Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Il licenziamento nelle piccole imprese (di Loredana Ferluga, Professoressa ordinaria di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Messina)


Il saggio esamina, in chiave storico-evolutiva, il tema del licenziamento intimato dai piccoli datori di lavoro. In particolare, l’A., dopo un excursus che si snoda dalla teoria delle «tutele parallele» alla definizione dell’ambito di applicazione della tutela contro il licenziamento illegittimo nella legge n. 108/1990, analizza la riforma Fornero ed il Jobs Act alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale, individuando le possibili conseguenze delle decisioni della Corte per le piccole imprese.

The dismissal in small businesses

The essay investigates, in a historical-evolutionary perspective, the issue of dismissal by small employers. In particular, the A., after an excursus that runs from the theory of “parallel protections” to the definition of the scope of the protection against the unlawful dismissal in Law n. 108/1990, analyses the Fornero reform and the Jobs Act based on the most recent constitutional jurisprudence, identifying the possible consequences of the Court’s decisions for small businesses.

SOMMARIO:

1. L’esigenza di un breve excursus. Dalla teoria delle «tutele parallele» alla definizione dell’ambito di applicazione della tutela contro il licenziamento illegittimo nella legge n. 108/1990 - 2. Le riforme del 2012 e del 2015 alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale - 3. Il “dopo” Corte costituzionale n. 183/2022: quali possibili conseguenze per le piccole imprese? - NOTE


1. L’esigenza di un breve excursus. Dalla teoria delle «tutele parallele» alla definizione dell’ambito di applicazione della tutela contro il licenziamento illegittimo nella legge n. 108/1990

La disciplina vincolistica dei licenziamenti presuppone, almeno a partire dal 1966, la verifica dei limiti dimensionali dell’impresa, dai quali dipende la diversa tutela accordata al lavoratore, che, dopo le modifiche del 2012 e del 2015, varia anche in relazione al tipo di vizio da cui è affetto il licenziamento e alla data di assunzione del lavoratore licenziato. Con riferimento ai profili di natura quantitativa, è noto che la definizione del campo di applicazione della tutela contro il licenziamento illegittimo era contenuta nella legge 15 luglio 1966, n. 604, e nello Statuto dei lavoratori del 1970, entrambi modificati dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, che, con i suoi primi due articoli, ha ridefinito l’ambito di applicabilità della nuova disciplina vincolistica dei licenziamenti individuali. In particolare, l’art. 11, comma 1, della legge n. 604/1966 – espressamente abrogato dall’art. 6, comma 2, della legge n. 108/1990 – escludeva l’applicabilità della c.d. tutela obbligatoria prevista dall’art. 8 della stessa legge, «ai datori di lavoro che occupano fino a trentacinque dipendenti». Invece, l’art. 35 della legge n. 300/1970 riservava la c.d. tutela reale prevista dall’art. 18 della stessa legge ai lavoratori dipendenti da «imprese industriali e commerciali» occupati in unità produttive o in ambiti comunali con «più di quindici» addetti, riducendo tale soglia numerica a cinque per le «imprese agricole»; con la precisazione che tale campo di applicazione si riferiva non soltanto all’art. 18, ma anche al titolo III (ad eccezione del primo comma dell’art. 27) della legge n. 300/1970 relativo all’esercizio della libertà sindacale nei luoghi di lavoro. Rimaneva, infine, un’area residuale di recedibilità ad nutum ex art. 2118 c.c. per i datori di lavoro non assoggettati né al regime di stabilità reale né a quello obbligatorio [1] e, dal lato dei lavoratori, per particolari categorie di lavoratori [2]. La sovrapposizione ed il coordinamento delle diverse discipline in materia di licenziamenti individuali hanno suscitato un vivace dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza [3]; sono state sollevate numerose questioni di legittimità costituzionale, che la Corte, tuttavia, ha in più occasioni ritenuto [continua ..]


2. Le riforme del 2012 e del 2015 alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale

La riforma Fornero del 2012 e il Jobs Act del 2015 hanno modificato il regime di tutela applicabile in caso di licenziamento illegittimo [33], in modo più significativo per le imprese di maggiori dimensioni [34], ma hanno lasciato inalterati i relativi campi di applicazione distinti in base alle dimensioni delle unità produttive e delle organizzazioni aziendali nel loro complesso [35], secondo quanto previsto dall’art. 18, commi 8 e 9, legge n. 300/1970, espressamente richiamato dall’art. 9, comma 1, d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 [36]. Alla luce delle normative richiamate, la disciplina applicabile ai dipendenti dalle c.d. piccole imprese, intendendo per tali i datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, commi 8 e 9, legge n. 300/1970, ossia 15 dipendenti nell’unità produttiva ovvero 15 dipendenti nello stesso comune (5 per le imprese agricole) ovvero 60 dipendenti a livello di organico complessivo [37], si differenzia – oltre che per il tipo di vizio da cui è affetto il licenziamento – in relazione alla data di assunzione del lavoratore licenziato [38]. In particolare, per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015 (7 marzo 2015), il regime sanzionatorio continua ad essere previsto dall’art. 8, legge n. 604/1966, come sostituito dall’art. 2, comma 3, legge n. 108/1990: in caso di licenziamento annullabile in quanto privo di giusta causa o giustificato motivo si pone a carico del datore di lavoro un’obbligazione alternativa tra la riassunzione (entro il termine di tre giorni) oppure, con scelta rimessa alla discrezionalità del datore, il versamento di un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto [39]. Nell’ambito della forbice indicata, l’art. 8, legge n. 604/1966, individua i criteri ai quali il giudice deve ispirarsi, ossia il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’impresa, l’anzianità di servizio del dipendente, il comportamento e le condizioni delle parti, criteri che devono ritenersi integrati dai parametri individuati nell’art. 30, comma 3, legge 4 novembre 2010, n. 183, il quale stabilisce che il giudice, nel definire le conseguenze del licenziamento ai sensi del citato art. 8, tenga conto dei parametri [continua ..]


3. Il “dopo” Corte costituzionale n. 183/2022: quali possibili conseguenze per le piccole imprese?

L’impostazione originaria del sistema di tutele contro i licenziamenti ingiustificati prevista dalle riforme del 2012 e del 2015, dopo gli interventi correttivi, se non addirittura demolitori [73], della Corte costituzionale, appare priva di organicità [74]. Venuta meno l’idea della predeterminazione del costo del licenziamento per l’impresa, il sistema presenta aspetti di irrazionalità con riferimento a profili essenziali, che con riferimento alle organizzazioni di minori dimensioni investono l’adeguatezza della tutela risarcitoria e il perdurante utilizzo del criterio numerico-occupazionale quale fondamento di una tutela differenziata [75]. Dubbi di razionalità si pongono anche nel raffronto con la disciplina riservata ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, per i quali, proprio con riguardo alle organizzazioni di minori dimensioni, è prevista una indennità la cui soglia massima è pari a quella censurata dalla Consulta. La necessità di un intervento legislativo, peraltro sollecitato dalla Corte costituzionale, appare pertanto quantomai opportuna, fermo restando che il legislatore potrebbe scegliere di astenersi dall’intervenire disattendendo il sollecito della Corte [76], posto che – come evidenziato da una autorevole dottrina costituzionalista – «non esiste un obbligo giuridico a legiferare conformemente alla sentenza» [77]. In effetti, proprio la Corte individua i confini entro cui il legislatore deve muoversi, laddove lo sollecita ad intervenire per una riforma complessiva della materia [78], che investa «sia i criteri distintivi tra i regimi applicabili ai diversi datori di lavoro, sia la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie» [79]. Con riferimento alla dissuasività, non possono esserci dubbi sul fatto che le modifiche all’art. 9, d.lgs. n. 23/2015, devono riguardare l’aumento del­l’im­porto massimo dell’indennità dovuta [80], che deve assicurare una forbice tale da non vanificare il principio di personalizzazione del risarcimento [81], ma al contempo non gravare di oneri eccessivi il piccolo datore di lavoro. Sotto questo profilo, non è semplice l’individuazione della misura adeguata, ma una importante indicazione proviene dal considerando in cui la Corte evidenzia che tenuto conto dei principi [continua ..]


NOTE