Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Incompatibilità e inconferibilità del pubblico dipendente tra esclusività, imparzialità ed eticità: (non) si possono servire due padroni? (di Antonello Olivieri, Professore associato - Università di Foggia)


La stratificazione normativa intervenuta negli ultimi anni ha in gran parte proiettato la disciplina in tema di incompatibilità e inconferibilità nel settore pubblico lungo nuovi orizzonti teleologici, ricalibrandola verso un sistema maggiormente in grado, da un lato, di assicurare l’imparzialità del personale responsabile dell’esercizio di funzioni pubbliche e, da un altro, di impedire l’insorgenza di situazioni di conflitto di interessi connesse al contemporaneo svolgimento di un incarico estraneo all’esercizio dei doveri d’ufficio.

Incompatibility of the public employee between exclusivity, impartiality and ethicality: can(not) two masters be served?

The legislative stratification in recent years has largely directed the original structure, to new purposive horizons, recalibrating it towards a system better able, on the one hand, to assure the impartiality of personnel that is responsible of the deployment of public functions and, on the other hand, to prevent the onset of conflicts of interest related to the contemporary execution of an assignment unrelated to the performance of official duties.

KEYWORDS: incompatibility – non-appointability – conflict of interest – bribery – exclusivity

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Esiste ancóra un dovere di esclusivitą? - 3. Obblighi assoluti e relativi: il conflitto d’interessi economico e gratuito - 4. Gli incarichi dirigenziali di vertice - 5. Trasparenza e comunicazione: la visibilitą di un potere - 6. Il pantouflage - NOTE


1. Premessa

Il rapporto di lavoro pubblico è tradizionalmente caratterizzato da una dettagliata disciplina in materia di incompatibilità e inconferibilità, spesso articolata, complessa e non sempre di facile lettura e interpretazione [1]. A differenza del settore privato [2], al dipendente a tempo pieno e indeterminato è generalmente preclusa la possibilità di svolgere altri rapporti di lavoro dipendente o autonomo ovvero di esercitare attività imprenditoriali [3]. Ne deriva che il dipendente pubblico solo eccezionalmente, in presenza di espresse disposizioni di legge e comunque previa autorizzazione, può assumere incarichi che non costituiscano diretta esplicazione della sua normale attività lavorativa [4]. Sul piano normativo, la materia è stata oggetto di diversi interventi di manutenzione. Da ultimo, sia la c.d. legge anticorruzione (legge n. 190/2012), sia la c.d. Riforma Madia (art. 8, d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75) [5] hanno modificato la disciplina del conferimento e dell’autorizzazione degli incarichi, incidendo in primo luogo sulle modalità con cui i diversi interessi vengono coinvolti e selezionati. Se nella regolazione dei meccanismi di accesso agli incarichi extraistituzionali da parte dei dipendenti pubblici viene confermata la vigenza della precedente disciplina [6], con particolare riferimento al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (artt. 60 e seguenti) e alle leggi speciali [7], la complessiva struttura dell’istituto viene, invece, riorientata in un’ottica prevalentemente prevenzionistica [8], tra l’altro accompagnata da alcuni evidenti accenti etici, nel tentativo di istituire nuove regole dell’onestà [9]. La stratificazione normativa intervenuta negli ultimi anni ha in gran parte proiettato verso nuovi orizzonti teleologici l’originario assetto, ricalibrandolo verso un sistema maggiormente in grado, da un lato, di assicurare l’impar­zialità del personale responsabile dell’esercizio di funzioni pubbliche e, da un altro, di impedire l’insorgenza di situazioni di conflitto di interessi connesse al contemporaneo svolgimento di un incarico estraneo all’esercizio dei doveri d’ufficio. La tutela della neutralità degli apparati pubblici viene realizzata attraverso un bilanciamento tra imparzialità e buon andamento [10], tutto spostato [continua ..]


2. Esiste ancóra un dovere di esclusivitą?

Esclusività, fedeltà, integrità. Il tema del contemporaneo svolgimento di attività ulteriori rispetto a quelle dedotte in contratto ruota, sin dalla sua origine, intorno a questi tre lemmi, certo con differenti intensità, tutti però accomunati dall’obiettivo di prevenire, fronteggiare e risolvere l’annoso problema della maladministration [13], nella sua ampia morfologia. La distorsione degli interessi pubblici può avvenire tanto nella dimensione fisiologica (per esempio, con riferimento al buon andamento e all’imparzialità dell’azione amministrativa), quanto in quella patologica (per esempio, in relazione all’emergere dei fenomeni corruttivi). Ed è chiaro come nel settore pubblico il concetto di fedeltà assuma contorni più intensi, rispetto al settore privato, proprio con riferimento alle due possibili macro alterazioni del sistema. Negli ultimi anni, il legislatore ha ridefinito le sue logiche ispiratrici, orientando la disciplina sempre più verso le sponde dell’integrità [14]. Ciò che è stato innalzato, almeno nelle intenzioni, è un arcipelago di previsioni tutte collegate all’obiettivo di corroborare un’efficace politica dell’etica pubblica perseguita attraverso un’attività amministrativa di controllo più incisiva [15]. In tal senso, la materia riveste un ruolo determinante per il corretto esercizio della funzione amministrativa finalizzata alla cura dei molteplici interessi pubblici. Una cura non più affidata al principio di esclusività o, almeno, non nella sua declinazione tradizionale [16]. L’esclusività del rapporto lavorativo del pubblico dipendente ha (avuto) una pluralità di finalità: escludere la formazione di centri di interesse alternativi all’ufficio pubblico rivestito, indipendentemente dalla sua natura [17]; salvaguardare il prestigio dell’amministrazione e l’indipendenza del pubblico impiegato [18]; garantire l’imparzialità, l’efficienza, il buon andamento della pubblica amministrazione e rafforzare l’obbligo di fedeltà e diligenza [19]; dedicare all’ufficio tutta la propria capacità lavorativa, intellettuale e materiale [20]. Secondo un orientamento consolidato, poi, l’«ingombrante [continua ..]


3. Obblighi assoluti e relativi: il conflitto d’interessi economico e gratuito

L’incompatibilità è stata delineata, sin dalle sue origini, sotto due diversi profili: il primo consiste nella garanzia del buon funzionamento e del prestigio dell’amministrazione, mentre il secondo attiene alla rimozione di una situazione di diritto o di fatto che importi un conflitto d’interessi [38]. In entrambi i casi è possibile scorgere una situazione di «disarmonia» [39] tra interesse generale e particolare. Una disarmonia che ruota attorno al principio di esclusività della prestazione lavorativa non più o non tanto delineata all’in­terno del buon andamento (evitare la distrazione di energie lavorative estranee all’oggetto del rapporto lavorativo istituzionale), quanto all’impar­zialità, ponendo al centro della questione l’assenza di un conflitto d’interessi. La valutazione del conflitto di interessi è un elemento strutturale del sistema, un prius rispetto al passato, e assume rilevanza giuridica anche nella sua potenzialità offensiva. Il carattere potenziale del conflitto diventa uno strumento di uguaglianza (tutti indistintamente possono essere coinvolti) che si contrappone a quelle storture di sistema che intendevano separare – senza alcun criterio razionale e in maniera manichea – i buoni dai cattivi dipendenti [40]. Solo la sua assenza consentirà all’amministrazione di autorizzare l’incarico, proprio nell’ottica di preservare l’azione del dipendente pubblico dall’interfe­renza di interessi eterogenei rispetto a quelli cui l’amministrazione è finalizzata [41]. L’astratta possibilità dell’incarico di porsi in conflitto con quello istituzionale si proietta temporalmente sul futuro senza alcuna certezza sulla probabilità che effettivamente si realizzi. In tale ottica, si amplia, evidentemente, la portata del divieto, restringendo così la possibilità di un provvedimento autorizzativo, non senza un certo irrigidimento dei processi decisionali. Ciò appare del tutto coerente sia con le finalità preventive dell’istituto, sia con l’obiettivo di soddisfare il principio di imparzialità [42]. L’art. 53, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 vieta ai dipendenti delle p.a. con rapporto di lavoro a tempo pieno l’espletamento di incarichi retribuiti, anche [continua ..]


4. Gli incarichi dirigenziali di vertice

La centralità che gli strumenti di prevenzione assumono nel contrasto dei fenomeni corruttivi è testimoniata proprio dal d.lgs. n. 39/2013, che ha istituito un nuovo regime di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi dirigenziali e degli incarichi amministrativi di vertice negli enti pubblici, nonché negli enti privati sottoposti a controllo pubblico [58]. In questa sede sia consentito offrire una sommaria descrizione sempre funzionale rispetto alle linee della presente indagine. Il decreto ha avuto il pregio di catalogare, scandire i possibili casi di conflitto tra interesse generale e interesse particolare, ampliando il campo di attrazione non solo agli enti di diritto privato in controllo pubblico – laddove vi è cioè pur sempre la cura di un interesse pubblico al di là della natura giuridica dell’ente – ma anche alle ipotesi di provenienza da organi politici quale possibile compromissione dell’imparzialità del pubblico funzionario titolare dell’incarico. Infatti, anche in questo caso il bene giuridico che s’intende tutelare è l’impar­zialità [59], in particolare l’autonomia dei soggetti di più elevato inquadramento, attraverso la creazione di un «diaframma protettivo rispetto alle pressioni dal ceto politico, ed ai rischi di “cattura” da parte degli interessi regolati», per combattere il sistema a porte girevoli (c.d. revolving doors), cioè il passaggio senza soluzione di continuità da una carica e da un incarico all’altro [60]. Un’imparzialità che deve essere garantita nella duplice veste della inconferibilità, con l’impossibilità di accesso all’incarico, e dell’incompatibilità in cui ciò che viene vietato è la contestuale cura di due opposti interessi. Nell’ottica della prevenzione della corruzione, il regime dell’accesso agli incarichi rappresenta, forse, la chiave di volta dell’intera disciplina. Accanto all’esigenza di sottrarre il funzionario ad episodici condizionamenti e ad indebite pressioni (l’aver svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi), la preclusione del conferimento degli incarichi assume una [continua ..]


5. Trasparenza e comunicazione: la visibilitą di un potere

Un ruolo strategico è svolto dai meccanismi di trasparenza e comunicazione nella raccolta e nell’organizzazione dei dati relativi al conferimento degli incarichi extraistituzionali. Nella società dell’informazione emerge un’esigenza imprescindibile: la visibilità [68] del potere della pubblica amministrazione di manifestare aperte ac palam le ragioni sottese al conferimento o no di un incarico anche attraverso meccanismi che dischiudono la possibilità di un’incisiva semplificazione affidata a un nuovo modello gestionale. Non si tratta solo di fornire una risposta alla questione della moralizzazione della stessa pubblica amministrazione, ma di un vero e proprio right to know. Le informazioni raccolte nell’anagrafe degli incarichi sono trasmesse senz’al­tro ai fini della trasparenza, ma soprattutto per garantire l’efficacia degli stessi atti e, di conseguenza, dell’intero sistema. Orbene, la stretta strumentalità e connessione tra tali molteplici esigenze si avverte sul fronte delle modalità di gestione e fruizione delle informazioni che devono essere comunicate ora tempestivamente [69], a seguito della modifica intervenuta con il decreto Madia [70]. È possibile scorgere una serie di adempimenti in capo ai soggetti che partecipano al processo di conferimento degli incarichi. In tal senso, il legislatore predispone un rigido apparato sanzionatorio [71]. In primo luogo, i soggetti (pubblici o privati) che abbiano attribuito l’in­carico devono comunicare all’amministrazione di appartenenza, entro quin­dici giorni dall’erogazione del compenso, l’ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici [72]. Inoltre, dopo aver conferito o autorizzato un incarico ai propri dipendenti, anche a titolo gratuito, le amministrazioni pubbliche «comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e del compenso lordo, ove previsto» [73]. L’attuale formulazione si caratterizza, da un lato, per un irrigidimento temporale del sistema di comunicazione, non più omnicomprensiva entro un termine prestabilito, ma tempestiva [74]; da un altro, per un alleggerimento dell’o­nere [continua ..]


6. Il pantouflage

A riprova della tenuta argomentativa di quanto sopra affermato, può utilmente essere richiamata la disciplina introdotta dall’art. 53, comma 16-ter, d.lgs. n. 165/2001, che regolamenta le eventuali ipotesi di corruzione connesse all’attività del dipendente successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro [77]. Si tratta, come si vedrà, di un ulteriore esempio del mutamento di prospettiva non più strettamente connessa in termini di sottrazione delle energie lavorative, ma più opportunamente di prevenzione dei conflitti d’interesse. I dipendenti e i titolari degli incarichi dirigenziali [78] che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato «poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni», non possono svolgere (nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto) «attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri». Il principio opera in due diversi direzioni: vieta, da un lato, lo svolgimento dei rapporti lavorativi o professionali, per un tempo determinato, da parte delle imprese destinatarie dell’attività del pubblico dipendente dopo la cessazione del rapporto con la p.a. e, da un altro, alle imprese che assumono tali soggetti di contrattare con le p.a. per tre anni. Non è certo agevole cogliere la differenza tra la norma scritta e la prassi applicativa [79]. Il primo problema è di stabilire quale sia il necessario livello di coinvolgimento dell’ex dipendente nel processo decisionale dell’amministra­zione nei confronti del soggetto privato, affinché possa operare il divieto. Proprio con riferimento alla locuzione «poteri autoritativi e negoziali», l’ANAC [80] ha chiarito che tale definizione è riferita senz’altro a coloro che esercitano concretamente ed effettivamente tali poteri. Si tratta di dipendenti che emanano provvedimenti amministrativi per conto dell’amministrazione e perfezionano negozi giuridici attraverso la stipula di contratti in rappresentanza giuridica ed economica dell’ente [81]. Tenuto conto delle finalità di prevenzione perseguite dalla norma non appare sufficiente questa delimitazione del campo soggettivo. Tali finalità richiedono [continua ..]


NOTE