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La compartecipazione al costo delle prestazioni socio-sanitarie rese alle persone con disabilità: il caso delle RSA

Giovanna Pistore, Dottore di ricerca in Diritto del lavoro, Università di Padova e Siviglia

L’articolo analizza le problematiche riguardanti la compartecipazione al costo delle prestazioni socio-sanitarie rese alle persone disabili, con particolare riferimento al ricovero in RSA. Ricostruita la disciplina di riferimento, ci si interroga sulla congruenza delle scelte legislative e della prassi amministrativa rispetto ai principi indicati dalle fonti primarie, interne e sovranazionali. L’assetto vigente evidenzia una complessiva attitudine assistenzialistica la quale, invece, meriterebbe una profonda revisione. Viene dunque proposta una diversa chiave di lettura. al fine di tutelare non solo le persone con disabilità, ma anche i familiari che se ne prendono cura.

Parole Chiave: sicurezza sociale – disabilità – prestazioni socio-sanitarie.

Cost-sharing of social and health services provided to people with disabilities: the case of nursing homes

The article deals with the problems concerning the cost-sharing of social and health services provided to disabled people, with particular reference to nursing homes. Once the regulatory framework has been reconstructed, the analysis focuses on how legislative choices and administrative practices are congruent with respect to the principles indicated by the primary sources. The current structure highlights an overall charitable attitude which, on the other hand, deserves a profound revision. A different interpretation is therefore proposed. in order to protect not only people with disabilities, but also the family members who take care of them.

Keywords: Social Security – Disability – health and social services.

Sommario:

1. Premessa - 2. Le distinte tipologie di prestazioni sociosanitarie e la ripartizione dei costi - 3. Diritti del disabile e vincoli di bilancio - 4. Segue. Quota di compartecipazione e diritti del disabile nella sfera familiare - 5. Obblighi di integrazione e solidarietà familiare - 6. Il risarcimento del danno da mancata integrazione pubblica - 7. Alcune considerazioni finali. La perdurante ambiguità nella tutela delle persone con disabilità - NOTE


1. Premessa

Il finanziamento delle prestazioni socio-sanitarie rese alle persone con disabilità è tema che torna ciclicamente nel dibattito legislativo e culturale. Tuttavia, nonostante le dichiarazioni di principio, difettano ad oggi delle soluzioni che approntino una tutela concreta ai bisogni dei disabili e delle famiglie. È noto come la disabilità imponga numerose spese per assistenza, visite specialistiche, mobilità, attrezzature, terapie. Questi costi vengono spesso lasciati, almeno in parte, a carico dell’assistito e della sua famiglia, riducendo il reddito disponibile e quindi determinando un peggioramento delle condizioni economiche effettive [1]. Emblematici, al riguardo, sono i dati rilevati dal­l’EUROSTAT (secondo una direttrice costante negli anni), i quali evidenziano che nel 2020 circa il 29.0% della popolazione europea con disabilità (di età pari o superiore a sedici anni) era a rischio di povertà o di esclusione sociale, rispetto al 19,2% delle persone senza limitazioni [2]. Il raggiungimento di un approdo normativo equo è questione non agevole, dato l’intreccio tra plurime istanze di difficile composizione: i diritti del disabile, le strettoie della finanza pubblica, i (dimenticati) diritti dei familiari, e il rapporto tra obblighi statuali e solidarietà familiare. In questo contributo ci si soffermerà su un aspetto del complesso quadro assistenziale: la compartecipazione al costo del ricovero della persona con disabilità in RSA. Percorreremo la normativa e la prassi vigente, interrogandoci sulla correttezza delle scelte adottate e su quali, nell’assetto attuale e de iure condendo, possano essere gli strumenti di tutela per i disabili e le loro famiglie.

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2. Le distinte tipologie di prestazioni sociosanitarie e la ripartizione dei costi

L’inquadramento dei molteplici problemi richiede una previa, seppur concisa, disamina dell’articolata disciplina di riferimento. Il d.lgs. n. 229/1999, di Riforma del Servizio Sanitario Nazionale, ha modificato il previgente d.lgs. n. 502/1992 [3] e introdotto la nozione di prestazioni sociosanitarie. Tali sono tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione (art. 3-septies, comma 1, d.lgs. n. 502/1992). La nozione si articola in tre tipologie d’intervento [4]: a)    prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè «le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite» (art. 3-septies, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 502/1992); b)   prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè «tutte le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute» (art. 3-septies, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 502/1992); c)    prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sociosanitaria, che vengono comprese nei livelli essenziali di assistenza e sono caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria; attengono, tra l’altro, alle aree inerenti alla disabilità, anche conseguente a patologie cronico-degenerative (art. 3-septies, commi 4 e 5, d.lgs. n. 502/1992). L’ospitalità alberghiera presso strutture residenziali di adulti e anziani con limitazione dell’autonomia, non assistibili a domicilio, rientra tra le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria. Il costo di tali prestazioni è diviso in due componenti: una quota sanitaria e una quota sociale o alberghiera [5]. La quota sanitaria è a carico del SSN. Riguardo alla quota alberghiera, l’art. 6, comma 4, legge n. 328/2000 [6] dispone che il comune di residenza dei soggetti bisognosi, previamente informato, debba assumere gli obblighi connessi all’eventuale [continua ..]

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3. Diritti del disabile e vincoli di bilancio

Il primo segmento della questione ripropone l’annoso problema del rapporto tra diritti sociali e vincoli di bilancio e si dipana in due sotto-interrogativi: a. se l’Amministrazione possa negare l’integrazione alla retta, ove difettino le necessarie risorse; b. come articolare la quota di compartecipazione che può essere richiesta al disabile sulla base dell’ISEE. La decisione sulle risorse da destinare all’integrazione della retta implica l’esercizio, da parte dell’amministrazione, di un potere discrezionale [10], per cui è necessario «individuare il paradigma normativo alla stregua del quale va esercitato detto potere; e, più nello specifico, verificare se in questa opera di conformazione dei diritti fondamentali l’Amministrazione possa qualificare tali diritti come finanziariamente condizionati, ovvero se abbia un obbligo di risultato rispetto alla loro tutela, pur in un contesto di scarsità di risorse» [11]. Il dato normativo, nella sua asciuttezza, sembra propendere per la superiorità delle esigenze finanziarie. L’art. 14, comma 2 del d.P.C.M. n. 159/2013 pone in capo agli enti l’obbligo di adottare gli atti anche normativi necessari all’erogazione delle prestazioni sociali agevolate «nel rispetto degli equilibri di bilancio programmati». Il precetto, per i Comuni, si incastra con quanto stabilito dal d.lgs. n. 267/2000, Testo Unico degli Enti Locali, e segnatamente dagli artt. 153, comma 5, 183, 191 e 193: gli enti possono effettuare spese solo se sussistono l’impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria. Dalle disposizioni in parola la Suprema Corte desume, univocamente, che l’obbligo di integrazione comunale non sia incondizionato, bensì presupponga «il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, ravvisabili nelle effettive risorse organizzative e finanziarie di cui l’Ente dispone» [12]. In tal senso, quindi, dovrebbe essere letto l’inciso dell’art. 6, comma 4, legge n. 328/2000, per cui il Comune deve essere “previamente informato” circa la necessità di ricovero [13]. Le cennate pronunce, pur affermando la necessità di un contemperamento tra interessi, in realtà, di fatto, lo escludono. Il bilanciamento [continua ..]

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4. Segue. Quota di compartecipazione e diritti del disabile nella sfera familiare

Tanto rilevato, veniamo ora all’altro punto di analisi, cioè determinare quale possa essere la quota di compartecipazione richiedibile all’utenza. La disciplina statale, infatti, non contiene indicazioni specifiche sulle soglie ISEE di definizione della compartecipazione, né sui costi da attribuire agli utenti. La materia, dunque, è stata sostanzialmente regolata dagli enti territoriali: in prima battuta i Comuni, ma anche le Regioni, che talora sono intervenute attraverso atti di indirizzo volti a omogeneizzare i sistemi locali di compartecipazione [18]. La casistica sottoposta al vaglio giudiziale evidenzia come i regolamenti comunali spesso dispongano che il disabile si faccia carico delle spese di ricovero con tutti i suoi beni e redditi, salvo l’eventuale corresponsione di una minima quota destinata alle spese personali, determinata in misura fissa [19]. Simili disposizioni vengono ritenute illegittime dalla concorde giurisprudenza amministrativa, sulla scorta dell’art. 2, comma 1, del d.P.C.M. n. 159/2013. La norma precisa che «la determinazione e l’applicazione dell’indicatore ai fini dell’accesso alle prestazioni sociali agevolate, nonché della definizione del livello di compartecipazione al costo delle medesime, costituisce livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione».  Secondo l’orientamento costante, il precetto non consente di creare criteri per la compartecipazione derogatori o sostitutivi rispetto all’ISEE Questo resta l’indefettibile strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati e deve perciò scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate, per garantire il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale e sanitaria ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, alla stregua degli artt. 32, 38 e 53 della Costituzione [20]. Quindi, seguendo la posizione menzionata, la modulazione della quota di compartecipazione alle prestazioni deve avvenire sulla base dell’ISEE e resta sempre precluso il totale assorbimento dei redditi del fruitore. L’assunto viene mitigato qualora attraverso il ricovero in una struttura assistenziale siano assicurati al beneficiario tutti i servizi necessari ai bisogni della vita [21]. In tale ipotesi, il [continua ..]

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5. Obblighi di integrazione e solidarietà familiare

Ulteriore questione che affiora nella pratica concerne l’individuazione del soggetto obbligato all’integrazione della retta allorché il patrimonio del disabile sia incapiente e, in particolare, se i primi onerati siano i comuni di residenza oppure i familiari e/o i soggetti obbligati civilmente agli alimenti. In passato, l’art. 1, comma 3, legge n. 1580/1931, prevedeva l’azione di rivalsa “delle spese di spedalità o manicomiali”, esperibile dalle amministrazioni degli ospedali o dei Comuni anche verso i congiunti dei ricoverati che erano per legge tenuti agli alimenti durante il periodo del ricovero e si trovassero in condizioni di sostenere, in tutto o in parte, l’onere delle degenze, nell’ordine stabilito dall’art. 142 c.c. Quindi, l’onere di pagamento della retta ricadeva in prima battuta sui familiari dei ricoverati. La disposizione, abrogata dall’art. 24 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, continua tuttavia ad alimentare alcune residue azioni in giudizio per fattispecie ricomprese ratione temporis [29]. Le norme di dettaglio attualmente vigenti non forniscono, invece, appigli certi. Si è visto sopra che la legge n. 328/2000 regolamenta l’accesso ai servizi rinviando alle disposizioni concernenti la determinazione dell’ISEE. In proposito, l’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 109/1998 [30], escludeva esplicitamente ogni modifica alla «disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti ai sensi dell’art. 433 del codice civile», non potendo in alcun modo inferirsi «(l’) attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’art. 438, primo comma del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare». Da un lato, quindi, veniva negata la legittimazione degli enti pubblici ad agire in via surrogatoria verso gli obbligati agli alimenti, trattandosi di una facoltà strettamente personale dell’alendo, secondo quanto già previsto dall’art. 438, comma 1, c.c. [31]. D’altro canto, però, veniva espressamente fatto salvo l’art. 433 c.c., nulla dicendo sull’obbligo, in capo al beneficiario, di esperire le pertinenti azioni in via prioritaria rispetto alla richiesta di integrazione da parte pubblica. La disposizione è stata abrogata dall’art. 5, d.l. n. 201/2011 e dal successivo d.P.C.M. n. 159/2013, i [continua ..]

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6. Il risarcimento del danno da mancata integrazione pubblica

Analizzato il ruolo dei diversi attori e le carenze nell’assetto vigente, occorre svolgere da ultimo alcune brevi considerazioni sui rimedi risarcitori con cui il disabile e i suoi familiari possano far valere i danni dovuti al mancato finanziamento pubblico del ricovero. In particolare, meritano attenzione non tanto le conseguenze patrimoniali dell’illecito, facilmente quantificabili negli esborsi sostenuti, ma soprattutto il più sfuggente danno non patrimoniale. Scorrendo la giurisprudenza in materia, ci si avvede come le pronunce sfocino spesso in valutazioni di natura equitativa ove la discrezionalità si traduce in stime al ribasso del pregiudizio, senza alcuna motivazione sul metodo liquidatorio seguito [36]. Invece, l’accertamento e la liquidazione del danno meriterebbero un approfondimento puntuale, poiché costituiscono questione concreta che incide sulla reale garanzia dei diritti. È dunque necessario sviluppare un sistema risarcitorio che sia effettivo e coerente, tenendo in considerazione le coordinate elaborate sul punto da giurisprudenza e dottrina [37]. La prima è la natura unitaria del danno non patrimoniale, ossia l’omogeneità nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus a qualsiasi diritto costituzionalmente protetto. La seconda è l’onnicomprensività del risarcimento: la liquidazione del pregiudizio deve rappresentare una effettiva riparazione di tutte le conseguenze dell’illecito, evitando duplicazioni risarcitorie e prevedendo una soglia minima di apprezzabilità. Inoltre, il ristoro del danno dovrà contemplarne sia la componente statica, sia le conseguenze dinamico-relazionali e quelle morali. Nell’esplicitazione di questi canoni è oramai acquisito, dalla legislazione [38] e dalla giurisprudenza di Cassazione [39], il ruolo uniformante del sistema tabellare, ove la morfologia del danno e la regola equitativa ex art. 1226 c.c. si traducono, sotto il profilo quantificatorio, nell’individuazione di un “punto base” e di fattori incrementali relativi alla personalizzazione del danno dinamico-relazionale e al calcolo di quello morale. Con specifico riferimento al mancato ricovero del disabile, è possibile distinguere macroscopicamente due categorie di danno. La prima è la lesione al bene salute provocata dalla mancata assistenza, per la quale [continua ..]

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7. Alcune considerazioni finali. La perdurante ambiguità nella tutela delle persone con disabilità

Tirando le fila del nostro percorso, l’analisi del quadro normativo rivela un atteggiamento anodino del Legislatore, in bilico – come spesso accade – tra la proclamazione delle tutele e la loro attuazione concreta. L’assetto vigente origina da molteplici, e ben note, ambiguità di fondo, tuttora lontane da una soluzione inequivoca. Il primo nodo da sciogliere è il dato culturale relativo alla considerazione del disabile, che inevitabilmente inficia la stessa produzione legislativa e la prassi amministrativa. Sia le fonti primarie sovranazionali che quelle interne affermano la necessità che il disabile venga integrato nella società, e riguardato come soggetto titolare di diritti che devono essere esercitati, il più possibile, in autonomia. Di contro, la realtà dei fatti e il quadro giuridico ordinario, che ne è la traduzione, persistono in un’attitudine assistenzialistica. La persona con disabilità viene considerata quale oggetto delle provvidenze pubbliche e in tale ottica depauperata di ogni diritto che vada oltre il ristretto contesto di cura. Abbiamo visto che, per quanto concerne la compartecipazione alla retta delle RSA, ciò si traduce nella totale devoluzione dei redditi del disabile al ricovero, senza considerare la sussistenza di ulteriori esigenze dello stesso. In questa prospettiva, non solo giuridica ma primariamente culturale, si inserisce una pressoché totale negazione dei diritti ai familiari del disabile. Gli stessi risultano onerati di un indiscriminato onere assistenziale, che poggia su una considerazione unidirezionale del dato codicistico in materia di solidarietà familiare, quando invece pure il disabile, a rigore, ha il diritto ad avere degli obblighi nei confronti dei propri congiunti. Peraltro, sono note le pesanti ripercussioni economiche e psicologiche determinate in una famiglia dalla necessità di curare una persona con disabilità. D’altronde, una tutela effettiva del disabile e dei suoi familiari non può prescindere da adeguati stanziamenti economici. E qui ritorna, ineludibile, l’annoso problema della contrapposizione tra vincoli di bilancio e diritti sociali, in cui la preminenza dei secondi, reiteratamente affermata dalla giurisprudenza costituzionale, sbiadisce a fronte dei primi. Le strettoie finanziarie, peraltro, risultano vieppiù accentuate negli enti locali, chiamati a far [continua ..]

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