Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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La negoziazione assistita da avvocati nelle controversie di lavoro (di Valentina Zaccarelli, Avvocato del Foro di Modena)


L’articolo tratta del recente (nuovo) strumento di composizione stragiudiziale delle controversie in materia di lavoro: la negoziazione assistita da avvocati. Ricostruito il percorso storico dell’istituto, l’Autrice si concentra sullo svolgimento del procedimento, per poi soffermarsi su alcuni aspetti particolari e, infine, illustrare la estensione alle controversie in materia di lavoro. Tuttavia, anche secondo l’Autrice, si tratta della formalizzazione di una prassi degli avvocati giuslavoristi già in atto da tempo.

Lawyer – assisted negotiations in labour law disputes

The essay concerns the recent lawyer – assisted negotiations in labour matters. Analysing the history of the institute, the Author deals with the development of this proceeding, focusing on some aspects of the lawyer – assisted negotiations. Then, the Author explains the extension of the lawyer – assisted negotiation to the labour law disputes. However, even the Author thinks this extension is a mere formality of a usual procedure already practised by labour lawyers.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La negoziazione assistita da avvocati: brevi cenni storici - 3. La procedura di negoziazione assistita da avvocati - 4. Alcune particolarità dell’istituto - 5. La estensione della negoziazione assistita da avvocati alle contro-versie in materia di lavoro - 6. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

Con la introduzione dell’art. 2 ter al d.l. n. 132/2014, la negoziazione assistita da avvocati è stata estesa alle controversie in materia di lavoro. Si tratta di un risultato atteso da molti anni (più di venti), ma che non fa altro che disciplinare una prassi da tempo consolidata, vale a dire l’assistenza degli avvocati nella conciliazione delle controversie in materia di lavoro e la conclusione dei relativi accordi da parte degli avvocati medesimi.


2. La negoziazione assistita da avvocati: brevi cenni storici

«Nell’intento (ma sarebbe meglio dire, illusione) di restituire efficienza e dinamicità al sistema, cronicamente congestionato, della giustizia civile italiana, deviando una quota del contenzioso naturaliter destinato ad affollare le aule dei tribunali entro l’alveo dei meccanismi di composizione alternativa delle liti)» [1], il d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162) ha introdotto un nuovo istituto di risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale: la negoziazione assistita da avvocati. La negoziazione assistita si inserisce nell’ambito delle conciliazioni endoprocessuali, «a) vuoi in relazione all’attitudine (…) ad incidere sul normale andamento del giudizio contenzioso; b) vuoi, ancora, in forza delle ricadute che il comportamento tenuto dalle parti in corso o a monte della procedura può avere su determinati contenuti della decisione finale del giudice (...); c) vuoi, infine, alla stregua della disciplina che preclude l’utilizzazione in sede contenziosa del materiale latu sensu informativo cui l’attività di negoziazione abbia del caso messo capo (…)» [2]. Dal punto di vista storico, la introduzione dell’istituto «sembra rappresentare una risposta alle istanze di quella parte dell’avvocatura italiana che da tempo lamentava la scarsa considerazione, a livello normativo, del ruolo prezioso, se non indispensabile, che gli avvocati possono svolgere nell’ambito delle procedure alternative di risoluzione autonoma delle controversie. Tra le cause alle radici di quelle istanze, o rivendicazioni (…), era, indiscutibilmente, anche quella sostanziale marginalizzazione di cui il ceto forense era stato, per così dire, “vittima” in sede di disciplina del procedimento di mediazione ex d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che non prevedeva in quella sede un obbligo di patrocinio in senso tecnico (…)» [3]. Peraltro, «risponde al comune sentire che un’adeguata valorizzazione del ruolo degli avvocati nell’ambito della composizione in via alternativa delle controversie passi necessariamente attraverso il confronto e la cooperazione diretto/a dei medesimi al tavolo delle trattative, senza alcuna forma di interposizione di soggetti terzi, come quella paradigmaticamente espressa dal [continua ..]


3. La procedura di negoziazione assistita da avvocati

La prima fase si sostanzia nella informativa: è dovere deontologico dell’av­vocato, all’atto del conferimento dell’incarico, informare la parte assistita della possibilità di ricorrere alla procedura di negoziazione assistita per la soluzione (bonaria) della controversia [1]. Invero, vi sono casi in cui l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita da avvocati è condizione di procedibilità della domanda giudiziale [2], ma sono esclusi da tale condizione, per quanto di interesse, i procedimenti relativi alle controversie in materia di lavoro [3]. Nell’ambito della negoziazione assistita “volontaria”, la procedura può iniziare con la trasmissione di una parte all’altra dell’invito a stipulare una convenzione di negoziazione. L’invito (assoggettato al medesimo regime di forma in senso stretto che contraddistingue la convenzione del suo complesso [4], v. infra) deve indicare l’oggetto della controversia (e non anche le ragioni, pure in diritto, a fondamento della pretesa [5]) e deve contenere l’avvertimento che la mancata risposta allo stesso entro il termine di trenta giorni (di calendario) dalla ricezione o il suo rifiuto possono essere valutati dal giudice ai fini sia della liquidazione delle spese del giudizio, sia della responsabilità aggravata disciplinata dai primi tre commi dell’art. 96 c.p.c. sia della esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo prevista dal comma 1 dell’art. 642 c.p.c. [6]. L’invi­to deve essere sottoscritto dalla parte [7] e la certificazione dell’autografia della firma avviene a opera dell’avvocato che formula l’invito medesimo [8]. Nulla ha disposto il legislatore in merito alle modalità di trasmissione dell’invito. Quindi, le parti beneficiano di libertà di forme, ferma la esigenza di assicurare la certezza in ordine alla data di effettiva ricezione da parte del destinatario [9]. Qualora l’altra parte accetti l’invito, a sua volta essa trasmetterà alla controparte un atto di adesione [10], il quale «soggiace ai medesimi requisiti di forma in senso stretto che attengono all’invito medesimo e così, al pari di quest’ultimo, deve rivestirsi di forma scritta ed essere suggellato dalla duplice sottoscrizione della parte e dell’avvocato che [continua ..]


4. Alcune particolarità dell’istituto

Qualora la procedura si svolga in modalità telematica, ogni atto del procedimento, ivi compreso l’accordo conclusivo, deve essere formato e sottoscritto nel rispetto delle disposizioni del cosiddetto codice dell’amministrazione digitale [1]. Nel dettaglio, la sottoscrizione analogica dell’accordo è certificata dagli avvocati con firma digitale o con altro tipo di firma elettronica qualificata o avanzata, nel rispetto delle regole tecniche del comma 1 bis dell’art. 20 del citato codice dell’amministrazione digitale [2]. Inoltre, ciascun atto del procedimento deve essere trasmesso mediante posta elettronica certificata o tramite altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato, secondo quanto previsto dalla normativa (anche regolamentare) in materia di trasmissione e di ricezione dei documenti informatici [3]. Gli incontri possono svolgersi con collegamento audiovisivo a distanza; i sistemi di collegamento utilizzati devono assicurare la contestuale, effettiva e reciproca udibilità e visibilità delle persone collegate. In ogni caso, ciascuna parte può chiedere di partecipare da remoto o in presenza [4]. Invece, non può essere svolta con modalità telematiche, né con collegamenti audiovisivi a distanza l’acquisizione delle dichiarazioni dei terzi [5]. Dal momento della comunicazione dell’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione medesima si producono sulla prescrizione gli stessi effetti interruttivi della domanda giudiziale [6] e, dalla stessa data, è impedita, per una sola volta, la decadenza [7]. Nella ipotesi in cui l’invito sia rifiutato o non sia accettato nel termine di trenta giorni, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati [8]. In materia di licenziamenti, «ciò vuol dire che, per interrompere il decorso del primo termine di decadenza stragiudiziale, è sufficiente trasmettere alla controparte l’invito alla negoziazione assistita. Più difficile definire il rispetto del secondo termine di decadenza, ovvero quello giudiziale dei 180 giorni: qui potrebbe ritenersi che, se l’invito alla negoziazione assistita venga [continua ..]


5. La estensione della negoziazione assistita da avvocati alle contro-versie in materia di lavoro

La estensione della negoziazione assistita da avvocati alle controversie in materia di lavoro «è una vecchia richiesta dei giuslavoristi, che avevano sempre osservato come l’espressa esclusione delle vertenze di lavoro dalla legge n. 162/2014 costituisse in realtà un autentico vulnus per l’intera avvocatura, e senza peraltro che vi fosse alcuna effettiva ragione per tale esclusione» [1]  [2]. Prima ancora, nella sua relazione in data 23 ottobre 1999 al Convegno di studi «Una politica per la giustizia, una giustizia per il cittadino» [3], il Professore Giorgio Ghezzi proponeva una integrazione all’ultimo comma dell’art. 2113 c.c.; in particolare, Ghezzi riteneva opportuno aggiungere queste parole: «nonché alla conciliazione intervenuta con l’assistenza dei difensori». Ciò in quanto si potevano distinguere sedi di conciliazione in cui potevano rilevare interessi anche superindividuali, avendo riguardo, se del caso, alla possibilità di porre rimedio a contrasti intervenuti sul piano collettivo, e sedi di conciliazione in cui veniva in rilievo la sola rappresentanza degli interessi individuali in conflitto. A fronte della predetta distinzione, Ghezzi suggeriva di ammettere, nell’ambito degli organismi conciliativi innanzi ai quali veniva in gioco solo la tutela dell’interesse individuale, anche i difensori del lavoratore, poiché se ciò che deve essere garantito è «la possibilità del lavoratore, anche autonomo, di ponderare la sua scelta, l’avvocato ha una inevitabile propensione per tale attività, per la quale ha non solo una vocazione professionale, ma una competenza qualificata» [4]. D’altro canto, «la limitazione alla inoppugnabilità delle conciliazioni è sempre stata individuata, nel caso della sede sindacale per essere il sindacato stesso “ontologicamente” costituito a protezione dell’interesse del lavoratore; laddove negli altri casi la presenza del “terzo imparziale” sarebbe da garanzia per il lavoratore. Sempre nell’ottica che vede lo stesso quale soggetto debole del rapporto contrattuale e necessitante quindi di una assistenza nel momento abdicativo dei propri diritti. (…) Ma ci si è ovviamente chiesti se davvero si può presumere che il lavoratore sia meno garantito se nella [continua ..]


6. Conclusioni

Dal punto di vista storico, la «introduzione di meccanismi conciliativi si manifestò come l’istanza originaria di regolazione del lavoro: in quello scenario, di fronte alla febbre sociale dovuta al selvaggio sfruttamento del lavoro, conciliazione faceva rima con pacificazione» [1]. Le parti avevano necessità di «un luogo per ragionare e una ragione per incontrarsi» [2]. Peraltro, «l’ausilio di determinati soggetti», quali il giudice, il conciliatore sindacale o la commissione di conciliazione, erano e sono tutt’ora reputati «in grado di depurare l’atto dalle “conseguenze negative proprie dello stato d’infe­riorità del lavoratore uti singulus”, riconsegnando all’autonomia individuale (purché assistita) quel potere dispositivo generalmente riconosciuto al titolare di un diritto soggettivo in fase di godimento del diritto, quando esso è già maturato ed entrato nel patrimonio” [3]. Per l’effetto, «non è la conciliazione in sé a giustificare la validità delle rinunzie e transazioni, ma la conciliazione in quanto riesca a rimuovere quel deficit che lo stesso legislatore – evidentemente – assume come ratio del generale regime di invalidità di tali atti» [4]. Negli anni vi è stata una «sensibile proliferazione delle cosiddette sedi protette» [5], motivo per cui parte della dottrina fa riferimento (in modo forse eccessivo) al mondo delle conciliazioni «come un mercato animato da sedi tra loro concorrenti, chiamate ad offrire un servizio al lavoratore» [6]. Da ultimo, è stata introdotta la procedura di negoziazione assistita da avvocati, la quale «non fa poi altro che riconoscere e formalizzare una prassi già in atto, che vede le fasi davvero essenziali della conciliazione stessa esaurite (…) nelle trattative tra i legali e (…) “nella tranquillità dei loro studi”» [7]. Dunque, non si può «lamentare una sorta di lesa maestà sindacale» [8], fermo il fatto che questa procedura di risoluzione delle controversie in via stragiudiziale è «aggiuntiva e non sostitutiva della conciliazione sindacale» [9]. «Anzi, occorre augurarsi che la negoziazione assistita possa aiutare a contrastare il [continua ..]


NOTE