Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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La centralità della pianificazione dei fabbisogni e del sistema di reclutamento per una pubblica amministrazione efficiente (di Madia D’Onghia, Professoressa ordinaria di Diritto del lavoro dell’Università degli Studi di Foggia)


Il contributo esamina le regole che presiedono alla organizzazione degli uffici e alla connesse politiche di reclutamento, per verificare se i più recenti interventi normativi, specie con riferimento alla pianificazione dei fabbisogni, alle procedure concorsuali, ivi compreso il tema dello scorrimento delle graduatorie, abbiano avviato una nuova e positiva fase in termini di valorizzazione delle risorse umane e di efficacia ed efficienza della pubblica am­ministrazione.

The key role of the staff planning and recruitment for an efficient Public Administration

The paper analyses the rules governing the organization of offices and the related recruitment policies for Public Administrations. The Author aims to assess whether the most recent regulatory interventions, especially with reference to staff planning and recruitment, including the scrolling of the ranking lists, have made way for a new and positive phase in terms of Human Resources enhancement and Public Administration effectiveness and efficiency.

SOMMARIO:

1. Introduzione. L’attuale fotografia del personale pubblico - 2. L’organizzazione degli uffici e la più recente politica di pianificazione dei fabbisogni - 2.1. Le linee di indirizzo del piano triennale dei fabbisogni - 3. Il riordino “strutturale” delle procedure di reclutamento - 4. Le alterne politiche di contenimento dell’utilizzo “patologico” delle graduatorie concorsuali - 4.1. Lo stop and go dell’ultimo biennio - 5. Brevi spunti conclusivi. Primi segnali di cambiamento ma ancora con troppe (e disorganiche) soluzioni normative - NOTE


1. Introduzione. L’attuale fotografia del personale pubblico

I fattori che concorrono a determinare il funzionamento della pubblica amministrazione (PA) sono molteplici e complesse sono le interazioni che intercorrono tra di essi, ma indubbiamente un ruolo centrale lo riveste il capitale umano sul quale, da anni, si fa fatica a realizzare un reale investimento. Gli interventi legislativi dell’ultimo quinquennio, a partire dalla Riforma Madìa (legge n. 124/2015), provano a ribaltare le politiche di austerità poste in essere con particolare durezza sin dal 2008, sull’allora malsana idea che il settore pubblico, a certe condizioni, più che funzionare da risorsa, potesse rappresentare un aggravio per l’intero sistema sociale e produttivo. Basti ricordare il reiterato blocco del ricambio generazionale e della contrattazione collettiva nazionale, i vincoli del patto di stabilità, la riduzione della spesa pubblica che certamente non hanno favorito il cambiamento e l’innovazione nell’organiz­za­zione degli uffici pubblici e l’efficientamento delle risorse umane. Anzi il quasi generalizzato blocco del turn over ha fortemente compromesso la capacità organizzativa della macchina pubblica e le aspettative di maggiore efficienza, efficacia, produttività, pur riposte nelle varie riforme avviate sin dagli anni ’90 [1]. In un Rapporto sul futuro della nostra PA [2] si è osservato come, nel momento in cui si è imposta la necessità di più stringenti controlli sulle dinamiche di spesa, il blocco delle assunzioni e della contrattazione abbiano innescato una sorta di circolo vizioso fatto di rinuncia alla programmazione dei concorsi, di assegnazioni a vere o presunte mansioni superiori per coprire i vuoti di personale, di collaborazioni coordinate e continuative o di contratti a termine discrezionali e ripetuti nel tempo, di remunerazioni sempre più appiattite. Il tutto con l’effetto di creare inevitabilmente un serbatoio di precari, agguerrito nell’ottenere stabilizzazioni di massa, anche a prescindere da ogni valutazione soggettiva e oggettiva [3]. I dati più aggiornati sulla composizione del personale pubblico [4] forniscono una eloquente fotografia di una PA fortemente ridimensionata, invecchiata, mal distribuita sul territorio e non sempre dotata di competenze adeguate. Nell’arco di quasi un decennio (2008/2017), la [continua ..]


2. L’organizzazione degli uffici e la più recente politica di pianificazione dei fabbisogni

Invero le norme sull’organizzazione degli uffici pubblici e del reclutamento sono state modificate più volte negli ultimi anni, limitatamente però a singoli profili e con interventi troppo spesso frammentari. Ecco perché, da tempo, si reclamava una riforma organica, che superasse alcune rigidità burocratiche legate, ad esempio, allo strumento della dotazione organica, già subentrata alle vecchie piante organiche [10]. Esso si è rivelato, infatti, sin da subito, uno strumento troppo rigido non in grado di far fronte alle esigenze dinamiche di una organizzazione che deve rapidamente far fronte ai fabisogni e alle limitate possibilità nella gestione delle risorse umane [11]. Soprattutto non ha funzionato il c.d. automatismo nel mantenere i posti una volta che i dipendenti avessero lasciato il lavoro; le PA, difatti, hanno accumulato (anche in relazione ai blocchi assunzionali succedutesi nel corso degli ultimi anni) posti vacanti nelle dotazioni organiche mai cancellati, che spesso sono serviti a dimostrare come, pur a seguito di numerose cessazioni e a parità di funzioni, le attività fossero state comunque svolte, con meno dipendenti e, quindi, con maggiore efficienza [12]. Il tema è stato posto al centro della legge delega di riforma della PA del 2015, con l’obiettivo di ridisegnare le modalità operative degli atti di macro organizzazione delle procedure concorsuali conseguenti, nella logica della semplificazione e razionalizzazione. In sede di attuazione, il d.lgs. n. 75/2017 valorizza il piano del fabbisogno a scapito della dotazione organica [13] – invero, di fatto non superata [14] – che deve ora rimodularsi in base ai fabbisogni programmati e alle assunzioni da effettuare, svincolandosi dal riferimento alla distribuzione del personale tra i diversi livelli di inquadramento. Si punta, così, a una visione flessibile e lungimirante dell’apparato amministrativo e dell’organizzazione pubblica, che facoltizza e responsabilizza la singola amministrazione, nell’ambito del budget assegnatole, a distribuire il personale in base a effettive esigenze e non ad aprioristici limiti di organico. L’intento del legislatore è affidare, come pure sottolineato dal Consiglio di Stato in sede di rilascio del parere sullo schema di decreto legislativo [15], [continua ..]


2.1. Le linee di indirizzo del piano triennale dei fabbisogni

Le sorti dell’ambiziosa riforma introdotta dal d.lgs. n. 75/2017 sono affidate in larga parte – come rilevato nel già citato parere del Consiglio di Stato –alla capacità di rendere il PTFP come il prodotto «di una valutazione effettuata a monte e, secondo ragionevoli previsioni per il futuro, circa l’effettivo fabbisogno della singola amministrazione, anche ad evitare distorsioni ed abusi derivanti dal superamento di un limite fisso, quale quello della dotazione organica, e dalla conseguente responsabilizzazione della stessa singola amministrazione nella valutazione delle proprie esigenze e dei conseguenti posti da coprire mediante le assunzioni». In questa prospettiva, centrale diviene il ruolo affidato alle «linee di indirizzo» (previste dal nuovo art. 6-ter TU), adottate con decreto interministeriale dell’8 maggio 2018 [19]. Si tratta di un documento di estremo interesse perché non solo esplicita meglio la ratio sottesa al superamento della dotazione organica ma fornisce anche una serie di indicazioni molto utili ai fini della concreta operatività del nuovo piano. L’obiettivo del PTPF, si legge nel documento, è quello di mutare la logica e la metodologia che le amministrazioni devono seguire nell’organizzazione e nella definizione del proprio fabbisogno di personale, prefigurando un circolo virtuoso tra organizzazione, scelta delle professioni e relative competenze professionali, ciclo di gestione della performance sviluppati e ciclo della programmazione finanziaria e di bilancio, tenendo conto anche della strategia anticorruzione e delle scelte in ordine al reclutamento delle risorse. Le linee di indirizzo partono dal fatto che il fabbisogno di personale implica un’attività di analisi e una rappresentazione delle esigenze sotto un duplice profilo, quantitativo e qualitativo. Il primo è riferito alla consistenza numerica di unità di personale necessaria sulla base di parametri che consentano di definire un fabbisogno standard a livello territoriale, a livello di funzioni omogenee ovvero sulle cessazioni avvenute; il secondo è riferito alle tipologie di professioni e competenze professionali meglio rispondenti alle esigenze dell’am­ministrazione. Vi sono poi indicazioni puntuali per favorire l’ottimale impiego delle risorse umane, con attenzione [continua ..]


3. Il riordino “strutturale” delle procedure di reclutamento

L’altro profilo posto al centro del disegno di riforma del 2015 attiene alla regolamentazione dei concorsi pubblici, cui è funzionale la definizione dei nuovi piani, quale suo naturale sbocco. La legge delega puntava, nel prisma dell’efficienza e della meritocrazia, a superare risalenti e cronici difetti del sistema di reclutamento [25], quali la rigidità delle procedure, il carattere teorico-nozionistico delle prove selettive, l’o­rientamento all’assunzione di profili generalisti, il decentramento in senso organizzativo e geografico delle procedure di selezione, l’irregolarità nella cadenza [26]. Numerosi erano gli aspetti della materia su cui si intendeva intervenire per rendere le procedure di accesso ai pubblici uffici più efficienti e ordinate; non a caso si è messa subito in evidenza, in dottrina, l’ampiezza del «catalogo delle deleghe riguardanti l’enforcement del sistema di reclutamento tramite concorso» [27]. Invero, in sede di attuazione, il legislatore delegato ha circoscritto l’inter­ven­to a pochi punti [28] e lo ha anche fatto in modo soft, intestando alle PA non obblighi giuridici, bensì semplici facoltà. Così è accaduto sulla possibilità (e non obbligo) di richiedere, tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento, il possesso del titolo di dottore di ricerca, che deve comunque essere valutato, ove pertinente, tra i titoli eventualmente rilevanti ai fini del concorso [29]. Meramente programmatica anche la previsione secondo cui per lo svol­gimento delle selezioni le PA possono rivolgersi al Dipartimento della Funzione pubblica e avvalersi dell’assistenza della Commissione RIPAM, consentendo anche di fissare nel bando un contributo di ammissione (non superiore a 10 euro), e fatte comunque salve le competenze delle commissioni esaminatrici [30]. A queste scarne disposizioni in tema di reclutamento ha fatto comunque seguito una disciplina più compiuta, affidata a un atto non regolamentare [31], contenuta nelle «Linee guida di indirizzo amministrativo», a cui il legislatore delegato aveva rinviato la generale revisione delle procedure di espletamento dei concorsi. Le Linee guida, predisposte dal Dipartimento della Funzione pubblica con la direttiva n. 3 del 24 aprile 2018, [continua ..]


4. Le alterne politiche di contenimento dell’utilizzo “patologico” delle graduatorie concorsuali

Se le scelte legislative degli ultimi anni sono, dunque, nella direzione di revisionare in toto, nei termini efficientisti e qualitativi appena descritti, lo strumento del concorso, il tutto va poi coordinato anche con la prassi degli “idonei a vita” e, dunque, con la questione – più volte posta all’attenzione sia del legislatore sia dei giudici amministrativi – della validità delle graduatorie dei concorsi pubblici. Il tema investe ben più ampie questioni tutte legate al più generale sistema di reclutamento del personale nelle pubbliche amministrazioni, che non possono essere qui approfondite [37]. Ci si limita a ricordare che, al termine di ogni procedura selettiva viene predisposta una graduatoria di merito che resta in vigore per un periodo di tempo prestabilito dalla legge al fine di consentire alle PA – durante il periodo di vigenza – di potervi attingere per reclutare altro personale mediante scorrimento, ma, allo stesso tempo, evitare un eccessivo invecchiamento delle medesime favorendo l’aggiornamento professionale degli aspiranti all’impiego pubblico. Il d.lgs. n. 165/2001, all’art. 35, comma 5-ter, fissava in tre anni la vigenza delle graduatorie a partire dalla data della loro pubblicazione, salvo prescrizione di inferiori periodi di vigenza previsti dalle leggi regionali. Eppure, nonostante l’espressa previsione di un simile limite temporale, nel corso degli anni, più volte si è prolungata la validità delle graduatorie [38], disponendo periodicamente lo slittamento in avanti dell’ordinario termine di vigenza, rendendo ultra-attive graduatorie anche molto risalenti negli anni [39]. E così, il reclutamento del personale da parte delle PA mediante scorrimento delle graduatorie ha assunto sempre più centralità: da essere inizialmente relegato a “eccezione”, è stato “incentivato” dal legislatore e, indirettamente, dalla giurisprudenza amministrativa [40], fino a diventare la “regola”, ovvero il canale di accesso al pubblico impiego più rilevante [41]. Un siffatto favor per il ricorso allo scorrimento delle graduatorie vigenti è rintracciabile anche nell’evoluzione del quadro legislativo a partire dall’ultimo decennio. Basti ricordare l’art. 4, d.l. n. 101/2013 (convertito con la legge n. [continua ..]


4.1. Lo stop and go dell’ultimo biennio

Di siffatta preoccupazione si è fatta carico anche la Riforma Madìa ma con disposizioni sin troppo timide rispetto ai principi direttivi della legge delega [47]. Infatti, senza apportare alcuna modifica alla regola generale di durata triennale delle graduatorie concorsuali, il d.lgs. n. 75/2017 si è limitato ad attribuire al­l’amministrazione la mera “facoltà” di contingentare nel bando di concorso il numero dei candidati idonei rispetto ai posti disponibili attraverso la fissazione di un limite massimo nella misura del 20% [48]. Molto più stringenti, invece, i provvedimenti dell’ultimo biennio che, sia pure con interventi non sempre lineari e con “incursioni derogatorie”, hanno inteso ridimensionare lo strumento dello scorrimento delle graduatorie, per riportare a equilibrio quel principio di triennalità che, nel corso degli ultimi anni, più leggi di stabilità avevano svilito con il ricorso al meccanismo della proroga [49]. E, infatti, con la legge di bilancio per il 2019, si è ribadita la durata triennale delle graduatorie utilizzabili «esclusivamente per la copertura dei posti messi a concorso», introducendo un meccanismo di determinazione graduata della validità temporale delle medesime (c.d. disciplina transitoria) [50]. Si inaugura così una nuova stagione, dove l’obiettivo è quello di far diventare lo scorrimento delle graduatorie, da strumento ordinario e privilegiato, a eccezionale e marginale, utilizzabile solo in specifiche circostanze. Ma da lì a poco, un sorta di arresto di questo nuovo paradigma si ha con il citato c.d. decreto concretezza del 2019 che, nell’annunciare assunzioni svincolate dai limiti del turn over, dà la possibilità alla PA di effettuare, in deroga alla disciplina sull’attivazione della mobilità preventiva ai concorsi di cui al­l’art. 30, d.lgs. n. 165/2001, «assunzioni a tempo indeterminato di vincitori o allo scorrimento delle graduatorie vigenti, nel limite massimo dell’80 per cento delle facoltà di assunzione previste per ciascun anno» [51]. Qui la preoccupazione è di “fare presto”, anche alla luce dello svuotamento del personale delle PA derivante dalle novità introdotte nel nostro sistema previdenziale con la “quota 100”, che ha [continua ..]


5. Brevi spunti conclusivi. Primi segnali di cambiamento ma ancora con troppe (e disorganiche) soluzioni normative

A questo punto possono trarsi alcune brevi conclusioni per verificare se davvero si è avviato un percorso di valorizzazione delle risorse umane per una amministrazione moderna, lungimirante, competente ed efficiente, in grado di erogare migliori servizi e contribuire al progresso dell’intero Paese, in termini di sviluppo e competitività. Indubbiamente la fine del blocco del turn over, unitamente all’elevato numero di cessazioni che ha dato avvio a diverse procedure concorsuali, costituisce una contingenza particolarmente favorevole per sperimentare l’efficacia delle nuove regole e delineare in modo rinnovato il volto futuro della PA. Il nuovo strumentario normativo si presenta decisamente più ricco e aggiornato rispetto al passato, rendendo più agevole i processi di riallineamento dei fabbisogni organizzativi delle PA alle effettive esigenze di funzionamento [61], oltre al fatto che la prevista revisione delle procedure concorsuali dovrebbe favorire l’ingresso di candidati migliori. Insomma la strada per ricomporre quella che è stata definita «una frattura tra i concorsi pubblici e la realtà», per cui «i concorsi si sono trasformati in una grande finzione» [62], sembrerebbe essere stata tracciata. Tuttavia, non si possono sottovalutare alcune preoccupazioni dovute al suc­cedersi di troppe norme, presentate ora sotto l’egida dell’ultima grande Riforma (e certamente non l’ultima [63]), ora per soddisfare esigenze particulari, in una sorta di bulimia normativa. Nell’ultimo anno, infatti, si si sono susseguiti diversi interventi legislativi ispirati da logiche contingenti che, attraverso deroghe e scorciatoie procedurali, sembrano muoversi in una direzione se non opposta quantomeno non perfettamente in linea con l’organica e strutturale revisione delle modalità di espletamento dei concorsi avviata dalla Riforma Madìa. Basti pensare, ad esempio, alle assunzioni programmate ex lege in una miriade di settori della PA, o per fronteggiare esigenze propriamente emergenziali [64], ovvero per ovviare agli effetti di precoce “svuotamento” degli organici delle PA a seguito dell’entrata in vigore di “quota 100” [65], o ancora, per soddisfare esigenze di singoli comparti dell’amministrazione centrale [66]. Ebbene, il [continua ..]


NOTE