Il saggio prende in esame le principali novità apportate dalla “Riforma Madia” (d.lgs. n. 74/2017, di attuazione della legge n. 124/ 2015) al sistema di valutazione della performance introdotto dalla “Riforma Brunetta” (d.lgs. n. 150/2009). L’A. ripercorre le fasi del ciclo della performance, dando conto delle modifiche da ultimo intervenute sul versante dei soggetti coinvolti e delle relative attribuzioni e responsabilità all’interno del processo della valutazione. Nelle conclusioni, l’A. riflette su alcune criticità che egli considera intrinseche al sistema, legate a fattori ambientali difficilmente regolabili con la leva della pressione competitiva, su cui, invece, il Legislatore, specie con la “Riforma Brunetta”, è parso riporre un’eccessiva fiducia.
The essay copes with the main innovations brought by “Madia Reform” (Legislative Decree No. 74/2017, in furtherance of Act No. 124/2015) to the Public Sector Employment Performance Evaluation System regulated by “Brunetta Reform” (Legislative Decree No. 150/2009). The A. provides an account of the different stage of the evaluation process, stressing the recent amendments on both the subjective and objective sides. In the final part of the essay, the A. points out that the system is featured by an intrinsic issue, which is related to societal variables which are hardly addressed by the competitive pressure utterly (i.e. excessively) promoted by the Italian Legislator, especially (but not exclusively) in the context of “Brunetta Reform”.
KEYWORDS: public sector employment – performance cycle – evaluation of personnel – merit – awards and penalties
1. Introduzione - 2. La definizione degli obiettivi: il Piano della performance - 3. Il monitoraggio (e gli eventuali correttivi) in corso di esercizio - 4. La misurazione e la valutazione della performance, organizzativa e individuale - 5. L’utilizzo dei sistemi premianti e, di converso, l’attivazione (teorica?) del meccanismo sanzionatorio - 6. Una chiosa finale - NOTE
Nel momento in cui si scrive, sono trascorsi poco più di dieci anni dalla “Riforma Brunetta”, tra le cui novità più significative e note si può sicuramente annoverare l’introduzione del ciclo della performance, tuttora regolato, non già all’interno del “Testo Unico del Pubblico Impiego” (d.lgs. n. 165/2001), bensì proprio dal titolo II del d.lgs. n. 150/2009, divenuto da ultimo oggetto delle modifiche ad opera della “Riforma Madia” e, in particolare, del d.lgs. n. 74/2017. Se lo scopo di migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa poteva ritenersi in nuce già a partire dalla prima fase del processo di privatizzazione del pubblico impiego, è da “appena” un decennio che la performance, una oscura [1] – o, comunque, tutt’altro che univoca [2] – nozione propria delle scienze aziendalistiche, è entrata nel novero dei “termini e concetti in senso stretto normativi” [3]. Animata da una chiara sfiducia nei confronti della fonte contrattuale (individuale e, soprattutto, collettiva) e protesa verso l’ampio ricorso all’unilateralità della legge [4], la novella del 2009 aveva sostanzialmente disatteso le istanze di libertà gestionale caratteristiche delle scienze aziendalistiche [5], a favore di un modello “manageriale di tipo neo-autoritario” [6], che però non ha visto completamente la luce. Come risaputo, infatti, la promessa rivoluzione copernicana ha incontrato sulla sua strada una serie di ostacoli, di natura endogena (la farraginosità del dato normativo e la resistenza sindacale), e pure esogena (la crisi economica ed il conseguente blocco della contrattazione), i quali hanno privato le amministrazioni dell’effettiva possibilità, tanto di premiare i meritevoli, quanto di punire i “fannulloni” [7]. In tale scenario, si colloca il recente intervento della “Riforma Madia”, orientato, a partire dalla legge delega n. 124/2015, non già allo stravolgimento, bensì allo snellimento ed al generale miglioramento dell’impianto precedente [8], entrato comunque “a regime”, a livello procedimentale, nelle singole amministrazioni [9]. Al fine di comprendere se – o, meglio, fino a che [continua ..]
Il ciclo di gestione della performance si apre con la definizione e con l’assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, dei valori attesi e dei relativi indicatori, anche sulla scorta dei risultati dell’anno precedente, così come documentati e validati nella relazione annuale sulla performance [11]. Gli obiettivi hanno un arco temporale triennale e devono risultare rilevanti e pertinenti rispetto ai bisogni della collettività, specifici e misurabili, utili al miglioramento della qualità dei servizi erogati, commisurati agli standard nazionali ed internazionali [12]. Significativamente, la novella del 2017 ha precisato che gli stessi si articolano in generali e specifici [13]. I primi, connessi alle politiche pubbliche nazionali e determinati con apposite linee guida adottate su base triennale con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, “identificano … le priorità strategiche delle pubbliche amministrazioni in relazione alle attività e ai servizi erogati, anche tenendo conto del comparto di contrattazione di appartenenza e in relazione anche al livello e alla qualità dei servizi da garantire ai cittadini” [14]. I secondi, invece, riguardanti le singole amministrazioni ed individuati nel Piano della performance di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 150/2009 [15], “sono programmati, in coerenza con gli obiettivi generali, su base triennale e definiti, prima dell’inizio del rispettivo esercizio, dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, sentiti i vertici dell’amministrazione che a loro volta consultano i dirigenti o i responsabili delle unità organizzative”. In proposito, va segnalato come una novità importante riguardi il previsto coordinamento temporale tra il piano della performance ed il ciclo di bilancio [16], che, nel riflettere la connessione tra la performance e l’allocazione delle risorse, risulta essenziale per il corretto espletamento della funzione premiale del procedimento [17], sulla quale si avrà modo di tornare infra. Ciò premesso, è evidente come nella fase di definizione degli obiettivi risulti tutt’ora preminente il ruolo del soggetto politico, nonostante la significativa funzione consultiva attribuita alla dirigenza [18], la quale, (pure) sotto tale frangente, si pone [continua ..]
Una volta definiti gli obiettivi da parte dell’organo politico, nel suo dialogo con la dirigenza, il ruolo chiave nella successiva fase di monitoraggio è assunto da un altro soggetto, ossia dall’organismo indipendente di valutazione (OIV), sul quale la “Riforma Madia” è intervenuta ampiamente, al punto da ridisegnarne la composizione, i poteri e le responsabilità [23]. Nell’ottica di rafforzare, sulla scia del d.P.R. n. 105/2016 (emanato in attuazione del d.l. n. 90/2014), la terzietà dell’organismo [24], si è istituito un elenco nazionale dal quale le amministrazioni, singolarmente o in forma associata, debbono individuare, previa procedura selettiva pubblica, i nominativi dei – normalmente, tre – componenti dell’organismo in parola, i quali sono tenuti all’aggiornamento professionale ed alla formazione continua. Nonostante il condivisibile intendimento di preservare l’indipendenza dell’OIV, pare difficilmente revocabile in dubbio che l’organismo in parola abbia però mantenuto un significativo legame con la politica [25]. Da un lato, esso rientra nell’orbita del Dipartimento della Funzione Pubblica [26], che “assicura la corretta istituzione e composizione degli organismi indipendenti di valutazione”. Dall’altro lato, i componenti dell’OIV vengono nominati dal vertice politico-amministrativo, ovvero dallo stesso soggetto la cui attività il primo è chiamato a verificare e validare [27], per quanto il legislatore abbia opportunamente chiarito che i componenti dell’OIV non possano essere nominati tra i dipendenti dell’amministrazione interessata [28]. Se la nomina reca con sé i rischi di una indebita “fidelizzazione”, si sarebbe forse potuto, in alternativa, introdurre un meccanismo di sorteggio, che, tuttavia, avrebbe comportato un aggravio in termini di costi ed adempimenti in capo alle amministrazioni. Tornando alle funzioni di monitoraggio, è compito dell’OIV, che dispone dei poteri di accesso a tutti gli atti e documenti che possano rendersi utili all’espletamento dei compiti (luoghi virtuali e fisici, documenti contabili e fiscali), verificare l’andamento della performance “in corso d’opera”, segnalando la necessità di correttivi all’organo di indirizzo politico, [continua ..]
In base all’art. 3, comma 2, d.lgs. n. 150/2009, ogni amministrazione pubblica è tenuta a misurare ed a valutare la performance con riferimento all’amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o alle aree di responsabilità in cui si articola e ai singoli dipendenti [31]. La misurazione e la valutazione della performance, che avviene sulla scorta di un atto di macro-organizzazione – il sistema di misurazione e di valutazione della performance – adottato in coerenza con gli indirizzi impartiti dal Dipartimento della Funzione pubblica [32], aggiornato annualmente dalle amministrazioni e sul quale l’OIV ha il compito di esprimere un parere vincolante [33], opera secondo un meccanismo “a cascata”, tale per cui il livello sovra-ordinato si esprime su quello sotto-ordinato [34]. In particolare, l’OIV, oltre a misurare e valutare la performance organizzativa di ciascuna struttura amministrativa nel suo complesso, propone all’organo di indirizzo politico la valutazione della performance dei dirigenti di vertice, i quali hanno il compito di valutare la dirigenza non apicale, sulla quale poi ricade la valutazione del personale [35]. A monte, però, si colloca la dirimente distinzione tra la performance organizzativa e la performance individuale [36]. La prima, le cui valutazioni sono predisposte sulla base di appositi moduli definiti dal Dipartimento della Funzione Pubblica [37], concerne, inter alia, il conseguimento di obiettivi collegati ai bisogni e alle esigenze della collettività [38] e, soprattutto, “il grado di soddisfazione dei destinatari delle attività e dei servizi”, il quale deve essere rilevato “anche attraverso modalità interattive” [39]. Sotto questo aspetto, la “Riforma Madia” ha opportunamente riconosciuto un autonomo spazio di voice ai cittadini ed agli utenti a favore dei quali i servizi dell’amministrazione vengono resi [40]. Costoro partecipano, infatti, alla valutazione della performance organizzativa dell’amministrazione fornendo all’OIV, con il quale operano in “linea diretta” [41], la propria opinione (i.e. il proprio grado di soddisfazione) circa l’attività ed i servizi erogati dalla struttura [42]. A tale riguardo, si sarebbe forse potuto [continua ..]
Il conseguimento degli obiettivi, nel rispetto delle disposizioni del d.lgs. n. 150/2009, è condizione necessaria per il riconoscimento delle progressioni economiche, dell’attribuzione di incarichi di responsabilità al personale, nonché del conferimento degli incarichi dirigenziali [50]. Senza entrare nell’esame dei singoli istituti [51], è possibile affermare che, all’esito dell’ultima riforma, risulta sempre più evidente e marcato il filo rosso che collega la performance al trattamento economico accessorio e, dunque, alla contrattazione integrativa. A differenza del settore privato, ove la – eventuale – previsione di una retribuzione variabile è lasciata all’autonomia delle parti (collettive e individuali, sempre nei limiti dell’art. 36 Cost.) [52], nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni la legge impone alla contrattazione integrativa di trattare la materia della retribuzione collegata alla performance, cui deve essere destinata una quota prevalente delle risorse stanziate per i trattamenti accessori [53]. In altri termini, in forza di un espresso e preciso “mandato” del legislatore, il trattamento accessorio si pone in connessione con una nozione, quella di performance, che trascende il contributo del singolo lavoratore, sotto questo aspetto ponendosi, almeno in parte, fuori dal controllo di quest’ultimo [54]. Ciò però non significa peraltro che la performance costituisca un indice metrico dell’adempimento della prestazione lavorativa [55]. Del resto, la cristallizzazione del divieto di distribuzioni di incentivi e premi “a pioggia” (ossia in maniera indifferenziata o sulla base di automatismi), per quanto animata pure da ovvie finalità di risparmio per l’erario [56], funge proprio, a livello sistematico, da garanzia del collegamento effettivo (i.e. accertabile [57] e trasparente [58]) tra l’extrapay [59] e l’extraperformance [60]. Quanto sinora osservato, che appare coerente con la logica e la cultura del merito che anima il processo di valutazione [61], trova – almeno teoricamente, o, meglio, virtualmente – un riscontro sull’opposto versante del demerito. Infatti, come si legge nel comma 5-bis dell’art. 3, d.lgs. n. [continua ..]
Alla luce dell’analisi sinora condotta, si può affermare che la “Riforma Madia”, sulla scia delle modifiche che il legislatore ha apportato al sistema delle fonti, volte al riequilibrio del rapporto tra la legge e la contrattazione collettiva, ha corretto o, meglio, mitigato una buona parte delle asprezze e degli “eccessi produttivistici” che avevano caratterizzato – e, forse, segnato lo stesso destino – della “Riforma Brunetta” [78]. Al contempo, però, non può sottacersi di come il dato normativo tuttora contempli una procedura farraginosa ed ultra-regolata [79], che non pare conforme all’idea di performance che, in ambito privato, si associa alla snellezza ed alla flessibilità organizzativa [80]. Ciò non toglie che, come rilevato da più parti, il ciclo della performance ha indubbiamente apportato dei benefici alle amministrazioni, in termini di sviluppo organizzativo [81] e di miglioramento dei servizi offerti alla collettività [82], avendole costrette a progettare traiettorie e strategie di lungo periodo, ossia a “ragionare” per obiettivi e non (solo) per atti [83]. Eppure, agli occhi di chi scrive non risulta del tutto chiaro se la valutazione induca (o, comunque, agevoli) ex ante o, di converso, rifletta ex post un miglioramento organizzativo, che, intuitivamente, sembra dipendere, almeno in parte, da variabili esogene. Senza entrare nel merito di una questione che interessa da vicino la letteratura aziendalistica, la quale ha peraltro avuto modo di recente di osservare come, in taluni casi, i risultati positivi vengano raggiunti “nonostante [e non grazie a] l’organizzazione” [84], sia sufficiente, ai presenti fini, osservare come tale irrisolto interrogativo generi degli ulteriori dubbi circa l’opportunità della “tensione competitiva” – tra lavoratori, così come tra amministrazioni [85] – che pare segnare una marcata linea di continuità tra la “Riforma Brunetta” e la “Riforma Madia”. Si pensi, in particolare, alle disposizioni che, da un lato, vincolano il contratto nazionale a fissare criteri idonei a garantire che alla “significativa differenziazione” dei giudizi operati in seno a ciascuna amministrazione corrisponda [continua ..]