Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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La condizionalità tra coercizione ed empowerment del disoccupato (di Alessandra Sartori, Professoressa associata di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Milano)


Nel presente contributo lautrice, dopo un excursus storico, concentra lanalisi sulla disciplina attuale della condizionalità in Italia, esaminando i principali istituti che ne sono permeati: la presa in carico del disoccupato, la stipulazione del patto di servizio, la modulazione di un percorso personalizzato costituito da puntuali misure e impegni, le sanzioni che colpiscono i comportamenti distonici dal progetto concordato. In particolare, il contributo evidenzia come la condizionalità sia declinata differentemente, in modo più o meno rigoroso, a seconda del sussidio goduto, mentre emerge una pericolosa opacità con riferimento agli utenti non percettori. Si darà, quindi, atto del tassello mancante del puzzle, ossia gli obblighi del servizio pubblico nei confronti dellutente: qui sorgono problemi assai rilevanti, poiché tali obblighi, sub specie di livelli essenziali delle prestazioni, sono espressamente previsti, ma non sono contemplati strumenti specifici per garantirne leffettiva erogazione al beneficiario. Questo aspetto è, invece, cruciale per disegnare un modello di condizionalità virtuosa e costituzionalmente radicata, non meramente punitiva: proprio questa condizionalità “dal volto umano” verrà delineata in sede conclusiva, anche in chiave prospettica e de iure condendo.

Parole chiave: condizionalità – attivazione – servizi per l’impiego – Jobs Act – d.lgs. n. 150/2015 – ammortizzatori sociali – politiche attive – patto di servizio – obblighi del disoccupato – offerta congrua – formazione e riqualificazione – sanzioni.

Conditionality between coercion and empowerment of the jobseeker

In the present contribution the author, after a short historical overview, focuses upon the analysis of the present regulation of conditionality in Italy, by examining the most important institutions affected by it: the registration of the jobseeker in the PES system, the signing of the jobseeker’s agreement, the outlining of a personalised jobseeker’s journey characterised by specific measures and tasks, sanctions for jobseeker’s misconduct. In particular, the contribution points out that conditionality is more or less strict according to the benefit granted, whereas a dangerous loophole emerges with regards to jobseekers who receive no benefit. Then, the article deals with a big problem of the Italian system of PES, i.e. the obligations of PES towards jobseekers: in fact, although formally such obligations are laid down in the legislation, in the form of essential standards of service delivery, there are no means to grant their effective provision to the jobseeker. On the contrary, this aspect is crucial to outline a model of virtuous and constitutionally oriented conditionality, which is not merely punitive. And this is this kind of conditionality “with a human face” which is sketched out in the conclusions, also in perspective and de iure condendo.

Keywords: conditionality – activation – Public Employment Service – Jobs Act – legislative decree n° 150/2015 – social safety net – Active Labour Market Policies – jobseeker’s agreement – jobseeker’s obligations – adequate job offer – training.

SOMMARIO:

1. Premessa. Attivazione e condizionalità: due facce della stessa medaglia - 2. La lunga marcia del principio di condizionalità - 3. L’incipit del percorso del soggetto privo di occupazione: la dichiarazione di immediata disponibilità - 4. Patto di servizio, patto per il lavoro e patto per l’inclusione: il punto di innesto delle politiche di attivazione e inclusione - 5. Il contenuto dei patti: gli obblighi di attivazione e inclusione - 6. La nozione di offerta congrua - 7. L’assegno di ricollocazione: una condizionalità più soft? - 8. L’apparato sanzionatorio - 9. Gli obblighi del servizio per l’impiego: i tempi sono maturi? - 10. Conclusioni. Alla ricerca di una condizionalità “dal volto umano” - NOTE


1. Premessa. Attivazione e condizionalità: due facce della stessa medaglia

La condizionalità è entrata prepotentemente nel dibattito italiano quanto meno alla metà del primo decennio 2000 [1], quando anche nel nostro Paese, sulla scorta delle indicazioni provenienti dall’Unione europea, si è cominciato a riflettere sull’implementazione delle strategie di flexicurity [2]. In queste ultime, in particolare, con riguardo al versante della sicurezza nel mercato del lavoro, si postula un rapporto sinergico tra un sistema di politiche attive ben sviluppato in grado di orientare e agevolare la navigazione nel mare magnum del mercato, e un solido impianto di prestazioni di sostegno al reddito che renda più tranquillo il percorso. La condizionalità, per l’appunto, costituisce questo legame imprescindibile, ovvero, come è stato scritto, il trait d’union tra politiche attive e politiche passive del lavoro [3]. E, scendendo sul piano operativo, la cerniera di trasmissione è costituita dai servizi per l’impiego (di seguito: SPI), che si configurano come il punto di approdo e di presa in carico del navigante e, dunque, la pietra angolare delle misure per il suo reinserimento lavorativo: la sinergia è sicuramente più intensa e immediata – è una delle ragioni a sostegno del modello – nei Paesi in cui si è radicato lo one stop shop, archetipo organizzativo caratterizzato dalla presenza di un’autorità integrata di regolazione del mercato che amministra ed eroga tanto i servizi per il lavoro quanto il sostegno al reddito [4]. Pertanto, le politiche attive, nate come strumento di accompagnamento e di capacitazione (o capability, secondo un suggestivo anglicismo ormai entrato nel linguaggio di chi si occupa di questi temi [5]), filtrate attraverso la condizionalità, trasmutano in politiche di attivazione. Divengono, cioè, misure che concretizzano per il soggetto destinatario un’offerta personalizzata e, al tempo stesso, un obbligo, che esige un contegno collaborativo, attivo e persino proattivo. Tale natura ibrida è icasticamente condensata nell’espressione tedesca Förden und Forden (o Förden durch Forden), sottesa alle riforme Hartz del mercato del lavoro tedesco [6], e pochi anni prima, nell’approccio stick and carrot del New deal di Tony Blair [7]. Più precisamente, come si è scritto qualche tempo fa, il binomio [continua ..]


2. La lunga marcia del principio di condizionalità

La condizionalità, intesa come legame esplicito tra le forme di sostegno al reddito e l’attivazione del disoccupato, è in realtà esistita nel nostro Paese sin dall’introduzione delle prime forme di protezione sociale. Dopo l’introduzione dell’assicurazione contro la disoccupazione, nel 1919 (r.d. 19 ottobre 1919, n. 2114), il r.d. 7 dicembre 1924, n. 2270 stabilì, all’art. 52, comma 1, la decadenza dal relativo sussidio, tra l’altro, quando il percettore si rifiutava di accettare un’offerta di lavoro adeguato, di comprovare la continuità dello stato di disoccupazione con la frequentazione giornaliera degli uffici competenti, o di partecipare a misure di formazione professionale o di addestramento pratico (lett. c, d, f) [14]. Come è stato rilevato in dottrina, questi obblighi costituivano «il corollario necessario della involontarietà della disoccupazione che era oggetto di assicurazione» [15]. Il regolamento del 1924 continuò ad applicarsi per lungo tempo anche in epoca repubblicana, benché l’effettività delle previsioni summenzionate fosse del tutto virtuale, in ragione del valore quasi simbolico che l’indennità di disoccupazione mantenne per gran parte del secondo dopoguerra [16]. La riforma del mercato del lavoro del 1987, pur confermando obblighi simili, si caratterizza per un approccio più lassista, prevedendo, segnatamente, la decadenza dall’indennità soltanto al secondo rifiuto ingiustificato di comparire presso l’ufficio di collocamento o di accettare un’offerta di lavoro «a tempo indeterminato, corrispondente ai suoi requisiti professionali» (art. 12, legge 28 febbraio 1987, n. 56). Si osserva, tra l’altro, rispetto al regolamento del 1924, che faceva preminente riferimento a parametri retributivi, un’espressa tutela della professionalità del percettore [17]. Con l’emersione, all’inizio degli anni ’90, dell’indennità di mobilità quale generoso strumento di tutela contro la disoccupazione ad elevato impatto sociale (art. 7, legge 23 luglio 1991, n. 223), la condizionalità, pur conservando «la originaria funzione di “controllo” della disoccupazione», assume altresì una esplicita colorazione “promozionale”, ossia comincia a configurarsi [continua ..]


3. L’incipit del percorso del soggetto privo di occupazione: la dichiarazione di immediata disponibilità

Il primo contatto dell’utente con il SPI è costituito dalla dichiarazione di «immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego», che egli deve rendere in forma telematica al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro (di seguito: SIUPL), ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 150/2015. Detta disponibilità integra anche, per i soggetti privi di impiego, il requisito principale dello status di disoccupazione [34]. La norma riprende e contestualmente abroga l’art. 1, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 181/2000 (art. 19, comma 2, d.lgs. n. 150/2015), che, peraltro, era stata la prima definizione di detto status imperniata sull’idea che il disoccupato dovesse essere immediatamente disponibile all’inserimento lavorativo o alla frequenza di misure di politica attiva. All’epoca della sua introduzione, la definizione era stata dettata esclusivamente ai fini della fruizione dei servizi all’impiego, e si era, dunque, aperto un lungo e travagliato dibattito dottrinale in merito alla plausibilità di ricostruire una nozione onnivalente di stato di disoccupazione, in grado di abbracciare tanto le politiche attive del lavoro, quanto quelle passive [35]. Ora, invece, non vi sono più dubbi che la nozione ex art. 19, comma 1, d.lgs. n. 150/2015 sia atta a fondare anche l’erogazione di strumenti di sostegno al reddito [36]. Peraltro, l’art. 21, comma 1, d.lgs. n. 150/2015 equipara le domande di NASpI, DIS-COLL e indennità di mobilità (ove ancora erogata), effettuate all’INPS, a dichiarazione di immediata disponibilità (di seguito: DID), e ne prescrive la trasmissione all’ANPAL, ai fini dell’inserimento nel SIUPL. I percettori di integrazione salariale erano stati liberati dall’onere della DID già dalla Legge Fornero (tramite l’abrogazione dell’art. 19, comma 10, d.l. n. 185/2008 ad opera dell’art. 4, comma 47), con una scelta di politica del diritto subito criticata da una parte della dottrina [37]. L’opzione era stata, peraltro, confermata anche dal Jobs Act, che li assoggettava, purché interessati da una consistente riduzione dell’orario di lavoro, alla stipulazione del patto di servizio (art. 22, comma 1, d.lgs. n. 150/2015) [continua ..]


4. Patto di servizio, patto per il lavoro e patto per l’inclusione: il punto di innesto delle politiche di attivazione e inclusione

Come già accennato al paragrafo precedente, l’accesso dell’utente ai SPI avviene con la registrazione nel SIUPL, o mediante la richiesta di uno strumento di sostegno al reddito. Peraltro, sulla scorta delle indicazioni europee volte all’attivazione precoce, il lavoratore può registrarsi nel sistema anche in pendenza del periodo di preavviso, non appena abbia ricevuto la comunicazione del licenziamento: in questo caso è considerato «a rischio di disoccupazione» (art. 19, comma 4, d.lgs. n. 150/2015). La disciplina prevede che, sulla base delle informazioni fornite dall’utente, in sede di registrazione avvenga una prima profilazione di carattere automatizzato, volta ad assegnare il soggetto a una classe di occupabilità in relazione alle sue prospettive di inserimento lavorativo (art. 19, comma 5); detta profilazione viene aggiornata ogni 90 giorni, sulla base degli ulteriori dati raccolti dal CPI durante le attività di assistenza e in relazione al prolungarsi dello stato di disoccupazione (art. 19, comma 6). L’individuo registrato è dunque tenuto a contattare il CPI per confermare lo stato di disoccupazione (entro 30 giorni dalla dichiarazione di disponibilità; 15 giorni se ha richiesto uno strumento di sostegno al reddito). In caso di inerzia sarà convocato dal CPI entro un termine, che l’art. 4, d.m. 11 gennaio 2018, n. 4 ha fissato in 90 giorni dall’inizio dello stato di disoccupazione (art. 20, comma 1). Qualora invece sia il CPI a non attivarsi (entro 60 giorni), il disoccupato ha diritto di richiedere all’ANPAL le credenziali per l’accesso alla procedura telematica di profilazione, finalizzata a consentirgli di richiedere l’assegno di ricollocazione (art. 20, comma 4). Questa disposizione è stata oggetto di vivaci critiche in dottrina, in quanto a fronte di un’inef­ficienza del CPI, fa scaturire un onere per il lavoratore, costretto ad attivarsi autonomamente [39]. Si potrebbe al contrario prospettare che in tal modo sia reso effettivo il diritto di fruire del servizio qualora il soggetto pubblico rimanga inerte [40]. Durante il colloquio con l’operatore del CPI viene effettuata la profilazione, funzionale alla stipulazione del patto di servizio (art. 20, comma 1.). La metodologia della profilazione è stata profondamente ridisegnata in occasione dell’attuazione del programma di [continua ..]


5. Il contenuto dei patti: gli obblighi di attivazione e inclusione

In generale, il patto fra l’operatore del servizio pubblico per l’impiego e il disoccupato, come si desume anche dall’esperienza comparata [57], ha l’ambi­zione di combinare la duplice funzione di policing and enabling: ovvero, per un verso, vorrebbe essere un duttile strumento di personalizzazione e modulazione delle misure in favore dell’utente, anche sulla base dei risultati della previa profilazione; per altro verso, si pone altresì l’obiettivo di disciplinare e controllare i comportamenti del disoccupato, per evitare che si pongano in contrasto con quanto necessario per il suo reinserimento lavorativo. Nei diversi modelli, la determinazione del contenuto del patto può essere più o meno dialogica e negoziata, tenendo conto in misura maggiore o minore delle competenze dell’utente, e talvolta anche delle sue esigenze e aspirazioni. Come già osservato nel par. precedente, nel nostro ordinamento da ultimo il pendolo sembra oscillare verso una condizionalità hard. Per quanto riguarda il disoccupato che si rivolge al CPI, percettore o meno di ammortizzatori sociali, il patto di servizio individua, anzitutto, gli obblighi di attivazione e il tutor di riferimento (art. 20, comma 2, d.lgs. n. 150/2015). In particolare, sono indicate le iniziative di ricerca attiva e la loro tempistica, le modalità di reporting al tutor e la cadenza dei contatti con quest’ultimo. In secondo luogo, il documento specifica la disponibilità dell’utente a partecipare a iniziative di attivazione e di politica attiva, nonché ad accettare offerte congrue di lavoro (art. 20, comma 3, d.lgs. n. 150/2015). Gli obblighi di attivazione sono desumibili in primis dall’elenco dell’art. 18, d.lgs. n. 150/2015, che costituisce al tempo stesso il livello essenziale delle prestazioni cui il disoccupato ha diritto, e spazia dall’orientamento individuale e collettivo, alla formazione e riqualificazione, al tirocinio, alle iniziative di addestramento a jobsearch, agli incentivi alla mobilità geografica e alla autoimprenditorialità, fino ai lavori di utilità collettiva di cui all’art. 26, d.lgs. n. 150/2015. L’assenza di reali spazi negoziali all’interno del patto ha spinto una parte della dottrina a paventarne la trasformazione in uno strumento formalistico di gestione amministrativa, privo di contenuti sostanziali, a [continua ..]


6. La nozione di offerta congrua

Nel prisma degli obblighi del percettore (pro)attivo risalta quello di accettare un’offerta congrua di lavoro, il più pregnante, cui senza dubbio tutte le altre misure sono strumentali. Sin dagli esordi lo scopo ultimo del collocamento prima, e dei servizi per l’impiego poi, è l’inserimento lavorativo dei soggetti presi in carico. E nonostante le sollecitazioni europee sull’employability dei disoccupati, e il dibattito da esse innescato intorno al welfare capacitativo [66], il sistema di SPI scaturito e riplasmato dal Jobs Act, anche per considerazioni di carattere economico relative all’equilibrio dei conti pubblici, tende prioritariamente all’obbiettivo della reintegrazione dell’assistito nel mercato primario del lavoro, che è il perno della condizionalità. È dunque importante definire i contorni della congruità dell’offerta di lavoro, perché da questa dipende il bilanciamento dei diritti e dei doveri, ed è possibile distinguere la condizionalità punitiva da quella promozionale della crescita professionale ed umana (cd. condizionalità “antropocentrica” [67]). In linea di prima approssimazione, si può osservare che il legislatore ha deciso di modulare diversamente tale nozione per i percettori di NASpI e per quelli di RDC job ready, mostrando un atteggiamento complessivamente più indulgente nei confronti dei secondi. Per il primo gruppo di soggetti, provvede l’art. 25, d.lgs. n. 150/2015, che individua quattro parametri: la coerenza con la professionalità pregressa («le esperienze e le competenze maturate»), che viene così rivalutata, dopo esser stata pretermessa nelle ultime riforme [68] (v. retro il par. 2); la distanza dal domicilio del disoccupato e i tempi di percorrenza con mezzi pubblici; l’am­montare della retribuzione; la durata della disoccupazione, destinata a incidere sugli altri tre criteri, allargando via via le maglie dell’offerta di lavoro che non può essere rifiutata [comma 1, lett. a)-d]. Riprendendo una regola piuttosto controversa per la prima volta introdotta dalla legge Fornero (v. retro il par. 2), l’art. 25 rapporta la retribuzione congrua non a quella precedentemente percepita, ma all’indennità da ultimo goduta, rispetto alla quale deve essere almeno del 20% superiore. La previsione è [continua ..]


7. L’assegno di ricollocazione: una condizionalità più soft?

Tra gli strumenti su cui scommette la strategia di attivazione innescata dal Jobs Act, puntando con decisione sulla sinergia tra pubblico e privato, vi è l’assegno di ricollocazione (di seguito: ADR). Non è qui possibile esaminare funditus l’istituto e la sua tormentata storia [78], che affonda le radici nella consolidata esperienza lombarda della «dote lavoro» [79], nonché in alcune sperimentazioni regionali scaturite da una disposizione della legge di stabilità per il 2014 [80]. Nel corso della sua breve esistenza è stata più volte modificata la platea dei destinatari: inizialmente riservato ai percettori di NASpI da più di quattro mesi, lo strumento viene successivamente esteso ai beneficiari di CIGS interessati dagli accordi di ricollocazione ex art. 24-bis, d.lgs. n. 148/2015; successivamente, con il varo del RDC, l’ADR viene temporaneamente (fino al 31 dicembre 2021) sottratto agli originari fruitori per essere consacrato all’inseri­mento lavorativo dei percettori di RDC job ready. L’esperienza è talmente fallimentare che il legislatore, re melius perpensa, ritorna anticipatamente sui suoi passi e, dal 1° gennaio 2021, l’ADR è stato reso di nuovo operativo per i disoccupati con NASpI da più di quattro mesi. Ma per poco, perché con l’attuazione del programma GOL la misura vi confluisce, rientrano tra quelle attivabili dalle Regioni nell’ambito dei propri piani di azione regionali (PAR), approvati da ANPAL; allo stato, tuttavia, la sua implementazione nella nuova cornice delle politiche attive permane nebulosa. In estrema sintesi, l’istituto de quo, che trova ospitalità in seno al Jobs Act all’art. 23, d.lgs. n. 150/2015 [81] e per i fruitori di RDC all’art. 9, d.l. n. 4/2019 [82], costituisce una misura volta a garantire all’utente un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di un lavoro, da parte di un operatore da lui scelto, in un’ottica di autonomia e responsabilizzazione. Il provider, che può essere lo stesso CPI oppure un soggetto accreditato per i servizi al lavoro ex art. 12, d.lgs. n. 150/2015, è remunerato prevalentemente a risultato occupazionale conseguito, salva una quota per la presa incarico, e il compenso è differenziato a seconda della prossimità al mercato del lavoro della persona assistita, [continua ..]


8. L’apparato sanzionatorio

A presidio dell’adempimento degli obblighi del disoccupato, e in particolare di quelli definiti nei vari patti e programmi, il legislatore predispone un variegato apparato sanzionatorio, che può ben definirsi il “braccio armato” della condizionalità. Iniziando dai percettori di NASpI e DIS-COLL (e, ove ancora ve ne fossero, di indennità di mobilità), l’art. 21, d.lgs. n. 150/2015, non a caso rubricato «rafforzamento dei meccanismi di condizionalità», predispone uno strumentario differenziato e graduato secondo la tipologia delle infrazioni e la loro reiterazione. I comportamenti sanzionati sono, salvo giustificato motivo: mancata presentazione alle convocazioni presso il CPI e alle sessioni di orientamento e jobsearch; mancata partecipazione alle misure formative, di politica attiva e di attivazione, compresi i LSU; rifiuto di un’offerta di lavoro congrua. In un climax di crescente rigore sono previste la decurtazione di ¼ di mensilità, di una mensilità, infine la decadenza dallo status e dalla prestazione. Que­st’ultima sanzione più radicale, come già accennato, interviene sin dal primo rifiuto di un’offerta congrua di lavoro (art. 21, comma 7, lett. d), d.lgs. n. 150/2015). In caso di decadenza, il soggetto sanzionato dovrà attendere due mesi per poter effettuare una nuova registrazione: in questo periodo non potrà fruire nemmeno dei servizi del CPI (art. 21, comma 9, d.lgs. n. 150/2015). Per i percettori di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto tenuti all’attivazione, l’art. 22 replicava le medesime infrazioni e sanzioni, salvo, ovviamente, il rifiuto di un’offerta congrua e la relativa decadenza dall’inte­grazione salariale. La nuova disciplina, contenuta nell’art. 25-ter, d.lgs. n. 148/2015, è molto più succinta, limitandosi a prevedere che la mancata partecipazione senza giustificato motivo alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione comporta per il beneficiario «l’erogazione di sanzioni che vanno dalla decurtazione di una mensilità di trattamento di integrazione salariale fino alla decadenza dallo stesso». Modalità e criteri di applicazione sono demandati a un decreto ministeriale, medio tempore intervenuto (d.m. 2 agosto 2022): quest’ultimo modula le sanzioni secondo la percentuale di assenze [continua ..]


9. Gli obblighi del servizio per l’impiego: i tempi sono maturi?

Sino ad ora si sono ricostruite le tappe del percorso dell’utente, percettore o meno di strumenti di sostegno al reddito, attraverso i SPI, con il corollario di adempimenti, obblighi e sanzioni a suo carico. È naturale, a questo punto, chiedersi quali siano gli obblighi del servizio pubblico nei confronti dell’u­tente, e se siano previsti meccanismi per renderli esigibili, o per sanzionare la mancata o insufficiente erogazione delle misure previste. La risposta a questa domanda definisce altresì le caratteristiche della condizionalità implementata nell’ordinamento: è chiaro che se gli obblighi e le sanzioni sono a senso unico, ovvero declinati esclusivamente nei confronti del soggetto assistito, emerge un modello di condizionalità coercitiva e punitiva. La questione si intreccia strettamente con il tema dei livelli essenziali delle prestazioni (di seguito: LEP), che individuano gli standard minimi di servizio cui sono tenuti i CPI. Sin dalla riforma costituzionale del 2001 la dottrina ha ravvisato nelle misure ex art. 3, d.lgs. n. 181/2000, modellate sugli orientamenti della Strategia europea dell’occupazione, i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti […] sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», di cui all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost. (nuovo testo) [105]. Questa interpretazione è stata confortata dalla legge Fornero, che ha ribattezzato la disposizione «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i servizi per l’impiego», e meglio specificato le misure ivi previste, allargando anche la platea degli aventi diritto (art. 4, comma 33, lett. a) e b), legge n. 92/2012). Il legislatore del Jobs Act ha fatto un ulteriore passo avanti, scolpendo nell’art. 28, d.lgs. n. 150/2015 tutte le norme contenenti detti livelli essenziali e, segnatamente, il lungo art. 18 sulle misure erogate dai CPI [106]. La dottrina si è espressa assai criticamente su questa infelice tecnica legislativa, che richiama intere disposizioni invece di quantificare gli standard minimi di servizio, in tal modo mancando l’obiettivo dichiarato di fissare per tale via i LEP [107]. Ora, nell’ambito del programma GOL, che si pone ex professo lo scopo di garantire l’uni­formità dei LEP su tutto il territorio nazionale [108], tali servizi sono stati ulteriormente [continua ..]


10. Conclusioni. Alla ricerca di una condizionalità “dal volto umano”

Dopo aver esaminato i principali snodi normativi dai quali emerge la condizionalità nelle pieghe del nostro ordinamento, è necessario ora tirare le fila esprimendo un giudizio sulla condizionalità realizzata nel nostro Paese e su quella auspicabile sulla scorta delle indicazioni della Carta costituzionale. In genere, la dottrina ha manifestato un’opinione piuttosto severa, rilevando come molte delle caratteristiche sinora messe in evidenza, dalla DID, alla stipulazione del patto top down, sino all’apparato sanzionatorio, siano sintoniche con una condizionalità di tipo coercitivo [123], o comunque a “luci e ombre” [124], dove la logica economica di risparmio delle risorse del sistema previdenziale appare prevalente su quella promozionale della personalità e della professionalità dell’assistito. Certo, il Jobs Act rappresenta già un avanzamento rispetto alla declinazione punitiva impressa dalla legge Fornero, che si limitava a inasprire l’apparato sanzionatorio, rimandando a un incerto futuro la riforma dei SPI e delle politiche attive, invece di edificare in parallelo i due pilastri della condizionalità (v. anche retro il par. 2). Tuttavia, anche nel Jobs Act, pur a fronte di un innegabile sforzo di rinnovamento dei SPI, rispecchiato nel d.lgs. n. 150, per lungo tempo è prevalsa in taluni punti nevralgici di disciplina, come il monitoraggio e la valutazione, o la stessa istituzione dell’ANPAL, la logica della “riforma a costo zero” (artt. 16, comma 5, e 4, comma 1), che comincia a essere corretta con risorse sostanziose soltanto alla fine dello scorso decennio. La gracilità del versante promozionale della condizionalità si manifesta anche nelle difficoltà che l’u­tente incontra, come si è visto retro al par. precedente, a esigere le misure di attivazione pur previste nei LEP, e quindi doverose. Non è, poi, certo casuale che gli unici strumenti di reward/sanction previsti dal Jobs Act per dipendenti e funzionari dei CPI e dell’INPS siano collegati al versante punitivo della condizionalità. Più precisamente, l’art. 21, comma 11, d.lgs. n. 150/2015 ribadisce la responsabilità disciplinare per i funzionari che non adottano i provvedimenti di decurtazione e decadenza dai sussidi. E, per converso, il comma 13 del medesimo art. 21 prevede che la metà [continua ..]


NOTE