L’esigenza da più parti avvertita di individuare quei (nuovi) saperi necessari alla cultura di ogni Pubblica Amministrazione, specie se riferita all’attuale contesto socio-economico, muove da differenti ragioni, eterogenee e non sempre convergenti tra di loro, ma accomunate dalla medesima finalità: quella evocativa di dar corpo a un sistema pubblico “sburocratizzato” nel suo agire, in grado di selezionare una forza lavoro rispondente ai mutati tratti dell’azione amministrativa. Il sistema del pubblico impiego rappresenta il perno centrale intorno al quale si avvita il processo di (necessaria) modernizzazione dell’azione pubblica che impone un generale ripensamento delle modalità attraverso le quali la forza lavoro alle pubbliche dipendenze è selezionata. Lo scritto si pone l’obiettivo di riflettere sul binomio, oramai inscindibile, saperi-procedure concorsuali, per tentare di comprendere come la selezione possa assumere un profilo maggiormente performante.
The need for many (new) knowledge necessary for the culture of each public administration, especially when referring to the current socio-economic context, moves from different reasons, heterogeneous and not always converging with each other, but They share the same purpose: that evocative of giving rise to a public system “bureaucratic” in its action, able to select a workforce responding to the changed traits of administrative action. The public service system is the central land around which the process of (necessary) modernisation of public action is screwed, requiring a general rethinking of the ways in which the workforce employs public dependencies is selected. The aim of the writing is to reflect on the combination, now inscribable, concurring procedures, in order to try to understand how the selection can take on a better performance profile.
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Una nuova cultura per le pubbliche amministrazioni: i saperi necessari - 1. L’articolazione amministrativa - 2. La regola generale dell’accesso per concorso pubblico - 3. Profili “de iure condito” e “de iure condendo” delle procedure di reclutamento - 4. Il concorso unico - 5. Conclusioni - NOTE
L’esigenza da più parti avvertita di individuare quei (nuovi) saperi necessari alla cultura di ogni Pubblica Amministrazione [1], specie se riferita all’attuale contesto socio-economico, muove da differenti ragioni, eterogenee e non sempre convergenti tra di loro, ma accomunate dalla medesima finalità: quella evocativa di dar corpo a un sistema pubblico «sburocratizzato» nel suo agire, in grado di selezionare una forza lavoro rispondente ai mutati tratti dell’azione amministrativa [2] e capace di fronteggiare il perdurante disallineamento temporale che colloca le organizzazioni amministrative in una posizione arretrata rispetto alla rapidità con la quale si evolvono i bisogni della collettività. Da uno sguardo generale sul sistema pubblico emerge il profilo di un’amministrazione dalla fisionomia ancora incerta, saldamente ancorata a un’idea di ripetitività nell’operato e caratterizzata da una «naturale inerzia e amore del quieto vivere» [3] in cui proliferano gli individualismi, anziché un condiviso senso di appartenenza a un corpo organico, al servizio della Nazione [4]. L’apparato amministrativo pare di una lentezza esasperante, incapace di far fronte a inefficienze organizzative radicatesi nel tempo cui si somma una graduale e sopravvenuta carenza di organico. Il capitale umano alle pubbliche dipendenze è debole, mal selezionato e parimenti mal distribuito; dal punto di vista dell’organizzazione amministrativa, si moltiplicano le strutture inutili a discapito di quelle necessarie, che «sopravvivono» nonostante l’evidente condizione di obsolescenza strutturale in cui versano e la conseguente scarsa produttività [5]. Alla diffusa debolezza della forza lavoro pubblica – causata principalmente dalla predominanza di mestieri a bassa o media qualificazione professionale, dal mancato allineamento tra posizioni lavorative occupate e titoli di studio richiesti per accedervi e da ultimo, solo per ragioni espositive, dall’innalzamento dell’età media dei dipendenti [6] – si somma un sistema di reclutamento rigido e, sovente, incapace di selezionare in maniera efficiente e con un’adeguata omogeneità qualitativa e professionale su tutto il territorio nazionale [7]. Come ben [continua ..]
Più le società divengono complesse, più la competenza tecnica per amministrarle diviene essenziale, tanto da divenire «semplicemente inevitabile nelle società contemporanee» [20]. La forza dell’amministrazione è proprio nella competenza tecnica, «nel sapere specializzato» necessario per gestire lo Stato: «ciò ne fa il modo più razionale di esercizio del potere». Così Max Weber, a inizio Novecento, descriveva i tratti fisiologici propri di un’amministrazione capace di fronteggiare la complessità di una civiltà in piena evoluzione. Se ci limitassimo a osservare l’articolazione organizzativa delle amministrazioni nell’era della digitalizzazione, non potremmo che cogliere le criticità che affliggono il settore del pubblico impiego a dispetto dei numerosi interventi di riforma che, in maniera più o meno incisiva, si sono susseguiti nel tempo senza mai sciogliere il nodo gordiano della complessità della «macchina organizzativa» pubblica. Nelle amministrazioni si rinvengono, principalmente, mestieri a bassa qualificazione professionale; gli stessi dati diffusi dall’Aran nel 2013 hanno confermato [21] l’esiguo numero di posizioni lavorative per le quali è richiesta la laurea e fra i dipendenti che rivestono tali ruoli solo la metà è effettivamente in possesso del predetto diploma di studi mentre la restante parte è stata inquadrata a prescindere dall’effettivo titolo attraverso stabilizzazioni di personale precario ovvero progressioni interne [22]. L’innalzamento dell’età media dei dipendenti pubblici italiani, tra le più elevate in Europa, si è intensificato negli ultimi quindici anni principalmente a causa del blocco delle assunzioni [23]. Nella stagione dell’emergenza finanziaria, a più riprese è stato disposto il blocco o il rallentamento del tasso di sostituzione dei dipendenti pubblici, attraverso la determinazione di percentuali massime di reintegrazione del personale cessato: l’obiettivo era quello del consolidamento dei conti pubblici, e grazie al meccanismo del blocco del turnover si sono realizzati importanti risparmi di spesa. Una politica di rigore indubbiamente efficace, sotto il profilo della riduzione e del contenimento dei costi pubblici, ma [continua ..]
Com’è noto, la regola del pubblico concorso governa l’accesso al pubblico impiego allineandosi ai principi di buon andamento e imparzialità nell’organizzazione degli uffici pubblici sanciti dalla nostra Costituzione all’art. 97. Nel profilo diacronico, nel nostro Paese, ma anche in gran parte dell’Europa, il concorso si afferma quale generale strumento di accesso ai pubblici uffici, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, momento in cui l’esigenza di affidare la stabilità del rapporto di impiego a garanzie oggettive, lontane da ingerenze e condizionamenti politici, pare non più differibile [29]. Il concorso si presta, da subito, a divenire la risposta sistemica al problema poc’anzi evidenziato, in grado di valorizzare il criterio del merito e di indebolire la componente burocratica dell’amministrazione [30]. Il ruolo attribuito al concorso è quello di vestale del merito, capace di garantire l’effettiva uguaglianza tra i cittadini nell’accesso al pubblico impiego; come osservato in dottrina, il pubblico concorso ha una natura squisitamente strumentale, si traduce nella scelta organizzativa idonea a garantire l’imparzialità dell’amministrazione [31].Nel tempo, però, la scelta di optare per un criterio assunzionale fondato sul merito è stata messa alla dura prova da numerosi fattori esterni e interni al sistema medesimo, con esiti non sempre favorevoli. Il concorso pubblico, costantemente esposto a fenomeni di corruzione e di poca trasparenza, si è, così, limitato a non discriminare ma non a effettuare una valida selezione di merito a dispetto del tenore letterale dell’art. 35 d.lgs. n. 165/2001 (TUPI). Le ragioni del declino del concorso sono molteplici «ma quella fondamentale è che il legislatore, amministrazioni e giudici si sono concentrati su uno scopo accessorio (quello di evitare il malcostume e favoritismi) al punto di dimenticare lo scopo principale (quello di selezionare i migliori): da qui l’introduzione di regole estremamente dettagliate, volte a eliminare ogni forma di discrezionalità; il vincolo del precedente; acrobazie aritmetiche per valutare i titoli, in gran parte irrilevanti, presentati da ciascun candidato; l’ossessione per l’anonimato nelle prove scritte e per la trasparenza in quelle orali; [continua ..]
Se il concorso permane il migliore strumento di reclutamento è, però, oramai evidente come debbano essere ripensate le concrete modalità di selezione per poter attrarre i lavoratori maggiormente qualificati e superare i meccanismi principalmente fondati su procedure rigide e a carattere teorico-nozionistico. Muovere riflessioni volte a individuare azioni migliorative non è opera facile, in particolare se si considera l’attuale complesso normativo che può dirsi a-sistematico, spesso privo di un disegno chiaro e organico. Le considerazioni proposte in queste pagine muovono dall’assunto che, per le ragioni poc’anzi evidenziate, il principio dell’accesso per concorso non sia derogabile; tuttavia non è ravvisabile un modello perfetto di concorso pubblico. La stessa fonte regolamentare in materia di procedure selettive elenca differenti tipologie di concorso pubblico, differentemente impiegabili in relazione ai profili professionali da selezionare. Segnatamente, il d.P.R. n. 487/1994 contempla diversi modelli per il reclutamento: I) concorso pubblico per esami; II) concorso pubblico per titoli; III) concorso pubblico per titoli ed esami; IV) corso-concorso; V) selezione mediante lo svolgimento di prove volte all’accertamento della professionalità richiesta. Tutti i modelli sopra descritti sono accomunati dall’esigenza di selezionare in maniera celere, imparziale, trasparente e realmente aderente ai fabbisogni di personale propri di ciascuna amministrazione; con l’introduzione, infatti, del piano triennale dei fabbisogni di personale di cui all’art. 6 ss. del d.lgs. n. 165/2001 (che supera il precedente documento di dotazione organica), il legislatore delegato ha perseguito il condivisibile obiettivo di individuare un sistema a budget maggiormente dinamico e in grado di consentire una programmazione efficace dei nuovi piani assunzionali all’interno delle pubbliche amministrazioni, secondo una logica improntata al mero vincolo di spesa. Il nuovo piano, accompagnato da puntuali indicazioni relative alle risorse finanziarie destinate alla sua attuazione, alle risorse di spesa per il personale in servizio e per quello da reclutare, presenta l’ulteriore pregio di imporre alle amministrazioni un obbligo annuale di revisione dei fabbisogni, con la possibilità di aggiornarlo in maniera conforme alle nuove [continua ..]
Il concorso continua a essere il meccanismo principe per il reclutamento dei dirigenti e delle altre figure professionali comuni a tutte le amministrazioni pubbliche; le ultime scelte normative del legislatore preannunciano il ritorno alla «fisiologia» del concorso pubblico che necessita, però, di importanti ripensamenti. Le indicazioni legislative più recenti confermano il favor per la modalità del concorso unico [35] per professionalità omogenee [36]. Indubbiamente i concorsi unici presentano numerosi elementi positivi, specie se letti in stretta aderenza con le fragilità del sistema poc’anzi evidenziate: la frammentarietà dei concorsi, indetti da singole amministrazioni, privi di incentivi in grado di attrarre un pool di giovani capaci e preparati, con pochi posti e dai costi notevoli. La centralizzazione della procedura consente, inoltre, di ridurre in maniera sensibile i costi e, di ambire a una commissione maggiormente qualificata in grado di attrarre candidati che non optano per il pubblico impiego, in via residuale. Ancora, i concorsi unici, se indetti con cadenza regolare, spingono i candidati verso una programmazione della preparazione che garantisce una performance migliore. All’entusiasmo verso procedure di reclutamento sulla base di concorsi pubblici unici, in relazione a figure professionali omogenee deve, però, contrapporsi l’analisi di alcune negatività: anzitutto se la centralizzazione compensa l’attuale eccessiva frammentazione dei pochi concorsi che si svolgono, è altresì, vero che la previsione di concorsi unici con un’estesa partecipazione di candidati impone modalità di espletamento in grado di evitare valutazioni sommarie o frettolose [37]; se si vogliono evitare massicci ricorsi giurisdizionali in grado di congestionare, ulteriormente, il sistema di giustizia. Ancora, si è fatto più volte riferimento al condiviso favore verso un concorso unico che consente di ridurre i costi e che non può che svolgersi per profili omogenei, ovvero per funzioni rinvenibili all’interno del medesimo comparto. Diviene, pertanto, imprescindibile comprendere esattamente il significato di «funzioni omogenee» in assenza di un valido sistema di classificazione professionale che consenta, in maniera razionale, detti accorpamenti omogenei, con il rischio [continua ..]
Il dinamismo delle pubbliche amministrazioni, mai come in questo momento storico, pare essere l’antidoto necessario alla complessità dell’azione amministrativa; detta radicata consapevolezza non si accompagna però, nei fatti, a un cambiamento catartico del sistema pubblico che continua ad essere percepito come un sistema pletorico elefantiaco, che procede con una lentezza esasperante, in cui difetta una reale interazione tra attori pubblici e privati che genera un deficit dialettico di difficile saturazione [38]. Le pubbliche amministrazioni necessitano di un corpo organico ben selezionato, dalla fisionomia definita e consapevole del profondo valore socio-economico del pubblico impiego laddove diviene motore di sviluppo dell’economia in grado di erogare servizi efficienti a imprese e privati. Il nodo centrale da risolvere permane, dunque, quello di individuare validi sistemi di reclutamento accompagnati da costante formazione. Indubbiamente le procedure concorsuali necessitano di un differente approccio maggiormente competence based; andrebbe, pertanto, ripensato e riscritto il regolamento governativo sui concorsi pubblici (d.P.R. n. 487/1994), che nel tempo ha, troppe volte, dimostrato la sua inadeguatezza: occorre superare la logica per la quale il concorso è strumento prevalentemente rivolto all’accertamento delle conoscenze e non delle competenze, meccanismo che crea un disequilibrio tra la fase genetica di scelta del lavoratore e quella funzionale di svolgimento del rapporto nella quale è assegnato rilievo alle competenze. Andrebbe, altresì, spostato il focus da mero canone di imparzialità a buon andamento, nella sua declinazione tanto costituzionale quanto sovranazionale, che impone un’attenta analisi dei reali fabbisogni e la capacità di individuare figure con professionalità specifiche in una fase antecedente e prodromica all’assunzione. In questo senso deve essere letta con estremo favore l’introduzione del piano triennale dei fabbisogni del personale (v. supra) e con pari favore devono essere accolte le recenti indicazioni legislative che riportano alla centralizzazione e all’unificazione delle procedure, con i vantaggi (e taluni rischi) poc’anzi evidenziati. Ciò che ancora realmente difetta, nel sistema delle fonti del diritto dedicate al pubblico impiego, è la multidisciplinarità; [continua ..]