Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Libertà di iniziativa economica e nuovi spazi di controllo giudiziale (di Michele Giaccaglia, Assegnista di ricerca in diritto commerciale dell’Università Politecnica delle Marche e Avvocato del foro di Roma)


Scopo del presente lavoro è quello di comprendere se siano individuabili, nel nostro ordinamento, strumenti di tutela dei lavoratori in caso di crisi d’impresa, trasferimenti d’azien­da o delocalizzazioni, che consentano di attribuire al giudice del lavoro, adito ai sensi dell’art. 28 st. lav., poteri attivi simili a quelli che gli artt. 2086, comma 2, 2409 c.c. e artt. 21 ss. C.C.I.I. gli attribuiscono. Lo si tenta di fare nella consapevolezza, da un lato, che il giudice non può sindacare il merito delle scelte gestorie, ma deve limitarsi a verificare la corretta procedimentalizzazione del processo decisionale seguito dagli amministratori; e, dall’altro, che i confini di tale distinzione sono in ogni caso tanto labili quanto dibattuti, in particolare con riferimento alle scelte di natura organizzativa dell’organo gestorio.

Freedom of economic initiative and new areas of judicial control

The aim of this work is to understand whether, in our legal system, instruments for the protection of workers in the event of company crisis, company transfers or relocations can be identified, which allow attribution to the labor judge, seised pursuant to the art. 28 st. lav., active powers similar to those that the articles 2086, second paragraph, 2409 of the Civil Code and articles 21 C.C.I.I. attribute to him. The attempt to do this will be developed in the awareness, on the one hand, that the judge cannot review the merit of management choices, but must limit himself to verifying the correct proceduralisation of the decision-making process followed by the directors; and, on the other hand, that the boundaries of this distinction are in any case as labile as they are debated, in particular with reference to the organizational choices of the management.

SOMMARIO:

1. Sull’iniziativa economica privata ed i suoi limiti. Una premessa - 2. La normativa anti-delocalizzazione e i provvedimenti del giudice ex art. 28 st. lav. - 3. Il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. come possibile contrasto alla pratica delle delocalizzazioni - 4. Cenni sul ruolo del giudice nella composizione negoziata della crisi e il controllo sulle scelte dell’imprenditore in bonis - 5. La discrezionalità dell’imprenditore e il nuovo art. 2086, comma 2 c.c. - 6. Spunti conclusivi - NOTE


1. Sull’iniziativa economica privata ed i suoi limiti. Una premessa

La libertà di iniziativa economia privata [1], prevista all’art. 41, comma 1, Cost., valorizza il ruolo dell’impresa e dell’imprenditore per lo sviluppo economico del sistema paese ed è idonea a delineare quelli che sono i poteri organizzativi e gestori dell’imprenditore, il quale è (tendenzialmente) libero di assumere le scelte che ritiene più opportune in ordine alla struttura e all’organiz­zazione dell’impresa [2]. Il contesto in cui la libertà di impresa si inserisce è, dunque, quello disegnato dall’art. 41 Cost. [3] (e dall’art. 2086, comma 1 c.c. [4]), che quindi rappresentano il fondamento dei più significativi poteri dell’imprenditore, quali quello direttivo, quello di controllo, quello di predisporre norme interne di organizzazione, quello disciplinare. Non si vuole tacere, seppur non ci si soffermerà ampiamente, necessitando tale sforzo ben altre consapevolezze teoriche, sulla sempre più consistente presenza di regole inderogabili che limitano l’iniziativa economica privata ed i correlati poteri dell’imprenditore. Le norme che disciplinano l’iniziativa economica privata sono, infatti, innanzitutto limitate dallo stesso art. 41, commi 2 e 3 Cost., e vanno lette ed interpretate alla luce delle previsioni che escludono che il potere di iniziativa dell’imprenditore possa essere inteso come puramente discrezionale o arbitrario [5], tra le quali spicca, per importanza, la legge n. 300/1970 (c.d. Statuto del lavoratori) che, con l’introduzione di una più intensa tutela dei valori di libertà e dignità dei lavoratori, ha sicuramente attenuato la portata precettiva anche dell’art. 2086, comma 1. L’art. 41 Cost. contiene, insomma, tre diversi ed altrettanto importanti principi/disposizioni. Il primo dei quali afferma il principio della libertà di iniziativa economica privata; il secondo indica le limitazioni a cui tale iniziativa è sottoposta [6]; il terzo individua le modalità di intervento pubblico necessario affinché l’attività economica possa essere indirizzata e coordinata. Scopo del presente contributo è quello di approfondire lo studio del sistema di controlli esterni predisposto dal legislatore nei confronti della gestione dell’attività di impresa. Esso si giustifica e, [continua ..]


2. La normativa anti-delocalizzazione e i provvedimenti del giudice ex art. 28 st. lav.

Con il termine “delocalizzazione” si fa riferimento ad un fenomeno che consiste, sintetizzando al massimo, nello spostamento (con conseguente cessazione [1]) dell’attività produttiva di un’impresa da un luogo ad un altro, dove l’imprenditore può conseguire un risparmio di costi rispetto al luogo di provenienza [2]. Si tratta di una fattispecie già nota da tempo [3], e che da sempre interessa il legislatore [4] e (pre)occupa, soprattutto, il giuslavorista [5], visti gli effetti che tali processi provocano in punto di riduzione dei livelli produttivi ed occupazionali [6]. Le modalità attraverso le quali il legislatore è, appunto, intervenuto, nel tempo, per, quantomeno, (tentare di) regolare il fenomeno, e sulla cui concreta effettività gli studiosi si sono sempre interrogati [7], si sono ridotte, nella maggior parte dei casi, alla previsione di forme di informazione e consultazione dei lavoratori, che precedono ed affiancano tutte quelle scelte imprenditoriali che sono capaci di incidere negativamente sugli interessi di questi [8]. Anche la recente normativa c.d. “anti-delocalizzazioni”, introdotta dalla legge n. 234/2021, e successivamente modificata e integrata dal d.l. n. 144/2022 (c.d. Decreto Aiuti-ter), è stata concepita con lo scopo di salvaguardare l’oc­cupazione e il tessuto economico-produttivo italiano, regolando il fenomeno di cui si discute [9]. Nell’ambito della procedura finalizzata alla «chiusura di una sede, di uno stabilimento, di una filiale, o di un ufficio o reparto autonomo situato nel territorio nazionale, con cessazione definitiva della relativa attività e con licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50», disciplinata dai commi 224 ss. dell’art. 1 della menzionata legge n. 234/2021, infatti, assume rilievo la consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali e delle associazioni sindacali di categoria comparativamente più rappresentative sul piano nazionale [10]. In avvio della procedura, l’impresa deve presentare un piano che deve contenere innanzi tutto la comunicazione dell’intenzione di procedere alla cessazione dell’attività o riduzione o più specificatamente delocalizzazione, indicando una serie di elementi: i provvedimenti che si intendono adottare per limitare le ricadute [continua ..]


3. Il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. come possibile contrasto alla pratica delle delocalizzazioni

Accanto agli strumenti di controllo interni alla società, l’art. 2409 c.c. [1] prevede e disciplina l’attivazione del controllo giurisdizionale sull’attività irregolare eventualmente tenuta dagli amministratori, stabilendo che, quando vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società, tali fatti possono essere denunciati al tribunale. Come è noto, la norma è applicabile alle società per azioni, alle società in accomandita per azioni [2], alle società cooperative [3] e, in virtù delle modifiche introdotte dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (c.d. codice della crisi e dell’in­solvenza [4]), che ha introdotto l’art. 2476 c.c., trova adesso applicazione anche nei confronti delle s.r.l., a prescindere dalla presenza, o meno, di un organo di controllo [5]. Indipendentemente dallo spettro applicativo, che potrà incidere, semmai, nella valutazione del singolo caso concreto, qui interessa rilevare come l’istituto in esame consenta un intervento dell’autorità giudiziaria nell’ambito della vita della società, diretto ad accertare la correttezza della gestione attuata dagli amministratori. Si tratta di una fattispecie che assume evidente interesse ai fini della presente trattazione in quanto l’art. 2409 c.c. rappresenta l’unico rimedio al quale i soggetti legittimati ad agire (soci di minoranza qualificata [6], collegio sindacale, consiglio di sorveglianza, comitato per il controllo sulla gestione e, per le società che ricorrono al capitale di rischio, anche il pubblico ministero) possono ricorrere al fine di risolvere le problematiche insorte, manente societate, quando siano già stati esperiti i tentativi di risoluzione ordinaria di tali controversie, c.d. endosocietari [7]. Nell’ottica di comprendere se al giudice adito ex art. 2409 c.c. possa essere attribuito un potere di sostituzione dell’imprenditore anche nel caso in cui decida lo spostamento (con conseguente cessazione) dell’attività produttiva dell’impresa, vanno necessariamente chiariti alcuni aspetti relativi alla norma menzionata. Innanzitutto, ed è probabilmente la questione più rilevante, va correttamente individuato il fondamento [continua ..]


4. Cenni sul ruolo del giudice nella composizione negoziata della crisi e il controllo sulle scelte dell’imprenditore in bonis

Gli artt. 12 ss. del d.lgs. n. 14/2019, così come modificato dal d.l. n. 118/2021 e poi dall’art. 6, comma 1 del d.lgs. n. 83/2022, disciplinano un istituto particolare, la composizione negoziata della crisi [1], che non rientra tra le procedure concorsuali [2], si caratterizza per la spiccata agilità ed economicità [3] e valorizza la negozialità [4], consentendo all’imprenditore, con l’assisten­za di un esperto [5] (il quale non si sostituisce all’imprenditore, ma lo affianca, fornendogli la professionalità e le competenze necessarie per la ricerca di una soluzione della situazione di difficoltà dell’impresa e facilitando il dialogo con tutte le parti coinvolte nel processo di risanamento dell’impresa), di raggiungere accordi di risanamento con i propri creditori, dando rilievo allo stato di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (c.d. pre-crisi) [6]. Poiché la delocalizzazione è fenomeno che si manifesta, l’abbiamo detto, (anche) attraverso la cessazione di una attività di impresa, può venire ad intrecciarsi con la composizione negoziata della crisi, così ponendo seri dubbi anche sulla effettività dei rimedi previsti dall’art. 1 della menzionata legge n. 234/2021. Per due ordini di ragioni. Innanzitutto, la spiccata negozialità della procedura di composizione negoziata si manifesta nella (tendenziale) assenza di alcun intervento eteronomo [7], con la conseguenza che la stessa ben potrebbe essere condotta e conclusa solo per il tramite dell’attività dell’esperto. Tale circostanza ben può consentire azzardi da parte dell’imprenditore che, accedendovi, consegue una serie di benefici, quali misure protettive e cautelari (art. 18 codice della crisi), sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione (art. 20 codice della crisi), conservazione degli atti e pagamenti posti in essere durante le trattative (art. 24 codice della crisi) e, soprattutto, rimanendo in bonis, mantiene in capo a sé i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione dell’impresa (art. 21 codice della crisi e art. 2086 c.c.), senza che, però, a tali benefici faccia da contrappeso il classico presidio giudiziale ed il conseguente rischio dell’apertura della liquidazione giudiziale in caso di comportamenti scorretti [8]. In tale delicata [continua ..]


5. La discrezionalità dell’imprenditore e il nuovo art. 2086, comma 2 c.c.

Nel discorso che si sta svolgendo, e con particolare riguardo all’attività economica privata ed i suoi limiti, si inserisce, oggi, anche il nuovo art. 2086, comma 2 c.c., ed è quindi interessante cercare di comprendere, come è già stato fatto [1], se in tale norma, oltre ad individuare, in capo all’imprenditore [2], l’obbligo di istituire assetti adeguati possa essere rinvenuta la tutela di interessi diversi ed altri rispetto a quelli dei soli soci o creditori dell’impresa, quali sono (anche) quelli dei lavoratori che fanno parte dell’organizzazione dell’im­presa per effetto della stipulazione del contratto di lavoro. Per fornire risposta positiva al quesito va innanzitutto rilevato come non sia certamente un caso che, rispetto alla versione originaria della norma, rubricata “Direzione e gerarchia nella impresa”, che definiva l’imprenditore come capo dell’impresa [3], e configurava in termini di mera gerarchia il rapporto con i collaboratori, il già menzionato d.lgs. n. 14/2019, oltre ad aver inserito il ridetto nuovo comma 2, abbia anche sostituito la titolazione dell’articolo che oggi fa riferimento, appunto, alla “Gestione dell’impresa”, così attribuendo una maggiore rilevanza al rapporto di collaborazione con i lavoratori. Ancora, la collocazione della norma tra le disposizioni codicistiche che disciplinano il rapporto tra datore e lavoratore, così come il fatto che l’obbligo di costituire adeguati assetti sia stato posto in capo all’imprenditore collettivo e non ai suoi amministratori, possono far propendere per la soluzione positiva. La corretta gestione dell’impresa, oggi, dunque, alla luce del nuovo comma 2 dell’art. 2086 c.c. (il quale stabilisce che «l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alla dimensione dell’impresa» ed è stato chiaramente introdotto con l’obiettivo di favorire e incentivare la rilevazione tempestiva dello stato di crisi) va intesa come valore in sé, e tali adeguati assetti sono richiesti anche in funzione della rilevazione della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, situazioni che incidono sul rapporto di lavoro, visto che, ovviamente, la salvaguardia [continua ..]


6. Spunti conclusivi

Sono state rapidamente ricordate tre fattispecie in cui al giudice viene attribuito un ruolo di sostituzione dell’imprenditore che agisce contra legem e che porta a riconsiderare gli spazi di autonomia che ha l’imprenditore nelle decisioni economiche ed aziendali. Alla luce di nuovi spazi di intervento, quindi, ci si potrebbe chiedere se al giudice possa essere richiesta, ex art. 28 st. lav., artt. 2086 e 2409 c.c., nonché art. 22 codice della crisi, la rimozione degli effetti negativi causati dal compimento di atti di impresa contrari alla corretta gestione, e resisi necessari a causa del mancato rispetto dell’obbligo di istituire adeguati assetti, financo spingendosi alla sostituzione dell’imprenditore con un soggetto nominato dal giudice per l’esame e il compimento delle azioni previste dalla normativa e dal giudice. Si è detto, come “una sorta di commissario ad acta o amministratore giudiziale con finalità ripristinatorie della legalità” [1]. Al giudice dell’art. 28 st. lav., così come a quello degli artt. 2086 e 2409 c.c., infatti, non vengono riconosciuti solo dei poteri tipizzati e, dunque, limitati e non estendibili, con la conseguenza che, alla luce di una lettura sistematica della recente normativa, così come dei recenti arresti giurisprudenziali sui menzionati casi Gkn, Whirlpool, Watsila e Caterpillar, si potrebbe sostenere la possibilità per il giudice, nell’ottica di quella rimozione di effetti alla quale fa riferimento la norma, e che verrebbe disposta al fine di ristabilire la corretta gestione e amministrazione delle imprese private, spingersi sino ad un intervento che sia addirittura sostitutivo delle prerogative imprenditoriali nell’ottica della salvaguardia dell’occupazione e dei diritti dei lavoratori (che sono, d’altronde, i collaboratori dell’imprenditore.    


NOTE