Il presente contributo fornisce una lettura complessiva e per linee generali degli strumenti a sostegno del reddito in mancanza di lavoro, con riferimento anche a settori produttivi del tutto peculiari, come quello agricolo e quello dello spettacolo, soprattutto alla luce delle più recenti trasformazioni del mercato del lavoro, dell’esperienza pandemica e delle ultime novità legislative. Dalla riflessione emerge, innanzitutto, come la stessa espressione “mancanza di lavoro” e il bisogno di tutela ad essa connesso siano sempre più eterogenei e non riguardino più solo il lavoratore subordinato ma sempre più anche quello autonomo, perlomeno quello economicamente dipendente. Da qui, quale conseguente corollario, l’Autrice evidenzia come sia oramai segnato il cammino, sia pure a piccoli passi, verso un sistema di tutele sempre più di stampo universalistico, non necessariamente legato allo status occupazionale (e, dunque, alla carriera contributiva), un cammino comunque impervio per la sua difficile (ma non impossibile) sostenibilità economica.
Parole chiave: ammortizzatori sociali – assenza di lavoro – lavoro povero – Naspi – Dis-Coll – indennità di disoccupazione agricola – Alas.
The paper provides a comprehensive and broad overview of the income support measures in the absence of work, with regard also to peculiar sectors such as agriculture and entertainment, in light of the most recent transformations in the labour market, the global pandemic and the latest legislative innovations. The assessment proves, firstly, how the very expression “absence of work” and the related need for protection are increasingly heterogeneous and no longer concern only the subordinate workers but also the self-employed, at least when economically dependent. Therefore, the Author highlights how the path has now been marked, albeit in small steps, towards an increasingly universalistic system of protection, not necessarily linked to the employment status (and, therefore, to the contributory progression), but challenged by its difficult (though not impossible) economic sustainability.
Keywords: income protections – absence of work – working poor – Naspi – Dis-Coll – agricultural unemployment benefit – Alas benefit.
1. L’oggetto della tutela: l’assenza (e l’insufficienza) di lavoro - 2. Le misure previdenziali: Naspi e Dis-Coll - 2.1. La disciplina speciale per i lavori strutturalmente discontinui. L’indennità di disoccupazione agricola - 2.2. L’indennità per i lavoratori autonomi dello spettacolo (Alas) - 3. Per concludere: il controverso utilizzo del Reddito di Cittadinanza come sussidio di disoccupazione - NOTE
La disoccupazione e, più in generale, la vulnerabilità rispetto al lavoro, nel XXI secolo, sono tornate in primo piano, a seguito della grave lunga crisi in cui molti paesi, tra cui il nostro, sono tuttora immersi [1]. La questione della mancanza di lavoro ha guadagnato un’inedita centralità politica ancor più con l’emergenza sanitaria legata al Covid-19, anche alla luce dell’ampiezza del numero dei lavoratori (subordinati e autonomi) e delle famiglie coinvolte. Paradossalmente sembra di assistere a un processo di “quasi-democratizzazione” della disoccupazione, trasformata da fenomeno marginale a problema che attraversa l’intera società, fino a toccare soggetti e gruppi sino a ieri ritenuti immuni dal rischio di perdere il lavoro. Le rilevazioni Istat, prima degli effetti della pandemia (riferite al mese di marzo 2020) [2], mostravano già dati molto preoccupanti. Il tasso di disoccupazione – contando solo coloro che tecnicamente vengono definiti “disoccupati” (coloro, cioè, che sono in cerca di occupazione) – era pari al 9,7% raggiungendo il 29,6% se riferito ai giovani. Il quadro risultava ancora più desolante guardando anche i c.d. scoraggiati, i giovani “inattivi” (Neet: not in education, employment and training) [3], cioè, coloro che, pur essendo disposti a lavorare, hanno smesso di cercare un impiego, avendo perso ogni speranza di trovarlo, pari al 34,5%. E il dato non era affatto omogeneo sul territorio dove, da sempre, esistono due realtà economiche profondamente diseguali, a netto vantaggio del centro-nord [4]. In questo scenario si è inserita, prima, la crisi epidemiologica e, ora, la crisi energetica, a seguito del conflitto russo-ucraino, determinando una recessione tra le più dure all’indomani del conflitto mondiale, i cui effetti si sono manifestati immediatamente nel mercato del lavoro [5]. Con la pandemia, il tasso di disoccupazione, specie quello giovanile, è salito subito di quasi di tre punti percentuali, con un aumento particolarmente intenso anche degli inattivi di 15-64 anni (+4,3%), poiché le restrizioni alla mobilità e le ridotte possibilità di trovare un nuovo impiego hanno scoraggiato la ricerca di un’occupazione. Sono stati chiusi i settori le cui attività prevedono contatti interpersonali (come la [continua ..]
Partendo del fondamento costituzionale della tutela in caso di mancanza di lavoro, l’art. 38, comma 2, Cost., è bene ricordare che il “tradizionale” ammortizzatore sociale nasce per tutelare coloro che un lavoro l’avevano e poi l’hanno perso involontariamente; la misura deve essere, cioè, funzionale, come ricordato dalla Cassazione, all’esigenza «di assicurare la tutela sociale ai più bisognosi, compatibilmente con le risorse disponibili, secondo un’individuazione dello stato di bisogno giustificativo della prestazione che coincide non già con la mera inattività, bensì con l’estinzione del rapporto di lavoro, in coerenza con la funzione propria della prestazione di disoccupazione, che è di indennizzo e non di integrazione della retribuzione» [17]. Ed è questo anche il significato che emerge dall’attuale definizione dell’evento «disoccupazione» fornita dal legislatore: «sono considerati disoccupati i lavoratori privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, […] la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego» [18]. Nel corso degli anni il quadro normativo si è particolarmente arricchito, nella direzione, oltre che di razionalizzare il sistema, soprattutto di una sua maggiore effettività, sostanzialmente lungo tre principali direttrici di cambiamento: a) un miglioramento dell’indennità di disoccupazione (in relazione sia agli importi, sia alla durata); b) una sempre maggiore espansione dell’area protetta, con riferimento ai destinatari; c) un progressivo irrigidimento delle condizioni per l’acquisizione e il mantenimento delle prestazioni, a cui ha fatto da pendant la progressiva introduzione di politiche attive del mercato del lavoro e il connesso meccanismo di condizionalità [19]. La disciplina attuale è contenuta nel d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22, novellata da ultimo dalla legge di Bilancio 2022 [20], che ha portato avanti quel processo di razionalizzazione avviatosi con la Riforma Fornero [21], nella direzione di creare un sistema sempre più universale di protezione del reddito per mancanza di lavoro, estendendo le tutele a favore di lavoratori con una [continua ..]
Un discorso a parte merita la disciplina speciale prevista per alcuni lavori che si presentano strutturalmente discontinui, come il lavoro in agricoltura. Da sempre quello contro la disoccupazione agricola rappresenta un sistema protettivo con aspetti del tutto peculiari rispetto alla disciplina generale (in relazione al calcolo e alla riscossione dei contributi, all’accertamento della disoccupazione, alle modalità e tipologia di prestazioni erogate) [29], mai venuta meno nel corso degli anni, neppure in occasione delle più recenti riforme degli ammortizzatori sociali. La specificità del sistema protettivo contro la disoccupazione agricola è stata ribadita in più occasioni anche dalla Corte Costituzionale, ricordando che essa «emerge nella predominante funzione di integrazione del reddito che si manifesta nella cesura tra il sorgere del diritto e l’erogazione nel corso dell’anno successivo e nel peculiare meccanismo di liquidazione, ancorato alle giornate di lavoro e non a quelle di disoccupazione» [30]. L’indennità è destinata a compensare un evento di disoccupazione già decorso e non un evento successivo alla presentazione della domanda. Il trattamento, infatti, viene corrisposto in riferimento allo stato di disoccupazione verificatosi nell’anno precedente a quello di presentazione della domanda, a prescindere dalla permanenza o meno dello stato di disoccupazione del lavoratore. È legato a un meccanismo di calcolo in base al quale l’indennità aumenta (non diminuisce) in relazione al numero di giornate lavorative effettuate (fino a una certa soglia). La sua erogazione non è neppure subordinata ad alcun onere: il lavoratore non è, cioè, condizionato, a differenza delle altre prestazioni ordinarie alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale, comunque denominato. In altri termini, mentre negli altri settori di produzione, il trattamento di disoccupazione serve a garantire al lavoratore, divenuto disoccupato, la percezione di un reddito per un periodo che si ritiene impiegato nella ricerca di una nuova occupazione e che inizia a decorrere quasi subito dopo il prodursi dell’evento disoccupazione, in agricoltura la prestazione svolge la semplice funzione di integrazione del reddito del lavoratore, senza alcun collegamento con la [continua ..]
Vi è, poi, un altro settore dove la discontinuità o intermittenza lavorativa rappresenta una caratteristica fisiologica: lo spettacolo. Qui troviamo lavoratori, perlopiù saltuari e discontinui, a termine e/o a carattere stagionale, con prestazioni di breve durata (un giorno, una settimana o, se va bene, un mese). Sono lavoratori che si muovono tra lavoro dipendente e lavoro autonomo e, tolta una ridotta percentuale che può avere un contratto a tempo pieno e indeterminato, la maggior parte è strettamente dipendente dalla realizzazione di singoli spettacoli. Si caratterizzano, altresì, per una elevata mobilità territoriale e per un ripetuto mutamento della controparte datoriale e spesso rendono prestazioni lavorative, sempre in modo intermittente, a più datori di lavoro contemporaneamente. Ebbene, tali specifici connotati, unitamente alla acclarata difficoltà di accertamento circa l’autentica natura, autonoma o subordinata, del rapporto di lavoro hanno imposto, ab origine, uno speciale sistema di protezione sociale [39] per così dire “personalizzato”. I tratti salienti possono essere così sintetizzati: iscrizione a una Gestione speciale dell’Inps (ex Enpals), il Fondo Pensione Lavoratori delle Spettacolo (Fpls); irrilevanza sia della qualificazione del rapporto di lavoro (l’obbligo assicurativo prescinde dalla natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro e la contribuzione è sempre la stessa) sia della natura del settore di appartenenza del datore di lavoro/committente. Nel corso del tempo il carattere discontinuo di questo lavoro si è accentuato ulteriormente [40] anche a causa della frammentazione produttiva del mondo dello spettacolo e perché il settore si è avvalso in misura significativa di appalti ed esternalizzazioni messe in atto dai grandi teatri (Fondazioni liriche, teatri di prosa), fino a trasformarsi, sempre più frequentemente, soprattutto negli anni più recenti, in tragica precarietà, con gravi ricadute sul piano salariale e, di conseguenza, sul piano della continuità contributiva, compromettendo il conseguimento di adeguate tutele sociali [41]. Peraltro la massiccia presenza di artisti che lavorano come liberi professionisti o freelance, non necessariamente è espressione di una libera scelta dell’artista, ma spesso è imposta dal datore [continua ..]
La rassegna degli strumenti a tutela della mancanza di lavoro non può concludersi senza volgere un rapido sguardo al Reddito di Cittadinanza (d’ora in poi RdC), approvato dal d.l. 28 gennaio 2019, n. 4 (poi convertito nella legge 28 marzo 2019, n. 26) e, da ultimo, novellato dalla legge di Bilancio 2022 [64], costantemente al centro di un ampio e controverso dibattito politico e di tante riflessioni degli studiosi, per evidenziarne limiti e potenzialità, con disamine articolate, alcune più benevoli e altre più severe [65]. L’attenzione sul RdC, divenuta ancora più alta a seguito della grave emergenza sanitaria da Covid-19 – che ha profondamente inciso sulla concreta attuazione della misura, oltre a rendere necessario prevedere un ulteriore sussidio, denominato Reddito di Emergenza, per sostenere, con minori filtri selettivi, le categorie più fragili [66] – è, peraltro, nuovamente esplosa durante tutta l’ultima campagna elettorale sino all’insediamento del nuovo Esecutivo. Come noto, il RdC è stato costruito come una misura ibrida [67], a due anime: quella lavoristica, come misura occupazionale classica correlata a uno stato involontario di disoccupazione e quella assistenziale, volta al contrasto della povertà attraverso la garanzia di un reddito minimo. Lo stesso legislatore lo definisce, innanzitutto, «misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro» e, poi, «di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale» [68]. Va però precisato che, al di là della definizione, la condizione per l’accesso al RdC non è tanto la disoccupazione, quanto, in primo luogo, la situazione di indigenza. Infatti, secondo la vigente disciplina, il reddito viene erogato al nucleo familiare e non a singole persone, in presenza di una precisa situazione reddituale, patrimoniale e finanziaria dello stesso nucleo familiare; la ricerca di lavoro è riservata ai soli componenti del nucleo profilati come potenzialmente spendibili nel mercato del lavoro; la percezione del sussidio dell’intero nucleo è condizionata al rispetto da parte di ciascun singolo componente delle obbligazioni contratte o con i servizi sociali dei comuni (laddove si tratti di persone lontane dal mercato del lavoro) attraverso il patto di inclusione [continua ..]