Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Leggi provvedimento e leggi singolari (partendo dal diritto del lavoro) (di Giampiero Proia, Professore ordinario di Diritto del lavoro, Università Roma Tre)


Poste alcune premesse definitorie, lo scritto esamina la problematica delle leggi singolari nel diritto del lavoro. Vengono, quindi, evidenziate la rilevanza e le implicazioni del ricorso alle leggi eccezionali e singolari con riferimento a specifiche fattispecie (prima) e con riferimento al sistema nel suo complesso (poi). In particolare, sono individuati e trattati i diversi piani sui quali si producono gli effetti negativi di tale modo di legiferare, che vanno dalla qualità della produzione normativa al controllo di legittimità costituzionale, dal rapporto tra poteri dello Stato alla effettività della tutela giurisdizionale dei diritti.

Parole chiave: leggi singolari – diritto del lavoro – principio di uguaglianza – riserva di amministrazione – tutela giurisdizionale.

Laws in lieu of measures (the so-called “leggi provvedimento”) and jus singulare (on the basis of labour law)

After some definitional premises, the essay examines the issue of the jus singulare in labour law. It therefore highlights the relevance and implications of the recourse to exceptional and ad personam laws with reference to specific cases (first) and with reference to the system as a whole (then). In particular, the different levels on which the negative effects of this way of legislating are produced are identified and dealt with, ranging from the quality of legislation to the control of constitutionality, from the relationship between the powers of the State to the effectiveness of judicial protection of rights.

Keywords : jus singulare – labour law - principle of equality - reserve of administration - judicial protection.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Leggi provvedimento e leggi singolari - 3. Le leggi provvedimento nel diritto del lavoro - 4. Le integrazioni salariali (quando l’eccezione spinge a diventare regola) - 5. I concorsi pubblici (quando la regola resiste all’eccezione) - 6. Lo spoil system “una tantum” - 7. Il caso Ilva - 8. Il caso Alitalia - 9. Considerazioni finali - NOTE


1. Premessa

Il tema del nostro seminario evoca questioni molto complesse, da sempre al centro delle riflessioni della dottrina, quali sono quelle relative alla concezione della legge, al principio di eguaglianza, a quello della separazione dei poteri, al rapporto tra autorità e libertà, sino ad arrivare in ultima analisi alla dialettica tra “diritto” e “giustizia” [1]. Ognuna delle questioni presupposte, peraltro, può essere indagata da diverse prospettive, e in particolare dal punto di vista storico, della teoria generale, del diritto positivo nazionale e della comparazione. In sostanza, svolgere una relazione come quella che mi è stata affidata impone, per forza di cose, una delimitazione del campo di indagine sulla base di scelte puramente convenzionali e soggettive. Di questo, quindi, chiedo venia in anticipo.


2. Leggi provvedimento e leggi singolari

Il primo nodo problematico, al quale si può fare solo un sintetico riferimento, si presenta già per chiarire quali siano le leggi provvedimento di cui intendiamo trattare. La formula, che ha antiche origini [2], allude ad un apparente ibrido giuridico, che richiama sia i caratteri della fonte di diritto che quelli dell’atto amministrativo. Molteplici sono le definizioni proposte, varie le sue classificazioni tassonomiche ed ampio il ventaglio delle opinioni con riguardo alla compatibilità e coerenza rispetto all’assetto dei poteri delineati dalla Costituzione. Per ciò che rileva ai fini del nostro seminario, è sufficiente assumere come punto di partenza l’idea che collega il carattere provvedimentale di una legge al suo essere priva dei caratteri della generalità ed astrattezza ed all’essere destinata ad un singolo soggetto o a una ristretta cerchia di soggetti in relazione ad una fattispecie concreta [3]. In questo senso, la categoria è assimilabile a quella delle leggi singolari o ad personam [4], le quali, a loro volta, peraltro, sono oggetto di notevoli controversie definitorie [5]. Per quanto riguarda le possibili classificazioni “interne” alla categoria, autorevole e risalente è la distinzione tra leggi provvedimento innovative e leggi provvedimento esecutive [6]. Secondo tale distinzione, le prime “innovano” a quanto previsto da leggi generali rispetto alla “disciplina di singoli rapporti”, e quindi, da questo punto di vista, si può cogliere più chiaramente l’assi­mila­zione alle leggi singolari; le leggi provvedimento “esecutive”, invece, presentano un carattere aggiuntivo perché, ferma restando la singolarità dei destinatari, sono contraddistinte dall’essere dettate in relazione ad una fattispecie in cui, secondo la disciplina vigente (o secondo i principi desunti dall’ordina­mento), avrebbe dovuto provvedere un atto esecutivo della pubblica amministrazione (e, perciò, le leggi esecutive sono state anche definite “leggi in luogo di provvedimento”) [7]. Ancora in estrema sintesi, si può anticipare che i dubbi più corposi sollevati dalla dottrina riguardo alla ammissibilità costituzionale delle leggi provvedimento ruotano attorno alla possibile compromissione del principio di [continua ..]


3. Le leggi provvedimento nel diritto del lavoro

Per calare il tema all’interno del diritto del lavoro, sono opportuni due chiarimenti. Con il primo, si vuole precisare da subito che la nostra materia non è il terreno privilegiato nel quale trovino espressione le leggi provvedimento cosiddette “esecutive” (nel senso di leggi singolari che dispongono su materie rientranti nella competenza della pubblica amministrazione). La ragione è semplice, perché tanto la disciplina del rapporto di lavoro, quanto quella previdenziale hanno principalmente ad oggetto diritti soggettivi, il cui riconoscimento, in forza della natura imperativa dei precetti costituzionali, non richiede, di regola, l’intermediazione di un atto amministrativo di carattere discrezionale. La legge in luogo di provvedimento può, quindi, “annidarsi” solo in quei limitati spazi che il diritto del lavoro riserva all’azione amministrativa, quali sono quelli riconducibili, in particolare, all’esercizio di poteri di autorizzazione, di vigilanza e sanzionatori, o anche quando si tratta di distribuire risorse pubbliche con fondi predefiniti nel “tetto” dalla legge stessa (come, ad esempio, per talune ipotesi di agevolazioni contributive). Se volessimo fare un esempio astratto, possiamo dire che ci troveremmo di fronte ad una legge provvedimento esecutiva nel caso in cui una disposizione di legge autorizzasse direttamente una singola impresa ad installare un “impianto” da cui possa derivare un controllo a distanza dell’attività lavorativa, “bypassando” il provvedimento amministrativo (oltreché l’accordo sindacale) previsto dall’art. 4, comma 1, della legge n. 300/1970. Un caso, invece, concreto e di particolare rilievo è quello relativo alla cassa integrazione guadagni, ove sistematici nel tempo sono stati gli interventi della legge diretti a concedere il beneficio dei trattamenti di integrazione salariale al personale di singole imprese, in deroga alla disciplina vigente, prescindendo dal provvedimento amministrativo autorizzatorio che essa prevedeva (e così sostituendosi al provvedimento stesso). Va però detto, e questo è il secondo chiarimento di cui si è poc’anzi fatto cenno, che l’aver rilevato che leggi provvedimentali in senso proprio hanno un’applicazione tutto sommato circoscritta rispetto ad altre aree di intervento pubblico (si pensi alle [continua ..]


4. Le integrazioni salariali (quando l’eccezione spinge a diventare regola)

L’evoluzione della disciplina della cassa integrazione guadagni, già richiamata come caso emblematico, si svolge lungo un percorso ondivago, che, a ben vedere, è il risultato della tensione ininterrotta tra risposte occasionate da situazioni eccezionali (o ritenute tali) e i tentativi di razionalizzazione (una costante nel tempo, invece, è stata la spinta alla estensione del suo campo di applicazione) [14]. Ai nostri fini, è sufficiente rammentare che la nascita stessa dell’istituto trova le sue radici nella situazione di indubbia eccezionalità generata dalla seconda guerra mondiale e nella decisione del legislatore di sostenere la ricostruzione post bellica (anche) mediante il nuovo strumento rappresentato dalla integrazione della retribuzione a favore degli operai di alcuni settori industriali la cui attività fosse stata sospesa (o ridotta) a causa di eventi “non imputabili” né all’imprenditore né ai lavoratori [15]. Se i decenni successivi sono contraddistinti, come detto, dalla progressiva estensione dell’area di intervento (prevedendo nuove causali per la concessione delle integrazioni salariali, ed ampliando gradualmente le categorie dei datori di lavoro e dei lavoratori aventi diritto), è stata ancora una situazione eccezionale, quella della crisi economica degli anni settanta, ad innescare una torsione dell’utilizzo della cassa integrazione guadagni piegandolo verso fini meramente assistenziali. Torsione che, nonostante i successivi (e ripetuti) tentativi di riordino [16], ancora oggi possiamo osservare. Vi è stata, così, la stagione della Cassa piegata a rendere “impossibili” i licenziamenti, in quanto sottoposti alla condizione del preventivo svolgimento di procedure di mobilità interaziendale che, di fatto, erano irrealizzabili [17]. Sono stati, anche, mantenuti fittiziamente in vita rapporti di lavoro di fatto cessati, al solo fine di garantire la corresponsione delle integrazioni salariali, in casi di totale chiusura dell’attività d’impresa [18]. Più in generale, soprattutto con riferimento alle grandi imprese in crisi, è divenuto sistematico l’intervento del legislatore volto a prorogare la concessione della Cassa integrazione per periodi superiori a quelli previsti dalla disciplina ordinaria, pur in mancanza di qualsiasi prospettiva di [continua ..]


5. I concorsi pubblici (quando la regola resiste all’eccezione)

Altra area in cui si è registrata una analoga dialettica tra regola e eccezione è quella relativa all’accesso nelle pubbliche amministrazioni, ove ripetute e numerose sono le leggi che prevedono eccezioni al principio generale del concorso pubblico (art. 97, comma 2, Cost.). In questa area, però, il tema si pone in termini diversi e diversi sono gli esiti di tale dialettica. Anzitutto, è da tener conto che, in punto di fatto, la spinta alla estensione della deroga al principio generale da parte di chi ne potrebbe beneficiare (ossia, i lavoratori già dipendenti della pubblica amministrazione, i quali aspirano ad una progressione di carriera, o i lavoratori che hanno, o hanno avuto, rapporti flessibili o precari con la stessa pubblica amministrazione, i quali aspirano alla “stabilizzazione”) è direttamente contrastata, già in sede di decisione politica, dalla “controspinta” di altri soggetti “in carne ed ossa”, ossia di tutti coloro che hanno interesse a partecipare al concorso pubblico, e a parteciparvi senza condizioni di svantaggio. Accade, così, che quando la spinta alla “deroga” riesce a produrre la legge di favore si genera automaticamente una platea di diretti controinteressati pronti a impugnare il bando di concorso indetto sulla base della norma derogatoria. In punto di diritto, poi, va considerato che, diversamente da quanto avviene nella cassa integrazione, la “regola” (del pubblico concorso), alla quale si oppone la spinta alla eccezione (da parte della legge derogatoria), è espressamente prevista dalla Costituzione, così come costituzionalizzata è la previsione che la “regola” possa incontrare limiti nei «casi stabiliti dalla legge» (art. 97, ultimo comma). Ne deriva che la Corte Costituzionale, frequentemente investita da questioni di legittimità delle leggi che stabiliscono deroghe al principio del concorso pubblico [23], non solo si trova di fronte alla rappresentazione “viva” degli interessi lesi dal privilegio (per le ragioni poc’anzi esposte), ma soprattutto è chiamata a decidere sulla base dell’applicazione (e, quindi, dell’interpretazione) dell’art. 97 Cost., tenendo conto, conseguentemente, dei principi di “imparzialità” e “buon andamento” che la stessa disposizione sancisce al secondo [continua ..]


6. Lo spoil system “una tantum”

Il caso dello spoil system “una tantum” merita di essere preso in considerazione perché, differenziandosi da quelli già esaminati, ha ad oggetto un esempio di leggi provvedimento che introducono per i destinatari una situazione di “svantaggio”. Ciò offrirà lo spunto per riflettere anche sul tema delle conseguenze derivanti, in questa ipotesi, dall’accertamento della illegittimità del “provvedimento” del legislatore. Le leggi alle quali intendo fare riferimento sono quelle che hanno disposto la decadenza automatica degli incarichi dirigenziali in corso di svolgimento alla data della loro entrata in vigore [30]. Come noto, tali leggi, sono state dichiarate illegittime perché violano i principi costituzionali di “buon andamento e imparzialità”, alterando la «chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione» [31]. Ora, l’aspetto più critico che interessa segnalare, e riguardo al quale la censura della Corte è senz’altro condivisibile, sta proprio nel carattere “una tantum” dello spoil system previsto dalle leggi in questione, in quanto esso è diretto ad incidere esclusivamente su una ristretta (e ben determinata) cerchia di destinatari (i titolari di incarichi dirigenziali in essere) senza nemmeno “mascherare” tale finalità nell’ambito di una complessiva riforma che affronti il tema del rapporto tra vertice politico e dirigenza. Particolarmente grave è lo spoil system “una tantum” realizzato con decreto legge [32], perché atto direttamente deliberato dal Governo, tra l’altro con una formulazione volta non solo a provocare la cessazione degli incarichi dirigenziali (senza il rispetto della disciplina di legge ordinaria che regola le ipotesi di revoca degli incarichi di cui trattasi), ma anche a celare “maliziosamente” l’in­tenzione di far cessare dall’incarico esclusivamente i dirigenti non graditi [33]. Ed infatti, ciò che in tal caso si verifica, nella sostanza, è una chiara elusione da parte del Governo dei limiti di natura procedimentale e sostanziale che i singoli Ministri che ne fanno parte (quali vertici politici delle singole amministrazioni centrali dello Stato) avrebbero incontrato per provocare la cessazione degli [continua ..]


7. Il caso Ilva

La annosa vicenda dello stabilimento Ilva di Taranto [37] costituisce oggetto del più noto caso di legislazione provvedimentale che abbia avuto un impatto giuslavoristico. La vicenda, che tira in ballo molteplici diritti costituzionali e coinvolge la nostra materia sotto il profilo della sicurezza dei lavoratori, si “snoda” attraverso una lunga serie di interventi legislativi, amministrativi e giudiziari, e, per l’interesse che suscita, è stata esaminata e commentata da ogni possibile angolo di osservazione [38]. Ai fini del nostro esame, dovrò limitare l’attenzione ai principi che si ricavano dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 85/2013 [39], che affronta sia il tema di bilanciamento tra diritti costituzionali, sia quello delle leggi provvedimento. Per quanto riguarda questo secondo tema, in realtà, la Corte non si discosta dalla propria consolidata giurisprudenza confermando l’ammissibilità delle leggi provvedimento (in quanto tale modo di legiferare non è «incompatibile, in sé e per sé, con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione», e «nessuna disposizione costituzionale […] comporta una riserva agli organi amministrativi o “esecutivi” degli atti a contenuto particolare e concreto») e ribadendo la necessità che tali leggi vengano sottoposte «ad un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale” (stante “il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio»). Più che le affermazioni di principio, semplicemente confermative della propria giurisprudenza, merita interesse l’applicazione che ne è stata data in relazione alle norme oggetto di scrutinio. Qui, la Corte individua il carattere chiaramente provvedimentale nella disposizione (art. 3 d.l. n. 207/2012) con la quale il legislatore, sostituendosi al previsto provvedimento amministrativo, aveva provveduto ad individuare l’impianto di Taranto come “stabilimento di interesse strategico nazionale”. Secondo la Corte, una tale deroga “singolare” alla competenza stabilita dalla disciplina a regime è giustificata da una “situazione grave ed eccezionale”, «che ha indotto il legislatore ad omettere, per ragioni di urgenza, il passaggio attraverso un decreto del Presidente del [continua ..]


8. Il caso Alitalia

La vicenda senza fine della crisi legata alla ex compagnia di bandiera nazionale è contrassegnata da una lunga catena di interventi legislativi che è difficile giustificare, ciascuno e singolarmente, invocando la sussistenza di eventi eccezionali (a meno che non si voglia ritenere tale il processo di liberalizzazione del trasporto aereo che fu avviato sin dalla metà degli anni ’80 [45]). Una parte notevole della catena di interventi riguarda misure di sostegno economico-finanziario volte al salvataggio della compagnia, o alla conservazione degli assetts in mano italiana, venendo così in rilievo l’interesse pubblico alla difesa di un’azienda operante in un settore ritenuto strategico, ma anche pulsioni protezionistiche più o meno celate (non assenti, peraltro, nemmeno nella legislazione di altri partners europei). Su questo versante, il legislatore provvedimentale si è trovato a dover fare i conti con la disciplina della concorrenza sia nazionale che europea, incontrando da parte di quest’ultima un limite ed un controllo certamente più incisivo di quello interno. Possiamo limitarci a ricordare, al riguardo, come la nostra Corte Costituzionale, quando è stata chiamata a giudicare uno degli interventi di favore per denunciata violazione degli artt. 3 e 41 Cost., pur avendo affermato in premessa la necessità di uno “scrutinio stretto”, ha concluso ritenendo non irragionevole la legge censurata [46]. Invece, la disciplina europea in materia di aiuti di Stato (che comprende anche norme specifiche riguardanti il settore del trasporto aereo), pur essendo articolata in modo da presentare varie possibilità di deroghe ed eccezioni (utilizzabili dai diversi Paesi membri per sfuggire ai vincoli generali), si fonda su principi, quali la necessaria autorizzazione preventiva da parte della Commissione e l’obbligo di recupero degli aiuti illegali [47], che non possono essere elusi da parte del legislatore nazionale, e quindi costituiscono un limite invalicabile all’introduzione di misure di favore. Tant’è che anche la legge che, da ultimo, ha autorizzato la costituzione di una nuova società per l’attività di trasporto aereo, subordina l’avvio dell’e­sercizio dell’attività stessa «alle valutazioni della Commissione europea» (cfr. art. 79, comma 3, del d.l. n. [continua ..]


9. Considerazioni finali

Dalla ricerca svolta, e non solo dall’ultima osservazione che ho utilizzato come trait d’union per avviare queste considerazioni finali, appare chiaro che il problema non è l’ammissibilità nel nostro ordinamento della legge provvedimento, bensì l’abuso nell’esercizio di tale strumento. La singolarità della misura prevista per legge non è, di per sé, un elemento che può fondare una generale critica di “irrazionalità”, o peggio di “clientelismo”, da parte del legislatore. La maggior parte dei casi esaminati consente di rilevare come, alla base dei problemi affrontati, vi siano esigenze reali, come quelle relative all’in­dirizzo dell’economia e alla tutela dell’occupazione. E non è compito del giurista valutare nel merito la bontà delle soluzioni politiche individuate dal legislatore. Più banalmente, bisogna a mio avviso prendere atto che, anche nel caso delle leggi provvedimento e delle leggi singolari, la questione fondamentale resta quella di assicurare un controllo efficace dei limiti posti alla discrezionalità legislativa dalla Costituzione e dal diritto sovranazionale. Ancora prima, sul piano teoretico, va preso atto che la stessa idea “classica” della legge generale ed astratta, sviluppatasi con la Rivoluzione francese, sembra da tempo travolta sia dalla crescente complessità degli interessi e dei rapporti che accompagna l’evoluzione della società, sia dalla stessa affermazione dello Stato sociale e dei compiti di intervento che esso assume [55], trascinando con sé anche la possibilità di mantenere una netta linea di demarcazione tra il “prevedere” e il “provvedere” [56]. Anche stando al diritto positivo, poi, secondo una giurisprudenza costituzionale priva di tentennamenti, la nostra legge fondamentale non individua nella generalità e astrattezza i requisiti essenziali dell’atto legislativo [57]. E le leggi provvedimento, come quelle di diritto singolare, si inseriscono nel più ampio fenomeno dell’“amministrazione per legge” [58]. Né va dimenticato che la Costituzione stessa riconosce al Governo il potere di adottare atti aventi forza di legge definiti “provvedimenti provvisori” quando ricorrono “casi straordinari di necessità e [continua ..]


NOTE