L'osservazione dell'incidenza delle malattie professionali legate all'industria siderurgica di Taranto impone di interrogarsi sul tipo di sviluppo sostenibile che vogliamo. In questa problematica, un contributo importante può essere svolto da un diritto del lavoro che volge lo sguardo alla tutela integrale della persona.
The observation of occupational diseases incidence related to the steel industry of Taranto requires us to ask ourselves quat kind of sustainable development we want. An important contribution to this issue can be made by a labour law focused on the integral protection of the person.
1. Amare riflessioni ascoltando una dolce canzone - 2. Rassegna delle malattie professionali collegate all’impresa siderurgica jonica - 3. Una certezza di fronte alle alternative di sviluppo sostenibile - NOTE
Nell’immaginario della canzone «Una miniera» dei New Trolls il “modello antropologico” preso a riferimento è quello del lavoratore subordinato, in particolare quella “figura dell’operaio di fabbrica, possibilmente maschio, breadwinner e nel fiore dei suoi anni, assunto a tempo pieno ed indeterminato alle dipendenze di un’impresa di dimensioni medio-grandi (magari la stessa, fino alla pensione), stabilmente incardinato nel luogo e nell’orario di lavoro, addetto a mansioni ripetitive e dal contenuto prevalentemente esecutivo” [1], forse andato in pensione di anzianità con il beneficio contributivo della ultradecennale esposizione all’amianto ex art. 13, comma 8, legge n. 257/1992. «Una miniera» è una ballata dedicata alla tragedia di Marcinelle che l’8 agosto 1959 causò la morte di 262 operai della miniera di carbone Bois du Cazier della cittadina belga, scritta dal gruppo rock italiano nei cc.dd. “anni ruggenti” del diritto del lavoro. Una melodia che si presta bene a far da sottofondo ai luoghi nei quali quella figura social-tipica trascorre buona parte delle proprie giornate, l’impresa industriale, come lo stabilimento siderurgico di Taranto. E sulle note della canzone la mente porta a dar conto di una drammatica questione (non più sostenibile), quella delle malattie professionali che interessano appunto l’opificio industriale sito nella cittadina jonica. Non è infatti detto che quell’operaio che lascia la propria casa (magari prima che l’alba sorga perché adibito al primo turno) sia certo di rientrare dopo almeno una decina di ore per farsi abbracciare dalla moglie, dalla mamma o dai figli e così condividere anche le scorie del lavoro terminato, rimaste pure sugli abiti civili indossati dopo aver dismesso la tuta. Ma fuori dalle tragiche ipotesi degli infortuni mortali, il pensiero va a quelle più subdole conseguenze determinate dalla costante esposizione ad agenti nocivi presenti dello stabilimento, che magari a distanza di tanti anni – a volte quando l’ex dipendente pensa di godersi il periodo della pensione – si traducono nell’insorgenza di patologie neoplastiche che prima o poi conducono ad una fine segnata.
L’esperienza professionale, insieme all’osservazione di quello che accade tutti i giorni per quei lavoratori industriali che spesso diventano pazienti del SSN e poi istanti di un’esigenza di giustizia riparativa per ottenere prestazioni previdenziali e risarcimenti economici a causa del fallimento di misure finalizzate a prevenire malattie professionali, ci consegna un quadro dai contorni nefasti e che si può solo velocemente ed in maniera parziale passare in rassegna, al fine di dar brevemente conto di una realtà che forse non è a tutti nota. Con una ragionevole dose di certezza, la scienza ha ormai accertato l’esistenza di un rapporto di derivazione causale tra l’assunzione continuativa per via aerea di sostanze e polveri minerali quali l’amianto, silice, i.p.a., ammine aromatiche e l’insorgenza di malattie neoplastiche. Non a caso, l’area metropolitana di Taranto fu definita «ad elevato rischio ambientale» [2], e classificata come “sito di interesse nazionale per le bonifiche” [3]. L’esistenza di una condizione di rischio per la popolazione, lavorativa ma non solo, legata alle pressioni ambientali è stata accertata e quantificata attraverso indagini epidemiologiche condotte dal Centro europeo ambiente e salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) su indicazione del Ministero dell’ambiente e registrate in due rapporti relativi ai periodi 1981-1987 e 1990-1994. In conseguenza di tali riscontri, a partire dal 1998 sono stati finanziati dal Ministero dell’ambiente i Piani di disinquinamento delle aree ad elevato rischio di crisi industriale di Taranto [4] nell’ambito dei quali sono stati previsti studi epidemiologici riguardanti lo stato di salute dei lavoratori dell’area industriale e della popolazione generale ed, in particolare, è stato istituito il Registro tumori dell’area jonico-salentina (RTJS) che procede alla raccolta dettagliata dei dati sulla incidenza dei tumori dei residenti nelle città di Taranto e Brindisi. Si tratta di una pubblicazione periodica informativa che si affianca ad un altro Bollettino Epidemiologico relativo ai dati demografici e sanitari (andamento demografico, malattie infettive, salute mentale, ricoveri ospedalieri, mortalità generale e per neoplasie) della popolazione residente nei comuni della Provincia di Taranto che [continua ..]
Quello descritto è dunque un quadro che non possiamo che definire sconcertante. Ancora, il più recente «Rapporto SENTIERI» (Studio Epidemiologico Nazionale del Territorio e degli Insediamenti Esposti a Rischio Inquinamento) redatto a cura dell’Istituto Superiore di Sanità su richiesta del Ministero della Salute, ha formulato delle raccomandazioni per gli interventi di sanità pubblica sulla base dei dati riguardanti le cause di mortalità nei siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) per il periodo 1995-2009. Nelle conclusioni del Rapporto è emerso che, tenuto conto dell’inquinamento ambientale della regione interessata causato dalle emissioni dello stabilimento Ilva, in funzione della distanza tra il luogo di residenza delle persone interessate e i siti di emissioni nocive presi in considerazione, esiste un nesso causale tra l’esposizione ambientale ad agenti cancerogeni inalabili e lo sviluppo di tumori dei polmoni e della pleura e di patologie del sistema cardiocircolatorio. Più in dettaglio, il rapporto mostra che i decessi di uomini e donne residenti nella regione per tumori, malattie del sistema circolatorio e altre patologie sono numericamente superiori alla media regionale e nazionale. Tali eccessi di mortalità sono stati riscontrati anche in un altro studio di coorte sulla mortalità e morbilità a Taranto [18] e in alcuni quartieri limitrofi. Lo studio, rilevando i dati dal 1998 al 2010, ha asseverato un tasso di rischio di ricovero pari a 1,25 (IC 0,29-5,25), cioè superiore del 25% rispetto all’atteso. Sulla città di Taranto sono stati, quindi, eseguiti diversi studi epidemiologici per valutare l’associazione tra la residenza in prossimità degli impianti industriali e lo stato di salute della popolazione e i diversi dati di monitoraggio testimoniano la complessità della zona dal punto di vista ambientale, attestando come l’inquinamento atmosferico di questa città non si distribuisce in maniera omogenea sul territorio, ma interessa maggiormente le aree limitrofe alle zone industriali [19]. Questa città, “simbolo di speranze e di contraddizioni del nostro tempo” [20], ha fatto emergere la presunta antinomia fra lavoro e salute, approcciata da parte di tecnici e politici mantenendo sullo sfondo l’impresa, rectius l’organizzazione dei modi di [continua ..]