Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
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La disciplina sui licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese tra lex minus quam perfecta e prospettive di tutela reale universale (di Alessandro Giuliani, Ricercatore in Diritto del lavoro, Università Politecnica delle Marche)


La scelta di regimi sanzionatori diversificati contro i licenziamenti illegittimi in ragione della consistenza numerica del datore di lavoro non solo viene fatta propria dal legislatore del 1966, ma viene anche confermata nei successivi interventi normativi del 1970 e del 1990, resistendo peraltro alle questioni di legittimità costituzionale sollevate nel tempo, in particolare in relazione all’art. 8 della legge n. 604/1966.

Sennonché, il sostanziale vulnus di tutela, legato ad un criterio divenuto ormai scarsamente significativo della consistenza aziendale, quale il numero dei dipendenti, riemerge nella lettura interpretativa data dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 183/2022 al regime sanzionatorio previsto dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015. Da un punto di vista sistematico, la proposta di un sistema unificato di tutela contro i licenziamenti illegittimi, senza distinzioni tra piccole e grandi imprese, potrebbe risultare idoneo a risolvere a monte una frammentazione dei rimedi ormai priva di un principio ordinatore a seguito delle ripetute declaratorie di incostituzionalità di parte delle discipline contenute all’art. 18 Stat.lav., come riscritto dalla legge n. 92/2012, e agli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 23/2015.

The regulation of unfair dismissals in small enterprises between lex minus quam perfecta and prospects for universal real protection

The choice of different sanctioning regimes against illegitimate dismissals on the basis of the number of employees was not only adopted by the 1966 legislature, but was also confirmed in the subsequent legislative interventions of 1970 and 1990, withstanding the questions of constitutional legitimacy raised over time, in particular in relation to Article 8 of Law No. 604 of 1966.

Nonetheless, the substantial breach of protection, linked to a criterion that has now become scarcely significant in terms of company size, such as the number of employees, re-emerges in the interpretative reading given by the Constitutional Court in Judgment No. 183 of 2022 to the sanctioning regime provided for in Article 9(1) of Legislative Decree No. 23 of 2015. From a systemic point of view, the proposal of a unified system of protection against unlawful dismissals, without distinction between small and large companies, could be suitable to resolve upstream a fragmentation of remedies now lacking an ordering principle following the repeated declarations of unconstitutionality of part of the disciplines contained in Article 18 of the Labour Statute, as rewritten by Law No. 92 of 2012, and Articles 3 and 4 of Legislative Decree No. 23 of 2015.

SOMMARIO:

1. Logica ed evoluzione della disciplina speciale contro i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese - 2. La ragionevolezza della tutela prevista dall’art. 8 della legge n. 604/1966 nella giurisprudenza costituzionale - 3. Ragioni, prospettive e nuove possibili fortune di un sistema di tutela fondato sul rimedio restitutorio - NOTE


1. Logica ed evoluzione della disciplina speciale contro i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese

Il tema del licenziamento nelle piccole imprese è un argomento per niente residuale nella complessiva logica del diritto del lavoro, se solo si considera che come è dato leggere a p. 72 del “Rapporto sulle imprese 2021” dell’Istat da un lato le piccole imprese, intese come quelle con un numero di addetti tra i 10 e i 49 sono piuttosto numerose, sfiorando quota 200.000 unità, per un totale di 3,6 milioni di addetti, mentre dall’altro lato il 95% del totale delle imprese è costituito da una vera e propria moltitudine di microimprese, intese come quelle che hanno alle proprie dipendenze un numero di lavoratori compreso tra 3 e 9. Se questo è il quadro per così dire empirico che emerge dall’analisi dei dati statistici, il dato normativo con il quale ci confrontiamo in materia è, come noto, quello che discende dalla disciplina dettata dall’art. 8 della legge n. 604/1966 e dall’art. 9, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, sulla cui scelta poco ragionevole per non dire arbitraria, in quanto legata al mero fattore temporale di instaurazione del rapporto di lavoro, di prevedere un regime di tutele diverso per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, si è condivisibilmente argomentato [1]. In realtà in tali fonti normative la definizione di piccole imprese viene obliterata e la si ricava per esclusione, trattandosi in entrambi i casi di ambiti che vengono individuati come residuali rispetto all’impresa assoggettata al regime di cui all’art. 18 Stat. lav. e ratione temporis al contratto a tutele crescenti di cui al d.lgs. n. 23/2015. È possibile evidenziare una prima criticità di quest’ultima normativa che, pur non introducendo un vero e proprio tipo contrattuale, ma prevedendo, sotto il profilo del regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo, l’intro­duzione di un “contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”, ne prevede a ben vedere due, uno stabilito in via generale per il datore di lavoro imprenditore che raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, commi 8 e 9, della legge n. 300/1970 [2] e uno, disciplinato dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015, per l’impresa datrice di lavoro che viceversa non li raggiunga. In tema di definizione del campo di applicazione della tutela (rectius delle tutele) contro i licenziamenti illegittimi nelle [continua ..]


2. La ragionevolezza della tutela prevista dall’art. 8 della legge n. 604/1966 nella giurisprudenza costituzionale

La scelta del legislatore di confermare una normativa speciale in materia di licenziamenti illegittimi irrogati dalle piccole imprese è stata comunque sempre ritenuta ragionevole dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (si vedano, tra le altre, le sentenze nn. 152 e 189 del 1975 [12]), in particolare sulla base di tre criteri che sono stati considerati come idonei a legittimare una disciplina diversificata e meno onerosa rispetto a quella prevista per i datori di lavoro assoggettati al regime di stabilità reale di cui all’art. 18 Stat. lav. Nello specifico, il primo criterio, che peraltro emerge già negli atti parlamentari preparatori della legge n. 604/1966, è quello della fiduciarietà, al quale si accennava sopra, sulla cui attualità tuttavia venivano avanzate perplessità sin dalla discussione alla Camera dei deputati. Ed infatti, tale elemento, oltre a non essere sempre (e lo sarebbe divenuto progressivamente meno) rinvenibile nella piccola impresa, sconta non poche criticità a fronte di attività produttive sempre più caratterizzate da spersonalizzazione della prestazione lavorativa, nonché dall’utilizzo di tecnologie che divaricano progressivamente lo spazio tra lavoratore e impresa, fino ad arrivare alle varie forme di lavoro a distanza e in modalità agile. Per altro verso, si ritiene che tale elemento più che avere ripercussioni sul regime di sanzione del licenziamento illegittimo, dovrebbe piuttosto orientare l’attività interpretativa del giudice nel caso di licenziamento fondato su ragioni soggettive, per la definizione del precetto che il datore di lavoro deve rispettare ai fini dell’irrogazione di un licenziamento legittimo. Oltretutto, un’ecces­siva dilatazione dello spazio della fiduciarietà rischierebbe di esporre maggiormente le vicende relative al rapporto di lavoro alla possibilità che insorgano questioni ad esso estranee (in primis, meramente personali) che vadano a minarne la conservazione. La necessità di fornire tutela alla fiduciarietà appare invece obliterata dal­l’ordinamento nel caso di trasformazione in rapporti a tempo indeterminato del contratto a tempo determinato ovvero del lavoro in somministrazione illegittimi, dal momento che in tal caso la sanzione è sempre la stessa, di natura reale (sub specie di trasformazione per ordine [continua ..]


3. Ragioni, prospettive e nuove possibili fortune di un sistema di tutela fondato sul rimedio restitutorio

Dall’esame della giurisprudenza costituzionale emerge in alcuni arresti (in particolare nelle sentenze nn. 45/1965 [31] e 81/1969 [32]) che, sebbene alla luce dell’art. 4 Cost. non possa farsi discendere «la immediata e già operante stabilità di quelli di essi che siano già occupati, ciò non esclude, ma al contrario esige che il legislatore nel quadro della politica prescritta dalla norma costituzionale adegui, sulla base delle valutazioni di sua competenza, la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato al fine ultimo di assicurare a tutti la continuità del lavoro» [33]. Quest’ultima, nell’ambito del mercato del lavoro, verrebbe garantita da politiche di intervento finalizzate a garantire proposte di occupazione, mentre nel rapporto di lavoro sembra implicare che la tutela dovrebbe avere semmai un effetto restitutorio, essendo la continuità del rapporto esclusa dal semplice pagamento dell’indennità. Altro ovviamente è il diritto alla permanente conservazione del rapporto di lavoro, che non è compatibile con la possibilità che l’impresa eserciti legittimamente il potere di recesso, vuoi in ipotesi di licenziamento per motivi soggettivi vuoi in fattispecie di licenziamento per motivi di natura oggettiva. Tornando ancora all’appassionata discussione alla Camera dei deputati che ha preceduto l’approvazione della legge n. 604/1966, ivi si fa spesso riferimento alla necessità di evitare il licenziamento arbitrario e di fornire copertura legale al diritto al lavoro nella declinazione del bene giuridico consistente nel posto di lavoro sulla scorta dell’elaborazione teorica di Costantino Mortati [34]. In particolare, come viene puntualmente rilevato durante la discussione della legge n. 604/1966: «Quando il licenziamento arbitrario offende un bene costituzionalmente garantito come la liberà e la dignità umana, è evidente che la soluzione non può essere configurabile nella misura che viene indicata [nella misura compresa tra 5 e 12 mensilità; ndr] [35]». Dunque, già in quella sede si ragiona proprio sul fatto che con la previsione del mero e modesto indennizzo economico a fronte dell’irrogazione di un licenziamento arbitrario ci si trova in ultima analisi davanti ad una «situazione potestativa per il datore di [continua ..]


NOTE