Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Nozione euro-unitaria di lavoratore e magistratura onoraria (di Barbara de Mozzi, Professoressa associata in Diritto del lavoro, Università degli Studi di Padova)


Nel saggio ci si interroga circa le conseguenze dell'evoluzione della nozione euro-unitaria di “lavoratore” sul contenzioso relativo alla magistratura onoraria, sia con riferimento alla nozione di lavoratore di cui alla direttiva 2003/88/CE, sia in ordine alla qualificazione del rapporto dei giudici onorari quale rapporto di lavoro a termine, o a part-time, ai sensi delle direttive 1999/70/CE 1997/81/CE. Ci si sofferma sulla questione della comparabilità del rapporto con quello dei giudici togati e sulla esistenza, o no, di ragioni oggettive di differenziazione. Ci si sofferma, infine, sulla questione relativa all’abuso del rinnovo dei rapporti a tempo determinato e sulla portata della recente “stabilizzazione” dei giudici onorari di cui alla legge n. 234/2021.

Honorary judges and the concept of “worker” in EU law

The essay deals with the consequences of the evolution of the Euro-Union notion of “worker” on litigation concerning the honorary judiciary, both with reference to the concept of worker in Directive 2003/88/EC, and with regard to the qualification of the relationship of honorary judges as a fixed-term, or part-time, employment relationship under Directives 1999/70/EC 1997/81/EC. We dwell on the issue of the comparability of the relationship with that of ordinary judges and the existence, or not, of objective reasons for differentiation. Finally, we dwell on the issue regarding the abuse of the renewal of fixed-term relationships and the scope of the recent “stabilisation” of honorary judges under l. No. 234/2021.

SOMMARIO:

1. Le recenti prese di posizione della Corte di Giustizia in relazione alla magistratura onoraria e il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento - 2. L’iter argomentativo della sentenza UX - 3. La sentenza PG - 4. I diversi percorsi argomentativi delle sentenze di merito favorevoli ai giudici onorari - 5. Il dibattito attorno alle diverse nozioni di “lavoratore” nel diritto euro-unitario e la rilevanza per il tema in oggetto: la nozione di lavoratore “ai fini della libera circolazione” - 6. La vis espansiva della nozione di lavoratore “ai fini della libera circolazione” - 7. La nozione di lavoratore nelle direttive di armonizzazione parziale - 8. Circa la “comparabilità” del rapporto dei giudici togati rispetto a quello dei giudici onorari e circa la sussistenza di ragioni oggettive di differenziazione - 9. L’abuso nel rinnovo degli incarichi a termine e la procedura di “stabilizzazione” dei giudici onorari di cui alla legge di bilancio 2022 - 10. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Le recenti prese di posizione della Corte di Giustizia in relazione alla magistratura onoraria e il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento

È vivo il dibattito circa la qualificazione, nel nostro ordinamento, del rapporto dei giudici onorari quale “rapporto di lavoro” e circa le conseguenze di siffatta qualificazione in termini di tutela, dopo che la Corte di Giustizia si è pronunciata per due volte nel giro degli ultimi tre anni, con le sentenze UX [1] e PG [2]. A tali pronunce, che in sostanza, pur lasciando l’ultima parola al giudice nazionale, hanno rappresentato una consistente apertura verso la qualificazione dei magistrati onorari – ed in specie dei giudici di pace – quali “lavoratori” ai fini euro-unitari, ha, infatti, fatto seguito un nutrito drappello di pronunce delle nostre supreme magistrature [3], che hanno riaffermato la natura “onoraria” del rapporto e la distanza rispetto al rapporto di lavoro dei magistrati togati. In sostanza, malgrado le sollecitazioni provenienti dalla Corte di Giustizia, le supreme magistrature, amministrativa e civile, hanno continuato a qualificare il rapporto dei giudici onorari quale incarico non professionale, non permanente, fondato su un volontario impegno civico e neppure assimilabile ad una prestazione di lavoro autonomo, ribadendo la legittimità del differente trattamento economico e normativo previsto dal legislatore nazionale. Si tratta di orientamento consolidato, contraddetto a livello nazionale solo da talune pronunce di merito, che vasta eco hanno avuto nel dibattito [4]. Si segnala, tuttavia, la recentissima presa di posizione del Consiglio di Stato [5] che – pur ritenendo sussistenti “ragioni oggettive di legittima differenziazione” quanto al complessivo trattamento di magistrati onorari e magistrati togati – ha, a sua volta, sollevato questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia, in relazione alla posizione dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari, soggetti – ratione temporis – alla disciplina di cui al r.d. n. 12/1941, in ragione della mancata previsione di qualsivoglia diritto a 30 giorni di ferie e della mancata previsione di qualsivoglia forma di tutela di tipo assistenziale e previdenziale, nonché dell’assenza di qualsivoglia tutela contro l’abusiva reiterazione degli incarichi. Dal canto suo, la Corte costituzionale, pur dando atto dell’«identità funzionale dei singoli atti che il giudice di pace compie [continua ..]


2. L’iter argomentativo della sentenza UX

Ai fini di prendere posizione sulla questione circa la qualificazione o no del rapporto dei giudici onorari quale rapporto di lavoro ai fini euro-unitari e circa le ricadute, nel nostro ordinamento, di tale qualificazione, occorre in primo luogo, ripercorrere l’iter argomentativo delle due pronunce della Corte di Giustizia sopra richiamate; pronunce che hanno fatto seguito alla decisa presa di posizione del Comitato europeo dei diritti sociali (Ceds) del 2016, diretta a censurare la mancanza di un’adeguata copertura da parte del sistema di sicurezza sociale italiano nei confronti dei giudici di pace impiegati in modo continuativo e prevalente nell’attività di amministrazione della giustizia [11]. Come noto, nel primo dei due casi in esame, il caso UX, la ricorrente, giudice di pace, avendo definito nell’anno precedente 1800 procedimenti ed avendo svolto due udienze alla settimana (salvo che nel mese di agosto), rivendicava il pagamento di una somma parametrata all’indennità di ferie spettante ad un magistrato togato di pari anzianità di servizio (14 anni) o, in subordine, all’indennità netta da lei stessa percepita nel mese precedente quello dedicato al riposo (luglio 2018). Più specificamente, la ricorrente rivendicava in giudizio tale somma nei confronti del Governo italiano nella persona del Presidente del consiglio dei ministri, come risarcimento del danno subito a causa della violazione, «da parte dello Stato italiano», della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e dell’art. 7 della dir. 2003/88/CE, nonché dell’art. 31, par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Veniva dunque sollevato rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia, al fine (tra l’altro) di vedere accertato se quello del giudice di pace dovesse o no essere considerato un “rapporto di lavoro” a tempo determinato ai sensi degli articoli sopra richiamati e se il magistrato ordinario o professionale dovesse o no essere considerato “lavoratore a tempo indeterminato comparabile”, ai fini del riconoscimento al giudice di pace delle medesime condizioni di lavoro previste per il magistrato togato, ex art. 4 dir. 1999/70/CE e, ancora, se sussistessero o no ragioni oggettive di legittima differenziazione. La Corte, per risolvere i quesiti, era dunque chiamata a dirimere due questioni: in primo [continua ..]


3. La sentenza PG

Sostanzialmente analogo (per quanto qui di interesse) è l’iter argomentativo della pronuncia PG del 7 aprile 2022, anch’essa riferita ad un giudice di pace il cui rapporto era disciplinato, ratione temporis, dalla legge n. 374/1991. Qui, il giudice di pace ricorrente aveva chiesto (al Tar) [23] il riconoscimento del proprio status giuridico di dipendente pubblico a tempo pieno o a tempo parziale e la reintegrazione nei propri diritti quanto a trattamento economico, assistenziale e previdenziale, invocando, oltre alla direttiva 2003/88/CE e alla direttiva 1999/70/CE (qui “intrecciate” nell’invocazione), anche la direttiva 1997/81/CE, relativa al contratto di lavoro a tempo parziale. Spetta al giudice nazionale stabilire se il giudice di pace sia o no lavoratore a tempo parziale e/o lavoratore a tempo determinato, secondo le direttive 1997/81/CE e 1999/70/CE e se lo stesso si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, in assenza di ragioni oggettive di differenziazione. Se così è, al giudice di pace deve essere riconosciuto il diritto al godimento di ferie annuali retribuite di 30 giorni, oltre che un regime assistenziale e previdenziale come quello previsto per i magistrati ordinari, in quanto il regime assistenziale e previdenziale in discussione nella causa principale rientri nell’ambito della clausola 4 dell’accordo (essendo, come noto, escluse dallo stesso «le condizioni relative alle pensioni derivanti da un regime legale di previdenza sociale» [24]). Non basta la sussistenza di una norma generale ed astratta a fondare la differenza di trattamento, ove i lavoratori siano comparabili, ma è necessario sussistano elementi precisi e concreti di differenziazione. Questi ben possono consistere nella diversa natura delle funzioni esercitate (che richiedano, o no, a monte, il superamento di un concorso) o in una legittima finalità di politica sociale. Occorre, però, che gli elementi dedotti per giustificare siffatta differenziazione rispondano ad una reale necessità e siano idonei e necessari a conseguire l’obiettivo perseguito. Si tratta di circostanze, tutte, il cui accertamento spetta al giudice del rinvio. Quanto, poi, all’ulteriore questione sollevata dal Tar (relativa alla mancanza, nell’ordinamento nazionale, di un’adeguata disciplina “antiabuso”), la Corte chiarisce che [continua ..]


4. I diversi percorsi argomentativi delle sentenze di merito favorevoli ai giudici onorari

Come anticipato, sulla scorta delle pronunce della Corte di Giustizia sopra richiamate – e malgrado la ferma chiusura della Corte di Cassazione e, fino ai tempi più recenti, della giurisprudenza, anche amministrativa, dominante [25] – talune pronunce di merito sono ad oggi intervenute a riconoscere talune tutele ai giudici onorari. Ciò, tuttavia, è avvenuto secondo due iter argomentativi differenti. Talune pronunce [26] – escluso che ad ogni giudice onorario competa tout court il trattamento del magistrato ordinario – hanno in concreto accolto le domande del magistrato onorario ricorrente (lì un GOT) sulla scorta di una rigorosa analisi delle modalità di svolgimento del rapporto, reso – nel caso di specie – indistinguibile (per effetto di una stratificata disciplina secondaria praeter se non contra legem) da quello di un magistrato togato [27]. Altre invece [28], meno convincentemente, hanno riconosciuto tutela ai magistrati onorari (nel caso di specie, giudici di pace) senza procedere ad un rigoroso accertamento delle modalità di fatto di svolgimento del rapporto (in ipotesi indistinguibile da quello dei giudici togati), ma sulla base della qualificazione del relativo rapporto come rapporto di lavoro ai fini euro-unitari – in base alla stessa disciplina legale (legge n. 374/1991 e, poi, d.lgs. n. 116/2017) – e all’affermazione circa la insufficienza della regola del concorso a giustificare la differenza di trattamento economico, rispetto a un magistrato togato comparabile (ritenuto tale quello di prima nomina), in quanto sproporzionata. Da ultimo, nel dibattito è intervenuta la Consulta [29] che – avendo alle spalle un consolidato orientamento “rigettista” [30] – ha, bensì, giudicato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 4-ter legge n. 374/1991, per violazione dell’art. 36 Cost. (e dell’art. 97 Cost.) nella parte in cui fissa(va) il tetto di 72.000 euro annui lordi all’indennità del giudice di pace, ma lo ha fatto (stavolta) per il «modo in cui la questione è stata impostata dal remittente» e cioè senza né confrontarsi con la qualificazione da parte del legislatore italiano del rapporto in questione come “onorario” (ex art. 11, comma 1) e con la qualificazione come [continua ..]


5. Il dibattito attorno alle diverse nozioni di “lavoratore” nel diritto euro-unitario e la rilevanza per il tema in oggetto: la nozione di lavoratore “ai fini della libera circolazione”

Centrale è, in definitiva, nel discorso delle Corti la questione se quello del giudice onorario possa o no essere qualificato come “rapporto di lavoro”, ai sensi della direttiva 2003/88/CE, nonché ai sensi delle ulteriori direttive richiamate (direttiva 1999/70/CE e direttiva 1997/81/CE). È noto come ampio e ancora magmatico sia il dibattito intorno all(e) nozioni eurounitari(e) di lavoratore [34]. Ai fini della libera circolazione (art. 45 TFUE) l’ordinamento europeo accoglie una nozione “unitaria” e “comunitaria” di lavoratore (subordinato) – inteso quale «persona (che) fornisca per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceve una retribuzione», a condizione che detta attività non sia meramente marginale ed accessoria [35] –, diretta a garantire che tale libertà fondamentale non possa essere ostacolata da interpretazioni restrittive di siffatta nozione, adottate dagli stati membri; rispetto alla quale resta “irrilevante” la natura “sui generis del rapporto” rispetto al diritto nazionale [36]. Si tratta di una nozione che è stata estesa fino a comprendere «talune ipotesi di confine» [37]. Sono peraltro rari i casi in cui la Corte si è spinta, con riferimento alla nozione di lavoratore “ai fini della libera circolazione”, a meglio precisare il criterio della “subordinazione”. Quando lo ha fatto, ha per lo più valorizzato l’esercizio dei poteri di “direzione e controllo” da parte del datore di lavoro [38], o «la partecipazione ai rischi d’impresa, la libera scelta del proprio orario di lavoro o la libertà [o no] di assumere i propri collaboratori» [39]. Anche la nozione di “retribuzione” è stata declinata in senso ampio dalla giurisprudenza [40]. Si tratta, in definitiva, di nozione diretta soprattutto alla creazione di un mercato comune, e non già alla protezione dei lavoratori; centrata, per lo più, sulla distinzione tra soggetti economicamente attivi (sì da non rappresentare, alla lunga, un “peso” per le casse e per i sistemi sanitari nazionali) e soggetti economicamente non attivi, e non già sulle differenze tra lavoro subordinato ed [continua ..]


6. La vis espansiva della nozione di lavoratore “ai fini della libera circolazione”

È noto che la nozione sopra richiamata di “persona (che) fornisca per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di que­st’ul­tima, prestazioni in contropartita delle quali riceve una retribuzione”, a condizione che detta attività non sia meramente marginale ed accessoria è poi “transitata”, dall’ambito della libera circolazione ad altri campi del diritto europeo [45], ed in particolare alla materia antidiscriminatoria [46], della tutela della salute e sicurezza, (anche delle lavoratrici gestanti o puerpere) [47], ed alla materia dell’orario di lavoro [48]; campo, quest’ultimo, nel quale si poneva, del pari, la necessità di una nozione di lavoratore “unitaria e comunitaria” di lavoratore. La Corte ha, in un primo momento, chiarito che l’“esportazione” della nozione di “lavoratore” ai fini della libera circolazione, oltre i confini dell’art. 45 TFUE e, in particolare, il suo impiego ai fini antidiscriminatori trova ragione nel fatto che, anche in tale materia la definizione del concetto di lavoratore ha “contenuto comunitario” (non venendo rinviata agli stati membri), trattandosi di precisare «la nozione di lavoratore ai fini del principio della parità di trattamento» [49]. Successivamente la Corte – sulla scorta del diritto derivato che testualmente lo prevede [50] – ha peraltro chiarito che le tutele antidiscriminatorie trovano applicazione anche ai lavoratori autonomi e non solo ai lavoratori subordinati di cui all’art. 45 TFUE. Tale tutela non ha, del resto, l’obiettivo di tutelare i lavoratori quale “parte debole di un rapporto di lavoro”, bensì di eliminare, «per ragioni di interesse sociale e pubblico, tutti gli ostacoli fondati su motivi discriminatori… alla capacità di contribuire alla società attraverso il lavoro, a prescindere dalla forma giuridica in virtù della quale esso è fornito» [51] . Una nozione “unitaria e comunitaria” di lavoratore si impone, per quanto qui di interesse, anche con riferimento alla direttiva 2003/88/CE, in materia di orario di lavoro, posto che neppure tale direttiva rinvia agli stati membri la individuazione della nozione di lavoratore. Detta nozione “unitaria e comunitaria” di [continua ..]


7. La nozione di lavoratore nelle direttive di armonizzazione parziale

Al di là del “parziale” risultato di tutela garantito dall’art. 7 dir. 2003/88/CE, un più pieno riconoscimento, a favore dei giudici onorari, di uno statuto protettivo “comparabile” con quello dei magistrati onorari (in materia di condizioni di lavoro) deve, dunque, passare attraverso la porta “più stretta” dell’art. 4 dir. 1999/70/CE e art. 4 dir. 1997/81/CE. Diverse sono le considerazioni che devono farsi, in linea di principio, con riferimento alle direttive c.d. di armonizzazione parziale, o “funzionale”, quali, per quanto qui di interesse, quelle in materia di contratto a termine o di contratto a part-time, le quali adottano una nozione c.d. “sussidiaria” di subordinazione, determinata per rinvio al diritto nazionale [60], fermo però l’“effetto utile” delle direttive stesse. In sostanza, in linea di principio, l’accordo quadro annesso alla direttiva 1999/70/CE trova applicazione a condizione che il lavoratore abbia un «contratto o un rapporto disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore in ciascuno stato membro». Ed analogamente dicasi per l’ac­cordo quadro in materia di part-time. E tuttavia, più recentemente, la vis espansiva della nozione di lavoratore “ai fini della libera circolazione” è andata manifestandosi (in modo via via più rilevante) anche con riferimento a siffatte direttive di c.d. armonizzazione parziale. Così, in Sibilio [61] la Corte, pur muovendo dalla considerazione che la nozione di “lavoratore” è rimessa ai singoli stati membri, aveva affermato, in applicazione del principio del c.d. “effetto utile”, che gli stati membri, nel definire chi è “lavoratore” a termine, non possono escludere arbitrariamente dalla tutela quei soggetti il cui rapporto non presenti caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dei rapporti qualificati come di lavoro subordinato a tempo determinato “ai sensi del diritto nazionale”, non potendo il legislatore nazionale «rifiutare la qualifica giuridica di rapporto di lavoro subordinato a rapporti che, oggettivamente, rivestono una siffatta natura» (si potrebbe precisare: “secondo il diritto interno”) [62]. Anche nella coeva sentenza O’Brien la Corte ricorre al principio [continua ..]


8. Circa la “comparabilità” del rapporto dei giudici togati rispetto a quello dei giudici onorari e circa la sussistenza di ragioni oggettive di differenziazione

Ad ogni modo (a “valle” rispetto alla qualificazione del rapporto, come rapporto di lavoro), al fine del riconoscimento a favore dei magistrati onorari di tutele analoghe a quelle dei magistrati togati, occorre anche dimostrare sia che il rapporto di questi ultimi sia “comparabile”, sia che non sussistano ragioni oggettive di differenziazione. Ed è proprio su tali profili – comparabilità e “ragioni oggettive di differenziazione” (da accertare con riferimento agli specifici trattamenti di volta in volta rivendicati) [75] – che si gioca, in definitiva, la partita dell’accesso alle tutele dei giudici onorari. In linea di principio, l’argomento della minore complessità delle mansioni affidate, del principio del “concorso” – (a presidio degli essenziali valori della qualificazione, dell’indipendenza e dell’imparzialità del giudice) [76] –, della diversa disciplina delle incompatibilità restano centrali nel giustificare differenziazioni di trattamento tra i magistrati togati e i giudici onorari. E si tratta, in effetti, di profilo particolarmente valorizzato nella più recente posizione del Consiglio di Stato [77]. Fermo che, come si è detto, si tratta di valutazioni che vanno condotte con riferimento alla specifica condizione di lavoro controversa (oltre che, naturalmente, alla disciplina ratione temporis di volta in volta applicabile, che ha visto, bensì, tentativi di razionalizzazione, da parte del legislatore nazionale, ma allo stato del tutto insoddisfacenti) [78]. Ove però, alla prova dei fatti, la prassi ed il concreto atteggiarsi del rapporto abbiano fatto in concreto deviare tale figura dai binari per essa originariamente tratteggiati dal legislatore, sì da renderla sostanzialmente indistinguibile da quella dei giudici togati (tenendo conto dei profili sopra richiamati) (ed è il caso, ad esempio, del GOT giunto all’attenzione del Tribunale di Vicenza), la privazione dalle tutele non troverebbe giustificazione [79]. In definitiva, ciò che sembra chiedersi ai giudici nazionali è un rigoroso accertamento delle circostanze di fatto idonee a determinare, in concreto, un avvicinamento del rapporto del giudice onorario a quello del giudice togato, fino a renderlo assimilabile, quanto a compiti e responsabilità, a quello dei magistrati [continua ..]


9. L’abuso nel rinnovo degli incarichi a termine e la procedura di “stabilizzazione” dei giudici onorari di cui alla legge di bilancio 2022

Centrale, nella pronuncia PG [81] (quale ulteriore portato della qualificazione del giudice onorario quale “lavoratore” ai fini euro-unitari) è poi il profilo relativo all’abuso del rinnovo del contratto a termine. Poiché, se il rapporto deve essere considerato “di lavoro” a termine, allora la possibilità (riconosciuta dall’art. 29 d.lgs. n. 116/2017, applicabile ratione temporis) di prosecuzione per quattro mandati, fino a 16 anni di servizio, era senz’altro contraria all’art. 5 dir. 1999/70/CE, che prescrive idonee misure antiabuso. Misure che, però, l’ordinamento italiano ha omesso di introdurre. Ed infatti, l’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 sanziona, sì, il ricorso abusivo al contratto a termine, ma unicamente con riferimento al settore pubblico “privatizzato”. Sicché la riconosciuta contrarietà all’art. 5 della direttiva 1999/70/CE (non self-executing) della disciplina nazionale relativa al rinnovo degli incarichi a termine a favore dei giudici onorari (ove il giudice del rinvio accerti che quello del giudice onorario è rapporto “di lavoro”) non potrebbe portare alla condanna del Ministero “datore di lavoro” al risarcimento del danno “comunitario” [82], in mancanza di una norma nazionale di attuazione della direttiva (qual è, per i soli rapporti di pubblico impiego privatizzato, l’art. 36 d.lgs. n. 165/2001), che il Ministero (datore di lavoro) abbia in ipotesi disatteso. Pur in assenza di una disposizione interna che abbia dato attuazione all’art. 5 della direttiva 1999/70/CE con riferimento ai rapporti di lavoro “in regime pubblicistico”, lo Stato (rappresentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) dovrebbe, cionondimeno, risarcire il danno da mancata corretta attuazione della direttiva, ricorrendo i presupposti di cui alla giurisprudenza Francovich [83]. Proprio muovendo dalla constatazione della natura non self-executing dell’art. 5 dir. 1999/70/CE, il Tribunale di Brescia sceglie dunque di rivolgersi alla Consulta, sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 legge n. 374/1991 e dell’art. 1 del d.lgs. n. 92/2016 (applicabili ratione temporis), per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., nella parte in cui in cui tali norme avevano consentito, per il giudice di pace ricorrente, [continua ..]


10. Considerazioni conclusive

In definitiva, la nostra giurisprudenza di Cassazione [92] continua a negare tutela ai giudici onorari, “attestandosi” sulla “prima linea” della negazione della qualificazione del loro rapporto come rapporto “di lavoro”. A differenza, pare, del Consiglio di Stato, che nella sua recentissima presa di posizione sembra arretrare rispetto a tale “prima linea” di difesa; riconoscere la natura di “rapporto di lavoro ai fini euro-unitari” del rapporto dei magistrati onorari (a prescindere dal concreto atteggiarsi, in fatto, del singolo rapporto) e ri-posizionare la “trincea” del mancato riconoscimento dei diritti, a valle, sul (solo) terreno della sussistenza di “oggettive differenze di fatto”, ex art. 4 dir. 1999/70/CE. Con ciò, implicitamente aderendo alla più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia che, come visto, ha finito (interpretando “disinvoltamente” la clausola dell’“effetto utile” di cui alla dir. 1999/70/CE e dir. 1997/81/CE) per appiattire la nozione di “lavoratore a termine” e di “lavoratore a part-time” (rimessa in linea di principio agli stati membri) su quella (unitaria e comunitaria) nata ai fini della libera circolazione e poi transitata in altri campi del diritto europeo. Nel “mezzo” (e più equilibrata, rispetto alle diverse posizioni in commento) sembra la linea di parte della giurisprudenza di merito (Tribunale di Vicenza) che, come visto, ritiene che il pieno riconoscimento delle tutele ai giudici onorari passi attraverso il necessario rigoroso accertamento delle modalità di fatto di svolgimento del rapporto (ove, in ipotesi, indistinguibile da quello dei giudici togati). Fermo che (anche al netto di una “indistinguibilità di fatto del rapporto”), spetterebbe comunque (anche nel regime previgente il d.lgs. n. 116/2017) al magistrato onorario il diritto a quattro settimane di ferie, ex art. 7 dir. 2003/88/CE, essendo sul punto l’orientamento della Cassazione non più sostenibile, in ragione dell’ampia nozione di lavoratore ai fini euro-unitari (qui sì, unitaria e comunitaria), accolta dalla direttiva 2003/88/CE. Quanto alla tutela contro l’abuso del rinnovo del contratto a termine, al di là della possibilità di richiedere alla Presidenza del Consiglio dei ministri il risarcimento del [continua ..]


NOTE