Il saggio vuole indagare il rapporto tra norme di prevenzione ed età del lavoratore, intesa come caratteristica soggettiva che, insieme alle altre indicate nell’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008, impone una peculiare attenzione in sede di valutazione del rischio. Il fattore età si lega a filo doppio al mantenimento del posto di lavoro, in una prospettiva di active ageing e di investimento del datore di lavoro nel capitale umano. Fondamentale per la costruzione di un sistema di sicurezza che valorizzi le specificità, anagrafiche e no, è l'individuazione di percorsi di formazione (in senso ampio) volte al benessere lavorativo.
The essay aims to investigate the relationship between prevention regulations and the worker’s age, understood as a subjective characteristic that, together with the others identified by Article 28 of Legislative Decree No. 81/2008, requires special attention when assessing risk. The age factor is inextricably linked to job retention, in a perspective of active ageing and employer investment in human capital. Fundamental to the construction of a safety system that takes into account specificities, both anagraphic and otherwise, is the construction of training courses (in the broad sense) aimed at occupational well-being.
1. L’approccio soggettivo al rischio lavorativo: una valutazione (sempre più) “sartoriale” - 2. L’età nel sistema di prevenzione: una doppia valenza - 3. Active ageing e strategie di benessere lavorativo - 4. Il ruolo della formazione tra prevenzione, upskilling e reskilling - NOTE
La ricostruzione dei compositi confini dell’obbligo di sicurezza passa – oltre che dalla nozione di datore di lavoro, titolare del rapporto (approccio formalistico) e soprattutto dei poteri di gestione e spesa (approccio sostanziale), responsabile di quell’organizzazione che genera rischi peculiari – dalla valorizzazione delle specificità connesse alla persona del lavoratore. Nel d.lgs. n. 81/2008 assume, pertanto, un inedito risalto il profilo soggettivo del concetto di fattore di rischio. L’art. 28 menziona, da subito, i rischi connessi ad alcune attività lavorative, corrispondenti ai titoli del decreto stesso e in un costante dialogo di genus a species, nonché al rischio da stress lavoro-correlato e a quello legato alla gravidanza, entrambi di portata trasversale; a seguire, prende in considerazione gli aspetti legati al genere, all’età, alla provenienza da altri paesi e, dopo la novella del 2009, alla tipologia contrattuale. Le previsioni invocano un approccio olistico alle dimensioni della persona [1]. Se pensiamo al «genere» è evidente il superamento del solo focus sui rischi collegati alla gravidanza e al puerperio, menzionati nella prima parte della norma, e al contempo una duplice apertura. Da un lato, agli insegnamenti che provengono dalla medicina di genere [2], e in stretto collegamento con la segmentazione orizzontale nel mercato del lavoro, che mostra un’esposizione a specifici fattori in lavorazioni che vedono statisticamente impiegate più le donne (ad es. la cura all’infanzia e agli anziani) [3] rispetto a quelle a prevalenza maschile (ad es. la cantieristica). Dall’altro, al tema della segmentazione verticale nelle carriere che attiene alla costruzione di ambienti di lavoro improntati alla trasparenza, alla parità, al benessere e al rispetto della dignità. La «provenienza da altri paesi» non rileva solo con riguardo alla lingua e alla comprensione delle norme di comportamento volte alla prevenzione del rischio ma, altresì, a codici culturali che hanno una ricaduta sulla esecuzione in sicurezza della prestazione lavorativa. Ciò anche in relazione al fatto che spesso gli immigrati sono occupati in mansioni faticose o pericolose (edilizia, industria pesante, agricoltura, servizi) ossia i c.d. lavori 3D (dangerous, dirty and demeaning), senza entrare nel merito del lavoro [continua ..]
Il fattore età viene considerato dal diritto del lavoro e dalle norme prevenzionistiche in una duplice accezione. La giovane età rileva, in prima battuta, quale criterio di differenziazione per permettere, attraverso requisiti di accesso al lavoro, l’assolvimento degli obblighi scolastici e formativi e, poi, nella disciplina prevenzionistica, per interdire ai minori lo svolgimento di lavori pericolosi ed insalubri (esposizione ad agenti chimici, fisici, biologici; lavoro notturno), trattandosi di soggetti che si trovano nella fase dello sviluppo psicofisico. L’età più matura, in genere, è attratta nell’orbita della disciplina sulle discriminazioni [11] e in quella legata all’uscita dal mondo del lavoro, attraverso l’attivazione del sistema di sicurezza sociale; e ancora, sul versante della tutela della salute e sicurezza, nella valutazione dell’impatto che l’organizzazione del lavoro può avere su soggetti non più giovani. Nel d.lgs. n. 81/2008 il riferimento all’età appare con aggettivazione/specificazione solo in alcuni casi: età «oltre i 50» (art. 176, lavoro ai videoterminali); «minori» (art. 183, agenti fisici; art. 190, rumore; art. 202, vibrazioni); «età fertile» (allegato XXXIX, esposizione a piombo); negli altri casi viene menzionata in modo generico (allegato XXXIII, movimentazione manuale di carichi) al fine di segnalare un’esigenza di personalizzazione degli interventi formativi, organizzativi, ecc. Più di recente, nella gestione dell’emergenza pandemica, l’età è stata accostata alla fragilità, al fine di determinare, tra l’altro, i requisiti per il lavoro da remoto. Per ricostruire il quadro sistemico occorre, pertanto, attingere a fonti esterne, in quanto parte della disciplina prevenzionistica non è stata inglobata nell’opera di razionalizzazione del 2008. Ciò, in particolare, per quanto qui rileva, con riguardo all’incidenza della giovane età sull’esposizione ai rischi lavorativi e al riflesso sulla sorveglianza sanitaria e sulla formazione. Il legislatore comunitario aveva adottato una direttiva speciale sulla sicurezza dei minori (dir. n. 94/33/Ce), recepita con il d.lgs. n. 345/1999, modificato dal d.lgs. n. 262/2000 ed entrato in vigore nell’ottobre 2000. La normativa [continua ..]
Nel Quadro strategico dell’Unione europea in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027 [35] troviamo, ancora una volta, l’espresso riferimento al tema dell’invecchiamento attivo [36]. Le proiezioni demografiche sulla popolazione attiva in Europa mostrano, infatti, che la fascia d’età compresa tra 55 e 64 anni aumenterà di circa il 16,2 % (9,9 milioni) tra il 2010 e il 2030, mentre le altre fasce d’età diminuiranno dal 5,4 % (40-54 anni) al 14,9 % (25-39 anni) [37]. Queste evidenze fanno emergere la necessità di adattare l’ambiente di lavoro e le mansioni alle esigenze specifiche dei lavoratori anziani, riducendo al minimo i rischi. Tra gli strumenti individuati per sostenere la salute e il benessere, nella Comunicazione, si fa ampio riferimento alla digitalizzazione: per la Commissione «la robotizzazione, l’uso dell’intelligenza artificiale e la maggiore diffusione del lavoro a distanza riducono i rischi associati alle mansioni pericolose, ad esempio quelle in aree altamente contaminate come i sistemi di trattamento delle acque reflue, le discariche o le zone di fumigazione agricola» (p. 7). Vanno, tuttavia, pensate soluzioni che consentano la partecipazione attiva nei contesti lavorativi, nella consapevolezza che il luogo di lavoro come ambiente sociale può essere utile a prevenire/contenere gli effetti legati all’isolamento; al contempo vanno evitate forme di segregazione dei lavoratori anziani e garantita una serena permanenza in attività, come forma di lotta al decadimento cognitivo, ai disturbi mentali e alla depressione. Infine, vanno arginati o rimossi i fattori che potrebbero integrare fattispecie di vessazione e lesione della dignità professionale [38]. Sul versante dei benefici per il datore di lavoro, la dottrina segnala che «l’età e l’esperienza lavorativa migliorano il capitale sociale dei lavoratori anziani [39]: in particolare, «aumentano la competenza professionale, le conoscenze tacite e la capacità di cooperazione, migliora la consapevolezza dell’organizzazione e delle sue funzioni, si ampliano i contatti e le reti con i clienti, migliora la comprensione dei cambiamenti dell’ambiente operativo» [40]. Proprio nell’ottica del prolungamento della vita lavorativa, nella Campagna dell’Agenzia [continua ..]
I diritti di informazione e formazione in materia prevenzionistica, e a cui si affianca quello di addestramento [45], confermano l’accoglimento di un sistema di sicurezza in cui il lavoratore è parte attiva. Le norme compongono uno dei tasselli del principio della partecipazione equilibrata, varato con la direttiva quadro 89/391/CE ovvero un maggior coinvolgimento dei lavoratori, come singoli o attraverso il rappresentante per la sicurezza, alla gestione della prevenzione. Ciò ha, evidentemente, dei riflessi sulla posizione debitoria del datore di lavoro, in quanto l’adeguatezza della formazione, dell’informazione e dell’addestramento va verificata tanto quanto la predisposizione di cautele antinfortunistiche o igienico-ambientali nonché di soluzioni organizzative orientate al benessere. Sul versante della responsabilità, l’erogazione dell’attività formativa è stata talvolta invocata, in termini esimenti o di riduzione della responsabilità, dal datore di lavoro in virtù del principio dell’affidamento nell’altrui diligenza. Si configura, in sostanza, un’aspettativa sociale in ragione della quale «ogni consociato può e deve confidare che ciascuno si comporti adottando le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell’attività che di volta in volta viene in questione». Tuttavia, il processo di informazione, formazione e addestramento – propedeutico allo svolgimento in sicurezza dell’attività lavorativa [46] – deve essere «adeguato» e tale aggettivazione si traduce in una personalizzazione disegnata sul lavoratore, che coinvolge in modo pregnante il datore di lavoro/titolare della posizione di garanzia (in condivisione iure proprio con il dirigente ex art. 18 del d.lgs. n. 81/2008) [47]. Pertanto, nel caso dei giovani, il giudizio sul valore (parzialmente) esimente della responsabilità va condotto con ponderazione, tenuto conto della particolare vulnerabilità di questi soggetti, della minore preparazione ed esperienza che possono portare a scelte imprudenti; si chiede, quindi, al datore di lavoro uno sforzo informativo e formativo particolarmente incisivo così come altrettanto puntuale dovrà essere il controllo, anche tramite l’affiancamento a un lavoratore più maturo. La Cassazione già [continua ..]