Il contributo prende spunto dalla pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 16601/2017, che ha rivisto il principio della monofunzionalità compensativo-riparatoria del risarcimento, in favore della possibile polifunzionalità dello stesso in senso anche deterrente-sanzionatorio, per indagarne le eventuali ricadute in prospettiva giuslavoristica.
L’a. ha calato l’esame nel quadro degli orientamenti giurisprudenziali e degli indirizzi legislativi più recenti, giungendo ad individuare tendenze contrapposte: mentre il diritto vivente dimostra maggiori aperture a colorazioni in senso anche deterrente-sanzionatorio del risarcimento, gli interventi legislativi sono sempre più ispirati a finalità in parte confliggenti, legate all’esigenza di non gravare il datore di lavoro (in quest’ottica, il danneggiante) di conseguenze sanzionatorie troppo severe o imprevedibili.
Si è concluso che la giurisprudenza giuslavoristica, sensibile alle suggestioni offerte dalle aperture alla polifunzionalità del risarcimento del danno, dovrebbe usare prudenza nel trasporre gli esiti di tale principio nella nostra materia: gli sviluppi giurisprudenziali della polifunzionalità del risarcimento non sono generalizzabili e dovrebbero trovare fondamento e limite nel principio di legalità (come d’altronde affermato dalla stessa pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 16601/2017), per associarsi solamente a specifiche previsioni normative del diritto speciale in cui si possa (motivatamente) riconoscere una funzione di carattere anche deterrente-sanzionatorio.
The article takes its cue from the ruling of the Supreme Court no. 16601 of 2017, which revised the principle of monofunctionality of economic compensation in civil law, in favor of its possible uses also for deterrent and punitive purposes. The aim is to explore what are the repercussions of this new principle within the field of labour law.
The author has investigated the most recent case law and legislative trends, arriving at the identification of opposite trends: while the case law shows greater openness to the recognition of deterrent and punitive functions of economic compensation, legislative interventions are increasingly inspired by partly conflicting goals, in order to avoid placing an excessive burden on the employer.
It has been concluded that labour law judges, sensitive to the idea of multifunctionality of economic compensation, should be careful in transposing the results of this principle into our matter: the multifunctionality of compensation cannot be generalized and should be based and limited by the rule of law (as stated by the above mentioned decision no. 16601 of 2017), in order to be associated only with specific regulatory provisions of labour law in which the judge can (justifiably) recognize a function in terms of deterrence and sanction.
Keywords: damages – deterrence and punishment – “danno comunitario” – “danno in re ipsa” – all-inclusive compensation – statutory criteria for economic compensation – rule of law.
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1. Introduzione - 2. Le Sezioni Unite n. 16601/2017 nella recente giurisprudenza giuslavoristica - 3. Polifunzionalità del risarcimento e giurisprudenza: danno da illegittima stipulazione di contratti a tempo determinato, danno c.d. comunitario e danno in re ipsa - 4. Polifunzionalita' del risarcimento e legislatore: effettivita' della tutela, certezza e predeterminazione del 'costo' dei comportamenti datoriali contra ius - 5. Segue: I criteri normativi di quantificazione del danno legati al danneggiante; la sentenza n. 194 della Corte Costituzionale e l’art. 30, comma 3, legge n. 183/2010 - 6. Osservazioni conclusive - NOTE
La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 16601/2017 [1], in materia di delibazione di sentenze straniere che condannino al pagamento di punitive damages, ha catalizzato l’attenzione della dottrina civilistica per la forte portata innovativa che riveste, nel rivedere il principio della monofunzionalità compensativo-riparatoria del risarcimento in favore della possibile polifunzionalità dello stesso, in senso anche deterrente-sanzionatorio [2]. Il tema della funzione del risarcimento del danno è un argomento trasversale, che interessa l’intero ambito del diritto dei contratti e delle obbligazioni. Pertanto, è interessante domandarsi se ed in che modo il diritto del lavoro potrebbe incamerare le suggestioni offerte dalla pronuncia in parola o se la specialità della materia la renda impermeabile ai condizionamenti provenienti dal diritto comune in questo ambito. La dottrina giuslavoristica ha iniziato ad approcciarsi ai temi sollevati dalla sentenza n. 16601/2017 [3] ed alcune pronunce della giurisprudenza di merito e della Corte Costituzionale fondano talune argomentazioni proprio sui principi affermati da tale sentenza. Ripercorrendo tali recenti pronunce, come si vedrà, è possibile offrire qualche valutazione di carattere più generale, per capire, in una prospettiva de iure condito, se e quali conseguenze interpretative ed applicative i principi sanciti dalle Sezioni Unite possono avere nella nostra materia; ciò, pure alla luce della giurisprudenza giuslavoristica precedente alle Sezioni Unite del 2017, che da tempo manifestava qualche apertura a funzioni non solo compensative del risarcimento. Così, ci si può interrogare sull’impatto della pronuncia nel diritto del lavoro, disciplina in cui le esigenze sanzionatorio-deterrenti a favore del (lavoratore) danneggiato hanno lasciato il passo, almeno nelle recenti riforme legislative, alle esigenze di contenimento e prevedibilità del “costo” dei comportamenti del (datore di lavoro) danneggiante.
La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 16601/2017 è resa in materia di diritto internazionale privato: oggetto di causa era la possibilità per il giudice nazionale di delibare una sentenza pronunciata nello stato della Florida, che condannava l’autore del comportamento dannoso al pagamento di una somma di denaro a titolo di punitive damages [4]. La Corte di Cassazione, nel riconoscere la compatibilità dell’istituto nordamericano con l’ordine pubblico (ai sensi dell’art. 63, legge 31 maggio 1995, n. 218), ha l’occasione di analizzare il tema delle funzioni del risarcimento del danno e di discostarsi dall’orientamento tradizionale, che ne riconosceva la monofunzionalità in senso compensativo [5], per affermarne invece la polifunzionalità. Con tale pronuncia, quindi, la polifunzionalità del risarcimento, in qualche modo familiare al formante culturale dei giuslavoristi [6] e più discussa tra i civilisti [7], ha fatto breccia nel c.d. diritto comune. Smentito il principio della monofunzionalità del risarcimento, si riconosce ora che «accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria (…) è emersa una natura polifunzionale (…) che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva». Le Sezioni Unite fissano i limiti entro cui tale funzione “deterrente-sanzionatoria” può svolgersi: il principale è desunto dal principio di legalità ex artt. 23 e 25 Cost., che impone la necessità di un ancoraggio normativo per ogni prestazione patrimoniale di carattere sanzionatorio o deterrente. La Corte è quindi esplicita nel negare che la riconosciuta «curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici italiani (…) di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati», in assenza di una norma legislativa che lo preveda. I legami tra la pronuncia delle Sezioni Unite e la materia giuslavoristica si rendono evidenti già ad una prima lettura: per riconoscere la possibile polifunzionalità del risarcimento, la Corte di Cassazione richiama numerose disposizioni che, in vari settori dell’ordinamento, assegnano al risarcimento una funzione anche deterrente-sanzionatoria, e alcune di queste [continua ..]
La giurisprudenza giuslavoristica da tempo è sensibile all’esigenza di garantire una tutela risarcitoria effettiva al lavoratore danneggiato, avvicinandosi al principio, poi cristallizzato dalle Sezioni Unite n. 16601/017, che il risarcimento possa svolgere anche una funzione in senso lato sanzionatoria. In primo luogo, diverse pronunce hanno valorizzato la funzione sanzionatoria dell’indennità conseguente alla illegittima stipulazione di contratti a tempo determinato, prevista dall’art. 32, legge 4 novembre 2010, n. 183. Con tale norma, oggi trasfusa con qualche variante nell’art. 28, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il legislatore si è fatto carico delle istanze di certezza sollecitate dalla precedente applicazione delle regole risarcitorie di diritto comune, che esponevano il datore di lavoro privato a conseguenze risarcitorie difficilmente prevedibili e, in alcuni casi, di importo assai elevato. Accanto alla funzione di forfettizzare e limitare gli importi risarcitori, la Corte Costituzionale [17] ha riconosciuto in tale disciplina anche una funzione deterrente-sanzionatoria. Il diritto al risarcimento del danno, pur forfettizzato, è riconosciuto in via automatica al lavoratore, a prescindere da qualsiasi onere probatorio circa l’esistenza effettiva di un danno, ed in conseguenza del solo accertamento giudiziale della illegittima apposizione del termine (c.d. danno-evento). La Corte Costituzionale ha sottolineato il fatto che dall’indennità non può essere detratto l’aliunde perceptum: ciò le assegna una «chiara valenza sanzionatoria [essendo] dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per avere il lavoratore prontamente reperito una nuova occupazione» [18]. Tale valutazione è stata recentemente condivisa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 16601/2017. Inoltre, il riconoscimento di una funzione non solo compensativa del risarcimento si pone alla base della giurisprudenza in tema di illegittima stipulazione di contratti a tempo determinato nel pubblico impiego e di cd. danno comunitario. Come noto, le conseguenze della illegittima stipulazione di un contratto a termine nel pubblico impiego sono disciplinate dall’art. 36, d.lgs. n. 165/2001 [19]. Tale norma, al comma 5, esclude testualmente l’operatività della conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato, [continua ..]
Se la giurisprudenza giuslavoristica ha dimostrato qualche apertura alla funzione in senso lato sanzionatoria del risarcimento [32], un diverso filo conduttore sembra tuttavia ispirare gli interventi legislativi degli ultimi anni. In tale ambito, ricorre frequentemente l’uso del termine “indennità” [33], a cui viene spesso espressamente associata una funzione risarcitoria [34]: questo ne dimostra l’impiego in una accezione ampia, riferita a «tutte le ipotesi in cui si è tenuti ad una prestazione in denaro in considerazione del sacrificio, diminuzione o lesione dell’altrui interesse» [35]. L’impiego del termine “indennità”, in questi casi, denota «la volontà del legislatore di forfettizzare il danno, cioè di dettare un criterio vincolante di carattere speciale nella determinazione dello stesso» [36]. Come anticipato, la funzione anche deterrente-sanzionatoria del risarcimento è in qualche modo rinvenibile in norme fondative del diritto del lavoro: già l’indennità introdotta dall’art. 8 della legge n. 604/1966 era definita dalla dottrina in termini di penale [37], ed anche all’art. 18 della legge n. 300/1970, fin dalla formulazione originaria, nel fissare il limite minimo di cinque mensilità, era riconosciuta analoga funzione, considerato che tale importo spettava in qualsiasi caso al lavoratore illegittimamente licenziato, anche qualora il danno concretamente patito fosse stato di importo inferiore [38]; nella stessa direzione, spiccano i criteri normativi di quantificazione del risarcimento, che spesso guardano al danneggiante anziché al danneggiato, dichiarando così di voler graduare l’importo del risarcimento in funzione di finalità non solo compensative del danno [39]. Certo è, però, che la recente evoluzione legislativa ha valorizzato anche l’interesse datoriale di contenimento e predeterminazione del costo dei comportamenti contra ius. Così, il legislatore si è premurato di predisporre una disciplina rimediale speciale in cui si combinasse l’esigenza di garantire una tutela effettiva ai lavoratori (in quest’ottica, i danneggiati) con l’esigenza di non gravare i datori di lavoro (danneggianti) di conseguenze troppo severe o imprevedibili, in nome del comune interesse [continua ..]
Come anticipato, la funzione non solamente compensativa del risarcimento del danno nell’impianto legislativo è confermata anche dai criteri che, in alcuni casi, guidano il giudice nella relativa quantificazione. In particolare, quando si riferiscono alla sfera personale del datore di lavoro anziché a quella del lavoratore, dimostrano di voler graduare l’importo risarcitorio in base a elementi ulteriori rispetto al danno-conseguenza patito dal danneggiato. Certo è che tali criteri sono spesso calati in quantificazioni limitate nel massimo dal legislatore, come visto supra [51], con conseguente contenimento della funzione sanzionatoria ad essi attribuibile. In questo contesto, va richiamato innanzitutto l’art. 8, legge 15 luglio 1966, n. 604, che fa riferimento a criteri modulati sul danneggiante, quali il numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, le dimensioni dell’impresa e il comportamento e le condizioni di entrambe le parti del rapporto di lavoro. Con l’art. 30, comma 3, legge 4 novembre 2010, n. 183, tali criteri sono stati integrati (o specificati) [52] con quello delle dimensioni e condizioni dell’attività esercitata dal datore di lavoro, della situazione del mercato del lavoro locale e del comportamento delle parti anche prima del licenziamento, anch’essi in buona parte estranei alla sfera giuridica del danneggiato e alla stretta considerazione del danno-conseguenza. I criteri di cui all’art. 8, legge n. 604/1966 sono richiamati da diverse disposizioni [53] ed hanno ispirato quelli contenuti nell’attuale formulazione dell’art. 18, comma 5, Stat. lav. (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti). Il comma successivo ha invece introdotto un elemento di novità, legando la commisurazione del risarcimento per licenziamento affetto da vizi formali alla considerazione della «gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro», in ottica chiaramente sanzionatoria dell’inadempimento datoriale. Ancora, l’art. 18, comma 7, Stat. lav., relativo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, riconosce specifica rilevanza, oltre che alle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione, anche al comportamento delle parti nell’ambito della procedura [continua ..]
La funzione anche deterrente-sanzionatoria del risarcimento del danno era nota al diritto del lavoro già prima dell’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 16601/2017, che richiamano talune norme lavoristiche per fondare le proprie conclusioni. La polifunzionalità del risarcimento trova già fondamento, come visto supra [68], sia nell’art. 8, legge n. 604/1966, sia nella formulazione originaria dell’art. 18 Stat. lav., sia nei criteri normativi che guidano la quantificazione di diversi importi risarcitori. Negli interventi normativi più recenti, però, il legislatore si preoccupa di coniugare l’esigenza di garantire una tutela effettiva ai lavoratori con quella di non gravare i datori di lavoro di conseguenze troppo severe o imprevedibili, istanze a cui si aggiungono quelle di riduzione della discrezionalità giudiziale [69]. In quest’ottica si può inserire la previsione delle nuove indennità onnicomprensive, che dal 2010 hanno colonizzato gli ambiti più sensibili della materia, quali il contratto a termine, la somministrazione e i licenziamenti, con la novità di previsioni che fissano soli tetti massimi agli importi risarcitori (art. 18, comma 4, Stat. lav. e art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015). Se questa è la tendenza legislativa degli ultimi anni, maggiori aperture alla declinazione in chiave anche deterrente-sanzionatoria del risarcimento ha dimostrato, invece, la giurisprudenza [70]: questa ha riconosciuto curvature in senso non (solo) compensativo ai risarcimenti previsti in caso di illegittima stipulazione di contratti a termine, soprattutto nel settore pubblico [71], ed ha sperimentato ipotesi di danno in re ipsa slegate da specifiche disposizioni normative, ad esempio in materia di demansionamento e di danni derivanti dalla cd. usura psico-fisica. È in questo quadro che va calata la pronuncia n. 16601/2017, con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno aperto il diritto civile alla polifunzionalità del risarcimento, che si riconosce possa essere ispirato anche ad una funzione deterrente-sanzionatoria. Le Sezioni Unite sembrano offrire portata generale ad una costruzione che il diritto del lavoro già conosceva, ma che lo stesso diritto del lavoro sta aggiornando in nome di una maggiore valorizzazione delle istanze datoriali, onde evitare dilatazioni incontrollabili degli [continua ..]