Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Il contrasto all'economia informale nel diritto internazionale del lavoro (di Vincenzo Ferrante, Professore ordinario di diritto del lavoro nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano)


Il saggio esamina la produzione normativa OIL in tema di lavoro non dichiarato. L’A., dopo aver esaminato gli aspetti che rendono il tema a suo parere centrale nella legislazione internazionale e aver brevemente preso in esame anche la parallela disciplina dell’Unione europea, conclude analizzando gli effetti che la Raccomandazione OIL n. 204 ha avuto sulla disciplina italiana.

The contrast to the informal economy in the international labour law

The essay examines the ILO regulations on the subject matter of informal economy and undeclared work. The Author, after having examined the aspects that make the topic, in its opinion, central to international law and having briefly also examined the parallel discipline of the European Union, concludes by analyzing the effects that the ILO Recommendation n. 204 has had on the Italian national legislation.

Keywords: undeclared work – informal or shadow economy – ILO instruments

SOMMARIO:

1. La lotta al lavoro non-dichiarato come fattore necessario per assicurare un lavoro dignitoso - 2. La Raccomandazione OIL n. 204 sul passaggio dall'economia informale a quella formale - 3. Le fonti dell'Unione Europea - 4. Incidenza delle fonti dell'OIL sull'ordinamento interno - NOTE


1. La lotta al lavoro non-dichiarato come fattore necessario per assicurare un lavoro dignitoso

In un suo recente intervento, uno studioso ben addentro alle dinamiche istituzionali del diritto internazionale del lavoro notava come l’Organizzazione Internazionale del Lavoro abbia solo da poco dedicato forze ed anergie al tema del lavoro sommerso (o nero, o irregolare, o non-dichiarato), sottolineando co­me, al contrario, il fenomeno sembri testimoniare l’approfondirsi di una frattura che divide l’area del lavoro protetto da quella invece improntata all’in­for­malità [1]. Il rilievo, a ben vedere, appare sorprendente poiché le politiche di contrasto al lavoro irregolare potrebbero dimostrarsi invece come un terreno sui cui non è difficile realizzare l’incontro degli opposti interessi, che sono rappresentati in seno all’OIL. Innanzi tutto, sembra sussistere un interesse per così dire “istituzionale”, in capo all’Organizzazione stessa a che il lavoro sommerso sia combattuto nei singoli paesi, quale aspetto che interessa la garanzia di effettivo rispetto delle convenzioni ratificate. Appare infatti evidente come le imprese irregolari si tengono ben lontane dal rispetto degli standard, ad es. in tema di salario, di parità di trattamento, di tutela delle condizioni di salute e sicurezza. In questo senso, anzi, si è oramai fatta strada l’idea che il lavoro dignitoso (o “decente”, come si dice utilizzando una traduzione troppo letterale dalla lingua inglese) debba necessariamente e prima di ogni cosa essere un lavoro regolare, posto che il rispetto delle norme previdenziali e fiscali costituisce nei fatti una precondizione necessaria per avere accesso a tutte le protezioni assicurate dalla normativa internazionale. Proprio l’approccio universale che anima l’azione e le prescrizioni normative dell’OIL richiede, insomma, un’azione di serio e mirato contrasto al lavoro non-dichiarato, come elemento essenziale a garantire in modo corretto l’enforcement delle previsioni contenute nelle convenzioni, di modo che la presenza di lavoratori sommersi costituisce la prova indiscutibile, se non del fallimento, quanto meno della parzialità dell’azione di tutela internazionale del lavoro, pacifico dovendo rimanere che tutti i diritti previsti, a partire da quelli fondamentali, perché appartenenti ai c.d. core labour standards (parità di trattamento, diritto alla [continua ..]


2. La Raccomandazione OIL n. 204 sul passaggio dall'economia informale a quella formale

Facendo seguito ad una complessa attività preliminare di studio [6], la Conferenza generale dell’OIL, convocata a Ginevra per la sua centoquattresima sessione, ha, in data 12 giugno 2015, adottato la Raccomandazione n. 204, intitolata alla transizione dall’economia informale verso l’economia formale [7]. I soggetti cui la raccomandazione si riferisce sono definiti solo in maniera generica, attraverso il concetto di unità economiche (“economic units” e unités économiques), che ricomprende sia entità organizzate in forma di impresa, sia lavoratori autonomi, sia realtà ancor meno strutturate (come i familiari “coadiuvanti”). La scelta è dettata non solo dalla necessità di trovare un linguaggio comune a più ordinamenti, ma anche da una specifica necessità, conseguente al fatto che si tratta di entità che si sviluppano (per l’appunto) in assenza di una qualificazione normativa e, dunque, in termini di puro fatto. Si definiscono così unità economiche: a) le unità che impiegano manodopera; b) le unità possedute da privati che lavorano in conto proprio, da soli o con il concorso di lavoratori familiari non remunerati; c) le cooperative e le unità dell’economia sociale e solidale. La Raccomandazione si presenta (a differenza delle convenzioni) come una dichiarazione di intenti (o, se si vuole, come un testo sostanzialmente di soft-law), elencando principi direttivi condivisi, e individuando gli obiettivi da perseguire nell’ambito delle politiche del lavoro e di protezione sociale, nonché le possibili misure incentivanti (di ordine normativo e fiscale), e prescrivendo una preliminare attività di raccolta dei dati e di consolidamento del quadro normativo [8]. Nel rispetto del generale principio del “tripartitismo” che ispira tutta l’a­zione dell’Organizzazione stessa, viene dato altresì spazio al ruolo del sindacato, al fine di rafforzare sia la capacità di organizzazione collettiva degli interessi (Racc. 204, punto n. 32), sia la partecipazione delle organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori all’elaborazione ed applicazione delle politiche e dei programmi mirati allo sviluppo dell’economia formale (n. 34). Si tratta di un ruolo che per certi versi richiama l’esperienza [continua ..]


3. Le fonti dell'Unione Europea

Il quadro che si è ora descritto è chiamato a confrontarsi con l’azione normativa dell’Unione europea che ha visto le istituzioni continentali, all’esito di analisi preliminare assai più prolungata nel tempo rispetto a quella posta in essere dall’OIL [16], intraprendere una specifica iniziativa diretta al contrasto del lavoro “non-dichiarato” mediante l’istituzione di una “piattaforma europea per il rafforzamento della cooperazione volta a contrastare il lavoro non dichiarato” [17]. Si tratta, in buona sostanza, di una forma di scambio e cooperazione fra le autorità nazionali di vigilanza, nella prospettiva di assicurare una maggiore collaborazione reciproca per la repressione del fenomeno e per la diffusione delle buone prassi, secondo l’approccio integrato e differenziato che caratterizza già la Raccomandazione 204 dell’OIL che sopra si è esaminata [18]. Le competenze richiamate a sostegno dell’intervento, nella prospettiva della necessaria sussidiarietà dell’azione europea [art. 153, par. 2, lett. a), TFUE], rinviano all’esigenza di garantire una crescita duratura di “buona” occupazione (art. 151 TFUE). Peraltro si deve rilevare come siano numerose le altre fonti che si occupano, a vario titolo, del contrasto al lavoro irregolare, dovendosi qui richiamare a riguardo innanzi tutto la recente direttiva n. 67 del 2014 c.d. enforcement, in tema di distacco transfrontaliero, che si rivolge a disciplinare la libertà di movimento delle imprese e dei prestatori di servizi, verificando che le prerogative riconosciute dal diritto comunitario non siano invocate da soggetti che non ne hanno titolo, in quanto non si avvalgono genuinamente della libertà di movimento al fine della prestazione di servizi [19]. Nello stesso tempo si deve qui segnalare altresì la dir. n. 52/2009, che seppure nelle sue premesse (n. 33) richiami le misure di contrasto al lavoro non-dichiarato, definendole complementari all’iniziativa assunta con la direttiva, ha il diverso scopo di controllare i flussi migratori, nella prospettiva quindi non già di facilitare l’emersione del lavoro irregolare, ma, al contrario, con lo scopo di impedire che la possibilità di ottenere un lavoro costituisca una ragione di attrazione per i cittadini stranieri, incentivando la loro [continua ..]


4. Incidenza delle fonti dell'OIL sull'ordinamento interno

Questo breve scritto non può concludersi senza gettare uno sguardo all’ef­fetto che, in via diretta o indiretta, hanno avuto le fonti soprannazionali sul­l’ordinamento interno. A riguardo si deve innanzi tutto sottolineare come la legislazione nazionale sembra aver abbandonato il tentativo di coinvolgere il sindacato e gli imprenditori per far emergere il lavoro non-dichiarato, complici le esigenze di pareggio di bilancio che premono sui conti pubblici e sulle casse dell’INPS, adottando quasi senza riserve un modello di tipo repressivo, inteso a contrastare soprattutto l’evasione contributiva [21]. I dati che si ritraggono dal sito dell’Ispettorato nazionale descrivono un paese dove una gran parte delle ispezioni si conclude con l’accertamento di illeciti [22] e dove le misure sanzionatorie hanno richiesto negli anni notevoli temperamenti, al fine di evitare che l’azione di vigilanza amministrativa degli ispettori previdenziali si concludesse con la liquidazione del complesso produttivo ispezionato [23]. Ed anzi deve aggiungersi che la repressione del lavoro irregolare ha recentemente assunto la veste di un’azione di contrasto ad entità criminali, cosicché la funzione dissuasiva è stata affidata direttamente alla norma penale [24], specie con riguardo al settore dell’agricoltura dove più ampio è il ricorso alla manodopera straniera irregolare e dove si sono registrati casi eclatanti di sfruttamento [25]. Lo spirito di impunità che sembra circondare certe imprese, in territori dove il degrado sociale finisce per creare ampie zone di consenso all’economia illegale sembrerebbero così rendere più pressante l’esigenza di un confronto con gli standards internazionali, al fine di misurare la distanza che ancora separa l’Italia da altre realtà dove più diffusi e più saldi sembrano essere i legami di solidarietà e il rispetto della legge [26]. A fronte di un bilancio così severo, tuttavia, non si può dimenticare che la dottrina italiana abbia da sempre prestato attenzione al fenomeno del lavoro irregolare, forse anche a ragione della previsione contenuta nell’art. 2126 c.c. che sembra costituire un unicum nella legislazione europea, dettando previsioni apposite in ordine alla nullità del contratto di [continua ..]


NOTE