Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo leggi articolo leggi fascicolo


Gli strumenti giuslavoristici di contrasto allo sfruttamento del lavoro in agricoltura nella legge n. 199/2016: ancora timide risposte a un fenomeno molto più complesso (di Madia D’Onghia (Prof. Ordinario di Diritto del lavoro dell’Università di Foggia) Claudio de Martino (Dottore di ricerca in Diritto del lavoro all’Università di Bari “A. Moro”)  )


Il presente contributo è frutto della comune riflessione degli autori; tuttavia, ai soli fini della formale attribuzione della responsabilità delle singole parti, occorre precisare che a Madia D’Onghia si deve la redazione dei §§ 1, 2, 6 e 7; a Claudio de Martino i §§ 3, 4 e 5; a entrambi il § 8.

Il saggio analizza, con gli occhiali del giurista del lavoro, gli aspetti promozionali della legge n. 199/2016 di contrasto allo sfruttamento del lavoro in agricoltura, al fine di evidenziarne, a più di un anno dalla sua entrata in vigore, limiti e potenzialità. L’obiettivo è anche quello di suggerire possibili strumenti di tutela, politiche economiche e sociali in grado di intervenire più efficacemente soprattutto sulle cause strutturali dello sfruttamento e della vulnerabilità dei braccianti agricoli.

The tools of labor law to combat the exploitation of labor in agriculture in the law n. 199/2016: still shy responses to a much more complex phenomenon

The essay analyzes, with the glasses of the labor jurist, the promotional aspects of the law n. 199 of 2016 to combat the exploitation of labor in agriculture, in order to highlight its limits and potential, more than a year after its entry into force. The objective is also to suggest possible instruments of protection, economic and social policies able to intervene more effectively above all on the structural causes of exploitation and vulnerability of agricultural workers.

SOMMARIO:

1. Delimitazione del campo d'indagine - 2. I tratti peculiari del lavoro in agricoltura e il fenomeno del caporalato - 3. Una breve ricostruzione del quadro normativo prima della l. n. 199/2016 in tema di prevenzione e repressione dello sfruttamento del lavoro - 4. La promozione della legalità e del lavoro regolare con il rafforzamento della Rete del lavoro agricolo di qualità - 5. La promozione di interventi a supporto dei lavoratori agricoli stagionali e di forme speciali di collocamento a livello territoriale - 6. L'incidenza di alcune semplificazioni amministrative sul sistema previdenziale agricolo e sul sistema ispettivo - 7. L'interpretazione autentica della disciplina sul riallineamento retributivo a fini meramente deflattivi di un risalente contenzioso - 8. A più di un anno dall’entrata in vigore della l. n. 199/2016, ancora troppi proclami e pochi risultati. Quali prospettive? - NOTE


1. Delimitazione del campo d'indagine

La legge 29 ottobre 2016, n. 199, in vigore dal 4 novembre 2016, ha modificato in maniera significativa il reato di «intermediazione illecita e sfruttamento» (c.d. caporalato), punito all’art. 603-bis c.p., già introdotto nel 2011, ma in una versione che aveva destato numerose critiche basate su una previsione di inefficienza, poi rivelatasi fondata [1]. La voluntas legis nel 2016 si rivolge a tutte le attività lavorative (qualunque sia il datore di lavoro, senza distinzione di dimensioni, di natura giuridica o di settore produttivo) con un intervento ad ampio raggio che spazia dal diritto penale al diritto processuale, fino alla responsabilità degli enti [2]. Ma non c’è dubbio che lo sguardo del legislatore, nonostante l’applicazione normativa generale, si sia posato specificamente, anche alla luce di drammatici fatti di cronaca [3], sulle peculiarità del lavoro agricolo, dove, da sempre, in misura massiccia, si registra lavoro irregolare con ricorso a manodopera sottopagata, priva di condizioni di lavoro dignitose, spesso di provenienza extracomunitaria. Non a caso la legge è intitolata «Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo». Ebbene, il presente contributo, partendo proprio da una sintetica analisi delle specificità del lavoro agricolo e del fenomeno del caporalato, intende analizzare i contenuti strettamente giuslavoristici [4], di tipo promozionale e preventivo, della legge n. 199/2016 (dettati dagli artt. 8, 9 e 10), per evidenziarne limiti e potenzialità, per poi suggerire, in sede conclusiva, possibili strumenti di tutela e politiche economiche e sociali alternative che siano in grado più efficacemente di intervenire soprattutto sulle cause strutturali dello sfruttamento e della vulnerabilità dei braccianti agricoli.


2. I tratti peculiari del lavoro in agricoltura e il fenomeno del caporalato

Nel nostro paese, come è noto, l’agricoltura svolge una parte relativamente piccola in termini di reddito e di occupazione, analogamente agli altri paesi europei, in quanto lo sviluppo economico risulta caratterizzato da rilevanti e continui cambiamenti nei rapporti tra settori produttivi e tra fattori nella produzione, cambiamenti che si muovono tutti nella stessa direzione: il declino dell’agricoltura nei sistemi economici nazionali con i conseguenti riflessi negativi anche in termini di occupazione [5]. Secondo la rilevazione delle forze di lavoro, riferita al 2015, complessivamente gli occupati in agricoltura sono 843.000, pari a solo il 3,8% sull’occupazione totale [6]. Del resto il settore agricolo continua a esercitare la funzione di serbatoio di forza lavoro, che viene ceduta agli altri settori o per la scarsa redditività dell’attività agricola o perché la domanda di lavoro dei settori extra-agricoli è maggiormente attrattiva per le fasce di età più giovani e più istruite. A ciò si aggiunga il fisiologico ritiro delle fasce di età più avanzate, senza che si realizzi un ricambio generazionale. Il mercato del lavoro in agricoltura, pur lungo questo trend depressivo, ha subìto nel tempo diversi cambiamenti favoriti, da un lato, dai mutamenti del mercato del lavoro in generale, dall’altro, dall’affermarsi di nuove forme di attività agricole multifunzionali, dal rafforzarsi del rapporto tra agricoltura e territorio e dall’evoluzione della filiera agroalimentare [7]. In questo contesto, l’occupazione agricola si è sempre contraddistinta per la prevalenza di rapporti di lavoro instabili e di breve durata, oltre che per una accentuata stagionalità; spesso le imprese necessitano di variare il fattore lavoro in base al livello di produzione o proprio in base alla stagionalità delle colture, per cui ciclicamente va integrato l’organico aziendale in relazione alle esigenze che di volta in volta si determinano. Tutto questo fa sì che il settore agricolo si caratterizzi per una “naturale” discontinuità delle prestazioni lavorative che, se, da un lato, giustifica la disciplina di favore, ad esempio, in tema di prestazioni previdenziali (come si dirà meglio più innanzi), dall’altro, contribuisce a determinare una situazione di [continua ..]


3. Una breve ricostruzione del quadro normativo prima della l. n. 199/2016 in tema di prevenzione e repressione dello sfruttamento del lavoro

I numerosi episodi di cronaca che vedono ancor oggi moltiplicarsi gli episodi di grave sfruttamento lavorativo, cui si aggiunge la denuncia (specie con riguardo ai migranti) di situazioni alloggiative particolarmente degradanti, dimostrano che gli interventi normativi precedenti alla l. n. 199/2016 si sono rivelati complessivamente inidonei a prevenire e sanzionare i fenomeni di sfruttamento sul lavoro, in special modo in agricoltura [24]. In effetti, il perdurare del grave fenomeno del caporalato nel corso degli ultimi anni ha ripetutamente sollecitato il legislatore ad adottare misure di contrasto su diversi piani, senza però riuscire a debellare un fenomeno che – come già osservato – è diventato ormai strutturale in numerose aree del Paese. Come noto, il divieto di svolgere in qualsiasi modo attività destinate al collocamento dei lavoratori nel mondo del lavoro, in quanto considerata funzione pubblica di cui lo Stato dovesse detenere il monopolio, trova le proprie origini nell’art. 27, l. n. 264/1949, che puniva le violazioni con un’ammenda e con il sequestro del mezzo di trasporto utilizzato al fine dell’attività illecita, ed è stato, poi, ribadito dagli artt. 1 e 2, l. n. 1369/1960. La portata del divieto in entrambe le normative era generale, in quanto ineriva non solo la vera e propria attività di mediazione, prodromica alla costituzione del rapporto di lavoro, ma anche le attività che si ponevano cronologicamente in un momento successivo, costituite da qualsiasi forma di esternalizzazione della manodopera (indicate nel testo legislativo come “interposizione” o “intermediazione”) [25]. Siffatto divieto venne formalmente abolito solo a seguito della c.d. riforma Biagi – e ciò anche in seguito al monito della Corte di Giustizia nel caso “Job Centre” [26] che, l’11 dicembre 1997, ha dichiarato la contrarietà del sistema di monopolio pubblico del collocamento ai principi dell’ordinamento comunitario – allorquando il d.lgs. n. 276/2003 riformulò gli strumenti lavoristici di contrasto al fenomeno, che sono stati scomputati nelle diverse ipotesi – che si elencano a seconda del grado di antigiuridicità della condotta – nella somministrazione irregolare (art. 27), nella somministrazione e utilizzazione abusiva (art. 18, commi 1 e 2) e nella [continua ..]


4. La promozione della legalità e del lavoro regolare con il rafforzamento della Rete del lavoro agricolo di qualità

L’istituzione della Rete del lavoro agricolo di qualità si propone di improntare la domanda di prodotti agricoli all’eticità dei metodi produttivi attraverso la pubblicazione, a cura dell’Inps, di un elenco delle imprese agricole che aderiscono alla Rete, così da incentivare i datori di lavoro a comportamenti virtuosi e rispondere, al contempo, alle critiche sullo scarso rispetto dei diritti umani degli operai agricoli che lavorano in Italia, provenienti anche da altri Paesi europei [38]. L’iscrizione è riservata, per espressa previsione legislativa, alle “imprese agricole” cui all’art. 2135 c.c., con esclusione, quindi, di quelle imprese (commerciali) che, pur curando direttamente la fase della raccolta (avendo acquistato il prodotto “alla pianta”), non rientrano nella nozione civilistica che, invece, implica la cura e lo sviluppo «di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso». Al 16 dicembre 2016 (ultimi dati disponibili sul sito web dedicato [39]) erano appena 2.170 le aziende agricole iscritte alla Rete: è evidente che si tratta, quindi, ancora di un numero molto ridotto rispetto sia al potenziale dei destinatari, sia alla rilevanza dell’incentivo normativo all’iscrizione. Sin dalla sua nascita, le obiezioni sollevate [40] si sono incentrate proprio sul meccanismo incentivante dell’iscrizione alla Rete del lavoro agricolo di qualità, in quanto la norma istitutiva [41] (non modificata sul punto nel 2016) prevede che – fatta eccezione per le richieste di intervento proveniente dal lavoratore, dalle organizzazioni sindacali, dall’autorità giudiziaria o da autorità amministrative e gli ordinari controlli in materia di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro – le ispezioni dovranno concentrarsi prioritariamente sulle imprese non iscritte alla Rete. Come accennato, la l. n. 199/2016 non interviene su questo incentivo normativo, mentre l’accesso alla Rete ha finito per assolvere ad una funzione piuttosto rilevante sia per il richiamo al requisito dell’iscrizione contenuto in normative incentivanti regionali [42], sia soprattutto poiché alcune note imprese della grande distribuzione organizzata hanno deciso – al fine di marcare pubblicamente il proprio impegno “etico” – di avvalersi [continua ..]


5. La promozione di interventi a supporto dei lavoratori agricoli stagionali e di forme speciali di collocamento a livello territoriale

Il caporalato, come noto, assolve anche a due rilevanti funzioni pratiche: intermediazione tra domanda e offerta di lavoro e trasporto del personale nei luoghi di lavoro. Al fine di svuotare le prerogative dei caporali ed offrire ai datori di lavoro modalità alternative altrettanto efficienti, ma rispettose della legalità e dei diritti, la l. n. 199/2016 (art. 9) offre la possibilità ai vettori autorizzati al trasporto di persone di stipulare convenzioni con la Rete del lavoro agricolo di qualità. In particolare, la l. n. 199/2016 introduce un nuovo comma 7-bis all’art. 6, d.l. n. 91/2014, il quale conferisce agli Enti Locali la possibilità di stabilire che la convenzione con la Rete sia condizione per l’accesso ai contributi istituiti per il trasporto dei lavoratori agricoli, rimettendo – di fatto – agli stessi Enti Locali tale scelta, che però deve tener conto di quanto previsto dai contratti collettivi (in particolare dai contratti provinciali) che, in agricoltura, si occupano sovente della quantificazione dei rimborsi per il trasporto e della ripartizione del relativo costo tra imprese e lavoratori [62]. La norma chiarisce anche che la violazione delle convenzioni stipulate con la Rete comporta la risoluzione delle medesime e la decadenza dagli eventuali contributi che gli Enti Locali dovessero stabilire in favore delle imprese di trasporto [63]. L’art. 9, l. n. 199/2016 ordina, poi, al fine di migliorare le condizioni di svolgimento dell’attività lavorativa stagionale di raccolta dei prodotti agricoli, la predisposizione di un piano di interventi che preveda misure per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori, nonché idonee forme di collaborazione con le sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità, anche ai fini della realizzazione di modalità sperimentali di collocamento agricolo modulate a livello territoriale. Tale piano avrebbe dovuto essere predisposto congiuntamente dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e dal Ministero dell’interno e venire emanato entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della nuova legge, previa intesa in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni. Il termine di cui sopra è ampiamente scaduto e l’attuazione del piano di interventi – che secondo l’art. 9 [continua ..]


6. L'incidenza di alcune semplificazioni amministrative sul sistema previdenziale agricolo e sul sistema ispettivo

La legge del 2016 presenta un’altra novità giuslavoristica – passata abbastanza in sordina ma che invece potrebbe contribuire in misura significativa alla promozione della legalità – disposta dall’art. 8, co. 8, in riferimento a un profilo apparentemente di carattere solo procedurale. Si prevede, da gennaio 2018 (da, ultimo, prorogato al 1° gennaio 2019 [76]), l’entrata in vigore, anche per l’agricoltura, del modello Uniemens, già adottato in generale per gli altri settori produttivi [77], con obbligo di comunicare mensilmente all’Inps le giornate lavorate dai lavoratori dipendenti [78]. Questo sistema rappresenta una semplificazione degli oneri amministrativi ma soprattutto una procedura più efficiente di accertamento contributivo e di erogazione delle prestazioni previdenziali. La ratio ad esso sottesa è, dunque, quella di agevolare controlli più precisi e tempestivi [79]: la comunicazione mensile delle giornate lavorate può rappresentare uno strumento efficace per accertare eventuali irregolarità ed elusioni, oltre che per contrastare caporalato e lavoro nero. Con essa si potranno fornire all’Inps informazioni sui rapporti di lavoro in essere più aggiornate e tempestive di quelle comunicate attraverso il precedente sistema “Dmag”, con cui le giornate lavorate in agricoltura venivano comunicate all’Inps nel mese successivo al trimestre di riferimento (ad es. le giornate lavorate a gennaio 2017 vanno comunicate entro l’aprile successivo). Restano comunque delle specificità, in quanto il sistema mensile deve essere adattato al settore agricolo, attraverso il mantenimento della tariffazione dei contributi da pagare da parte dell’Inps (a differenza che negli altri settori, in cui i datori di lavoro auto-liquidano il quantum da corrispondere) e delle attuali scadenze di pagamento trimestrali differite di 6 mesi (negli altri settori invece si paga nel mese successivo a quello di riferimento). In altri termini, la novella comporta un adattamento del sistema Uniemens al settore agricolo, tale da non modificare la procedura degli elenchi annuali e di variazione trimestrale dei lavoratori agricoli (che notificati al lavoratore, consentono allo stesso di fruire dei trattamenti previdenziali) e i termini di pagamento dei contributi agricoli (che rimane su base trimestrale). [continua ..]


7. L'interpretazione autentica della disciplina sul riallineamento retributivo a fini meramente deflattivi di un risalente contenzioso

Un’altra novità della l. n. 199/2016 (art. 10), solo a prima vista di rilievo, attiene alla materia dei contratti di riallineamento retributivo. Come noto, i contratti di riallineamento (o di gradualità) hanno rappresentato il primo intervento adottato in Italia per fronteggiare il lavoro sommerso. Tali contratti, regolati originariamente dalla l. n. 608/1996, sono stati uno strumento di origine sindacale-contrattuale volto, da un lato, a favorire l’emersione, ossia la regolarizzazione del lavoro sommerso, dall’altro, a consentire l’adeguamento di rapporti di lavoro regolari agli standard dei contratti collettivi nazionali, salvaguardando i livelli occupazionali [96]. Il meccanismo era basato su una sanzione di tipo promozionale volta a incentivare e stimolare, attraverso la concessione di un beneficio, la condotta del datore di lavoro, in modo da orientarla nella direzione indicata dal legislatore, ossia l’osservanza dei contratti collettivi e della disciplina legale del rapporto di lavoro, compresa la normativa previdenziale. L’elemento cardine della disciplina legislativa dei contratti di riallineamento era rappresentato dal contratto collettivo provinciale al quale spettava in via esclusiva la determinazione del programma di graduale riallineamento. Solo a seguito di apposita adesione in sede aziendale, era possibile godere dei benefici contributivi previsti. Attraverso i contratti di riallineamento il datore di lavoro si impegnava ad attuare un programma di graduale riallineamento dei trattamenti retributivi dei propri dipendenti, previsti dai contratti collettivi di lavoro; come contropartita al datore di lavoro erano riconosciuti alcuni benefici, quali la fiscalizzazione degli sgravi contributivi pregressi. Alla base vi era l’idea di favorire la riemersione delle imprese in nero attraverso uno scambio triangolare in cui aziende, sindacati e attori pubblici si impegnavano in un programma comune di graduale fuoriuscita dalla condizione d’illegalità fiscale e giuslavoristica. Tuttavia, ai fini della regolarizzazione retributiva e contributiva, il contratto di riallineamento è risultato efficace solo nei confronti di quelle aziende che presentavano situazioni di semi-irregolarità, consistenti generalmente nel mancato rispetto del contratto collettivo nazionale o nella dichiarazione di un numero di giornate lavorative inferiore a quante [continua ..]


8. A più di un anno dall’entrata in vigore della l. n. 199/2016, ancora troppi proclami e pochi risultati. Quali prospettive?

Nel 2016, nonostante l’andamento non positivo del settore agricolo, le unità di lavoro dipendenti in agricoltura sono cresciute del 2,3% [107], dato che, prima facie, può far pensare ad un “effetto regolarizzazione” dei rapporti di lavoro sommerso, derivante dall’inasprimento delle pene e dal timore delle verifiche ispettive. Ma quanto è effettivamente cambiato il lavoro in agricoltura dopo l’entrata in vigore della l. n. 199/2016? Il quadro è affatto incoraggiante. Recenti rapporti [108] e notizie di cronaca [109] segnalano che la patologia del caporalato continua a essere un fenomeno pervasivo: troppi lavoratori ricorrono ancora al caporale per trovare lavoro, per l’organizzazione della giornata lavorativa e per il trasporto sui luoghi di lavoro. Non stupisce se, in occasione del centenario della tutela obbligatoria del lavoro agricolo (introdotta nell’ordinamento italiano con il d.l. luogotenenziale 23 agosto 1917, n. 1450), si sia osservato come l’agricoltura italiana sia un comparto a due velocità: a una forte spinta verso l’innovazione, resa possibile dalla meccanizzazione dei processi produttivi e dalla digitalizzazione delle procedure di monitoraggio delle filiere, fa, infatti, da contraltare il perdurare di situazioni di irregolarità e sfruttamento dei lavoratori di un settore che resta fra quelli più a rischio anche dal punto di vista infortunistico e che deve anche fare i conti con rischi nuovi ed emergenti [110]. È pur vero che probabilmente poco più di un anno non basta per verificare gli effetti di una riforma così importante, più volte etichettata come legge di ‘civiltà’, soprattutto con riferimento all’introduzione della nozione allargata di “sfruttamento”, ma è sicuramente abbastanza per valutare su quali aspetti la riforma avrebbe potuto incidere e non l’ha fatto. Quello dello sfruttamento del lavoro in agricoltura è, infatti, un tema «multidimensionale» [111], che non è possibile pensare di aggredire unicamente con le sanzioni penali [112], data la sua sistematicità e la sua stretta interrelazione con le distorsioni delle filiere agricole che “strozzano” i piccoli produttori e soprattutto in una logica perennemente emergenziale. Del resto, se la repressione penale [continua ..]


NOTE