Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Quale reale trasparenza nel rapporto di lavoro con gli ultimi adempimenti? (di Caterina Timellini, Professoressa associata di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Milano)


Il presente studio si svolge seguendo un triplice tracciato. Dapprima vengono descritti il quadro normativo e l'oggetto degli obblighi informativi e delle prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro, ivi comprese le misure di tutela. Una più ampia disamina viene poi dedicata al tema dei sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati, sia a livello europeo, che nella regolamentazione interna. Infine, l’Autrice si chiede se i caratteri presentati come innovativi della nuova disciplina siano in grado di soddisfare gli obiettivi dell'intervento di riforma, concludendo con qualche riflessione in una prospettiva de jure condendo.

What real transparency in the employment relationship with the latest fulfilments?

The essay unfolds along three lines. First of all, the regulatory framework and the object of the disclosure obligations and the minimum requirement relating to working conditions, including protective measures, are described. A broader examination is then dedicated to the issue of automated decision-making and monitoring systems, both at a European level and in internal regulation. Finally, the Author wonders if the characteristics presented ad innovative of the new discipline are able to satisfy the objectives of the reform intervention, concluding with some reflections in a de jure condendo perspective.

SOMMARIO:

1. Dal contesto normativo previgente al recente intervento europeo, foriero del d.lgs. n. 104/2022 - 2. L’ambito di applicazione, le esclusioni previste dalla legge e l’ele­mento temporale - 3. L’oggetto degli obblighi formativi - 4. Le prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro - 5. L’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati: a) breve introduzione al tema - 6. Segue. b) Nel panorama europeo - 7. Segue. c) Al vaglio della giurisprudenza amministrativa - 8. Segue. d) Nei nuovi obblighi informativi - 9. Segue. e) Nelle prospettive future - 10. Le modalità di attuazione dell’informativa e le relative tempistiche - 11. Le misure di tutela e l’apparato sanzionatorio - 12. In conclusione, alcune ulteriori e brevi considerazioni - NOTE


1. Dal contesto normativo previgente al recente intervento europeo, foriero del d.lgs. n. 104/2022

Con la direttiva UE n. 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro migliori al fine di promuovere un’occupazione più trasparente e prevedibile nell’Unione Europea e, nel contempo, l’adattabilità del mercato del lavoro, per la seconda volta a distanza di qualche decennio dalla direttiva 91/53/CEE [1], il legislatore sovranazionale è intervenuto sul tema dell’informazione al lavoratore sulle condizioni applicabili ai rapporti di lavoro. Le previsioni, oltre ad introdurre particolari misure di tutela, vertono, da un lato, sulle informazioni nei rapporti di lavoro [2] e dall’altro su nuove prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro [3], pena – in entrambi i casi – l’applicazione di severe sanzioni amministrative da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. La ratio della recente direttiva è disvelata sia dal considerando n. 4, che la riconduce ad una crescente esigenza dei lavoratori di essere pienamente e tempestivamente informati per iscritto, in un formato facilmente accessibile, sulle condizioni essenziali di lavoro, sia dall’art. 1, comma 1, norma che rinvia all’intenzione del legislatore europeo di innalzare i livelli di tutela dei lavoratori proprio attraverso la previsione di una serie dettagliata di informazioni, con riferimento particolare alle nuove forme di lavoro che si distanziano dai rapporti di lavoro tradizionali in termini di prevedibilità, creando incertezza in merito alla protezione sociale e ai diritti applicabili ai lavoratori interessati. La direttiva è stata attuata dal d.lgs. 27 giugno 2022, n. 104, c.d. Decreto Trasparenza [4], su cui è recentemente intervenuto anche il d.l. n. 48/2023 [5], che si inserisce nell’ambito di un più ampio intervento di riforma posto in essere dal Governo Meloni. Il Decreto Trasparenza ha modificato il precedente d.lgs. n. 152/1997 ricorrendo alla tecnica dell’interpolazione, con cui sono stati sostituiti integralmente i primi quattro dei cinque articoli di cui si componeva l’originario provvedimento [6] ed è stata inserita una nuova previsione, l’art. 1-bis, dedicato all’u­tilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati [7]. A sua volta il d.l. n. 48/2023 all’art. 26 disciplina l’inserimento nell’art. 1 del d.lgs. n. 152/1997 altresì dei commi 5-bis e [continua ..]


2. L’ambito di applicazione, le esclusioni previste dalla legge e l’ele­mento temporale

Rispetto al d.lgs. n. 152/1997, limitato al solo lavoro subordinato, il d.lgs. n. 104/2022 presenta maggiore ampiezza applicativa [11], in quanto si rivolge anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409, n. 3, c.p.c., ai rapporti di collaborazione etero-organizzate dal committente ex art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 [12] e ai contratti di prestazione occasionale “nei limiti della compatibilità” [13] (art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 152/1997 nuova formulazione). In primo luogo, si tratta di un’estensione più formale che non sostanziale, posto che i diritti di informazione e le prescrizioni minime previsti dal legislatore europeo paiono tarati principalmente sul lavoratore subordinato. In secondo luogo, la formulazione impone all’interprete un’attività supplementare di accertamento caso per caso, valutazione che, tuttavia, si può escludere in radice per i rapporti di collaborazione etero-organizzata dal committente, per i quali è l’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 che impone l’applicazione della disciplina prevista per il rapporto di lavoro subordinato, con tutto ciò che ne deriva anche in termini di obblighi informativi. Risultano, invece, esclusi dai nuovi obblighi di informazione i rapporti di lavoro autonomo, i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, le collaborazioni prestate nell’impresa dai familiari del titolare, i rapporti di lavoro del personale di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 165/2001, ossia del personale in regime di diritto pubblico relativamente alla disposizioni del Capo III del d.lgs. n. 104/2022, i rapporti di lavoro di dipendenti pubblici in servizio all’e­stero limitatamente all’art. 2 del d.lgs. n. 152/1997 (come previsto dallo stesso art. 2, al comma 3) [14] e i rapporti di lavoro caratterizzati da un tempo di lavoro predeterminato ed effettivo di durata pari ad una media di tre ore a settimana in un periodo di riferimento di quattro settimane consecutive [15]. Anche quanto alle esclusioni si impongono delle precisazioni. La prima riguarda i rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico, posto che in realtà a questi ultimi, oltre a non applicarsi il Capo III del d.lgs. n. 104/2022 sulle prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro (come ha precisato l’art. 1, comma 4, lett. f), del d.lgs. n. 104/2022), non si applicano [continua ..]


3. L’oggetto degli obblighi formativi

A seguito delle modifiche normative introdotte dal d.lgs. n. 104/2022, le informazioni obbligatorie che il datore di lavoro è tenuto a comunicare al lavoratore ex art. 1 del d.lgs. n. 152/1997 (prima dieci e oggi aumentate a diciassette) risultano modificate con previsioni in parte nuove [20] ed in parte più articolate rispetto alle precedenti [21]. L’aspetto di maggiore novità è rappresentato dalle informazioni relative al­l’orario di lavoro [22], previsione di indubbio interesse in quanto, com’è noto, i limiti all’orario di lavoro costituiscono uno strumento necessario ed idoneo ad assicurare al lavoratore un’esistenza libera e dignitosa in conformità al disposto dell’art. 36 Cost. [23]. Il punto di approdo è di creare un bilanciamento [24] tra il potere del datore di lavoro di assegnare e ripartire la prestazione lavorativa tra i propri dipendenti all’interno di una struttura organizzata e la delimitazione quantitativa del tempo di lavoro. Sotto questo specifico aspetto il legislatore distingue preliminarmente tra rapporti di lavoro caratterizzati da un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in parte prevedibile e rapporti di lavoro caratterizzati da modalità organizzative in gran parte o interamente imprevedibili. Nel primo caso, l’informazione risulta più semplice, in quanto è limitata alla programmazione dell’orario normale di lavoro e delle eventuali condizioni di ricorso al lavoro straordinario, incluse le ripercussioni economiche in termini di maggiorazione della retribuzione, nonché delle eventuali condizioni per i cambiamenti di turno (art. 1, comma 1, lett. o). Con riferimento all’orario di lavoro programmato, la circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 19/2022 ha precisato che le informazioni, anziché riguardare la generale disciplina legale, dovranno concentrarsi sul contratto collettivo nazionale e sugli eventuali accordi aziendali che regolano il tema dell’orario nel luogo di lavoro, incentrandosi sulla concreta articolazione dell’orario di lavoro applicata al dipendente, sulle condizioni dei cambiamenti di turno, sulle modalità e sui limiti di espletamento del lavoro straordinario e sulla relativa retribuzione [25]. Non si tratta, peraltro, di un’informativa statica, in quanto, nel caso di [continua ..]


4. Le prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro

Il Decreto Trasparenza, come si è detto, non si è limitato soltanto ad ampliare gli obblighi di informazione del datore di lavoro, ma ha altresì introdotto delle prescrizioni minime [33] di tutela normativa ed economica relative alle condizioni di lavoro, ossia elementi inderogabili che il datore di lavoro deve necessariamente garantire ai lavoratori in tema di durata massima del periodo di prova (art. 7) [34], di cumulo di impieghi (art. 8), di prevedibilità minima del lavoro (art. 9), di transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili (art. 10) e di formazione obbligatoria (art. 11) [35]. Si tratta di previsioni che, in taluni casi, necessitano di delucidazioni. Il primo chiarimento dovrebbe riguardare la sopravvenienza di cause che legittimamente sospendono il rapporto di lavoro del lavoratore in prova (quali la malattia, l’infortunio, il congedo di maternità o di paternità obbligatori), con riferimento alle quali la legge prevede che la durata del periodo di prova verrà prolungata in misura corrispondente alla durata dell’assenza. Ci si interroga se tali ipotesi siano tassative oppure no e se, in particolare, possano ricomprendersi in tale previsione anche i casi di assenza facoltativa dal lavoro, in quanto mentre la direttiva estende tale previsione in generale alle assenze dal lavoro, l’elencazione riportata dal legislatore italiano parrebbe propendere esclusivamente per i casi di sospensione obbligatoria della prestazione di lavoro [36]. Il secondo chiarimento riguarda il tema del cumulo di impieghi [37], in quanto la formula scelta dal nostro legislatore (secondo cui, fermo il rispetto del­l’art. 2105 c.c., è vietato al datore di lavoro impedire al lavoratore lo svolgimento di un’altra attività di lavoro “in orario al di fuori della programmazione dell’attività lavorativa concordata” [38]) non si adatta a talune modalità di lavoro quali, ad esempio, il lavoro agile o la prestazione lavorativa resa da personale non soggetto a vincoli di orario Un terzo chiarimento da parte del legislatore sarebbe opportuno laddove le prescrizioni minime relative a quei rapporti di lavoro in cui l’organizzazione del lavoro sia interamente o in gran parte imprevedibile [39] prevedono che il periodo minimo di preavviso cui ha diritto il lavoratore debba essere [continua ..]


5. L’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati: a) breve introduzione al tema

Il d.lgs. n. 152/1997 (nuova versione) prevede obblighi informativi specifici nell’ipotesi, inserita dall’art. 4, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 104/2022, prevista dall’art. 1-bis nel d.lgs. n. 152/1997. Si tratta di una regolamentazione che è stata introdotta su iniziativa unilaterale del legislatore italiano, poiché la direttiva non contempla siffatta specificità [44], e che prevede degli obblighi informativi nuovi e aggiuntivi rispetto a quelli posti dall’art. 1, qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante l’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati [45]. Come ha chiarito la circolare del Ministero del Lavoro n. 19/2022, l’art. 1-bis si riferisce a due ipotesi distinte. La prima ipotesi si configura allorquando il datore di lavoro ricorra a sistemi decisionali finalizzati a realizzare un procedimento decisionale automatizzato (c.d. algoritmo [46]) in grado di incidere sul rapporto di lavoro senza il coinvolgimento umano [47]. L’elemento qualificante è, in tale ipotesi, la capacità del mezzo tecnologico di prendere decisioni senza alcun intervento umano. La seconda ipotesi, invece, riguarda l’utilizzo da parte del lavoratore di strumenti elettronici (quale: tablet, dispositivi digitali e wearables, gps e geolocalizzatori, sistemi per il riconoscimento facciale, sistemi di rating e ranking, ecc.) per rendere la prestazione lavorativa, ossia di strumenti che contengano sistemi di monitoraggio automatizzati incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori. La fattispecie, essendo sovrapponibile a quella contemplata dal­l’art. 4 della legge n. 300/1970 relativa proprio agli “impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo” (e mantenuta espressamene ferma dall’art. 1-bis, comma 7, del d.lgs. n. 152/1997), sembra possa indurre l’interprete a circoscrivere l’ambito di applicazione di tale previsione esclusivamente al lavoro autonomo coordinato e continuativo [48].


6. Segue. b) Nel panorama europeo

Le nuove previsioni, con specifico riferimento all’utilizzo dei sistemi decisionali automatizzati, si inseriscono nel quadro tracciato a livello europeo [49] – che per primo ha colto gli sviluppi della complessa dialettica tra uomo e macchina – dal regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016. Il regolamento UE vieta il trattamento di dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica di una persona, le sue opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l’appartenenza sindacale, nonché il trattamento di dati genetici, di dati biometrici volti a identificare in modo univoco una persona fisica, di dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale di essa (art. 9). Esso, inoltre, riconosce al lavoratore il diritto a non essere sottoposto ad una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, ove ciò produca effetti giuridici sul lavoratore medesimo o incida in modo significato sulla sua persona (art. 22, par. 1) [50]. Si tratta, tuttavia, di una disciplina che subisce ben tre eccezioni. La prima è ravvisabile quando (così come previsto dall’art. 22, par. 2, lett. a), il trattamento “sia necessari(o) per la conclusione o l’esecuzione di un contratto tra l’interessato e un titolare del trattamento”, il che avviene, esattamente, nei rapporti di lavoro, sia in fase preassuntiva, sia in corso di rapporto. La formula utilizzata nel regolamento, che rinvia ad una situazione di necessità, induce a ritenere che la prospettiva considerata dal legislatore europeo sia quella aziendale, per cui sarà il datore di lavoro o il committente a valutare se, ai fini dell’assunzione o della successiva collaborazione, il ricorso ad un trattamento automatizzato risulti necessario (e, quindi, indispensabile) o meno. In un contesto siffatto, ove la valutazione aziendale avvenga in fase preassuntiva e, proprio in tale fase, l’azienda o il committente propendano per la necessità del ricorso a tale tipo di trattamento, ben poco potranno fare il lavoratore o il collaboratore, trovandosi in una posizione di manifesta debolezza che impedirà presumibilmente loro di opporsi. La seconda eccezione si configura (ai sensi dell’art. 22, par. 2, lett. b) nell’ipotesi in cui sia una norma europea o nazionale ad autorizzare [continua ..]


7. Segue. c) Al vaglio della giurisprudenza amministrativa

Il tema si inserisce in un contesto nel quale la giurisprudenza amministrativa ha preso posizione in ordine alla trasparenza del processo algoritmico [52]. Fermi gli indiscutibili vantaggi – nel rispetto dei noti canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa – derivanti dall’automazione del processo decisionale dell’amministrazione, mediante l’utilizzo di una procedura digitale e attraverso un algoritmo (molto utile, ad esempio, nell’elabora­zione di ingenti quantità di istanze), la giurisprudenza ha evidenziato come la regola tecnica che governa ciascun algoritmo resti pur sempre una regola amministrativa generale, costruita dall’uomo e non dalla macchina, per essere poi applicata da quest’ultima. Ciò implica, allora, l’illegittimità dell’esclusiva decisione algoritmica, riconoscendo al destinatario degli effetti giuridici di una decisione automatizzata il diritto di controllare, confermare o smentire il contenuto della decisione stessa, sia affidando la verifica ad un funzionario responsabile, sia rivolgendosi al giudice. In particolare, il principio della conoscibilità dell’algoritmo, con conseguente sottoposizione di esso al sindacato del giudice amministrativo, trae linfa dalla pronuncia del Consiglio di Stato che riconosce all’algoritmo a cui un’amministrazione affidi un proprio processo decisionale la natura di atto amministrativo informatico. Ciò implica che, poiché l’algoritmo è un atto di natura amministrativa, esso deve essere rispettoso delle garanzie di trasparenza, deve essere conoscibile in tutti i suoi aspetti (dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di elaborazione, al meccanismo di decisione, ecc.) e, infine, deve essere oggetto di verifica e piena cognizione in sede giudiziaria [53]. Il caso prendeva avvio dal ricorso e dal successivo appello promossi da alcuni docenti della scuola secondaria di secondo grado, già inseriti nelle relative graduatorie ad esaurimento, i quali erano risultati non solo destinatari di una nomina su classi di concorso ed ordine di scuola in cui non avevano mai lavorato, ma che addirittura, pur avendo espresso la preferenza per la scuola superiore di secondo grado, erano risultati destinatari di una proposta di assunzione nella scuola superiore di primo grado. Così i ricorrenti [continua ..]


8. Segue. d) Nei nuovi obblighi informativi

L’art.1-bis, al comma 1, stabilisce che il datore di lavoro o il committente siano tenuti ad informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire “indicazioni rilevanti” ai fini dell’assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni, nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’a­dempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori. Con tutta evidenza, nel concetto di rilevanza possono rientrare le più svariate informazioni utilizzabili dal datore di lavoro o dal committente ai fini dell’instaurazione, dello svolgimento o della cessazione del rapporto di lavoro, il che parrebbe renderne incerta l’individuazione. Qualche chiarimento sembra potersi, tuttavia, trarre dal successivo comma 2, il quale, elencando tali informazioni aggiuntive, viene formulato proprio “ai fini dell’adempimento degli obblighi di cui al comma 1”. L’art. 1-bis, comma 2, inserito nel d.lgs. n. 152/1997 stabilisce, infatti, una serie di informazioni [56], che devono essere fornite congiuntamente alle informazioni di cui all’art. 1 “prima dell’inizio della prestazione”. Si tratta di informazioni relative ai parametri dei processi decisionali automatizzati, all’impatto che su di essi possono avere i dati personali del lavoratore o i suoi comportamenti, nonché alle motivazioni che determinano le decisioni volte a incidere sul rapporto di lavoro. In proposito, appare improprio l’utilizzo dell’avverbio “unitamente”, poiché le informazioni di cui all’art. 1, ai sensi del suo comma 3, possono essere fornite anche in un secondo momento, ossia dopo l’inizio della prestazione. L’art. 1-bis, invece, colloca il momento in cui l’informativa deve essere resa ai lavoratori o ai collaboratori antecedentemente all’inizio dell’attività lavorativa, introducendo così un elenco di informazioni ad hoc che devono essere fornite in aggiunta (ma anche in un momento diverso [57]) alle informazioni generali previste dall’art. 1 del d.lgs. n. 152/1997. Resta inteso, ovviamente, che in ipotesi di rilevazione delle presenze in ingresso e in uscita, cui non faccia seguito [continua ..]


9. Segue. e) Nelle prospettive future

Gli obblighi che scaturiscono dall’art. 1-bis del d.lgs. n. 152/1997 costituiscono una riproposizione quasi testuale, all’interno del quadro normativo italiano, del contenuto della Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa “al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali” del 2021 [61], in un’ottica di incremento della trasparenza nell’uso degli algoritmi [62]. Infatti, il terreno elettivo dei sistemi automatizzati contemplati dal d.lgs. n. 104/2022 è il lavoro tramite piattaforme digitali di cui, in particolare, all’art. 47-ter del d.lgs. n. 81/2015, norma secondo la quale i lavoratori devono ricevere ogni informazione utile per la tutela dei loro interessi, dei loro diritti e della loro sicurezza. Molto dipenderà anche da come l’iniziativa europea relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro mediante piattaforme digitali [63] verrà portata a termine, in quanto è evidente che il legislatore nazionale a quel punto non potrà creare disallineamenti e dovrà adeguarsi al modello europeo [64]. Per ora, pur prendendosi atto dello sforzo del legislatore di rendere maggiormente prevedibili certe scelte aziendali, la strada volta ad ottenere una tutela concreta del lavoratore appare appena all’inizio e ancora molto lunga. In dottrina [65] sono state opportunamente manifestate delle perplessità che si concentrano, in particolare, sull’impossibilità attuale di sottoporre ad un controllo di veridicità le determinazioni prese in applicazione dei sistemi decisionali e di monitoraggio adottati, e ciò sia a causa dei costi inaccessibili per il lavoratore che una verifica di questo tipo richiederebbe, sia per le lunghe tempistiche derivanti dalla complessità di interpretazione dei modelli matematici e dalla natura stessa del processo civile. Tant’è che ove il giudice fosse chiamato a valutare le determinazioni scaturenti dall’applicazione dell’algoritmo incapperebbe nell’opacità di esso, ossia si troverebbe nell’impossibilità di svolgere un’analisi di tipo empirico volta a verificare se quanto riportato dall’azienda per dare conto dell’esito della decisione automatizzata sia corrispondente a verità o meno. Per risolvere l’impasse descritta occorre, allora, [continua ..]


10. Le modalità di attuazione dell’informativa e le relative tempistiche

Le informazioni previste dall’art. 1 e dall’art. 1-bis dovranno essere comunicate al lavoratore all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro e prima dell’inizio dell’attività lavorativa, attraverso la consegna al dipendente del contratto individuale di lavoro o, in alternativa, della copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro [69]. Un identico obbligo è previsto anche dall’art. 4-bis, comma 2, del d.lgs. n. 181/2000 [70]. Il mancato, ritardato, incompleto o inesatto assolvimento di detto obbligo informativo comporterà l’irrogazione di una sanzione amministrativa, il cui ammontare varia a seconda di quali obblighi informativi siano stati violati, nonché del numero dei lavoratori coinvolti. Con riferimento a talune informazioni specifiche l’inadempimento comunicativo potrà, tuttavia, essere sanato dal datore di lavoro, senza l’applicazione di alcuna sanzione, entro un termine successivo all’inizio della prestazione lavorativa. Infatti, le informazioni relative a: a) identità delle parti, compresa quella dei codatori; b) il luogo di lavoro; c) la sede o il domicilio del datore di lavoro; d) l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti o, in alternativa, le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro; e) la data di inizio del rapporto; f) la tipologia del rapporto di lavoro, con la precisazione, in caso di rapporti a termine, della durata prevista; h) la durata del periodo di prova; n) l’importo della retribuzione o del compenso; o) la programmazione dell’orario normale di lavoro, le condizioni del lavoro straordinario, la sua retribuzione, nonché le condizioni previste per il cambio turno; p) tutte le informazioni previste nell’ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia caratterizzato da modalità organizzate in gran parte o interamente imprevedibili; s) le informazioni previste dall’art. 1-bis) in ipotesi di utilizzo di sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati possono essere fornite al lavoratore al momento dell’instaurazione del rapporto o, al massimo, entro sette giorni dall’inizio della prestazione lavorativa. Invece, le informazioni relative a: g) l’identità delle imprese utilizzatrici; i) il diritto a ricevere la formazione [71]; l) la durata delle ferie e degli altri congedi retribuiti; m) la procedura, la [continua ..]


11. Le misure di tutela e l’apparato sanzionatorio

L’ultima parte del Decreto Trasparenza (Capo IV) è dedicato alle misure di tutela, ossia a quelle misure che la direttiva ha previsto che gli Stati membri adottino per garantire i diritti da essa previsti. Tali previsioni si inseriscono all’interno di un panorama interno già articolato di tutele, per cui le nuove norme si affiancano all’apparato sanzionatorio esistente, coordinandosi con esso [76]. In primo luogo, il decreto riconosce ai lavoratori lesi nei diritti previsti dal d.lgs. n. 152/1997, ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria e amministrativa e fatte salve le specifiche procedure regolate dai contratti collettivi di lavoro di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015, la legittimazione attiva a promuovere il tentativo di conciliazione ex artt. 410 e 411 c.p.c., nonché di ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato ex artt. 412 e 412-quater c.p.c e alle camere arbitrali previste dall’art. 31, comma 12, della legge n. 183 del 2010 (art. 12, d.lgs. n. 104/2022) [77]. In proposito, mentre il riferimento al tentativo di conciliazione non costituisce una novità, essendo uno strumento facoltativo cui le parti del rapporto di lavoro possono sempre fare ricorso, la seconda parte della disposizione reca invece dei profili di novità. In secondo luogo, il legislatore prevede una protezione contro i comportamenti di carattere ritorsivo o che, comunque, determinino effetti sfavorevoli nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti per effetto del fatto che questi ultimi abbiano presentato un reclamo al datore di lavoro o che abbiano promosso un procedimento, anche non giudiziario, volto ad ottenere il rispetto dei diritti di cui al d.lgs. n. 152/1997 (art. 13 d.lgs. n. 104/2022). In tali ipotesi, oltre all’invalidità dell’atto, con ogni conseguenza da ciò scaturente per legge, e fatta salva l’ipotesi in cui il fatto costituisca reato, troverà applicazione anche una sanzione amministrativa [78]. In terzo luogo, in stretta connessione con la repressione dei comportamenti ritorsivi o comunque sfavorevoli per il lavoratore di cui si è appena riferito, il decreto contempla espressamente l’ipotesi del licenziamento e dei trattamenti sfavorevoli nei confronti del lavoratore derivanti dall’esercizio dei diritti previsti dal d.lgs. n. 152/1997 (art. 14, comma 3, d.lgs. n. [continua ..]


12. In conclusione, alcune ulteriori e brevi considerazioni

Al termine della disamina di quelle che paiono essere le questioni di maggior rilievo, occorre svolgere una riflessione più ampia anche in una prospettiva de iure condendo, sia sotto forma di intervento integrativo/modificativo da parte del legislatore nazionale su taluni aspetti, sia sotto forma di chiarimenti operativi. In primo luogo, poiché l’intervento legislativo in esame riprende la tematica, già affrontata in passato, della dimensione informativa nella moderna società economica [81] e, in particolare, del tentativo di fornire al lavoratore gli strumenti utili per comprendere le tante fonti che regolamentano il proprio rapporto di lavoro, sarebbe opportuno che le nuove previsioni venissero semplificate, in quanto oggi presentano un’eccessiva e non necessaria complessità regolativa. In secondo luogo, gli obblighi informativi dovrebbero essere rivisti tenendo conto delle esigenze di tutela più specifiche ed appropriate di alcune forme di lavoro, quali, ad esempio, il lavoro intermittente [82]. In terzo luogo, il legislatore dovrebbe utilizzare in modo più appropriato gli spazi di discrezionalità che la direttiva ha riservato agli Stati membri con riferimento alle fonti, ossia mediante il rinvio alle disposizioni legislative, amministrative, statutarie, ai regolamenti e ai contratti collettivi. L’art. 4, comma 3, della direttiva del 2019 stabilisce, infatti, che una serie di informazioni possano essere fornite “sotto forma di riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative o statutarie o ai contratti collettivi che disciplinano tali punti”, impostazione ripresa anche dalle indicazioni di carattere interpretativo fornite dalla circolare dell’INL n. 4/2022. Il che è quanto sembra essersi recentemente verificato a seguito dell’intervento di modifica contenuto nel d.l. n. 48/2023, il quale dopo l’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 152/1997 ha inserito il comma 5-bis, che prevede, limitatamente alle sole informazioni di cui alle lett. h), i), l), m), n), o), p), e r), la possibilità di comunicazione al lavoratore, con conseguente assolvimento del relativo onere, “con l’indicazione del riferimento normativo o del contratto collettivo, anche aziendale, che ne disciplina le materie”. Questo rinvio, tuttavia, soprattutto ove convertito in legge, è indubbio che presupponga delle [continua ..]


NOTE