Il saggio si sofferma sulla complessa vicenda della magistratura onoraria italiana, sulla quale è intervenuta, sia prima che dopo la riforma organica del 2017, la giurisprudenza nazionale e della Corte di giustizia UE. Nel quadro della crisi della giustizia, di cui la vicenda della magistratura onoraria è una delle manifestazioni, il saggio mette in luce la correlazione tra il riconoscimento come lavoro dell'attività svolta dai giudici onorari e l’attribuzione delle tutele tipiche del diritto del lavoro.
The essay deals with the intricate case of the Italian honorary judges, focusing on the case law both at the national and the EU level. In the context of the crisis of justice, the essay highlights the correlation between the problems of the recognition as «work» of the activity carried out by honorary judges and of the attribution of the protections typical of the employment relationship.
1. Giustizia, ma non per tutti (i giudici): il caso della magistratura onoraria - 2. Giudici senza rapporto … - 3. … con un lavoro senza diritti - 4. Sollecitazioni multilivello a risolvere la questione dei giudici onorari - 5. Questione chiusa e problemi aperti - NOTE
Pur mancando, a prima vista, del fascino tipico delle grandi questioni del diritto, alla controversa ed intricata [1] vicenda giuslavoristica [2] della magistratura onoraria non manca nulla per essere considerata emblematica di un certo stato di cose dell’Italia di questi anni, non soltanto per quanto attiene al mondo del lavoro: non sarà forse il più grave tra i molti problemi della giustizia, ma non è neppure trascurabile il fatto che una quota cospicua [3] della funzione del giudicare [4] – o di attività che rispetto ad essa non sarebbero separabili, come l’attività istruttoria o la celebrazione della prima udienza nel processo del lavoro – sia esercitata da magistrati il cui incarico nell’amministrazione, secondo l’art. 1, comma 3, d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, dovrebbe avere «natura inderogabilmente temporanea, […] assicurare la compatibilità con lo svolgimento di attività lavorative o professionali e non determina[re] in nessun caso un rapporto di pubblico impiego». Di tale contraddizione – ossia della difficoltà di conciliare la configurazione giuridica dell’incarico dei giudici onorari con il loro reale livello di inserimento negli uffici giudiziari – non vi è migliore dimostrazione di quella che proviene dall’inclusione dei giudici ausiliari nei collegi delle Corti d’appello, previsto dagli artt. 62 ss., d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (conv. con modifiche in legge 9 agosto 2013, n. 98), come misura di deflazione del contenzioso di secondo grado. Tali norme sono state considerate dalla Corte costituzionale «del tutto fuori sistema [ed] in radicale contrasto con l’art. 106 Cost.» (in base al quale ai magistrati onorari possono essere assegnate «tutte le funzioni attribuite ai giudici singoli»), ma comunque legittime fino al 31 ottobre 2025 [5], «in relazione all’esigenza di evitare carenze nell’organizzazione giudiziaria» e lasciare al legislatore «un sufficiente lasso di tempo che assicuri la necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale» [6]. La necessità di evitare effetti dirompenti sull’efficienza del sistema giudiziario sorregge, cioè, nel ragionamento della Consulta [7], un «dispositivo del tutto inedito» [8] (persino per [continua ..]
D’altro canto, di un tale regime di «eccezionalità perpetua» [11], non si rinviene traccia soltanto nel diritto costituzionale, ma, in misura non minore, anche nel diritto del lavoro, nonostante il tentativo di riforma organica della materia effettuato con il d.lgs. n. 116/2017. Pur essendo sconosciuto ai più, specie in confronto a quello per certi versi affine [12] dei docenti non di ruolo della scuola [13], il caso della magistratura onoraria rappresenta, infatti, un esempio tra i più significativi di precariato nella pubblica amministrazione [14], quantomeno sotto tre profili. In primo luogo, per la delicatezza e l’importanza delle funzioni svolte da questa categoria di funzionari, che sono direttamente attinenti alla garanzia dei diritti, ossia ad uno dei principali compiti dello Stato; in secondo luogo, sotto il profilo del numero elevato di persone coinvolte [15] e della durata oltremodo prolungata di incarichi che sarebbero, in via di principio, conferiti in modo inderogabilmente temporaneo [16]; in terzo luogo, poiché, per gli standard del diritto del lavoro italiano ed eurounitario, l’apparato di tutele giuridiche previsto per i magistrati onorari appare a tutto concedere inadeguato, rispetto (per molti di essi) al reale carico di lavoro ed alle effettive modalità di svolgimento dell’attività [17], come il nutrito ed ormai risalente contenzioso multilivello continua ad evidenziare [18]. Peraltro, prima ancora dell’attribuzione delle tutele tipiche del diritto del lavoro, ad essere controverso è lo stesso presupposto per la loro applicazione. Il collegamento tra qualificazione del rapporto e attribuzione delle tutele è una costante del diritto del lavoro, ma, nel caso della magistratura onoraria, la particolarità consiste nel fatto che non è in discussione soltanto o tanto la natura autonoma o subordinata del rapporto [19], quanto il riconoscimento dell’attività svolta come vero e proprio lavoro, nel senso, per così dire, «normativo» del termine. Infatti, nonostante la posizione sostenuta nel 2020 [20] e nel 2022 [21] dalla Corte di giustizia UE, che nell’attività svolta dai magistrati onorari italiani ha ravvisato gli elementi tipici della nozione eurounitaria di lavoratore [22], la Corte di Cassazione [23] ha, di recente, [continua ..]
Il costante orientamento giurisprudenziale che nega ai magistrati onorari lo status di lavoratori, privandoli, in tal modo, dei diritti che ne deriverebbero, sembra poggiare soprattutto su tre piani di argomentazione. Il primo di essi parrebbe consistere in una sorta di tutela di casta dei giudici togati nei confronti dei propri colleghi onorari: una «difesa a oltranza […] del proprio status professionale, [da preservare come] esclusivo» [40], negando che l’attività svolta dai funzionari onorari consista in lavoro a tutti gli effetti. L’idea di una «difesa corporativa della magistratura ordinaria» [41] potrebbe non essere priva di fondamento, benché ne sia impossibile una verifica vera e propria, in assenza (a quanto consta) di indagini di tipo sociologico o psicologico sulle ragioni più profonde che sorreggono le decisioni dei giudici in questa materia [42]. Il secondo piano di argomentazione è meno suggestivo, ma forse più rilevante: non sarebbe tanto una questione di status (da difendere), quanto di soldi (che non ci sono) [43]. I diritti sociali, come noto, hanno un costo economico e comportano oneri organizzativi non indifferenti, e ciò è vero particolarmente in un settore labour intensive come quello della giustizia [44] ed ancor più in una situazione in cui il numero di magistrati onorari in organico non si allontana molto (in difetto o in eccesso) da quello dei magistrati professionali [45]: è significativo – per non dire di più – che, in tema di diritto alle ferie (retribuite), la Cassazione abbia apertamente affermato che un’interpretazione estensiva delle norme di legge non sia possibile anche «per esigenze di tutela delle finanze pubbliche» [46]. Ultimo argomento è quello che fa leva sul fondamento costituzionale dell’inserimento dei giudici onorari nell’apparato della giustizia. Oltre che negli artt. 102 e 106 Cost., esso sarebbe individuato [47] nell’art. 54 Cost. [48], ponendo, così, l’accento – neppure tanto implicitamente [49] – sulla volontaria partecipazione dei cittadini allo svolgimento di funzioni pubbliche e facendo derivare da senso di «disciplina ed onore», come prevede la norma costituzionale, il rispetto dei medesimi obblighi dei magistrati che svolgono quelle funzioni [continua ..]
In un caso originato da un reclamo collettivo presentato nel 2013 dall’Associazione nazionale dei giudici di pace (Angp), il Comitato europeo dei diritti sociali (Ceds) ha giudicato il 5 luglio 2016 che la negazione ad un’intera categoria professionale di diritti sociali di primaria rilevanza (art. 12, § 1, diritto alla sicurezza sociale, in relazione all’art. E, principio di non discriminazione), integrasse una violazione degli obblighi assunti dallo Stato italiano con la Carta sociale europea [62]. Nel quadro di una complessiva riconsiderazione del ruolo del Ceds – in corso, non solo in Italia, dagli anni successivi alla crisi economica del 2008 [63] – la decisione, pur in sé non vincolante, ha assunto particolare rilevanza. Specialmente, per aver operato una valutazione degli effetti prodotti in concreto dalla legislazione nazionale sulla condizione professionale dei giudici di pace (§§ 77-81) [64], con un approccio metodologico affine a quello tipico del diritto del lavoro, ma opposto a quello, più “formalistico”, tradizionalmente seguito in questa materia dalla giurisprudenza italiana. Grosso modo nello stesso periodo (il 16 ottobre 2015), mediante il sistema EU Pilot, la Commissione UE inviava al Governo italiano una richiesta di informazioni a proposito della condizione occupazionale dei magistrati onorari (7779/15/EMPL). Dopo aver ricevuto le osservazioni delle autorità nazionali, ritenendole non adeguate, la procedura veniva chiusa con esito negativo (comunicazione DG EMPL/B2/DA-MAT/sk (2016)) [65]. La Commissione sottolineava come fosse superabile la qualificazione attribuita dalla legge italiana ai funzionari onorari, atteso che, alla luce della relativa nozione elaborata dalla Corte di giustizia [66], «numerosi elementi indurrebbero a considerare tali figure quali lavoratori», in ordine all’applicazione delle tutele previste da alcune tra le più importanti direttive sociali [67]. Venivano messi in discussione sia il presupposto (la natura di servizio volontario e non professionale) sia gli effetti (la mancata applicazione della normativa protettiva) della disciplina italiana, sollecitando, così, il legislatore interno ad accelerare con la riforma da anni «attesa e auspicata» [68] della materia dei giudici onorari. Significativamente, neppure l’entrata in vigore, l’anno [continua ..]
Le sentenze della Corte di giustizia e, più in generale, gli interventi delle Istituzioni sovranazionali sulla questione dei giudici onorari, hanno avuto una notevole risonanza nella dottrina e nella giurisprudenza italiane ed hanno, inoltre, influenzato l’evoluzione del quadro normativo nel diritto interno. La Corte costituzionale, pur avendo sempre negato che la disparità di trattamento economico e normativo tra giudici onorari e togati implicasse una violazione del principio di uguaglianza (impedendo, così, l’automatica estensione ai primi delle tutele attribuite ai secondi) [76], nel 2020 ha preso atto che «le modalità di organizzazione del lavoro dei giudici di pace [sono ricondotte nella sentenza UX a] un rapporto giuridico di subordinazione sul piano amministrativo» e che, sotto il profilo degli atti compiuti, la «funzione del giudicare» è identica, indipendentemente dal fatto che sia svolta da un giudice onorario o togato [77]: ciò le ha consentito di giudicare illegittime, per violazione dell’art. 3 Cost., le disposizioni che non prevedevano, anche a favore dei giudici onorari, il rimborso, a determinate condizioni, delle spese di patrocinio sostenute nei giudizi di responsabilità per gli atti di servizio. Si tratta di un’apertura importante nella giurisprudenza della Corte costituzionale, oltre che per il principio affermato, per aver recepito le argomentazioni della Corte di giustizia UE, anche se non sul tema vero e proprio delle tutele lavoristiche [78]. La frattura tra gli orientamenti della giurisprudenza nazionale e della Corte di giustizia UE sembra assottigliarsi, per così dire, anche in una recente ordinanza del Consiglio di Stato, che ha effettuato un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in materia di status giuridico ed economico dei giudici onorari [79]. Tale ordinanza riafferma, da una parte, l’orientamento consolidato nella giurisprudenza nazionale, secondo il quale non potrebbe esservi automatica equiparazione, nel trattamento economico e normativo, tra giudici professionali e giudici onorari, per una serie di elementi che rendono le due figure non comparabili; dall’altra parte, tuttavia, con riferimento alla normativa, ratione temporis applicabile, precedente alla riforma del 2017, il Consiglio di Stato «dubita» della compatibilità con il diritto dell’UE [continua ..]