Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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La disciplina del rapporto di lavoro autonomo e il ruolo dell'autonomia collettiva (di Nicola Deleonardis, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro, Università degli Studi di Bari)


Il contributo indaga la disciplina del rapporto di lavoro autonomo, sviluppando una proposta alla luce del nuovo equilibro raggiunto tra diritto alla contrattazione collettiva e della concorrenza, espresso dalla Commissione Europea in una recente Comunicazione. Lo studio si concentra sulle potenzialità del contratto di prossimità territoriale, non lesinando altresì di rimarcarne i nodi critici.

The legal framework of the self-employment relationship and the collective autonomy's role

The paper investigates the regulation of the self-employment, developing a proposal in the light of the new balance reached between the right to collective bargaining and competition law, expressed by the European Commission in a recent Communication. The research focuses on the potential of a territorial proximity collective bargaining, also not sparing to highlight its critical issues.

SOMMARIO:

1. Introduzione. I nuovi confini dell’intervento sindacale - 2. Contrattazione collettiva e lavoro autonomo: limiti e controlimiti - 3. Una proposta. La valorizzazione della contrattazione territoriale - 4. Alcuni istituti del contratto di prossimità “funzionale” - 5. Il nodo critico: la rappresentanza negoziale - 6. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione. I nuovi confini dell’intervento sindacale

Lo sviluppo del sistema produttivo postfordista ha comportato la soggezione del lavoratore autonomo alle logiche del sistema capitalistico [1], sia per ragioni di “opportunità economica” [2], sia di efficienza industriale [3]. L’integrazio­ne “funzionale” del lavoratore autonomo nell’attività d’impresa [4] produce una naturale estensione della platea delle forze produttive sociali del lavoro, modificando il paradigma dialettico capitale-lavoro: nel momento in cui il possesso di un capitale – seppur “inespressivo”, cioè idoneo ad eseguire personalmente la prestazione d’opera [5] – non è più rivelatore di una solida condizione economica, la storica conflittualità tra capitale e lavoro si ridefinisce, richiedendo che le istanze di tutela vengano modulate non più sul piano oggettivo (del contratto di lavoro), ma su quello soggettivo (della persona che lavora). Se il processo di riforma della tutela del lavoro “in tutte le sue forme” può dirsi avviato sul piano legislativo [6], diversamente accade sotto il profilo sindacale [7], nonostante non vi siano oggettive preclusioni a riguardo [8]. Non a caso, una delle prime nozioni di contraente debole, a legittimazione del negozio collettivo, non svela una necessaria relazione causale tra una posizione soggettiva di debolezza e il lavoratore subordinato, giacché “esiste inferiorità o soggezione economica giuridicamente rilevante tutte le volte che la serie delle combinazioni e delle scelte economiche per una delle due parti, […] sia ridotta […]al punto da creare uno stato di rinunzia per la lotta economica che accompagna la conclusione del contratto […]” [9]. La funzione della contrattazione collettiva nella disciplina del lavoro autonomo è stata oggetto d’attenzione da parte della dottrina: a chi ritiene non essenziale l’intervento ausiliario del legislatore [10] si affianca, invece, chi auspica un atteggiamento più risoluto da parte di quest’ultimo, ancorché sia già valutato positivamente l’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 [11]. Le riflessioni che seguono, pur se esplorative, intendono inserirsi in questo filone di ricerca, nella prospettiva di una riunificazione del mondo del lavoro, oggi estremamente [continua ..]


2. Contrattazione collettiva e lavoro autonomo: limiti e controlimiti

La riflessione intende muovere da un dato giuridico ormai noto. L’ordina­mento europeo ha inibito l’estensione del diritto alla contrattazione collettiva ai lavoratori autonomi a vantaggio del diritto della concorrenza, ex art. 101 TFUE [20], ancorché l’art. 28 della Carta di Nizza attribuisca il “diritto di negoziazione e di azioni collettive” al lavoratore, a prescindere dalla tipologia contrattuale [21]. I limiti imposti dal TFUE sembrano trovare (parziale) risposta nella Comunicazione della Commissione Europea sugli orientamenti sull’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione europea agli accordi collettivi concernenti le condizioni di lavoro dei lavoratori autonomi individuali, approvata dalla Commissione Europea in data 9 dicembre 2021 [22]. Secondo la Comunicazione, sono esclusi dall’ambito di applicazione del­l’art. 101 TFUE i negozi collettivi che riguardano le due macrocategorie di lavoratori autonomi “individuali paragonabili ai lavoratori subordinati” (sez. 3) e “individuali che non si trovano in una situazione paragonabile a quella dei lavoratori subordinati e possono comunque avere difficoltà nell’influire sulle proprie condizioni di lavoro poiché si trovano in una situazione negoziale debole rispetto alla loro controparte o alle loro controparti” (sez. 4) [23]. La mancata applicazione del diritto antitrust viene accordata ex ante per il primo macrogruppo [24], mentre per la seconda categoria di lavoratori solo a seguito della valutazione caso per caso effettuata dalla Corte di Giustizia. Nonostante si tratti di un atto di soft law [25], la Comunicazione esprime un mutamento di prospettiva dell’Unione Europea poiché, con particolare riguardo alla seconda macrocategoria, sbiadisce l’equivalenza esatta tra attività d’impresa e lavoro autonomo. Secondo la Comunicazione, la Corte di Giustizia riterrà legittimi gli accordi collettivi che “mirano a correggere un evidente squilibrio nel potere contrattuale dei lavoratori autonomi individuali rispetto alle loro controparti, e si pongono come obiettivo […] il miglioramento delle condizioni di lavoro” (Punto 32). Le condizioni da soddisfare affinché l’accordo collettivo non ostacoli la libera concorrenza sono due e alternative: deve trattarsi di lavoratori autonomi [continua ..]


3. Una proposta. La valorizzazione della contrattazione territoriale

Il contratto di prossimità può diventare il referente normativo dal quale muovere al fine di incoraggiare la negoziazione collettiva dei lavoratori autonomi “puri”, salvo approdare in seguito e auspicabilmente ad una contrattazione di primo livello. L’esistenza di differenti mercati del lavoro, di tipo settoriale e/o territoriale [41], induce a procedere per gradi, avviando una regolamentazione collettiva della prestazione d’opera a partire dai territori nei quali è pressante la concorrenza tra i lavoratori (autonomi) e quella tra le imprese. Come noto, infatti, la contrattazione collettiva, nell’esercizio delle proprie prerogative, quali la tutela del rapporto di lavoro, ha indirettamente razionalizzato le dinamiche concorrenziali tra i datori di lavoro, introducendo condizioni minime d’uso del “lavoro prestato da altri” [42]. Se si ritiene assodata l’integra­zione funzionale – ma non organizzativa – del lavoratore autonomo nell’at­tività d’impresa, è opportuno che venga introdotta una disciplina collettiva che regoli il ricorso alle prestazioni d’opera, con l’obiettivo di garantire condizioni minime di accesso al lavoro al di sotto delle quali la competizione tra le imprese non sia più considerata fisiologica. Già questa ragione sembra idonea a concentrare l’attenzione verso un negozio di secondo livello che superi i confini fisici dell’impresa [43]. La perimetrazione territoriale o distrettuale [44], più che aziendale, del contratto collettivo, sembra capace di rivitalizzarne le diverse funzioni partendo dalla natura vocazionale dei territori, in un disegno complessivo di politiche per lo sviluppo volto a “definire una base di garanzie minime anche per le nuove tipologie di rapporti di lavoro” [45]. Il contratto di prossimità si adatterebbe alla razionalità produttiva non della singola impresa, ma del territorio [46], all’interno del quale convivono interessi che richiedono di essere soddisfatti: l’interesse potrebbe ritenersi appagato, per i professionisti autonomi, qualora si pervenga ad una tutela collettiva della prestazione di lavoro; per i committenti, invece, qualora venga scongiurato il rischio che il ricorso genuino a prestazioni d’opera ad alto contenuto professionale mini la leale concorrenza tra gli [continua ..]


4. Alcuni istituti del contratto di prossimità “funzionale”

Descritti i caratteri strutturali del contratto di prossimità funzionale, è essenziale riflettere almeno su alcuni degli istituti da regolare. Preliminarmente occorre rammentare come l’auspicio di approdare ad una contrattazione collettiva per i lavoratori autonomi puri non sia certamente una novità [58], potendosi rintracciare già nella cd. “contrattazione inclusiva” [59]. Muovendo dalla parte normativa del contratto collettivo, il compenso dei professionisti rappresenta senza dubbio il primo istituto da disciplinare. Ad esclusione della legge n. 233/2012 [60], il legislatore non ha favorito la funzione regolativa del contratto collettivo nella determinazione del compenso. Si pensi, da ultimo, alla legge 21 aprile 2023, n. 49 (Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali), che omette qualsiasi rinvio al negozio collettivo e alle organizzazioni sindacali [61]. La disciplina del compenso mediante contratti di prossimità territoriali non esorbiterebbe dall’elenco tassativo delle materie individuate dall’art. 8, comma 2, cit. – dal quale è escluso quella retributiva [62] – proprio perché trattasi di un istituto estraneo alla disciplina del rapporto di lavoro e al profilo remunerativo del lavoratore subordinato; né tantomeno lederebbe i principi di uguaglianza, non trovando applicazione, per il compenso del prestatore d’opera, l’art. 36 Cost. [63] ma, al contrario, rimettendosi alle dinamiche del libero mercato e ai c.d. usi [64]. È essenziale evidenziare, inoltre, che sono le stesse associazioni di rappresentanza degli autonomi, ex art. 18 Cost., a prospettare un raccordo tra compenso del professionista e retribuzione percepita dal lavoratore subordinato, ancorandolo alle parametrazioni economiche previste dall’autonomia collettiva per prestazioni di lavoro comparabili rese in regime di subordinazione a cui aggiungere una maggiorazione del 25%, quale costo ulteriore che pareggia l’organizzazione e il rischio (del lavoro) gravante sul lavoratore autonomo [65]. A partire da questo istituto si snodano altri passaggi del negozio collettivo. Nello specifico, è essenziale evidenziare come il lavoratore autonomo necessiti di un costante aggiornamento professionale al fine di rendersi “appetibile” sul mercato, stante la natura “non [continua ..]


5. Il nodo critico: la rappresentanza negoziale

In ultimo, è necessario riflettere sui soggetti titolari della negoziazione e l’efficacia della contrattazione collettiva di prossimità territoriale, profilo sul quale si registrano i maggiori nodi critici. Come definito dall’art. 8 cit., l’efficacia generalizzata del contratto collettivo di prossimità soggiace alle regole di approvazione previste dall’Accordo del 28 giugno 2011. La criticità, dunque, risiede nella capacità rappresentativa dei suddetti accordi territoriali ai fini dell’efficacia generalizzata. Si intende dire che, assodato l’obbligo per il datore di lavoro di applicare il contratto collettivo qualora egli aderisca all’associazione nazionale che ha stipulato a livello territoriale il contratto collettivo [78], la criticità sorge sul versante della rappresentanza dei lavoratori. Infatti, anche accettando l’interpretazione secondo cui la titolarità negoziale spetti alle associazioni sindacali territoriali delle federazioni nazionali aderenti alle sigle confederali, purché gli accordi sottoscritti siano ratificati sulla base di un criterio maggioritario [79], il discorso perde di validità qualora si tratti di lavoratori autonomi, dei quali le suddette rappresentanze non sono effettivamente rappresentative. L’assenza di legittimazione negoziale dell’au­torità territoriale inficerebbe lo stesso accordo [80]. Sorge qui il limite più evidente dell’estensione della contrattazione collettiva ai lavoratori autonomi (non solo nella modalità attuativa qui enucleata, ma anche a livello nazionale), ossia nella “incerta” titolarità delle organizzazioni sindacali di esprimerne gli interessi di rappresentanza e nella loro rappresentatività. Come precedentemente rilevato, gli interessi dei lavoratori autonomi I-Pros non sono facilmente conciliabili con quelli tipicamente riconducibili ai lavoratori subordinati e all’operaio-massa del modello fordista [81]. Le diversificate esigenze atomistiche agiscono da deterrente all’aggregazione, soprattutto laddove ad un individualismo connaturato al professionista si affianca la fine dello spazio fisico della fabbrica integrata e la sviluppo di un lavoro “privo di luogo”. Proprio tale divergenza di interessi ha incoraggiato la diffusione delle associazioni, volte a rappresentare le istanze dei [continua ..]


6. Conclusioni

Auspicabilmente superati i limiti di matrice europea, si pone la questione di sollecitare un intervento più incisivo da parte delle organizzazioni sindacali. La contrattazione collettiva non può degradare ad orpello aggiuntivo in una conflittualità che, pur se in forme diverse dal passato, ripropone la medesima narrazione di un potere giuridico [85] e di un contropotere (non ancora) collettivo. Come in passato, il contropotere può competere solo qualora assuma una veste collettiva e investa tutte le forze del lavoro [86]. Storicamente, infatti, la “pratica” della libertà sindacale precede la costituzione degli stessi sindacati e il “diritto” alla libertà sindacale [87]. Come dire, in sostanza, che solo qualora il lavoratore autonomo prenda coscienza della necessità di coalizzarsi potrà ottenere migliori condizioni di lavoro. La contrattazione territoriale di prossimità funzionale, dunque, potrebbe rivelarsi efficace soprattutto a partire da quei territori che ricorrono massivamente a forza-lavoro autonoma, facendo leva sul “bisogno” degli I-Pros di regolare la prestazione di lavoro, da un lato, e degli operatori economici di introdurre norme comuni volte a regolare la concorrenza, dall’altro. Il legislatore, tuttavia, dovrebbe incoraggiarne la genuina diffusione, magari attraverso incentivi che ricordino la detassazione delle retribuzioni derivanti da premi produttività (come introdotti dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi 182-189 e successive modifiche).


NOTE