V. R. DEL PUNTA, op. cit., 100 ss.
[26] V. V. MAIO, La nuova disciplina dei controlli a distanza sull’attività dei lavoratori e la modernità post panottica, in Riv. it. dir. lav., 2015, I, 1195 ss.