Questo contributo si propone di analizzare il tema del compenso degli amministratori, tradizionalmente affrontato dalla dottrina giuscommercialistica, da una prospettiva giuslavoristica. Nella prima parte, l’articolo esamina la disciplina generale codicistica dedicata al compenso degli amministratori, confrontandola con quella della retribuzione dei lavoratori subordinati. Nella seconda, il contributo analizza la disciplina speciale applicabile alle società soggette a vigilanza che, a differenza di quella generale codicistica, è applicabile trasversalmente ai top managers, a prescindere dalla qualificazione degli stessi come amministratori o dipendenti della società di appartenenza. L’articolo conclude sottolineando come, alla luce della disciplina speciale introdotta all’indomani della crisi finanziaria, vi siano nuovi orizzonti di riflessione interdisciplinare alle comunità giuslavoristica e giuscommercialistica.
This essay examines the topic of directors’ fees, which has traditionally been analyzed by corporate scholars, from an employment law perspective. In the first part, this article investigates the general rules provided by the Italian Civil Code applicable to directors’ fees, comparing it with the one applicable to employees’ salary. In the second part, it analyses the special rules applicable to supervised companies that, unlike the general ones provided by the Italian Civil Code, is transversely applicable to top managers, irrespective of their classification as directors or employees. This article concludes claiming that, in light of these special rules enacted in the aftermath of the financial crisis, there are new horizons for an interdisciplinary reflection for corporate and employment law scholars.
1. Il compenso degli amministratori di società da una prospettiva giuslavoristica: ragioni di un’analisi - 2. La disciplina generale codicistica: fonti, struttura, funzioni - 3. La disciplina speciale applicabile alle società soggette a vigilanza: fonti, struttura, funzioni - 4. Nuovi orizzonti di riflessione interdisciplinare per le comunità giuslavoristica e giuscommercialistica: inderogabilità, partecipazione, sostenibilità - NOTE
Il tema del compenso degli amministratori di società è stato tradizionalmente oggetto di analisi soltanto da parte della dottrina giuscommercialistica. Ciò non stupisce. Il codice civile ha infatti dedicato al corrispettivo della prestazione degli amministratori di società una disciplina autonoma rispetto a quella dei lavoratori subordinati e volta principalmente a ripartire le competenze tra assemblea dei soci e consiglio di amministrazione, al fine di evitare che i suoi componenti si auto-deliberino compensi eccessivi o irragionevoli [1]. Pertanto, il tema è stato perlopiù negletto dalla dottrina giuslavoristica, che lo ha prevalentemente trattato solo incidenter tantum nell’affrontare la questione relativa alla qualificazione del rapporto che lega società e amministratore [2]. Da qualche anno a questa parte, però, a questa disciplina generale si affianca un’altra speciale, applicabile alla remunerazione del personale, in particolare quello di vertice, delle società soggette a vigilanza (cioè, società quotate e, soprattutto, operanti nei settori bancario, assicurativo e finanziario). Questa disciplina detta, oltre che regole di governo societario volte a promuovere la trasparenza a favore dei soci e del mercato in materia di politiche di remunerazione, previsioni molto dettagliate con riguardo alla struttura della remunerazione variabile di amministratori e dipendenti, per allineare i loro interessi a quelli della società nel perseguire obiettivi di lungo periodo [3]. Lo scopo principale di questi interventi normativi è stato quello di evitare che si riverificassero le distorsioni pre-crisi finanziaria del 2007-2008, in cui i piani di bonus del top management venivano strutturati su obiettivi prevalentemente a breve termine. Ciò aveva incentivato i loro beneficiari a porre in essere condotte opportunistiche per gonfiare la redditività della società di appartenenza nel breve periodo così da ottenere una remunerazione variabile maggiore, anche a discapito dell’equilibrio patrimoniale e finanziario della società nel medio/lungo termine [4]. Queste prassi vennero poi additate, all’indomani della crisi finanziaria, come una delle concause della stessa [5], dando il là ad una regolamentazione della materia su ambo le sponde dell’Atlantico [6]. La disciplina normativa [continua ..]
(a) Fonti (e ambito di applicazione) Nel codice civile, la sola disposizione normativa che detta una disciplina specifica sui compensi degli amministratori è l’art. 2389 c.c. in materia di società per azioni [17]. La giurisprudenza ha poi considerato questa previsione normativa applicabile, nei suoi tratti caratterizzanti, alle società a responsabilità limitata [18], ma non alle società di persone, ove il compenso degli amministratori resta invece regolato dalle norme in materia di mandato [19]. La scelta di introdurre una disciplina specifica soltanto per le società per azioni non è casuale. In queste società, vi è infatti una strutturale separazione tra amministrazione e partecipazione al capitale. Pertanto, l’ordinamento mira a scoraggiare un atteggiamento passivo della compagine sociale su decisioni degli amministratori che comportino oneri patrimoniali per la società (come quelle sul compenso degli amministratori). Ciò è avvenuto mediante una regolamentazione che promuove la trasparenza nei confronti dei soci [20] e, soprattutto, la compartecipazione degli stessi a (o quantomeno il monitoraggio su) un processo decisionale che, altrimenti, resterebbe di competenza esclusiva dell’organo amministrativo, prestando quindi il fianco a possibili condotte abusive (come l’autodeterminazione di compensi eccessivi o irragionevoli da parte degli amministratori) [21]. La necessità di una siffatta disciplina sfuma soltanto nelle società a responsabilità limitata per poi venir meno, invece, nelle società di persone, perché, in queste ultime, vi è una diretta compartecipazione dei soci allo svolgimento dell’attività di impresa [22]. La disciplina in questione si applica esclusivamente agli amministratori di società. Nel sistema disegnato dal codice civile, non vi è infatti alcun punto di contatto con quella applicabile ai lavoratori subordinati di cui agli artt. 2094 c.c. ss. Oltre che dal punto di vista sistematico, la distinzione tra il corrispettivo della prestazione degli amministratori e quello dei lavoratori dipendenti si apprezza poi anche dal punto di vista lessicale. L’art. 2389 c.c. si riferisce infatti ai «compensi degli amministratori» e alla loro «remunerazione» o «rimunerazione», termine che rappresenta [continua ..]
(a) Fonti (e ambito di applicazione) Rispetto alla disciplina codicistica applicabile a tutte le società in generale, quella dedicata alla «remunerazione» degli amministratori (nonché, come si vedrà a breve, anche ad alcune tipologie di lavoratori autonomi e subordinati) di società soggette a vigilanza trova la sua genesi in un impianto di fonti più corposo e variegato, che ha dato vita a «un ambiente normativo certamente di non facile ed immediata fruibilità» [85]. Il corpus normativo dedicato alle società quotate [86] trova infatti fonte primaria nel d.lgs. n. 58/1998 (c.d. “TUF”) [87], che riguarda sia la «informazione al mercato in materia di attribuzione di strumenti finanziari a esponenti aziendali, dipendenti o collaboratori» (art. 114-bis TUF) che, soprattutto, la «relazione sulla politica in materia di remunerazione e sui compensi corrisposti» (art. 123-ter TUF), disciplina di derivazione europea [88] da ultimo modificata per recepire alcune previsioni della dir. 2017/828/UE (c.d. “SHRD II”) [89]. Queste previsioni sono poi integrate dai principi e dalle raccomandazioni in materia di remunerazione dedicate contenute all’art. 5 del Codice di Corporate Governance oggi in vigore, che è una fonte di matrice privatistica [90] e ad adesione volontaria che è caratterizzata dal solo obbligo di c.d. “comply or explain” [91]. Accanto a questa disciplina, se ne affianca poi un’altra dedicata alla remunerazione del personale delle società dei settori bancario, assicurativo e finanziario, che si caratterizza per maggiore complessità non solo nel contenuto ma anche nell’individuazione delle fonti applicabili. Limitando l’analisi, nel corpo del testo, alla disciplina del settore bancario [92], essa trova la sua fonte primaria nell’art. 53, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 385/1993 [93] (c.d. “TUB”) che, però, si limita a rimandare alla disciplina regolamentare di dettaglio dettata dalla Circolare n. 285 del 2013 emanata da Banca d’Italia (la c.d. “Circolare Banca d’Italia 285/2013”) [94], la quale recepisce le previsioni dell’art. 94 della dir. 2013/36/UE (c.d. “CRD IV”) [95], come integrate dagli Orientamenti per sane politiche di remunerazione [continua ..]
Al termine del paragrafo introduttivo, si era auspicato che l’analisi del compenso degli amministratori di società da parte di uno studioso di diritto del lavoro potesse svelare originali spazi di riflessione interdisciplinare per le comunità giuslavoristica e giuscommercialistica. Da questa prospettiva, l’analisi portata avanti al par. 2 è stata in gran parte infruttuosa. Infatti, essa ha preso atto di una completa divergenza tra la disciplina generale codicistica applicabile al compenso degli amministratori, da un lato, e quella applicabile alla retribuzione dei lavoratori subordinati, dall’altro [145]. Al contrario, l’analisi condotta al par. 3 ha mostrato come la disciplina speciale applicabile alla remunerazione dei top managers delle società soggette a vigilanza, soprattutto quella in materia di struttura della remunerazione variabile, abbia un ambito di applicazione transtipico, innestandosi trasversalmente sulle due distinte discipline generali codicistiche applicabili al compenso degli amministratori, da un lato, e alla retribuzione dei lavoratori subordinati, dall’altro. Pertanto, alla luce degli scopi dichiarati di questa ricerca, l’esame della disciplina speciale ha svelato un profilo analitico di sicuro interesse comune alle due comunità di studiosi. La rigida distinzione, tipica della disciplina generale codicistica, tra amministratore di società e lavoratore subordinato inizia a perdere rilevanza giuridica per il legislatore quando deve regolarne la remunerazione. Questa tendenza non è però generalizzata, essendo limitata a quei top managers la cui attività può impattare sul profilo di rischio di società che hanno, secondo il legislatore, rilievo sistemico [146]. La conseguenza di ciò è duplice. Da un lato, chi si occupa di diritto del lavoro non può più ignorare che, nella regolazione della retribuzione di alcuni lavoratori subordinati, la disciplina speciale analizzata al par. 3 giochi un ruolo di rilievo almeno pari, se non superiore, a quella generale codicistica. Dall’altro, chi si occupa di diritto commerciale, e in particolare di regolamentazione delle società soggette a vigilanza, deve prendere atto che un’analisi completa della disciplina in materia di remunerazione comporta necessarie intersezioni con quella giuslavoristica, perché parte [continua ..]