Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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L'obbligo di repêchage tra riforme della disciplina dei licenziamenti e recenti pronunce di legittimità (di Marco Ferraresi (Ricercatore di diritto del lavoro dell’Università di Pavia))


Il contributo contestualizza l’origine dell’obbligo di repêchage nel dibattito sul giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Ne verifica il fondamento normativo ed esamina gli orientamenti della Cassazione relativi, in particolare, all’onere della prova. Riconsidera fondamento ed ampiezza dell’obbligo alla luce delle recenti riforme della disciplina dei licenziamenti.

The obligation of repêchage between reforms of the discipline of the dismissals e recent decisions of the Court of legitimacy

The article contextualizes the origin of the obligation of repêchage in the debate about the dismissals based on objective grounds. It verifies its legal foundation and examines the orientations of the Court of Cassation, particularly related to the burden of proof. It reconsiders the foundation and the breadth of the obligation in the light of the recent reforms of the discipline of the dismissals.

1. L’assetto del g.m.o. di licenziamento a cinquant’anni dalla legge n. 604/1966 A cinquant’anni dalla legge 15 luglio 1966, n. 604 [1], nell’interpretazione delle «ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa» la riflessione dottrinale segna alcuni punti fermi generalmente (seppure non unanimemente) condivisi ed altri, la più parte, tuttora controversi. E ciò a causa dei margini di opinabilità nel bilanciamento dei principi costituzionali coinvolti, dell’ampiezza della formulazione legislativa della nozione di motivo oggettivo di recesso, del non sempre agevole raccordo con dati normativi consimili (come le ragioni ex art. 24, legge 23 luglio 1991, n. 223) e di altri mutevoli dati di sistema. Gli esiti perlopiù acquisiti nel dibattito comunque attengono essenzialmente: i) alla natura di norma generale [2], e non di clausola generale [3], della disposizione di cui all’art. 3, seconda parte, legge n. 604/1966, contenente quello che prima la dottrina [4] e poi il legislatore [5] hanno denominato “giustificato motivo oggettivo” di licenziamento (d’ora in poi, “g.m.o.”); ii) alla individuazione di un contenuto precettivo minimale del g.m.o. costituzionalmente imposto, ed essenzialmente consistente nel vincolo di giustificazione del recesso e nel­l’inclusione della cessazione totale dell’attività d’impresa tra le ipotesi di giustificato motivo; iii) alla determinazione di alcuni elementi strutturali essenziali della fattispecie, ovvero la sussistenza di una ragione, a base del recesso, non (esclusivamente [6]) illecita, non discriminatoria [7], non disciplinare [8]; la soppressione delle mansioni del lavoratore licenziato (con l’eccezione dei casi di g.m.o. relativi ad aspetti soggettivi del prestatore, ma oggettivamente considerati); l’esistenza di una correlazione (dai più detta “nesso causale”) tra la ragione addotta e il rapporto da risolvere [9]. Più numerosi sono i profili su cui ad oggi le opinioni della dottrina restano in varia misura differenziate. Essi attengono: i) alla sussistenza di direttive che incidono sull’interpretazione dell’art. 3, legge n. 604/1966, ricavabili dalla Co­stituzione o da norme sovranazionali, ulteriori a quelle dette (controvertendosi ad es. se il sistema concepisca il licenziamento quale extrema ratio); ii) alla natura (di presupposto esterno di legittimità [10], di causa in senso tecnico [11] o di motivo, pure in senso tecnico [12]) del limite che il g.m.o. frappone al potere datoriale di recesso; iii) alla individuazione di elementi strutturanti il g.m.o., ulteriori a quelli menzionati. Sotto tale ultimo profilo, vi [continua..]

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