Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Digitalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni e gender (pay) gap fra opportunità, rischi e sfide (di Pia De Petris, Assegnista di ricerca di diritto del lavoro, Università degli Studi di Milano Statale)


Il contributo intende analizzare, sotto la lente della parità di genere, il processo di digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, al fine di verificare se quest’ultimo possa essere un effettivo e valido strumento di lotta al gender gap, inteso quale articolato fenomeno che, a varie longitudini e soprattutto sul fronte retributivo-reddituale, involge (anche) il pubblico impiego. In particolare, l’analisi è focalizzata su due fronti specifici della digitalizzazione: la diffusione di modalità organizzative più flessibili (lavoro agile, lavoro da remoto, coworking) e l’uso di tecnologie algoritmiche nell’assunzione e gestione dei lavoratori. Dall’indagine emerge che entrambe le frontiere della transizione digitale possono essere messe al servizio della gender equality, purché si assicuri il rispetto di una duplice condizione: da un lato, l’implementazione della regolamentazione su diversi fronti, per marginalizzare i rischi di segregazione occupazionale e retributiva, work-life blending e discriminazione algoritmica; e dall’altro il rinnovamento delle proprie leve organizzative da parte delle Pubbliche Amministrazioni.

Digitisation of Public Administrations and gender (pay) gap between opportunities, risks and challenges

The essay aims to analyze, under the lens of gender equality, the process of digitization of public administrations, in order to verify whether the digital transformation can be a real tool to fight the gender gap, understood as a complex phenomenon that, on different aspects but especially on the pay gap, concerns (also) work in Public Administrations. In particular, the analysis focuses on two specific fronts of digitalization: the spread of more flexible organizational modes (smart working, remote working, coworking) and the use of algorithmic technologies in the recruitment and management of workers. The survey shows that both frontiers of the digital transition can be put at the service of gender equality, provided that a dual condition is ensured: on the one hand, the implementation of regulation on several fronts, to marginalize the risks of occupational and wage segregation, work-life blending and algorithmic discrimination; and on the other hand the renewal of their organizational levers by public administrations.

SOMMARIO:

1. Digitalizzazione e parità: un connubio (im)perfetto per l’efficienta­mento e la modernizzazione della P.A.? - 2. Digitalizzazione e flessibilità spazio-temporale: le opportunità (incolte) per la parità - 3. Il lavoro agile nella pubblica amministrazione nell’ottica della parità di genere: le insidie (e le occasioni) del lascito pandemico - 3.1. L’istituzionalizzazione post pandemica del lavoro agile e le altre frontiere del “lavoro da remoto” nel pubblico impiego - 4. Digitalizzazione ed efficientamento algoritmico: le ricadute sul gender gap - 5. Spunti conclusivi per una digitalizzazione della P.A. al servizio della parità - NOTE


1. Digitalizzazione e parità: un connubio (im)perfetto per l’efficienta­mento e la modernizzazione della P.A.?

La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione costituisce uno dei pilastri fondamentali della (neo)strategia, rilanciata anche dal Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) e dal Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale [1], di efficientamento e modernizzazione delle pubbliche amministrazioni. Nell’ennesima stagione di riforma a oltre trent’an­ni dalla privatizzazione del pubblico impiego [2], la digitalizzazione organizzativa sembra costituire uno dei più promettenti fattori di rilancio del lavoro pubblico [3], che, in segno di discontinuità con il passato, si caratterizza per una pianificazione che pone al centro dei suoi obiettivi la valorizzazione del capitale umano, la formazione e la tutela della professionalità [4], per mezzo di una strategia di «attrazione, selezione, assunzione, retention e valutazione del talento, rinnovando i meccanismi di carriera attuali (verticali e orizzontali)» (PNRR [5]). Siffatta strategia potrebbe costituire anche una leva strategica per la parità di genere, data l’inscindibile correlazione fra pari opportunità, benessere organizzativo e formazione [6]. D’altronde, la parità di genere rappresenta l’obiettivo trasversale a tutte le missioni del PNRR [7], rilanciato dall’attivazione di un importante strumento di monitoraggio e valutazione costante delle azioni di parità, quale il Sistema nazionale di certificazione della parità di genere [8] (introdotto dalla legge n. 162/2021 e oggetto di applicazione anche fra le P.A. [9]), a cui si aggiunge l’adozione «di nuovi meccanismi di reclutamento nella PA e la revisione delle opportunità di accesso alle posizioni dirigenziali di alto livello» [10]. In effetti, nonostante la fitta tutela promozionale della parità dispiegata in decenni di riforme [11], il raggiungimento della parità di genere è un obiettivo ancora molto lontano da raggiungere, anche nel pubblico impiego, dove il divario di genere presenta dati sicuramente meno gravi del privato ma non meno preoccupanti, specie in ordine alla radicata marginalizzazione delle donne nei ruoli di vertice della Pubblica Amministrazione [12]. Sicché pare opportuno, per non dire necessario, analizzare il fenomeno della digitalizzazione della P.A. sotto la lente della [continua ..]


2. Digitalizzazione e flessibilità spazio-temporale: le opportunità (incolte) per la parità

Uno dei maggiori vantaggi, per la parità di genere, proveniente dalla digitalizzazione è l’incremento delle opportunità di accedere a modalità di lavoro caratterizzate da una maggiore flessibilità spazio-temporale. Da tempo si sottolinea che il ricorso a modalità di lavoro più flessibili, consentendo una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro, possa costituire uno strumento di lotta all’emarginazione occupazionale delle donne, troppo spesso costrette a sacrificare il proprio (diritto al) lavoro qualora quest’ultimo risulti difficile da conciliare con i carichi di cura, assistenza e lavoro domestico. È, infatti, tristemente noto che il modello culturale attuale continua a far ricadere gli oneri del lavoro domestico e di cura in misura sproporzionatamente maggiore sulle donne [14], costrette a pagare a caro “prezzo” la carenza di adeguati servizi pubblici di supporto nelle attività di cura. Ragion per cui, anche per favorire il riequilibrio dei carichi e dei ruoli familiari, è importante coltivare la prospettiva di modalità di lavoro più flessibili e concilianti, a beneficio delle lavoratrici e dei lavoratori. Nel pubblico impiego, il binomio flessibilità-parità è da tempo valorizzato nell’art. 7 d.lgs. n. 165/2001, che, al comma 1, persegue la promozione delle pari opportunità tra uomini e donne, e al comma 3, impone alle P.A. di adottare «criteri certi di priorità nell’impiego flessibile del personale, purché compatibile con l’organizzazione degli uffici e del lavoro». Tuttavia, è noto che l’attuazione concreta della flessibilità nel lavoro pubblico non ha mai trovato grandi fortune. Di fatti, l’enorme potenziale del telelavoro [15] (ex art. 4 della legge n. 191/1998 e d.P.R. n. 70/1999), quale innovativa prassi organizzativa, è rimasto totalmente inespresso, vuoi per la scarsa applicazione dell’istituto; vuoi per la declinazione, rigida e iper regolamentata, incapace di apportare una reale innovatività sull’organizzazione del lavoro e sulla valutazione della prestazione, limitandosi ad un “trasferimento” dell’og­getto del controllo: dalla presenza fisica in ufficio a quella dinnanzi al videoterminale [16]. Sempre a causa di una certa reticenza alla flessibilità [continua ..]


3. Il lavoro agile nella pubblica amministrazione nell’ottica della parità di genere: le insidie (e le occasioni) del lascito pandemico

Com’è noto, il lavoro agile ha fatto ingresso nel nostro ordinamento, per il lavoro pubblico e privato, con la legge n. 81/2017, con il fine dichiarato di perseguire l’incremento della competitività e produttività per le aziende e le pubbliche amministrazioni e il work-life balance per i lavoratori e le lavoratrici. Si tratta di una (speciale) «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato», che ne ridisegna le coordinate organizzative [26], attraverso l’intro­duzione della possibilità di alternare il lavoro in presenza, caratterizzato da vincoli di orario e fissità del luogo di lavoro, con quello da remoto, privo di vincoli spazio-temporali e organizzato «(anche) per fasi, cicli e obiettivi» e pertanto orientato ad una maggiore valorizzazione della fiducia e professionalità. Nell’impianto della legge n. 81/2017, il lavoro agile è regolamentato con una disciplina piuttosto “leggera” (applicabile anche al p.i., salvo incompatibilità), che rinvia all’accordo individuale (senza un’esplicita intermediazione collettiva) aspetti cruciali della regolamentazione: dall’esecuzione della prestazione lavorativa fuori dai locali aziendali agli strumenti di lavoro; dai tempi di riposo, comprese le modalità di disconnessione, alle forme di esercizio del potere direttivo e di controllo datoriale [27]. Dinnanzi a tali caratteristiche, è evidente che si presuppone un ripensamento della cultura manageriale e una radicale trasformazione organizzativa al­l’interno della quale il datore di lavoro (soprattutto quello pubblico) è chiamato a dotarsi di nuove razionalità organizzative, basate su fiducia, collaborazione, condivisione e controllo per obiettivi [28]. Principalmente per tale ragione, il lavoro agile ha faticato a decollare nel pubblico impiego, rimanendo un istituto sostanzialmente sconosciuto, nonostante gli auspici della legge n. 124/2015 e della direttiva n. 3/2017, intervenuta per fornire indirizzi per l’attuazione sperimentale del lavoro agile. Com’è noto, è stata l’emergenza pandemica a costringere tutte le P.A. ad una sperimentazione su vasta scala del lavoro da remoto [29], attraverso una sua attuazione estemporanea e forzosa (anche in contesti organizzativi radicalmente immaturi), per perseguire finalità [continua ..]


3.1. L’istituzionalizzazione post pandemica del lavoro agile e le altre frontiere del “lavoro da remoto” nel pubblico impiego

All’indomani della crisi pandemica, il pubblico impiego ha intrapreso un faticoso ma virtuoso percorso di “istituzionalizzazione” del lavoro agile, quale modalità aggiuntiva a quella del lavoro in presenza, che nel frattempo è stata ripristinata come “modalità ordinaria di lavoro”. Il lavoro agile è oggi stabilmente inserito nei processi di pianificazione e organizzazione del pubblico impiego, prevedendosi l’obbligo di redigere annualmente, sentite le organizzazioni sindacali, il Piano organizzativo del Lavoro Agile (POLA) [41], oggi confluito nel PIAO, seppur con una progressiva riduzione della soglia minima e con imposizioni non sempre ragionevoli. Infatti, da un lato è da apprezzare che, nella programmazione del lavoro agile, le linee guida del POLA suggeriscono una piena valorizzazione del benessere organizzativo dell’Amministrazione e dei dipendenti, richiedendo il coinvolgimento strategico dei Comitati Unici di Garanzia, Organismi Indipendente di Valutazione e Responsabili della Transizione Digitale, per vigilare sul rispetto del principio di non discriminazione e sulla partecipazione dei lavoratori nella definizione degli indicatori di performance. Dall’altro, tuttavia, si prevede anche un irrazionale vincolo di «prevalenza della modalità in presenza» [42], che si pone in contraddizione con le radici teleologiche dell’istituto, pensato per costruire, con il patto individuale, una flessibilità personalizzata, in funzione delle esigenze della singola amministrazione e del singolo lavoratore, la cui posizione non può considerarsi secondaria, ma anzi andrebbe valorizzata come parte attiva della progettazione e svolgimento del lavoro (in modalità agile) [43]. L’irrazionalità del criterio di prevalenza del lavoro in presenza esprime la difficoltà delle Pubbliche Amministrazioni di “liberarsi” da quell’ossificato modello dell’adempimento burocratico [44], fondato sull’idea che la produttività (individuale e organizzativa) possa essere garantita solo previo esercizio di un formale e rigido controllo della presenza e partecipazione del lavoratore. Viceversa, il potenziale maggiore del lavoro agile risiede nel change management, ispirato ad una logica di programmazione e verifica non della mera presenza oraria, ma della performance e degli [continua ..]


4. Digitalizzazione ed efficientamento algoritmico: le ricadute sul gender gap

Un’ulteriore frontiera della digitalizzazione analizzabile nell’ottica della parità di genere è l’introduzione di strumenti di automazione nella gestione delle risorse umane [56]. L’impiego di tecnologie algoritmiche, anche di intelligenza artificiale, in aggiunta o in sostituzione dell’intervento umano, costituisce oramai un fenomeno di ampia portata, che sta prendendo piede anche nella sfera pubblica a varie longitudini, dall’iter di formazione dei provvedimenti amministrativi alla giustizia predittiva [57]. Nella relazione lavorativa, l’automazione può investire diversi aspetti del potere organizzativo: gli algoritmi sono in grado di estrapolare informazioni rilevanti, sostituirsi nel potere decisionale e di monitoraggio, impartire istruzioni, comminare sanzioni e distribuire premialità. Nell’accesso al pubblico impiego è in corso di sperimentazione l’impiego di algoritmi per il reclutamento del personale pubblico e la gestione delle procedure concorsuali. Le potenzialità dell’automazione a favore del gender equality sono molteplici: l’introduzione di meccanismi automatizzati di gestione della forza lavoro costituisce un’occasione di rilancio del principio costituzionale di imparzialità e buon andamento, potendo consentire forme più accurate di misurazione del raggiungimento degli obiettivi di performance individuali, criteri più imparziali nella progressione professionale e strumenti più efficienti di rafforzamento e implementazioni delle pratiche di parità. Inoltre, l’utilizzo di sistemi automatizzati potrebbe rafforzare la trasparenza e l’accountability nelle pratiche amministrative. Tuttavia, affinché l’ausilio del decisore algoritmico produca una reale riduzione della discrezionalità soggettiva [58] e del margine di errore per l’adozione di decisioni con maggiore obiettività ed equità rispetto a quelle umane è essenziale che si assicuri, fin dalla costruzione dell’algoritmo e per tutta la fase di utilizzo e implementazione, il rispetto dei principi di non discriminazione, trasparenza e non esclusività algoritmica, assicurando la supervisione umana e il diritto alla revisione della decisione. Sul punto, il Consiglio di Stato [59], nel confermare l’ammissibilità del­l’utilizzo, da parte [continua ..]


5. Spunti conclusivi per una digitalizzazione della P.A. al servizio della parità

All’esito delle osservazioni finora svolte, entrambe le frontiere della transizione digitale prese in considerazione dimostrano un rapporto di profonda sinergia fra la promozione della digitalizzazione nelle Pubbliche Amministrazioni e quella della gender equality. Sul primo fronte, l’analisi della regolamentazione del lavoro agile, oramai divenuto consolidato strumento organizzativo di tipo non (più) sperimentale, dimostra che tale modalità organizzativa può costituire un importante alleato per disinnescare alcuni tipici fattori causali del gender gap, realizzando un maggiore benessere organizzativo e una migliore conciliazione dei tempi vita-lavoro. Il lavoro agile può costituire anche un fattore di superamento della segregazione verticale ed orizzontale poiché introduce nuovi criteri di valutazione della performance potenzialmente più inclusivi, perché scevri dal numero di ore lavorate o dai giorni di servizio in presenza, che notoriamente penalizzano le donne [66]. D’altronde, l’ampliamento dei diritti di priorità nell’accesso al lavoro agile e la previsione per cui il rifiuto, l’opposizione o l’ostacolo alla fruizione del lavoro agile nei due anni antecedenti sia d’ostacolo al conseguimento della certificazione della parità di genere (art. 18, comma 3-ter, legge n. 81/2017) ne dimostrano la curvatura funzionale alla parità. Inoltre, importanti positività si registrano anche sull’efficienza e competitività delle P.A., se si considerano i benefici derivanti dalla riduzione dell’as­senteismo, aumento della produttività correlato alla responsabilizzazione e valorizzazione del personale, riduzione dei costi, creazione di valore pubblico, miglioramento dei servizi, persino in caso di imprevedibili calamità naturali che avrebbero paralizzato la macchina amministrativa [67]. Tuttavia, per cogliere adeguatamente le opportunità “dell’agilità digitale” è necessario migliorare l’attuazione del performance management, abbandonando rigidità irrazionali (come la regola della prevalenza del lavoro in presenza in tutte le diverse e distinte realtà della P.A.), auspicabilmente mediante una più coerente rivisitazione di alcuni istituti tarati sull’organizzazione in presenza (disciplina dei permessi, straordinario, misurazione [continua ..]


NOTE