Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Nuove prospettive di disponibilità e tutela dei diritti del lavoratore nella negoziazione assistita ex art. 9 del d.lgs. n. 149/2022 (di Alessandro Giuliani, Ricercatore di diritto del lavoro nell’Università politecnica delle Marche)


Il saggio, partendo dall’esame del rapporto tra inderogabilità e indisponibilità, si concentra sull’analisi dell’evoluzione normativa relativa alle modalità di risoluzione alternativa delle controversie nell’ordinamento lavorista. In particolare, viene indagato il tema della negoziazione assistita dagli avvocati, la cui applicazione è stata estesa dall’art. 9 del d.lgs. n. 149/2022 anche alle liti in materia di lavoro. Da una complessiva analisi della suddetta disciplina emergono molteplici profili di criticità, ma viene altresì valorizzato il ruolo riconosciuto al difensore quale nuova figura di garanzia nel procedimento di negoziazione, senza che da ciò esca indebolita la tradizionale impostazione normativa del diritto del lavoro, sistematicamente incentrata sulla categoria dell’inderogabilità.

New perspectives of disposability and protection of worker rights in assisted negotiation pursuant to art. 9 of Legislative Decree no. 149 of 2022

The essay, starting from an examination of the relationship between non-derogation and non-disposability, focuses on the analysis of the normative evolution of alternative dispute resolution in labour law. In particular, the subject of lawyer-assisted negotiation is investigated, the application of which was extended by Article 9 of Legislative Decree No. 149/2022 also to labour disputes. An overall analysis of the aforesaid discipline reveals many critical profiles, but the role recognised to the lawyer as a new figure of guarantee in the negotiation procedure is also emphasised, without weakening the traditional normative approach of labour law, systematically centred on the category of non-derogation.

SOMMARIO:

1. Prologhi, assunti e (provvisori) epiloghi della logica protettiva dell’inderogabilità - 2. Il complesso intreccio tra inderogabilità, indisponibilità e norma imperativa - 3. Lineamenti e aporie dell’attività dispositiva dei diritti da parte del lavoratore - 4. La tradizionale impostazione del legislatore e un primo tentativo di applicazione della negoziazione assistita alle controversie di lavoro con il d.l. n. 132/2014 - 5. La legge delega n. 206/2021 e la volontà di estendere la negoziazione assistita anche alle controversie di lavoro con l’art. 9 del d.lgs. n. 149/2022 - 5.1. Gli aspetti procedurali - 5.2. L’istruttoria stragiudiziale - 6. Il ruolo degli avvocati nell’attività dispositiva dei diritti - 7. La negoziazione assistita applicata alle controversie di lavoro. Un’innovazione efficace? - NOTE


1. Prologhi, assunti e (provvisori) epiloghi della logica protettiva dell’inderogabilità

La riflessione sulle modalità alternative di risoluzione delle controversie, oltre a doversi misurare con il contesto nazionale e culturale all’interno del quale si sviluppa [1], si intreccia con lo studio del grado di evoluzione dell’auto­nomia privata anche in relazione ai precetti costituzionali [2], che da una parte valorizzano lo spazio dell’iniziativa economica privata e, dall’altra, individuano nella solidarietà [3] e nella funzione sociale limiti tendenzialmente invalicabili [4]. Tale necessaria impostazione, peraltro, appare vieppiù cruciale nell’am­bito del diritto del lavoro, che si caratterizza sin dalle origini per la necessità di contemperare interessi spesso contrapposti. Sotto il profilo dell’effettiva realizzazione dei suddetti principi, risulta invero centrale l’analisi degli strumenti con i quali l’ordinamento giuridico può consentire ovvero limitare l’ambito della valida disponibilità di diritti e pretese, incidendo sull’individuazione della portata oggettiva di questi e dei relativi obblighi, sul livello dei rapporti tra fonti regolative, nonché sulle procedure atte a sindacare l’effettiva corrispondenza tra le legittime forme di disposizione e i concreti atti dismissori [5]. In tale prospettiva, sembra utile richiamare non solo la tesi secondo la quale il lavoratore è un “contraente debole”, ma anche quella secondo cui egli sarebbe addirittura un “non-contraente”, dal momento che nel rapporto di lavoro «implica sé stesso e trae, nella normalità dei casi, il necessario per vivere e buona parte del senso della vita stessa» [6]. Non sfugge, infatti, che il rapporto di lavoro è spazio e strumento di soddisfazione dei bisogni essenziali, così che la matrice contrattuale appare essere ora il fondamento del rapporto stesso, ora una presenza “ingombrante”, la cui capacità regolativa andrebbe bilanciata da una fonte eteronoma con funzione non solo sostitutiva e correttiva, ma anche integrativa [7]. Ciò, a maggior ragione, se si considera che l’inderogabilità non è una nozione definita, ma costituisce piuttosto una dimensione, ricavabile dall’attività degli interpreti, a partire dall’analisi di dati normativi tra loro diversi in quanto frutto di [continua ..]


2. Il complesso intreccio tra inderogabilità, indisponibilità e norma imperativa

Non si dovrebbe pertanto prescindere dal tentativo di ricostruire (e distinguere) la categoria dell’indisponibilità [1] «o, meglio, i vincoli alla disposizione dei diritti del lavoratore» [2], nei suoi punti di contatto e di netta separazione da quella dell’inderogabilità [3]. Ed infatti, pur rispondendo entrambi alla medesima logica di sottrarre spazi all’autonomia privata [4], lungi dal costituire una coppia indissolubile, la doppia dimensione invocata dall’art. 2113 c.c. va debitamente indagata e declinata [5], a maggior ragione se si considera che l’ambito della norma non è circoscritto alla sola annullabilità e alla debolezza del consenso, venendo in rilievo altresì il diverso piano della tecnica dell’inderogabilità rispetto alle fonti legale e contrattual-collettiva, e che la portata innovativa dell’articolo passa anche at­traverso la connessione, dal punto di vista storico, di due fenomeni non direttamente collegati sul piano logico [6]. Una cosa è la dimensione oggettiva della disponibilità del diritto o della pretesa nel contesto di inderogabilità delle fonti, altro è il profilo soggettivo dell’assistenza prestata al lavoratore nell’ambito dell’attività dismissoria, così che quest’ultima funzione non coinvolge il problema del sistema delle fonti di regolazione del rapporto, ma la necessità di rimuovere gli ostacoli soggettivi ad una piena e consapevole volontarietà dell’atto dispositivo. Appare, dunque, necessario interrogarsi sui livelli di reciproca influenza delle suddette due polarità presenti nell’art. 2113 c.c., in considerazione del fatto che il medium tra le due dimensioni sarebbe costituito dall’ulteriore, distinta categoria dell’imperatività [7]. Quest’ultima, a ben vedere, discrimina ciò che può essere oggetto di un valido atto dispositivo da ciò che non può esserlo [8], così che dal punto di vista sostanziale contribuisce a declinare la categoria dell’indisponibilità [9], mentre sotto il profilo dell’eteronomia è contigua al concetto di inderogabilità. Sebbene entrambe le tesi elaborate dalla dottrina lavorista al fine dell’indi­viduazione del fondamento dell’indisponibilità [continua ..]


3. Lineamenti e aporie dell’attività dispositiva dei diritti da parte del lavoratore

La capacità protettiva della conciliazione perfezionata nelle sedi protette discende dall’azione congiunta della rimozione delle asimmetrie informative, della ricostruzione dell’esercizio libero e consapevole della volontà nonché dell’effettività dell’assistenza, così da assicurare la genuinità dell’atto volitivo. Ai fini dell’esercizio di tale funzione è imprescindibile il ruolo rivestito dai soggetti ai quali è riconosciuto il potere di assistere il lavoratore nell’attività dispositiva [1], il cui novero è stato ampliato nel tempo, testimoniando una linea evolutiva che va nel senso di includere via via ulteriori sedi ed attori idonei a garantire la piena ed effettiva capacità dispositiva del lavoratore. Sotto il profilo oggettivo, poi, se può darsi per assodato che il bene, al momento dell’atto dispositivo, debba essere – quanto meno in astratto – già presente nel patrimonio di chi ne dispone, si è discusso sulle qualità tipiche dei diritti indisponibili, che dovrebbero essere tutti dotati dei caratteri di imprescrittibilità, impignorabilità, insequestrabilità, non compensabilità e non deferibilità ad arbitri. Sennonché, nessuno dei diritti tipici del lavoratore possiede tali connotati e lo stesso art. 2113 c.c. all’ultimo comma, prevede la disponibilità, pur nelle sedi e con le modalità previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva [2]. Problematiche appaiono poi le nozioni di rinuncia e transazione. Se l’ac­cordo ha ad oggetto reciproche rinunce che sono il sinallagma fondativo del contratto di transazione previsto all’art. 1965 c.c., appare riemergere in tutta la sua chiarezza sistematica la collocabilità del prodotto della conciliazione all’interno della materia contrattuale, con conseguente applicabilità ad esso della relativa disciplina in quanto compatibile con le peculiarità dell’atto in discorso. Potrebbe sembrare però distonica rispetto a questa ricostruzione la scelta di inserire all’interno dell’art. 2113 c.c. la formula «rinunce e transazioni», che appare invero lasciare aperta la possibilità per le parti di prevedere che soltanto una rinunci, senza una effettiva contropartita. Posto che è un pacifico [continua ..]


4. La tradizionale impostazione del legislatore e un primo tentativo di applicazione della negoziazione assistita alle controversie di lavoro con il d.l. n. 132/2014

Se il sistema dell’inderogabilità appare ancora ben saldo e fondativo dell’or­di­namento lavorista, anche nella prospettiva anti-discriminatoria [1], l’at­tività di disposizione assistita dei diritti sembra conoscere nuove possibili manifestazioni alla luce della più recente legislazione. Da tale punto di vista, mediazione e negoziazione assistita, strumenti di risoluzione alternativa delle controversie valorizzati, pur non senza criticità [2], in ambito civilistico ed ispirate ai modelli francese della convention de procédure participative e nordamericano del collaborative law [3], sono state escluse, per lo meno fino alla legge n. 206/2021, dalla gestione stragiudiziale della conflittualità in materia di lavoro, in quanto avvertite come modalità non compatibili con i principi lavoristi e con livelli adeguati di tutela del contraente debole. Se l’ambito delle controversie di lavoro è stato sempre impermeabile rispetto agli strumenti di risoluzione alternativa gestiti da soggetti diversi dalla pubblica autorità e dall’organizzazione sindacale [4], ovvero, successivamente, dagli organismi di certificazione, con il d.l. n. 132/2014, nell’ottica della de-giurisdizionalizzazione [5], si è tentato di estendere anche alla negoziazione assistita dagli avvocati l’ambito delle sedi dove sia possibile per i lavoratori disporre dei diritti previsti da norme inderogabili di legge e di contratto [6]. Tale disciplina, per altro verso, confermava una linea di evoluzione normativa che ne aveva già espanso i limiti oggettivi, finendo per ricomprendervi anche la derogabilità del regime di solidarietà di cui all’art. 2112 c.c., le dimissioni della lavoratrice nel periodo di maternità ovvero il meccanismo per la proroga del contratto a termine. A tal proposito, si è affermato che, «se la stipulazione in sede protetta più che altro vuole favorire un accordo consapevole ed equilibrato, con adeguata tutela delle ragioni del lavoratore, ci si deve domandare perché, fra i diversi soggetti chiamati a intervenire, non vi siano i difensori» [7]. Ed invero, ad un’attenta analisi della disciplina che prevede la possibilità per il lavoratore di porre in essere rinunce e transazioni, non appare convincente l’assunto per il quale il [continua ..]


5. La legge delega n. 206/2021 e la volontà di estendere la negoziazione assistita anche alle controversie di lavoro con l’art. 9 del d.lgs. n. 149/2022

La linea di evoluzione diacronica fin qui descritta ha trovato nuova linfa con l’entrata in vigore della legge delega n. 206/26 novembre 2021, che ha incaricato il governo di adottare una disciplina che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto semplificare, razionalizzare e rendere più efficiente la giustizia civile. Nello specifico, la volontà di valorizzare le modalità di risoluzione alternativa delle controversie emerge dal principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 4, lett. a), che prevede non solo il riordino e l’ampliamento degli incentivi fiscali, ma anche l’estensione del patrocinio a spese dello Stato nelle procedure di mediazione e negoziazione assistita [1], nonché l’ampliamento delle categorie di beneficiari, ora declinata nel d.lgs. n. 149/2022. La legge delega è in realtà il prodotto di una serie di successivi passaggi e interventi, che a partire dal “d.d.l. Bonafede” (in gran parte stralciato e superato) e dai lavori della già citata commissione Luiso, per effetto di una serie di significative modifiche ad opera del governo Draghi, ha prodotto un disegno di legge, poi rivisto al Senato, che ha come obiettivo la drastica riduzione delle tempistiche nella risoluzione delle controversie, secondo una logica economicistica. Alla base vi sarebbe l’idea per la quale tale riduzione consentirebbe di liberare risorse, impiegandole secondo un modello di amministrazione della giustizia più razionale ed efficiente, così che, da un’analisi complessiva del disegno di riforma, emergerebbe la volontà di continuare a riconoscere centralità e importanza alla tutela giurisdizionale. D’altra parte, tale matrice economicistica è vieppiù evidente se si considera che lo stato di avanzamento del disegno di legge è stato accompagnato dalla parallela attività di consultazione presso il Ministero per lo sviluppo economico, tanto che gli stessi tempi di approvazione ed attuazione della delega sono legati all’accesso e alla fruizione delle risorse messe a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) [2]. Se dunque le disponibilità finanziarie possono costituire un utile elemento di implementazione del sistema giurisdizionale e, più in generale, di risoluzione delle controversie, non sfugge però che la stretta connessione tra il piano [continua ..]


5.1. Gli aspetti procedurali

La funzione conciliativa da parte del legale si estrinsecherebbe già nella predisposizione dell’invito a stipulare la c.d. convenzione di negoziazione assistita, indicando l’oggetto della controversia, che potrebbe essere accolto o rifiutato nel termine di trenta giorni. Pur trattandosi, dunque, di una modalità di risoluzione delle controversie riconducibile all’interno di quelle c.d. autonome, nelle quali le parti sono libere di aderire o meno alla procedura, finanche nelle materie per le quali è espressamente prevista l’obbligatorietà del relativo esperimento, la mancata accettazione della procedura di negoziazione non è senza effetto. Di ciò vi è conferma nella previsione per la quale, qualora la parte invitata abbia rifiutato la procedura di negoziazione, senza addurre un giustificato motivo, tale comportamento assume rilievo ai fini della condanna alle spese ai sensi e per gli effetti dell’art. 96 c.p.c. Per tale via si assisterebbe ad una marcata valorizzazione dello strumento di negoziazione, se si considera che allorquando nella procedura di conciliazione ex art. 410 c.p.c., parimenti facoltativa, la parte chiamata non aderisca, tale scelta rimane ininfluente ai fini dell’eventuale instaurando giudizio, dove assume invece rilievo la diversa ipotesi della mancata accettazione della proposta una volta aperta la fase conciliativa. Peraltro, la norma trova un difficile coordinamento con quella che stabilisce che la negoziazione assistita nelle controversie di lavoro non è condizione di procedibilità, senza considerare che il tentativo di conciliazione potrebbe comunque aver luogo nell’ambito delle molteplici sedi individuate dall’art. 2113 c.c., così che si è avanzata la proposta di un’interpretazione correttiva dell’art. 4, d.l. n. 132/2014 [1]. Se quindi la finalità della negoziazione assistita, come delle altre modalità di risoluzione alternativa delle controversie, deve consistere nel garantire effettività alla tutela del lavoratore [2] che ponga in essere atti dispositivi dei propri diritti [3], l’accesso ad essa dovrebbe essere garantito, non solo dall’essen­ziale attività del difensore, ma anche sotto il profilo del relativo onere finanziario. In tal senso sembra non essere stata valorizzata dal legislatore delegato la nota sentenza della Corte [continua ..]


5.2. L’istruttoria stragiudiziale

Sempre con riferimento alla convenzione di negoziazione assistita, la legge delega e il d.lgs. n. 149/2022 hanno riconosciuto ad essa la possibilità di prevedere espressamente la facoltà di svolgere attività di istruzione stragiudiziale, senza natura cautelare, da parte degli avvocati e sotto la loro responsabilità, nel rispetto del principio del contraddittorio [1]. Nell’ambito di tale istruttoria, che costituirebbe una fattispecie nuova e diversa rispetto a quelle tassativamente previste dal codice di rito, potrebbero essere acquisite dichiarazioni provenienti dai terzi ed essere deferito l’interrogatorio formale [2]. Si tratta di una disposizione che, anche in base a quanto al momento previsto e confermato dalla decretazione delegata, potrebbe aprire ampi spazi di accertamento e composizione delle controversie, con un impatto potenzialmente significativo anche sul successivo eventuale giudizio, nel quale le risultanze istruttorie possono essere utilizzate, sebbene non sfugga che una eventuale divergenza tra le risultanze emerse durante la negoziazione e quelle del processo potrebbero indebolire fino a eliderlo il fondamento probatorio delle allegazioni delle parti. Qualora venga poi introdotto il giudizio, è prevista la facoltà per il giudice di rinnovare l’istruttoria, proprio la possibilità che nel processo del lavoro vengano acquisiti mezzi di prova anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile ai sensi dell’art. 421, comma 2, c.p.c. [3], rende l’utilizzabilità del materiale istruttorio acquisito in sede stragiudiziale un elemento idoneo ad incidere significativamente sullo svolgimento del successivo giudizio. La disposizione mira sia ad accelerare i tempi di acquisizione delle prove, sia a rendere le parti consapevoli di quanto potrebbe emergere in un eventuale giudizio, così da far comprendere quello che potrebbe verosimilmente essere l’esito del processo e orientare conseguentemente le scelte in sede di negoziazione, conducendo auspicabilmente alla composizione preventiva della lite. Ciò, per altro verso, rischia di compromettere quest’ultima funzione, dal momento che il materiale assunto nell’istruttoria stragiudiziale potrebbe minare i già precari equilibri della fase negoziale, instillando nella parte per il momento avvantaggiata dall’istruttoria il convincimento (la cui fondatezza [continua ..]


6. Il ruolo degli avvocati nell’attività dispositiva dei diritti

Da un punto di vista sistematico, si ritiene che la possibilità di ricorrere alla procedura di negoziazione assistita da avvocati anche con riferimento alla materia lavorista costituisca un’innovazione coerente con la logica dell’art. 2113 c.c., non ostandovi argomenti decisivi a riconoscere una sorta di monopolio all’agente sindacale [1], nella gestione della procedura conciliativa, al di fuori delle sedi protette amministrativa, certificativa e giudiziale [2]. Essa anzi rappresenterebbe una ulteriore procedura conciliativa, dotata delle stesse garanzie di imparzialità, che le parti possono scegliere, al fine di raggiungere accordi validi ai sensi e per gli effetti dell’art. 2113, comma 4 c.c., evitando peraltro di dover perfezionare presso una sede diversa quanto già pattuito con l’assistenza dei legali [3], che ben conoscono i termini della res litigiosa e dunque potrebbero individuare il giusto punto di equilibrio degli interessi contrapposti. Appare quindi superato l’argomento che, prima della novella, negava al difensore la funzione di assistenza del lavoratore nell’attività prima negoziatrice, poi dispositiva, dei propri diritti, rinviando sul punto a quanto già prima detto [4]. Per altro verso, mentre nel modello della negoziazione assistita la fonte rimane pur sempre quella legale, senza il medium costituito dall’estrinse­cazione dell’autonomia contrattuale collettiva, nella sua funzione di supporto all’auto­nomia individuale [5], a monte della conciliazione in sede sindacale vengono invece previste dalla fonte collettiva, dietro il rinvio operato dall’art. 2113 c.c., le forme e le modalità della risoluzione negoziale del conflitto. A ciò si aggiunga che l’autoregolamentazione della negoziazione avviene ad opera delle parti stesse, secondo linee guida e indicazioni fornite dal Consiglio nazionale forense, sulle quali si tornerà a breve, così che la relativa disciplina può essere di volta in volta declinata in relazione alle specificità del caso concreto. È poi emblematica della volontà di non far ritenere superata la possibilità di addivenire alla conciliazione in sede sindacale la previsione secondo la quale la negoziazione in materia di lavoro viene introdotta «fermo restando quanto previsto dall’art. 412-ter c.p.c.», quasi [continua ..]


7. La negoziazione assistita applicata alle controversie di lavoro. Un’innovazione efficace?

L’innovazione introdotta dal d.lgs. n. 149/2022, confermando quanto già pre­visto nello schema di decreto legislativo, non ha raccolto l’invito rivolto al governo dalla Commissione giustizia a eliminare la predetta ipotesi di modifica dell’art. 2113, comma 4 c.c., in considerazione della «peculiarità della materia lavoristica, connaturata da un evidente squilibrio negoziale delle parti» [1]. Sempre nello stesso parere era stata proposta una «soluzione mediana utile a contemperare la volontà del legislatore di estendere lo strumento della mediazione [rectius, negoziazione; ndr] al contenzioso del lavoro e la necessaria tutela delle parti in causa (e in particolar modo del lavoratore)», prevedendo «una specifica disciplina mutuata da quella, già vigente, della certificazione dei contratti di cui agli articoli 75 e ss. del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276» [2]. La proposta di integrazione formulata dalla commissione e diretta ad affidare agli organismi di cui all’art. 76 del d.lgs. n. 276/2003 il ruolo di depositario del prodotto dell’attività di negoziazione è stata recepita con l’art. 9 del d.lgs. n. 149/2022 che, riscrivendo l’art. 2 ter del d.l. n. 132/2014, ha previsto che l’accordo sottoscritto con l’assistenza dei difensori, rientrante nel regime dell’art. 2113 comma 4 c.c., deve essere trasmesso entro dieci giorni, da una delle parti, ad uno degli organismi suddetti. A ben vedere tale precisazione potrebbe indurre a circoscrivere la portata innovativa dell’intervento di riforma, dal momento che si finirebbe per condizionare e ricondurre l’attività conciliativa svolta dagli avvocati all’interno di un controllo obbligato ad opera delle commissioni di certificazione. Da siffatta impostazione potrebbe conseguentemente uscire ridimensionato l’interesse delle parti alla negoziazione assistita, perché a quel punto sarebbe probabilmente più semplice e veloce rivolgersi direttamente alle sedi abilitate ad assistere la valida attività dismissiva. Si ritiene poi che tale disposizione comporti ulteriori criticità con riferimento alla natura del termine di 10 giorni per la trasmissione dell’accordo, che peraltro, in assenza di ulteriori previsioni, sembra ragionevole ritenere come previsto non a pena di decadenza, ma come meramente [continua ..]


NOTE