Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Età e concorsi pubblici (di Loredana Ferluga, Professoressa ordinaria di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Messina)


Il saggio esamina il tema dei requisiti di età richiesti per la partecipazione ai concorsi nella pubblica amministrazione, evidenziando come l'ordinamento prevede alcune ipotesi di deroga al principio della liberalizzazione dell’accesso, per lo più circoscritte ad impieghi connessi a funzioni di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblici. Con riferimento a queste, l’articolo analizza recenti pronunce della Corte di giustizia e della Corte Costituzionale, rispettivamente, sul reclutamento dei commissari e degli psicologi della Polizia di Stato, senza tralasciare il ruolo della giurisprudenza amministrativa nazionale.

Age and public competitions

The essay examines the age limits required for participating in the public administration competition, highlighting how the system provides for some hypotheses about derogation from the principle of liberalization of access, mostly limited to jobs related to functions of protection of public order and security. With reference to these, the article analyzes recent rulings of the Court of Justice and the Constitutional Court, respectively, for recruiting State Police commissioners and psychologists, without neglecting the role of national administrative jurisprudence.

SOMMARIO:

1. I requisiti di età per la partecipazione ai concorsi pubblici: dal principio della limitazione dell’accesso a quello della liberalizzazione - 2. Il requisito dell’età massima: alcune questioni interpretative - 3. La giurisprudenza amministrativa sui limiti di età - 4. Il limite massimo di età per il reclutamento dei commissari della Polizia di Stato al vaglio della Corte di giustizia - 5. Il caso degli psicologi della Polizia di Stato: la sentenza della Corte Costituzionale 22 dicembre 2022, n. 262 - 6. Il limite massimo di età nel dialogo tra le Corti: tracce sintoniche nella recente giurisprudenza amministrativa - NOTE


1. I requisiti di età per la partecipazione ai concorsi pubblici: dal principio della limitazione dell’accesso a quello della liberalizzazione

Il limite massimo di età per la partecipazione ai concorsi pubblici, stabilito originariamente, in via generale, quale garanzia di adeguata efficienza nel servizio, in 32 anni dal Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato [1], e successivamente elevato a 40 anni [2], salvi i diversi limiti previsti dagli ordinamenti particolari [3], è stato abolito dall’art. 3, comma 6, legge 15 maggio 1997, n. 127, il quale testualmente stabilisce che «la partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’am­ministrazione». L’innovativo principio della liberalizzazione del limite di età per la partecipazione ai concorsi pubblici, introdotto dal legislatore insieme al principio della preferenza a parità di merito per il candidato più giovane d’età [4], risponde ad una duplice motivazione. Per un verso, esso si può ricondurre all’esigenza – particolarmente avvertita, come si evince dagli atti parlamentari, all’epoca di emanazione della legge – di «introdurre elementi di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro», ed in particolare in quello pubblico, dove l’età d’ingresso nel mondo del lavoro si era progressivamente elevata e il periodo della formazione era stato esteso con l’introduzione di percorsi postuniversitari, onde il limite di età, «prima stabilito in favore dell’amministrazione, rischiava di divenire penalizzante per l’am­ministrazione stessa, posta nell’impossibilità di reclutare, specie a livello di carriera direttiva e ai livelli iniziali della carriera dirigenziale, spesso proprio le persone con esperienze formative o lavorative di più alto livello» [5]. Il legislatore, con il citato comma 6, mirava ad agevolare, oltre che il reclutamento di soggetti con esperienze lavorative o formative maturate in età adulta, specie nella carriera direttiva e dirigenziale, il passaggio di personale dall’im­presa privata alla pubblica amministrazione, che avrebbe in tal modo potuto acquisire l’esperienza dei manager del settore privato [6]. Per altro verso, alla base [continua ..]


2. Il requisito dell’età massima: alcune questioni interpretative

Il requisito dell’età massima, negli ambiti in cui questa tutt’oggi continua a rilevare, deve essere posseduto secondo i principi generali, a meno di deroghe espresse, alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande [20]. Per quanto riguarda invece la determinazione del momento del superamento dell’età richiesta per potere partecipare al concorso, la giurisprudenza amministrativa è pressoché unanime nel ritenere che ove la legge ricolleghi il verificarsi di determinati effetti, quale la perdita di un requisito di ammissione al concorso, al compimento o al superamento di un’età massima, tali effetti decorrono dal giorno successivo a quello del genetliaco, sicché il limite di età fissato dalla norma deve intendersi superato quando ha inizio, dal giorno successivo al compimento, il relativo anno, e pertanto, quale che sia la formulazione utilizzata dalla lex specialis, il limite di età ivi indicato quale requisito di ammissione deve intendersi superato alla mezzanotte del giorno del compleanno [21]. Diversa è poi la questione della possibilità che i candidati ad un concorso pubblico abbiano un’età superiore al limite per la permanenza in servizio previsto dall’ordinamento. Su di essa è intervenuta la Funzione pubblica, alla quale è stato sottoposto il quesito, stante il disposto dell’art. 4, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 – che prevede che gli impiegati civili di ruolo e non di ruolo sono collocati a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di età – «se il 65° anno di età costituisca il limite per l’ammissione ad una procedura concorsuale pubblica di reclutamento di personale, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato, e se lo stesso possa essere superato non solo in caso di mantenimento in servizio al fine di consentire al lavoratore il perfezionamento del diritto ad una prestazione pensionistica, ma anche in caso di instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro» [22]. In proposito, osserva la Funzione pubblica che le previsioni che disciplinano i limiti di età per la permanenza in servizio nei singoli ordinamenti determinano un limite anagrafico che comporta, per il dipendente pubblico, il collocamento a riposo d’ufficio e che la previsione del comma 6 dell’art. 3 della legge n. 127/1997 non può [continua ..]


3. La giurisprudenza amministrativa sui limiti di età

La giurisprudenza amministrativa è stata in più occasioni chiamata a valutare se la previsione di un limite di età possa essere considerata ragionevole. In particolare, con riferimento all’introduzione del limite massimo di età di 37 anni per l’accesso al concorso di vigile del fuoco, previsto dalla legge n. 246/2000, ha affermato che la fissazione di specifici ed insuperabili limiti di età per l’accesso agli impieghi alle dipendenze della pubblica amministrazione «giammai può ritenersi irragionevole allorquando la determinazione del limite suddetto risponda, come nel caso in esame, a criteri di evidente correlazione tra la probabilità statistica di una duratura conservazione dei requisiti psico-fisici necessari allo svolgimento dell’attività (in specie, particolarmente usurante) relativa al posto messo a concorso e le capacità normalmente possedute dall’essere umano in corrispondenza del raggiungimento dell’età massima prevista» [25]. Il principio è stato ribadito a proposito dei vigili del fuoco volontari, affermando che «la questione dei limiti di età per l’accesso ai ruoli della p.a. (in via generale esclusi dalla l. 15 maggio 1997, n. 127) non esclude discipline derogatorie, frutto di bilanciamento tra l’interesse, sia pubblico che privato, all’incentivazione dell’occupazione e gli interessi pubblici sottostanti a determinate categorie di impiego, per le quali si ritiene necessaria una professionalità, da maturare in un periodo non avanzato della vita lavorativa. La peculiare posizione dei vigili del fuoco volontari – che debbono ritenersi in possesso, in effetti, di una specifica professionalità e di requisiti psico-fisici adeguati, per l’impiego nel delicato settore operativo di cui trattasi – giustifica la previsione con apposita lex specialis (l’art. 12, comma 2, l. 10 agosto 2000, n. 246) del requisito dell’età anagrafica “sino a 37 anni”» [26]. È stato poi ritenuto legittimo il bando di concorso per l’assunzione di operatori addetti all’assistenza di base di persone disabili e anziane, che fissi il limite massimo di età di 50 anni, «in considerazione sia della natura del servizio, l’espletamento del quale richiede notevole sforzo fisico da parte [continua ..]


4. Il limite massimo di età per il reclutamento dei commissari della Polizia di Stato al vaglio della Corte di giustizia

Con l’abolizione dei requisiti di età massima per l’accesso agli impieghi presso le pubbliche amministrazioni, il legislatore italiano anticipa la normativa comunitaria, prevista dalla direttiva del Consiglio 2000/78/CE, che, nello stabilire un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, applicabile «a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato», introduce tra i fattori di discriminazione vietati, sulla scorta dell’art. 13 TCE e dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [30], anche il fattore età [31], che presenta caratteristiche peculiari rispetto agli altri fattori di rischio [32], tanto da essere definito, per un verso, «criterio fluido», per alcuni aspetti «sfuggente» [33], per la difficoltà di definire preliminarmente le classi di età che si assumono colpite dalla discriminazione [34], e per l’altro, come «Cenerentola» tra i fattori di discriminazione [35], in relazione al fatto che il regime applicato alle discriminazioni per età è meno rigoroso rispetto a quello degli altri motivi di discriminazione, pur essendo la struttura della discriminazione dal punto di vista tecnico-giuridico identica [36]. Come è noto, il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216, modif. dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, recepisce la normativa comunitaria, introducendo per la prima volta nel nostro ordinamento il divieto di discriminazione fondata sull’età [37]. In proposito, di recente la quarta sezione del Consiglio di Stato, con un’or­dinanza che non ha precedenti nel diritto interno [38], ha rimesso in via pregiudiziale alla Corte di giustizia UE un quesito relativo alla compatibilità con il divieto di discriminazioni basate sull’età della normativa nazionale nonché delle fonti secondarie adottate dal Ministero dell’Interno che fissano a 30 anni il limite massimo di età per la partecipazione al concorso per il conferimento di posti di commissario della Polizia di Stato [39]. In particolare, il Collegio ravvisa nel caso sottoposto al suo esame «una discriminazione basata sull’età ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/78/CE, che non è giustificata ai sensi dei successivi articoli 4 e 6 di [continua ..]


5. Il caso degli psicologi della Polizia di Stato: la sentenza della Corte Costituzionale 22 dicembre 2022, n. 262

Con un’ordinanza quasi coeva a quella di rimessione alla Corte di giustizia della normativa che prevede il limite di età per la partecipazione al concorso di commissario, il Consiglio di Stato – in questa occasione la sezione seconda, che, per inciso, chiarisce di non ritenere di far propri i dubbi «sistemici» prospettati dalla sezione quarta relativi alla «conformità al diritto unionale di ogni normativa nazionale» che fissa limiti di età per tutti gli altri ruoli operativi e direttivi – ha sollevato, in relazione all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 1, d.lgs. 5 ottobre 2000, n. 334, nella parte in cui fissa il limite massimo di età, per la partecipazione al concorso per l’accesso al ruolo dei funzionari tecnici psicologi della Polizia di Stato, in 30 anni [47]. E la Corte Costituzionale, ricostruito brevemente il quadro normativo di riferimento, sottolinea come l’ordinamento nazionale ponga un principio generale di non discriminazione in base all’età nell’accesso all’occupazione e al lavoro, anche sotto il profilo dei criteri di selezione e delle condizioni di assunzione nel pubblico impiego (d.lgs. n. 216/2003), che ammette deroghe giustificate in ragione della natura dell’attività lavorativa, del contesto in cui essa viene espletata (art. 3, comma 3, d.lgs. n. 216/2003) o comunque di oggettive necessità dell’amministrazione (art. 3, comma 6, legge n. 127/1997) [48]. Ricorda, in particolare, sia l’insegnamento più volte espresso dalla stessa Corte, secondo cui rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire i requisiti d’età per l’accesso ai pubblici impieghi, purché tali requisiti non siano determinati in modo arbitrario o irragionevole e, comunque, siano immuni da ingiustificate disparità di trattamento [49], sia l’orientamento della Corte di giustizia, sintetizzando in particolare la sentenza VT nel senso che occorre vagliare le «“funzioni effettivamente esercitate in maniera abituale dai commissari” e stabilire se “il possesso di capacità fisiche particolari [che giustifichi la fissazione di un limite di età] sia requisito essenziale e determinante” per lo svolgimento delle loro mansioni ordinarie. In caso di valutazione positiva [continua ..]


6. Il limite massimo di età nel dialogo tra le Corti: tracce sintoniche nella recente giurisprudenza amministrativa

I principi di diritto espressi dal giudice europeo e dalla Corte Costituzionale italiana sono condivisibili [51]. Le citate sentenze in realtà giungono a conclusioni per alcuni aspetti simili, sebbene, dal punto di vista formale, l’una si fondi sul divieto di discriminazione per età previsto dal diritto comunitario, mentre l’altra ritiene l’incostituzionalità della norma esaminata sotto il diverso profilo del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. Da entrambe emerge l’ammissibilità di deroghe al principio di portata generale della parità di trattamento in base all’età, così confermando che il divieto generale di trattamenti discriminatori per ragioni di età non opera in via assoluta, ma subisce una significativa eccezione, laddove le normative comunitaria e nazionale (art. 4, par. 1, direttiva 2000/78/CE, e art. 3, comma 3, d.lgs. n. 216/2003) ammettono, nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima [52], che le differenze di trattamento dovute a caratteristiche collegate all’età non costituiscono atti di discriminazione «qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima» [53]. La differenza di trattamento, dunque, per non costituire discriminazione, deve essere fondata su una caratteristica «connessa» all’età e tale caratteristica deve costituire un requisito «essenziale e determinante» per lo svolgimento dell’attività lavorativa [54]. Il legislatore, in sostanza, consente in modo esplicito differenze di trattamento in numerose ipotesi, disponendo inoltre che non costituiscono, comunque, atti di discriminazione quelle differenze di trattamento che, pur risultando discriminatorie, «siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari» (art. 3, comma 6, d.lgs. n. 216/2003) [55]. In altri termini, il legislatore postula che determinate caratteristiche specificamente individuate, pur se in astratto non necessariamente attinenti al valore della prestazione, possano, in concreto, divenire rilevanti, qualora esse, valutate in [continua ..]


NOTE