La tutela del lavoratore disabile contro il licenziamento è differenziata a seconda della data di assunzione, applicandosi per quello assunto prima del 7 marzo 2015 l’art. 18, comma 7, della legge n. 300/1970, viceversa per quello assunto a partire da tale data l’art. 2, comma 4, d.lgs. n. 23/2015, con un’apparente disparità di trattamento. Il contributo prospetta una lettura di tali norme alla luce del diritto antidiscriminatorio di matrice sovranazionale che consente di escludere tale disparità di trattamento utilizzando la nozione di disabilità ivi contenuta e la categoria degli accomodamenti ragionevoli, il cui obbligo è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 2013.
Parole chiave: disabili – licenziamento - diritto antidiscriminatorio – accomodamenti ragionevoli – apparato sanzionatorio.
The protection of the disabled worker against dismissal is differentiated according to the date of hiring, applying for the one hired before March 7, 2015, art. 18, paragraph 7, of law no. 300/1970, vice versa for the one hired starting from that date, art. 2, paragraph 4, legislative decree 23/2015, with an apparent inequality in treatment. The contribution envisages a reading of these rules in the light of the supranational anti-discrimination law which allows to exclude this inequality in treatment by using the notion of disability contained therein and the category of reasonable accommodations, whose obligation was introduced in our legal system in 2013.
Keywords : sisabled persons – dismissal – anti-discrimination law – reasonable accommodations – sanctions system.
1. Premessa - 2. La delimitazione dell’ambito soggettivo della tutela antidiscriminatoria: la nozione di disabilità - 3. La tutela del disabile in caso di licenziamento ex legge n. 68/1999 - 4. L’apparato rimediale in caso di licenziamento illegittimo del soggetto disabile - 4.1. Le conseguenze rimediali dettate dall’art. 18 Stat. lav. come novellato dalla legge n. 92/2012 - 4.2. Le conseguenze rimediali dettate dal d.lgs. n. 23/2015 - 5. Le tutele in favore del soggetto disabile in caso di riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo - 6. Osservazioni conclusive - NOTE
La tutela del lavoratore disabile contro il licenziamento rinviene da un quadro normativo stratificato e composito che richiede una delicata operazione di bilanciamento tra la normativa interna (essenzialmente costruita – secondo il modello della “norma inderogabile garante della parità nel contratto”, e quindi dell’eguaglianza nella sua proiezione verticale – sulla fissazione di limiti sostanziali al potere di recesso del datore di lavoro [1]) e quella (antidiscriminatoria) sovranazionale (tesa a garantire la piena eguaglianza nella sua dimensione orizzontale, e dunque in una prevalente logica di giustizia sociale). È riconducibile al primo nucleo di norme la speciale disciplina di garanzia del diritto al lavoro dei disabili introdotta dalla legge n. 68/1999, a cui si affiancano i limiti al potere di recesso del datore di lavoro in caso di sopravvenuta inidoneità alla mansione, dettati dal d.lgs. n. 81/2008 (che qui rileva soprattutto con la previsione dell’art. 42), ma anche la generale disciplina sul licenziamento individuale ex lege n. 604/1966 oggetto delle due riforme del 2012 (legge n. 92/2012) e del 2015 (d.lgs. n. 23/2015), che hanno ridisegnato i rimedi applicabili contro i licenziamenti illegittimi; all’interno delle due discipline la tutela del soggetto disabile (o divenuto inidoneo) è trattata in modo differente sia nell’an sia nel quomodo, creando una sovrapposizione di regole che si differenziano unicamente in funzione della data di assunzione del lavoratore (se prima o a partire dal 7 marzo 2015). L’apparente disparità di trattamento ingenerata da tale assetto normativo può ritenersi esclusa alla luce dell’evoluzione della disciplina antidiscriminatoria di matrice europea, con particolare riferimento all’obbligo imposto ai datori di lavoro di adottare i c.d. “accomodamenti ragionevoli” che, come si vedrà, rappresentano il fulcro intorno a cui ruota oggi la tutela del lavoratore disabile contro i licenziamenti. La normativa interna deve essere letta, infatti, in necessario collegamento con la dir. 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro che assolve alla funzione di strumento di interpretazione conforme della congerie piuttosto disorganica dei materiali normativi sopra richiamati [2]. Completa il quadro disciplinatorio la Convenzione delle Nazioni [continua ..]
Operazione propedeutica all’oggetto di indagine è l’esatta individuazione del soggetto che può essere considerato “disabile” e quindi destinatario delle specifiche tutele apprestate in suo favore in caso di licenziamento. Se in un primo momento, il concetto di disabilità ha risentito del c.d. “modello medico” recepito nel 1980 dall’OMS sulla scorta dell’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH), che considerava il solo aspetto patologico della persona disabile, nel tempo si è affermata una diversa declinazione fondata sull’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF), adottato sempre dall’OMS nel 2001, grazie alla quale la disabilità non è stata concepita più sotto un profilo prettamente medico-patologico quanto piuttosto in un’ottica più ampia e comprensiva, attraverso un approccio attento alle interazioni della persona con l’ambiente circostante [4]. Secondo questo nuovo modello la disabilità consiste nell’interazione negativa tra l’ambiente in cui vive e lavora il soggetto e le sue condizioni di salute ovvero di malattia: la disabilità è perciò il risultato di un processo che si verifica quando le persone affette da menomazioni incontrano ostacoli alla piena partecipazione alla vita sociale, al riconoscimento e al godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella loro vita civile, politica, economica, sociale, culturale o in ogni altro campo dell’attività umana [5]. Sono tre, a livello sovranazionale e interno, le tappe del rinnovamento della concezione istituzionale della disabilità che di seguito si richiamano seguendo il criterio cronologico. Nell’ordinamento italiano, spesso, va detto, all’avanguardia nell’enunciazione di principi inclusivi, con la legge n. 68/1999 si registra il definitivo superamento della impostazione assistenzialistico-impositiva della legge n. 482/1968, in favore del collocamento mirato finalizzato a “collocare” il soggetto con ridotta capacità lavorativa in un posto adatto alla residua (e diversa) abilità [6], mediante la valutazione delle competenze e delle potenzialità individuali [7]. Tuttavia, la legge n. 68/1999 non offre una definizione unica di disabilità, [continua ..]
Con specifico riferimento alla disciplina sul collocamento mirato dei lavoratori disabili, la legge n. 68/1999 svolge un ruolo essenziale e non sostituibile di tutela rafforzata (e “inclusiva”) anche rispetto al momento risolutivo del rapporto di lavoro. Il fulcro della tutela è rappresentato dalla configurazione del licenziamento come extrema ratio, adottabile solo allorquando non sia possibile evitarlo attraverso l’assegnazione al lavoratore di differenti mansioni, anche inferiori, senza decurtazione del trattamento retributivo originario. Nella legislazione sui disabili tale principio viene enunciato in tre disposizioni tra loro non perfettamente coordinate, anche in ragione del loro differente ambito soggettivo di applicazione a latere datoris [22]. Sin dal suo esordio viene imposto ai datori di lavoro, pubblici e privati, di garantire la conservazione del rapporto di lavoro in favore di quei soggetti che non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano acquisito eventuali disabilità per infortunio sul lavoro o malattia professionale [23]. La disposizione, lungi dal riconoscere una tutela incondizionata (di stampo assistenzialistico) del posto di lavoro ai lavoratori divenuti disabili per ragioni connesse all’ambiente di lavoro, costituisce una mera enunciazione di principio che deve essere letta e specificata alla luce del successivo art. 4, comma 4. della stessa legge che oltre prevedere la computabilità del c.d. invalido interno alle condizioni ivi previste, esclude per tali lavoratori che “l’infortunio o la malattia” (anche non professionale) possano costituire “giustificato motivo di licenziamento” nel caso in cui i lavoratori divenuti inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di un evento invalidante di qualsiasi natura, (e che acquisiscano anche la condizione di disabili ai sensi dell’art. 1 della stessa legge [24]) “possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori”, con mantenimento del trattamento retributivo [25]. Solo ove non sia possibile realizzare il repêchage, ai sensi del citato art. 4, comma 4, legge n. 68/1999, il lavoratore viene avviato dagli uffici competenti “presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità, senza inserimento nella graduatoria provinciale” [26]. L’obbligo di [continua ..]
È su questo complesso di disposizioni che si inseriscono le recenti modifiche alla disciplina in materia di licenziamenti che prendono in considerazione i casi di inidoneità al lavoro e di disabilità, ma, è bene rilevarlo, senza tenere in giusto conto l’evoluzione normativa che nel frattempo ha subìto il concetto di disabilità, e ignorando quindi la sussistenza di rilevanti margini di sovrapposizione e, secondo alcune interpretazioni di pressoché totale equiparazione, tra inabilità al lavoro e disabilità e tra licenziamento del lavoratore disabile/inabile e licenziamento discriminatorio [39].
Prima del 2012 la tutela si presentava differenziata a seconda che il datore di lavoro rientrasse o meno nel campo di applicazione dell’art. 18 Stat. lav. (non sempre coincidente con quello della legge n. 68/1999). In tutti i casi di violazione delle norme contenute nella legge n. 68/1999 richiamate nel paragrafo precedente, ove applicabile l’art. 18 Stat. lav., il disabile aveva diritto alla tutela reale (l’unico rimedio allora previsto); in caso contrario a quella c.d. di diritto comune di stampo civilistico. Al momento della riformulazione dell’art. 18 ad opera della legge n. 92/2012, il legislatore – tra le varie fattispecie di licenziamento ivi menzionate e che trovano applicazione per i datori di lavoro sopra soglia– ha contemplato al comma 7 quella del “difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore”. L’utilizzazione del termine “anche” induce a considerare il richiamo alla legislazione sui disabili meramente “esemplificativo” e, quindi, consente di includere, oltre alla disabilità, anche la semplice inidoneità alla mansione specifica (riconducibile all’art. 42, comma 1, d.lgs. n. 81/2008) e, più in generale, “tutte le ipotesi di inidoneità e di impossibilità sopravvenuta della prestazione riconducibili alla persona del dipendente” [40]. In questi casi trova applicazione la c.d. “tutela reale attenuata” di cui al comma 4 dell’art. 18, al quale rinvia il comma 7, che comporta la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore unitamente al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, decurtata dell’aliunde perceptum, nel limite massimo di dodici mensilità. Nel più ampio contesto di riforma della disposizione statutaria, la scelta del legislatore del 2012 è stata quella di sottrarre integralmente una fattispecie ascrivibile, come detto, all’ambito del giustificato motivo oggettivo all’area della tutela indennitaria (forte) [41]. A ben vedere trattasi di una ipotesi di “motivo oggettivo” [continua ..]
Le incertezze applicative riferite all’art. 18, comma 7, Stat. lav., possono essere giustificate alla luce del diritto intertemporale: la norma è stata introdotta nel 2012, esattamente un anno prima della condanna inflitta all’Italia dalla CGUE per insufficiente trasposizione dell’art. 5 della dir. 2000/78/CE che ha portato nel 2013 a recepire nel nostro ordinamento l’obbligo per i datori di lavoro di adottare gli accomodamenti ragionevoli (art. 3, comma 3-bis, d.lgs. n. 216/2003). Sempre il diritto intertemporale spiega, allora, il motivo per cui nella successiva disciplina rimediale in caso di licenziamento introdotta dal d.lgs. n. 23/2015 per gli assunti con il contratto a tutele crescenti (a partire dal 7 marzo 2015) il licenziamento del lavoratore disabile è stato ricondotto nell’alveo del diritto antidiscriminatorio. Con il d.lgs. n. 23/2015 si registra, infatti, in decisa controtendenza rispetto al generale allentamento delle tutele del lavoratore licenziato, un aggravamento delle sanzioni a carico del datore di lavoro che licenzia illegittimamente un soggetto disabile [54]. All’art. 2 rubricato “Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale” viene inserito al comma 4 il licenziamento “per difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68”, con applicazione della tutela reintegratoria piena, a prescindere dal numero di dipendenti occupati, al pari di quella che la norma statutaria riserva ai casi di nullità del licenziamento per motivo discriminatorio o illecito. Partendo dalla terminologia utilizzata dal legislatore del 2015 emerge subito una differenza lessicale, oltre che sul piano delle tutele: l’art. 18, comma 7, Stat. lav. si riferisce all’inidoneità mentre l’art. 2, comma 4, d.lgs. n. 23/2015 alla disabilità, pur mantenendosi inalterato il rinvio alle disposizioni di cui alla legge n. 68/1999. Invero la versione originaria della norma faceva riferimento non alla “disabilità”, ma all’”inidoneità fisica o psichica del lavoratore”, in linea con quanto già previsto dall’art. 18, comma 7, Stat. lav. e riconduceva la fattispecie nell’art. 3 (e non nell’art.2) dedicato al licenziamento per [continua ..]
Rimangono da analizzare le conseguenze sanzionatorie nel caso di violazione dell’art. 10, comma 4, legge n. 68/1999 che prevede l’annullabilità del licenziamento per riduzione di personale ex legge n. 223/1991 o per giustificato motivo oggettivo adottato nei confronti del disabile qualora, al momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva [63]. La previsione appresta una tutela rafforzata della stabilità del posto di lavoro del soggetto disabile, impedendo al datore di effettuare, in spregio alla quota di riserva, quei ridimensionamenti di organico che traggono origine da scelte che attengono all’organizzazione. La disposizione è stata, infatti, costantemente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che essa riguarda solo il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, e non anche gli altri tipi di recesso datoriale [64]. La ratio della norma, nel quadro delle azioni di “promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro” di cui alle finalità espresse dall’art. 1, comma 1, legge n. 68/99, è quella di evitare che, in occasione di licenziamenti individuali o collettivi motivati da ragioni economiche, il datore di lavoro possa superare i limiti imposti alla presenza percentuale nella sua azienda di personale appartenente alle categorie protette, originariamente assunti in conformità a un obbligo di legge ovvero comunque computati nella quota d’obbligo [65]. Il legislatore, esplicitamente, nel bilanciare l’interesse dell’imprenditore al ridimensionamento dell’organico in una situazione di crisi economica con l’interesse dell’assunto obbligatoriamente alla conservazione del posto di lavoro, privilegia quest’ultimo, con una speciale protezione del disabile e con un sacrificio ragionevole imposto al datore di lavoro, nell’ambito di una disciplina da interpretare coerentemente con le fonti sovranazionali in materia ampiamente esaminate in precedenza, in modo tale da evitare alla persona con disabilità “barriere di diversa natura (che) possano ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri” (art. 1, comma 2, Convenzione ONU). Il [continua ..]
L’analisi sui rimedi sanzionatori contro il licenziamento del lavoratore disabile fa emergere l’estrema varietà di posizioni assunte in materia a fronte di un quadro normativo complesso e stratificato che genera incertezze applicative spesso mal concilianti con la condizione di particolare svantaggio in cui versa tale categoria di soggetti. Nonostante l’orientamento ondivago e a volte incoerente del legislatore, il tratto comune delle due recenti riforme sui sistemi rimediali in caso di licenziamento è quello di preservare i soggetti disabili dalla progressiva involuzione delle tecniche di tutela riservate alla generalità dei lavoratori, consumata nel nome dell’equazione “più flessibilizzazione più occupazione” [73]. Quanto questa tendenza “inversa” sia una scelta consapevole del legislatore oppure sollecitata dal timore di scontrarsi nuovamente con la normativa antidiscriminatoria, come già è avvenuto per i c.d. accomodamenti ragionevoli, non è dato saperlo. Quel che è certo, invece, è che nella costruzione della tutela del lavoratore disabile contro il licenziamento la normativa antidiscriminatoria, per la sua natura in certo senso trasversale e orizzontale, opera come una sorta di collante sistematico e come chiave di lettura del copioso materiale normativo di stampo nazionale [74]. Può, perciò, trovare conferma l’assunto da cui si è partiti, e cioè che l’intera disciplina apprestata dal nostro ordinamento in favore dei soggetti disabili deve essere letta e interpretata attraverso la lente di ingrandimento del diritto sovranazionale antidiscriminatorio destinato ad operare in senso complementare, integrativo o, talvolta, aggiuntivo, rispetto alle tutele assicurate dalle norme di tipo sostanziale apprestate dal nostro legislatore. Questa lettura per così dire “accorpata” della disciplina speciale di cui alla legge n. 68/1999 e della normativa antidiscriminatoria si muove nella consapevolezza che si tratta di strumenti entrambi indispensabili per promuovere l’inclusione lavorativa dei soggetti disabili. La sinergia tra i due livelli di tutela ci consegna, infatti, un sistema di garanzia in favore del lavoratore disabile rafforzato sotto il prisma degli accomodamenti ragionevoli che rispondono ai nuovi paradigmi di uguaglianza sostanziale e di [continua ..]