Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

23/06/2020 - La responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio del lavoratore conseguente alla contrazione della infezione da virus c. d. Covid – 19.

argomento: Novitá legislative

Dopo tre mesi di pressanti richieste da parte dei datori di lavoro, dei loro consulenti e delle loro associazioni sindacali, il legislatore ha chiarito che la applicazione delle prescrizioni contenute nei protocolli “anti contagio” costituisce adempimento dell’obbligo di sicurezza previsto dall’art. 2087 cod. civ..

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di avv. Valentina Zaccarelli

  1. La scelta (corretta) del legislatore.

 

Con l’espresso obiettivo di garantire una maggiore tutela ai lavoratori a fronte della emergenza epidemiologica, il decreto conosciuto come “cura Italia” ha qualificato la contrazione della infezione da virus c. d. Covid – 19 in occasione di lavoro come infortunio sul lavoro (art. 42 del decreto legge n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2020).

La scelta del legislatore emergenziale è in linea con l’orientamento, da tempo, adottato dalla giurisprudenza, dalla dottrina e dallo stesso Istituto assicuratore.

In particolare, per la giurisprudenza([1]) e per la dottrina([2]), in ambito di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, “costituisce causa violenta anche l’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo – fisiologico”, a condizione del fatto che questa azione (i cui effetti possono manifestarsi anche decorso un certo tempo) sia in rapporto (accertabile anche con il ricorso a presunzioni semplici) con lo svolgimento della attività lavorativa.

In piena emergenza epidemiologica, l’Inail ha inviato alle sue strutture periferiche la nota di istruzioni operative n. 3675 in data 17 marzo 2020, nota con la quale “si osserva che, in linea con l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, l’Inail tutela tali affezioni morbose, inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro; in questi casi, infatti, la causa virulenta è equiparata a quella violenta. In tale ambito di affezioni morbose inquadrate come infortuni sul lavoro, si ritiene di ricondurre anche i casi di Covid – 19 (…) laddove sia accertata l’origine professionale del contagio, avvenuto nell’ambiente di lavoro, oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa”.

Ancora, con la circolare n. 13 in data 3 aprile 2020, l’Istituto assicuratore ha, da un lato, ribadito il fatto che, ai fini assicurativi, “la causa virulenta è equiparata a quella violenta” e, dall’altro, ha confermato il fatto che “la tutela assicurativa Inail, spettante nei casi di contrazione di malattie infettive e parassitarie negli ambienti di lavoro e / o nell’esercizio delle attività lavorative, opera anche nei casi di infezione da nuovo coronavirus contratta in occasione di lavoro per tutti i lavoratori assicurati all’Inail”.

 

  1. I dubbi e le preoccupazioni dei datori di lavoro.

 

La qualificazione della contrazione della infezione da virus c. d. Covid – 19 in occasione di lavoro come infortunio sul lavoro ha fatto “insorgere” i datori di lavoro, già impegnati nella (non facile) prosecuzione (quando possibile) delle attività produttive e commerciali.

In particolare, i datori di lavoro (per il tramite dei loro consulenti e delle loro associazioni sindacali) hanno espresso forti preoccupazioni sulla eventuale responsabilità (civile e, soprattutto, penale) in caso di infortunio del lavoratore derivante dalla contrazione del virus c. d. Covid – 19.

Infatti, se, da un lato, i “protocolli condivisi” hanno natura cogente (derivante anche dalla previsione sanzionatoria contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 26 aprile 2020), l’art. 2087 cod. civ. impone ai datori di lavoro di adottare tutte le “misure che, secondo la particolarità del lavoro, la esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare la integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, senza, però, specificare quali misure devono essere adottate in concreto.

Quindi, i datori di lavoro sono stati onerati (con costi e con organizzazione a loro carico) di fare fronte a un potenziale evento lesivo che esula dalla loro sfera di controllo (in quanto rischio diffuso nella intera popolazione) e di cui anche gli esperti faticano a trovare misure contenitive.

In altre parole, senza volerlo, con l’art. 42 del c. d. decreto cura Italia, il legislatore ha richiesto ai datori di lavoro di divenire anche essi degli “esperti di pandemia”.

 

  1. Le prime risposte (insufficienti) e l’intervento legislativo.

 

In un primo momento sono giunte mere rassicurazioni, sia da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, On. Nunzia Catalfo, sia da parte del Direttore genarle dell’Inail, Dott. Giuseppe Lucibello.

La prima risposta concreta alle preoccupazioni dei datori di lavoro è stata fornita dall’Inail con la circolare n. 22 del giorno 20 maggio 2020, nella quale si legge che “il riconoscimento della origine professionale del contagio si fonda (…) su un giudizio di ragionevole probabilità ed è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio. Non possono, perciò, confondersi i presupposti per la erogazione di un indennizzo Inail (…) con i presupposti per la responsabilità penale e civile, che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative. In questi, infatti, oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella della imputabilità, quantomeno a titolo di colpa, della condotta tenuta dal datore di lavoro. (…) Pertanto, la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o degli obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che, nel caso della emergenza epidemiologica da Covid – 19, si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governative e regionali di cui all’art. 1, comma 14, del decreto legge 16 maggio 2020, n. 33. (...) In assenza di una comprovata violazione, da parte del datore di lavoro (…), delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida di cui all’art. 1, comma 14, del decreto legge 16 maggio 2020, n. 33, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro.”

Tuttavia, le preoccupazioni datoriali sono cessate solo in seguito all’intervento del legislatore, il quale, in sede di conversione del decreto legge n. 23 del 2020, ha sancito il fatto che, “ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid – 19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid – 19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il giorno 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (art. 29 bis, introdotto nel decreto legge n. 23 del 2020 dalla legge di conversione n. 40 del 2020).

 

  1. Considerazioni finali.

 

Sono stati necessari tre mesi per dare una risposta alle forti preoccupazioni dei datori di lavoro su un tema (quello della tutela contro gli infortuni sul lavoro e delle conseguenti responsabilità) molto delicato anche in assenza di una emergenza epidemiologica.

Le imprese e i datori di lavoro in generale lamentano scarsa attenzione nei loro confronti da parte del legislatore emergenziale. Invece, ciò che emerso dalla emergenza epidemiologica in atto è il fatto che a dovere essere garantito non è il posto di lavoro, ma il lavoro stesso.

 

[1] Cfr. Cass. 8 aprile 2004, n. 6899; ma anche, in senso conforme, Cass. 12 maggio 2005, n. 9968; Cass. 1° giugno 2000, n. 7306; Cass. 27 giugno 1998, n. 6390; Cass. 13 marzo 1992, n. 3090; Cass. 19 luglio 1991, n. 8058; Cass. 3 novembre 1982, n. 5764; tutte rinvenibili in Giur. it. rep. Per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Novara 13 novembre 2006, in Sito NovaraIUS.it, 2007.

[2] Cfr. F. De Compadri – P. Gualtierotti, L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, Milano, 2002, 204.