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Il rapporto di lavoro del socio di cooperativa: ricadute “flessibili” nella relazione esclusione/licenziamento dopo le riforme della tutela reintegratoria
Susanna Palladini, Prof. associato di diritto del lavoro dell’Università di Parma
Prendendo spunto dalla giurisprudenza maturata all’indomani di Cass., Sez. Un., 20 novembre 2017, n. 27436, in tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa illegittimamente licenziato, l’A. ricostruisce le principali tappe che hanno segnato l’evoluzione interpretativa di questo tema, per giungere al necessario confronto della disciplina specifica di cui alla legge n. 142 del 2001 con le più recenti riforme in tema di tutela contro i licenziamenti illegittimi nell’impresa privata.
Starting from the jurisprudence gained in the aftermath of the Court of Cassation, Section Un., 20 November 2017, n. 27436, regarding the protection of the worker member of an illegitimately fired cooperative, the A. reconstructs the main stages that have marked the interpretative evolution of this theme, to reach the necessary comparison of the specific discipline referred to in law no. 142 of 2001 with the most recent reforms in terms of protection against unlawful dismissals in private companies.
Keywords: cooperative – reinstatement – extinction – worker member – firing
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Sommario:
1. Premessa: il lavoro in cooperativa tra tutela costituzionale, riconoscimento giurisprudenziale e (tardiva) disciplina legale - 2. L’estinzione del rapporto di lavoro: causali giustificative ed influenze provenienti dal collegato contratto associativo - 3. Le Sezioni Unite della cassazione in tema di esclusione e licenziamento del socio di cooperativa: pronuncia dirimente, effetto (poco) convincente - 4. Il rapporto tra esclusione e licenziamento del socio lavoratore - 5. Sanzione del licenziamento illegittimo tra tutela reale e tutela indennitaria - NOTE
1. Premessa: il lavoro in cooperativa tra tutela costituzionale, riconoscimento giurisprudenziale e (tardiva) disciplina legale
Il fenomeno del lavoro del socio all’interno della cooperativa di appartenenza ha radici lontane, ben impiantate sul concetto originale – basilare eppure ancora valido – di offrire una alternativa alla prestazione resa alle dipendenze altrui, con lo scopo di recuperare condizioni migliori di lavoro e comporre, per quanto possibile, forme di conflitto tra i fattori della produzione. Non è un caso che, come sempre si ripete presentando il tema del lavoro in cooperativa, quale antesignano del fenomeno venga richiamata l’esperienza delle società di mutuo soccorso, nelle quali è evidente, già nella denominazione, la finalità di esaltare lo spirito solidaristico per affrontare le difficoltà cui il mercato del lavoro liberista espone il singolo prestatore [1]. La diffusione, soprattutto in alcuni contesti territoriali, dell’aggregazione cooperativistica ha stimolato, in ambito giuridico e da tempi risalenti [2], una ricerca orientata a rintracciare l’esatta struttura contrattuale da attribuire al vincolo tra socio e cooperativa, nella consapevolezza di un legame ambivalente, ma palese, tra profili giuslavoristici e profili civilistici, i quali contribuiscono a creare quella “polarizzazione” tra contratto sociale e contratto di lavoro in grado di generare, separandole, impostazioni del tutto antitetiche, volte a riconoscere prevalenza ora all’uno, ora all’altro [3]. La lunga, voluta latitanza di una composizione legale tra questi contrapposti orientamenti non ha ritardato o, in qualche modo, smorzato l’affermarsi del lavoro in cooperativa, il quale, al contrario, si è valso del sostegno non solo della legislazione ordinaria di promozione della cooperazione, ma anche dell’inclusione tra i principi ispiratori dei rapporti economici contemplati dalla Carta Costituzionale. L’art. 45, nell’aprire al riconoscimento della «funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata», opera una chiara presa di posizione rispetto alla promozione di un tertium genus di struttura economica [4], fino ad allora dominato dal dualismo impresa pubblica-impresa privata [5], funzionale alla possibile emancipazione delle classi operaie [6], ma altresì volto ad esaltare l’elemento della mutualità e dell’assenza di scopo [continua ..]
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2. L’estinzione del rapporto di lavoro: causali giustificative ed influenze provenienti dal collegato contratto associativo
L’influenza del diritto societario nella valutazione e nell’applicazione della legge n. 142/2001 si è da sempre rivelata centrale, soprattutto quando si è trattato di delineare il rapporto tra vincolo associativo, che lega il socio all’organizzazione dell’impresa cooperativa, e quello lavorativo, funzionale invece all’attuazione dello scopo mutualistico [22]. Questa relazione diviene di ancora maggior rilievo nell’affrontare il tema dell’estinzione del rapporto di lavoro del socio di cooperativa, vero snodo in grado di rivelare la complessità della costruzione normativa, e la sua tenuta nel confronto con il quadro normativo “esterno”, ma al quale il collegamento negoziale consente di dare accesso. La legge n. 142/2001 si occupa dello scioglimento del vincolo lavorativo del socio in due punti: stabilendo l’impossibilità di applicare l’art. 18 St. lav. nei casi in cui venga a cessare, con il rapporto di lavoro, anche quello associativo (art. 2, comma 1); a seguito poi della riformulazione di cui alla legge n. 30/2003, prevedendo l’estinzione “automatica” del rapporto di lavoro al ricorrere del recesso o esclusione del socio «deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità agli artt. 2526 e 2527 c.c.» (art. 5, comma 2). Ad unire le due previsioni, lo stesso filo rosso che riconduce al collegamento negoziale, quello cioè che contempla il rapporto di lavoro come contratto indispensabile alla realizzazione dello scopo mutualistico che nasce con il vincolo associativo [23]. Nel primo caso, l’impossibilità di applicare la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di sopraggiunta perdita della qualità di socio si presenta – vigente l’originale art. 18 St. lav. – quale diretta conseguenza del fatto che il rapporto associativo, travolto dalla cessazione del rapporto di lavoro, non prevede, al contrario di quest’ultimo, alcun effetto ripristinatorio previsto dalla legge e quindi, eventualmente, applicabile dal giudice del lavoro. Nel secondo caso, la riformulata previsione di cui all’art. 5, comma 2, legge n. 142/2001, abbinando ad una disposizione processuale («Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario») una regola sostanziale («Il rapporto di [continua ..]
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3. Le Sezioni Unite della cassazione in tema di esclusione e licenziamento del socio di cooperativa: pronuncia dirimente, effetto (poco) convincente
Proprio a partire da una premessa del genere, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha avuto modo di pronunciarsi sul complesso quadro di relazioni tra atto di esclusione e provvedimento di licenziamento. La necessità di un intervento delle Sezioni Unite sul tema del rapporto, ad un tempo consequenziale ma anche, eventualmente, diacronico, tra esclusione, da un lato, e licenziamento, dall’altro, del socio lavoratore di cooperativa, era da tempo avvertita [34], a dimostrazione del fatto che, pur dopo una certa distanza dall’emanazione della legge 3 aprile 2001, n. 142, la materia non fosse (e non sia) ancora del tutto metabolizzata, a partire proprio dai giudici che in più occasioni hanno dimostrato opinioni oscillanti da un polo ad un altro [35]. Ed in questa ricostruzione non composta si sono inserire le stesse cooperative, le quali hanno spesso adottato soluzioni “fantasiose” rispetto a temi centrali quale, appunto, quello dell’esclusione dalla società e della risoluzione del contratto di lavoro. Ritrovare un equilibrato raccordo tra le diverse anime del lavoro in cooperativa non era, e non è, operazione né semplice né scontata, come ha dimostrato la pronuncia delle Sezioni Unite 20 novembre 2017, n. 27436: per quanto attesa al fine di dirimere evidenti contrasti interpretativi maturati, non solo a seguito dell’accidentato percorso normativo, ma anche delle peculiarità giuridiche che il lavoro in cooperativa si porta dietro, pare di cogliere, nella dottrina che ne ha commentato la pronuncia [36], il senso di un inappagato desiderio di equilibrio e coerenza nella “terza via” che le Sezioni Unite hanno tracciato nell’impervio terreno del rapporto esclusione/licenziamento [37]. All’esito di una motivazione che muove da lontano, ricostruendo la disciplina del socio lavoratore a partire dalla prevalenza della tesi “monista” presso la Corte di Cassazione, per poi evidenziare pronunce più recenti favorevoli alla tesi “dualista” che hanno fatto da apripista alla legge n. 142/2001, la Corte giunge ad affermare la fondatezza della domanda risarcitoria avanzata nel caso de quo, precisando che la mancata impugnazione della delibera societaria, ormai definitiva, impedisce l’applicazione della tutela reintegratoria. L’evidente legame tra la prescelta (ma non obbligata) sequenza di atti e [continua ..]
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4. Il rapporto tra esclusione e licenziamento del socio lavoratore
Il tema della tutela del socio lavoratore, nella relazione atto di esclusione/atto di licenziamento, risulta dunque fortemente influenzato dalla valutazione degli effetti pratici: parrebbe esservi maggiore convenienza nell’annullamento dell’esclusione, e, conseguentemente, un privilegio de facto, pur in presenza di un duplice atto – di licenziamento e di esclusione – per una domanda di tutela tesa ad ottenere innanzitutto l’annullamento della seconda, visto che questo apre la strada ai rimedi più robusti di diritto comune. Dall’altra parte, però, va considerato il pericolo di una “fuga” dagli atti di esclusione: le società cooperative potrebbero voler puntare sul solo licenziamento proprio per impedire il funzionamento delle tutele di diritto comune, e preferire quelle lavoristiche attuali che, pur nel permanere del vincolo associativo, limiterebbero di molto i casi di reintegrazione. C’è però allora da chiedersi se una così rilevante differenza, che è di tutela sostanziale, possa essere rimessa a fattori non contemplati dalla legge, quali la consequenzialità temporale degli atti (prima l’esclusione, poi il licenziamento), ovvero alla strategia difensiva adottata (impugnazione del solo licenziamento, oppure di entrambi gli atti) [40]. Questo senza trascurare che nella maggior parte dei casi licenziamento ed esclusione sono fondati sui medesimi presupposti, tanto da portare ad argomentazioni di supporto all’impugnativa del primo riferibili ai contenuti dell’altra [41], e viceversa: raramente, come visto supra, i due rapporti tra socio e cooperativa vengono risolti per cause completamente autonome e distinte, alla base delle quali è possibile invocare fatti o comportamenti isolati e con ricadute del tutto indipendenti dell’uno e sull’altro [42]. La frequenza con cui, al contrario, uno stesso addebito risulta, per così dire, “plurioffensivo”, rilevando sia quale inadempimento dell’obbligazione di lavoro – che giustifica la risoluzione del contratto – sia quale inosservanza delle obbligazioni che legano il socio alla cooperativa in base al vincolo mutualistico (art. 2533, comma 1, n. 2, c.c.), spinge a rivedere la ricaduta sanzionatoria sulla riconosciuta invalidità degli atti: la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 St. [continua ..]
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5. Sanzione del licenziamento illegittimo tra tutela reale e tutela indennitaria
Il distinguo sopra proposto si conferma anche se ad essere preso in esame è l’aspetto legato alla forma degli atti: l’iniziale posizione della giurisprudenza, propensa a rilevare il richiamato automatismo del recesso dal rapporto di lavoro a fronte di un atto di esclusione già formalizzato [53], e quindi la sostanziale inutilità di un diverso e separato atto di licenziamento, avallava l’idea della causale ulteriore e specifica per lo scioglimento del contratto di lavoro, rafforzando il legittimo ricorso alla tutela ripristinatoria di diritto comune. Tuttavia, anche accedendo alla diversa posizione della duplicità degli atti, riferibile a precise esigenze di garanzia [54], si rimarca la correttezza di un necessario procedimento di verifica delle corrispondenti motivazioni, per consentire, da un lato, di azionare tempestivamente le rispettive impugnazioni e non incappare nelle sopra viste insormontabili decadenze; e, dall’altro, di conformarsi al dettato normativo sulle conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’uno in relazione all’altra. Se esclusione e licenziamento dovessero risultare del tutto autonomi quanto a motivazione, a seguito della dichiarazione di invalidità della prima, il socio rimarrebbe tale, quindi l’impugnazione del licenziamento dovrebbe portare, oggi, a tutte le possibili conseguenze sanzionatorie previste dall’ordinamento [55], non potendosi più fare riferimento al “blocco” di cui all’art. 2, legge n. 142/2001 [56]; se invece l’esclusione fosse valida (o non più impugnabile), allora indagare sui motivi di licenziamento sarebbe necessario per avere riscontro della sua illegittimità e, a quel punto, accedere al diritto del risarcimento del danno. Dopo la richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 27436/2017, appare evidente come, in casi come questo, non sia più possibile richiedere la reintegrazione in servizio, ma solo il risarcimento del danno. E a questo punto, a restare controverso risulta essere il criterio per la sua quantificazione. Anche nel caso di rottura del vincolo associativo quale ricaduta della risoluzione del contratto di lavoro per le tipiche ragioni lavoristiche, si richiede un confronto con la specifica disciplina in tema di tutele a fronte di licenziamento illegittimo, sia con riferimento alla reintegrazione (se il rapporto [continua ..]
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