Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Giurisprudenza in diritto del lavoro senza ideologie e con poche emozioni (di Michele Miscione. Già ordinario di diritto del lavoro nell’Università di Trieste)


Si era affermato negli anni ’60 che l’ideologia avrebbe ispirato il diritto sindacale, senza norme dopo la Costituzione. Una ricostruzione critica evidenzia però che l’ideologia, intesa in senso neutrale, se esistente era e poteva essere solo del mondo universitario, mentre non poteva e non può essere nel diritto reale e vivente della giurisprudenza. Ora hanno prevalenza i giudici delle Corti superiori, con efficacia sempre maggiore del precedente, ma anche in questo sistema rinnovato sono di fatto impossibili oltre che contrarie alla legge teorie o sistemi autonomi e tantomeno ideologie collettive. Purché non si creino ‘comunità virtuali’ con la facilità degli strumenti informatici. Le ideologie sono e debbono restare estranee perché di fronte alla legge il giudice è solo, come si è soli con la coscienza, le emozioni, la passione. Resta però un «imperativo categorico» dei giudici innanzitutto come persone, di rendere giusta la durata dei processi che resta al momento inaccettabile. Si fa un momento di riflessione per narrare più che interpretazione i fatti.

Jurisprudence in labor law without ideologies and without enthusiasm

It was asserted in the 1960s that ideology would have inspired trade union law, without rules after the Constitution. However, a critical reconstruction shows that ideology, understood in a neutral sense, if it existed, was and could only be of the university world, while it could not and can not be in the real and living right of jurisprudence. Now the judges of the higher courts prevail, with ever greater efficacy than the previous one, but even in this renewed system they are in fact impossible as opposed to the law, theories or autonomous systems and even less collective ideologies. Provided that no ‘virtual communities’ are created with the ease of IT tools. The ideologies are and must remain foreign because in the face of the law the judge is alone, as one is alone with the conscience, the emotions, the passion. However, there remains a “categorical imperative” of judges first of all as persons, of making the duration of the trials which remains unacceptable at the right time. There is a moment of reflection to narrate facts rather than interpretation.

SOMMARIO:

1. Alla ricerca di un'eventuale ideologia - 2. Conformismo nelle giurisdizioni superiori ma rischi dell'ultima sentenza - 3. Altri rischi del giudizio di legittimità soprattutto per i tempi - 4. Ipotesi di teorie con le Sezioni Unite o Riunite - 5. Il diritto nell'università e quello reale dei giudici - 6. Se una 'nuova ideologia' nella giurisprudenza - 7. Amore e critiche per i Giudici, con imperativo categorico anche personale - NOTE


1. Alla ricerca di un'eventuale ideologia

Quando nel 1967 G. Tarello scrisse il libro diventato subito famoso Teorie e ideologie nel diritto sindacale [1], ci fu una piccola rivoluzione nel mondo universitario, ma i giudici nemmeno se ne accorsero. Ci fu sorpresa ed anzi meraviglia. Colpì a leggere che via via si sarebbe attenuata la supremazia culturale di F. Santoro Passarelli, avuta sul diritto del lavoro in tutto il dopoguerra. Una supremazia che, nella consapevole genialità sintetizzabile nel famoso manuale «Nozioni di diritto del lavoro» [2], si coglieva anche nel mondo accademico universitario. C’era anche la meraviglia nel vedere che un filosofo del diritto, qual era G. Tarello, conoscesse così bene il diritto sindacale. Sembrò di essere in profonda ignoranza, rispetto al sapere di G. Tarello. Il quale raccontò che, dopo F. Santoro Passarelli, il diritto sindacale sarebbe stato ancora rifondato da G. Giugni, cui veniva riconosciuto il merito di essere andato oltre restando sempre nel diritto privato. Dopo la Costituzione, il diritto sindacale era travolto e “doveva” ricominciare da capo, senza norme: quest’opera di ricostruzione sarebbe stata prima di F. Santoro Passarelli e poi di G. Giugni. Successivamente fu replicato che, dopo F. Santoro Passarelli, il diritto sindacale sarebbe stato costruito anche da altri e non solo dalla sinistra. In quel contesto, sembrò che nell’università si desse quasi nessuna importanza alla giurisprudenza, nell’ipotesi solo implicita, non-detta ed in fondo negata che i giudici potessero fruire delle intuizioni dei professori. Comunque sarebbe stata influenza di poco o nulla, senza contributi sistematici e, magari, solo per qualche spunto episodico. Fu invece la giurisprudenza ordinaria e costituzionale (quest’ultima per lo sciopero), da sola e separata, a rifondare il diritto sindacale, con una rilettura del codice civile sulla base della Costituzione. Già si vedeva una separazione inconciliabile fra dottrina e giurisprudenza, con la bella differenza che la dottrina riusciva talvolta ad imporsi nell’imma­ginario mondo universitario mentre i giudici si imponevano nel diritto reale, nella vita di ogni giorno. Tarello partì dall’intuizione di un dominio dell’ideologia, per cui in modo intenzionale o no i professori avrebbero costruito il nuovo diritto sindacale in funzione proprio [continua ..]


2. Conformismo nelle giurisdizioni superiori ma rischi dell'ultima sentenza

La grande rivoluzione c’è stata con l’immediata pubblicazione in Rete di tutte le decisioni della Cassazione e delle altre Corti superiori (Consiglio di Stato, Corte dei Conti Centrale). C’è completezza, ma, va chiarito subito, non basta per dire che tutti sanno tutto, perché il numero di sentenze è talmente alto da rendere impossibile una lettura critica o la deduzione di un qualche sistema. Comunque, si ripete, le decisioni delle Corti superiori sono tutte in Rete, disponibili immediatamente e gratis. In Rete c’è anche la giurisprudenza amministrativa di primo grado. La velocità della Rete può dare forse un’immagine di completezza, ma ingannevole. Per le giurisdizioni di merito, vanno in Rete solo quelle poche decisioni che interessano pochissimi. L’imperfezione è normale, ma non bisogna dare idee sbagliate facendo credere in un modo o nell’altro di sapere tutto o molto. La giurisprudenza di Tribunali e Corti d’Appello finisce per essere sommersa da quella di Cassazione. Le sentenze di merito non sono in rete, né immediatamente né tanto meno tutte. Sono scelte per la pubblicazione da quelli che hanno un qualche interesse, che possono essere giudici e avvocati, per provare o la bravura o le carenze altrui. Certamente, la conoscibilità immediata e completa delle giurisdizioni superiori porta ad un appiattimento delle giurisprudenze di merito. Sarà anche per praticità, ma sempre più spesso le sentenze di merito sono adesive o addirittura identiche a quelle delle Corti superiori, seguendo magari in ritardo le frequenti variazioni d’indirizzo. Mentre nei tempi dei “Pretori d’assalto” i giudici di primo grado, liberati dai condizionamenti di carriera, contribuirono ad un profondo ed originale rinnovamento che influenzò le Corti superiori, ora è il contrario: si seguono le Corti superiori. In quel tempo c’erano emozioni e passioni, anche se con accuse di essere di parte. Non si può dire se questo nuovo conformismo sia derivato dal predominio della Rete, ma certamente i giudici di merito hanno sempre meno importanza. Anche le rassegne per territorio sono rare, perché a giudici ed avvocati interessa sempre meno capire come decidono i giudici della stessa area, dato che poi c’è il predominio delle Corti superiori. Una ‘teoria’ [continua ..]


3. Altri rischi del giudizio di legittimità soprattutto per i tempi

Gli ostacoli formali e sostanziali a ricorrere in Cassazione, innanzitutto per i costi, hanno comportato contraddittoriamente un maggior rilievo per le sentenze d’appello, nella prospettiva che il soccombente pur convinto delle proprie ragioni non farà ricorso in Cassazione per evitare rischi troppo grandi. A seguito dell’ipertrofia del giudizio di legittimità, ormai prigioniero delle alchimie finalizzate con successo a scoraggiarlo, il processo resta spesso a due gradi e fa ricorso in Cassazione solo chi è in condizioni estreme (soprattutto psicologiche) ed ha comunque da spendere. Un processo solo per i ricchi, per fermarsi ad una battuta facile. I rischi maggiori del giudizio in Cassazione derivano forse dalla durata ancora impossibile (per usare una parola dolce): secondo l’ultima Relazione del Primo Presidente della Cassazione [7] nel 2017 la durata media dei processi della Sezione lavoro è stata di 4 anni, 5 mesi e 29 giorni [8]. Ragionevolmente, non si può resistere ad una prospettiva di aspettare tanto, salvo i casi estremi di cui s’è detto. Per il 2018 la situazione sembra simile. Ad esempio, risulta che il 5 ottobre 2018 siano state depositate in Cassazione 34 pronunzie (fra sentenze ed ordinanze), quasi tutte con numero di ruolo risalente al 2013 e 2014, con qualche eccezione per le pronunzie di semplice cessazione e alcune di licenziamento [9]. Ad aspettare tanto tempo c’è l’ulteriore rischio, non meno pesante, che nel frattempo l’orientamento giurisprudenziale sia cambiato: pertanto, nemmeno un “orientamento consolidato” può dare un minimo di tranquillità, perché c’è sempre la possibilità che, con gli anni, la stessa Cassazione giudichi i casi simili in modo diverso, con condanna alle spese legali e raddoppio del contributo unificato. Comunque, non si può accettare ed è anche difficile da spiegare che, per avere una sentenza di Cassazione, bisognerà aspettare quantomeno quattro anni: chiunque, ragionevolmente, si scoraggia, ed una giustizia lunga è sempre ingiusta.


4. Ipotesi di teorie con le Sezioni Unite o Riunite

C’è poi il fenomeno delle Sezioni Unite (o «Riunite» per il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti), che nel nuovo meccanismo legislativo dovrebbero imporsi, salvo nuova remissione alle stesse Sezioni Unite o Riunite, nel caso in cui la Sezione semplice voglia ribellarsi [10]. Si potrebbe tentare naturalmente una rassegna, ipotizzando una specie di codice giurisprudenziale. Si può prevedere che seguendo le Sezioni Unite [o «Riunite»] ci siano decisioni uniformi, ma i rischi restano comunque alti, soprattutto per errori materiali e di fatto. Il fenomeno delle Sezioni Unite o Riunite impone di tornare sul quesito iniziale, se la giurisprudenza fa teoria ed eventualmente che rilievo ha l’ide­ologia. Resto fondamentalmente dell’idea che le teorie possono essere solo individuali e personali, impossibili per gruppi più o meno ampi. Impossibile per i giudici, che, con tutti i limiti e vincoli posti per aumentare il valore del precedente, restano comunque liberi e, vedremo, soli di fronte alla legge (art. 101 Cost.).


5. Il diritto nell'università e quello reale dei giudici

È sempre rimasto qualche candido dubbio sull’utilità dell’insegnamento universitario di diritto del lavoro o addirittura del diritto in generale. Ovviamente è una grande ingenuità oltre che un errore, perché il diritto è tutto e ‘tutti’ debbono conoscere la Costituzione, il codice civile ed il codice penale (considerati a ragione simbolo del diritto). Gli errori dell’ingenuità si trasformano allora, con piccolo passo avanti, in dubbi sull’utilità della «scienza» o meglio sull’esistenza stessa di una «scienza» del diritto. Talvolta resta l’idea di un’accozzaglia indistinta di regole (il caos ottimistico di Pirandello) con successive ricerche di una logica a tutti i costi, anche se non c’è, nel mito della perfezione più che completezza del diritto. Sembrava o s’immaginava una situazione come quella di quando il diritto era dettato dal Re in base alle regole della proprietà, perché nel suo regno tutto era suo, cose e uomini, e della sua proprietà poteva far quel che voleva senza rendere conto a nessuno, nemmeno a Dio (ius utendi et abutendi). La proprietà era l’unico diritto, senza limiti, in senso contrario a come viene inteso ora: era affermazione dell’arbitrio, libertà di fare quel che si voleva. Caos, mondo di uno solo. Senza andare troppo oltre, i dubbi di una «scienza» del diritto sono rimasti in superficie (si resta sempre bambini). C’è però, ora, il «diritto» attuale a limitare ogni comportamento umano o non. Ci sarà o potrebbe esserci una «scienza» da basare sull’utopia della norma «scritta». Nell’allegoria dei Dieci comandamenti (Decalogo, dèka lògous), che con il tempo sembra sempre più bella, Dio dettò dieci ‘parole’ a Mosé perché le scrivesse sulla pietra, in modo che non potessero essere modificate o cancellate. Ma, dopo, molte parole sono state imposte senza essere scritte e l’utopia della legge scritta è finita nel dimenticatoio, aumentando l’arbitrio (che è un ossimoro, perché l’arbitrio è già il massimo). Si può concludere allora che la scienza del diritto è l’interpretazione, perché tutto anche se [continua ..]


6. Se una 'nuova ideologia' nella giurisprudenza

La giurisprudenza, se, come diceva S. Pugliatti, è «scienza pratica» [12], vuol dire che è pratica. Ma dalla pratica è difficile se non impossibile dedurre un’i­deologia. Bisogna intendersi su questa nozione, anch’essa antica. L’«ideologia» della giurisprudenza sarebbe quella delle numerosissime e sempre variabili persone che sono i giudici. Presupporrebbe un accordo, espreso o tacito, un filo invisibile o non visto che unisce le persone. In sostanza un illecito, se si è non-liberi davanti alla legge ma influenzati da altro o altri. In effetti l’«ideologia» degli anni ormai lontani, subito dopo lo Statuto dei lavoratori, voleva indicare solamente generiche e più o meno calunniose tendenze a “dare ragione sempre ai lavoratori” o “ai datori di lavoro”. Erano solamente parole, anche se sgradevoli e comunque dannose. Ci fu il ridicolo di un autore che, in un articolo su Rivista, scrisse che la parola «contestazione» dell’art. 7 St. lav. sarebbe stata copiata dall’estrema sinistra perché sarebbero stati ‘tutti di sinistra’. D’altra parte va ricordato – con piccolo inciso – che ci fu anche chi accusò di maschilismo la Costituzione perché cita l’«uomo» («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo»: art. 1), ignorando che la parola vuol indicare l’intera umanità (Homo sapiens) senza distinzioni di sesso. Sotto la forma un po’ ipocrita di «ideologia», le piccole e odiose accuse erano di essere ‘di parte’. In riscontro, bisognerebbe riuscire a capire come si formavano gli orientamenti giurisprudenziali: in modo semplicistico, poteva succedere che i giudici si conoscessero personalmente, ma più spesso leggevano le sentenze nelle Riviste. Una coincidenza fortuita non è credibile. Poteva esserci l’illusione di un ponte ideale di collegamento attraverso le Riviste fatte dai professori. Almeno prima poteva essere così, ma ora è tutto profondamente cambiato perché c’è la Rete, senza tempo e senza spazio, per mezzo della quale tutti sanno tutto in un istante solo. Bisogna dunque partire dal presupposto già evidenziato per cui il numero delle sentenze (in senso ampio) è talmente alto e frammentato, [continua ..]


7. Amore e critiche per i Giudici, con imperativo categorico anche personale

Si tentano alcune conclusioni, riprendendo e sintetizzando quanto esposto. Con spunto dal famoso libro di G. Tarello del 1967 [16], che in modo allora clamoroso evidenziò il forte influsso se non la prevalenza dell’ideologia nel diritto sindacale, si è potuto confrontare quella vecchia tesi con il diritto del lavoro attuale. Proprio confrontando le teorie di Tarello si è dedotto che l’ideologia poteva aver avuto rilievo in dottrina e nell’Università, mentre i giudici non stavano a pensare a teorie e pensavano solo, in mancanza di leggi nuove, a fare le sentenze applicando il codice civile, da cui emerse il vero diritto sindacale dopo la Costituzione. Furono i giudici a trovare le singole soluzioni concrete per i sindacati, la contrattazione collettiva, lo sciopero e la serrata (qui in particolare la Corte Costituzionale). Ci furono non vere e proprie teorie, né ideologie, ma solo adeguamenti alla Costituzione. Per il rapporto di lavoro e la previdenza – sia detto per inciso – c’è stato una progressiva invasione, dopo l’iniziale e sempre parziale astensionismo subito dopo la Costituzione con la strana teoria della ‘riserva’ a favore dei sindacati. Infine i problemi sono diventati opposti, per l’imposizioni di leggi sempre più invadenti nelle specificità ormai esasperate e che creano problemi. Resta quindi, per il diritto del lavoro dopo la Costituzione, la sensazione di un totale isolamento della dottrina universitaria rispetto alla giurisprudenza. È stata esaminata allora l’ipotesi se gli orientamenti giurisprudenziali avessero o avrebbero potuto creare teorie e se ci sia stato o possa esserci stato l’in­flusso volontario o involontario di un’ideologia: considerando però un’ideolo­gia ormai neutrale, senza estremi e forse nemmeno valori. Probabilmente per la pubblicità immediata attraverso la Rete delle sentenze della Cassazione ed altre Corti superiori (Consiglio di Stato, Corte dei Conti Centrale), o per praticità, la giurisprudenza di merito si è conformata sempre più a quella delle Corti. Tantomeno allora sono ipotizzabili ‘teorie giurisprudenziali’ di merito. Gli ostacoli ad impugnare davanti alle Corti superiori, che hanno reso questi processi estremi e costosi, hanno restituito qualche credibilità in più alle [continua ..]


NOTE