Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Il sindacato militare secondo il legislatore. Ovvero, quando la libertà collettiva degrada a interesse legittimo (o poco più) (di Silvio Bologna, Professore associato di Diritto del lavoro dell’Università degli Studi di Palermo)


Il presente lavoro analizza la legge n. 46/2022 che, a seguito della sentenza n. 120/2018 della Corte costituzionale, ha riconosciuto agli appartenenti alle Forze armate e di polizia a ordinamento militare la possibilità di costituire e aderire a sindacati. La legge si ispira a quella sulla smilitarizzazione della Polizia di Stato del 1981, che introdusse un modello di sindacalismo separato e ribadì il divieto di sciopero. Il lavoro sottolinea come la maggior parte di divieti e limitazioni per via legislativa risultino incompatibili con i principi costituzionali e dell’ordinamento internazionale ed europeo in materia di libertà sindacale: in particolare, attraverso una puntuale disamina delle modalità di costituzione ed azione del sindacato militare, di esercizio dei diritti collettivi, di contrattazione e di ricorso al conflitto, l’autore sostiene come nel mondo militare la libertà sindacale degrada sostanzialmente a interesse legittimo.

Military trade unions according to the legislator. That is, when collective freedom degrades to a legitimate interest (or little more)

This paper analyses Act no. 46/2022, which, following the Constitutional Court’s ruling no. 120/2018, recognized the possibility for members of the Armed Forces and Military-ordered Police Forces to form and join trade unions. The law is inspired by the State Police demilitarization law of 1981, which introduced a model of separate unionism and reiterated the ban on strikes. The paper emphasizes how most of the numerous prohibitions and limitations introduced by the legislator are inconsistent with constitutional principles and the international and European legal frameworks regarding trade union freedom: in particular, through a detailed examination of how military unions can be established under the Act, exercise of collective rights, bargaining and resort to conflict, the author argues how in the military world trade union freedom degrades to a legitimate interest.

SOMMARIO:

1. Introduzione: un faticoso e limitato riconoscimento - 2. Il sindacato militare nelle fonti sovranazionali: riconoscimento ed eventuali temperamenti ragionevoli - 3. La sentenza 120/2018 della Corte costituzionale: una prima breccia nell’ordinamento separato - 4. Dalla legge n. 46/2022 alla novella del c.o.m.: la libertà sindacale dimidiata - 5. Il punto di vista interno: un’analisi comparativa degli statuti sindacali - 6. Diritti e libertà sindacali: tra esercizio e potenziali repressioni e limitazioni - 7. La libertà sindacale nei teatri operativi: aspettando Godot? - 8. La contrattazione: materie, procedimento, struttura - 9. Il conflitto: sciopero, conciliazione, condotta antisindacale - 10. Conclusioni: un modello di persistente separatezza - NOTE


1. Introduzione: un faticoso e limitato riconoscimento

La legge n. 46/2022 ha segnato l’ingresso, pur notevolmente temperato, della libertà sindacale e dei diritti di rappresentanza collettiva nell’ordina­mento militare. Dopo decenni in cui – senza soluzione di continuità – fascismo e ordinamento repubblicano avevano ritenuto il mondo militare un compartimento stagno avulso dalle complessive dinamiche politiche e sociali, è intervenuto il legislatore: non autonomamente, ma per ottemperare a una storica sentenza della Corte costituzionale che, facendo leva sulla Cedu come parametro interpretativo interposto, ha riconosciuto la possibilità di costituire sindacati per gli appartenenti alle Forze armate e di polizia a ordinamento militare (Carabinieri e Guardia di finanza). Il modello sindacale prefigurato dal legislatore ricalca largamente, come si vedrà in dettaglio, quello già previsto per la Polizia di Stato: regime di separatezza, divieto di sciopero, raggio di azione che si estende a dinamiche retributive e condizioni di lavoro, ed esercizio dei diritti sindacali a ‘scartamento ridotto’. Il fil rouge della riforma è un’irragionevole compressione dei diritti collettivi: il meta-principio del bilanciamento fa prevalere buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa sulla libertà di azione ed organizzazione sindacale, che nella Costituzione materiale degrada a interesse legittimo o poco più. Nonostante siano passati più di settant’anni dall’entrata in vigore della Carta fondamentale, il legislatore rimane ancorato al modello dei rapporti di supremazia speciale e degli ordinamenti separati elaborato dalla giuspubblicistica tedesca nel secondo ’800 [1] e poi fatto proprio dall’esercito prussiano ed italiano [2]: se l’esercito è preordinato alla difesa di ordine pubblico e sicurezza interna ed esterna, pena il venir meno dello Stato quale ente politico, territoriale e sovrano, è legittimo che lo Stato stesso comprima diritti e libertà fondamentali nell’ordinamento militare. In tale prospettiva, l’esercito è concepito come un corpo professionale a sé, autosufficiente ed auto-concluso in valori, principi, istituti e rapporti, anche a discapito della dignità della persona umana [3], ed è costruito sulle categorie di onore e disciplina [4]. Tale modello aveva una [continua ..]


2. Il sindacato militare nelle fonti sovranazionali: riconoscimento ed eventuali temperamenti ragionevoli

Da un’analisi sistematica delle fonti internazionali (Convenzioni Oil) e regionali (Cedu e Carta sociale europea) si ricava un generale principio di apertura verso il sindacalismo militare, pur con eventuali temperamenti ad opera del legislatore ordinario in ragione di altri beni giuridici che possono diventare preminenti, come la libertà personale, l’ordine pubblico e la sicurezza interna ed esterna dello Stato, che sono alla base del contratto sociale e dell’esercizio del potere costituito. In particolare, all’interno del diritto internazionale pubblico, la Convenzione Oil n. 87 sulla libertà sindacale, coeva alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino, dopo avere previsto all’art. 2 il diritto dei lavoratori di costituire e divenire membri dei sindacati di loro scelta «senza alcuna distinzione e autorizzazione preventiva», all’art. 9 precisa che «la legislazione nazionale dovrà determinare in quale misura le garanzie previste dalla presente convenzione si applicheranno alle forze armate ed alla polizia». Pertanto, è possibile comprimere per via legislativa il sindacalismo militare, senza escluderlo alla radice [1] o trincerarsi dietro l’argomento formalistico della mancata adozione di un atto di recepimento della convenzione, negandone il carattere di norma self-executing [2]: in assenza di intervento legislativo, i militari beneficeranno di tutti i diritti collettivi riconosciuti ai civili. In ogni caso, da una lettura in chiave sistematica dell’art. 9 della Convenzione, si ricava che il legislatore nazionale può introdurre le sopra menzionate limitazioni in via del tutto eccezionale [3]. Invero, i patti internazionali sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali del 1966, che sono giuridicamente vincolanti per gli stati che, come l’Italia, li hanno ratificati [4], consentono che alla libertà sindacale siano posti «… limiti in una società democratica, nell’interesse della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui». Per quanto attiene alle fonti regionali europee, il diritto Ue tace sulla libertà sindacale dei militari: l’art. 28 della Carta di Nizza si limita ad affermare, in modo laconico, come i lavoratori e le loro organizzazioni hanno [continua ..]


3. La sentenza 120/2018 della Corte costituzionale: una prima breccia nell’ordinamento separato

La sentenza n. 120/2018 della Corte costituzionale [1] segna l’ingresso dell’interesse collettivo nel mondo militare, dopo i divieti contenuti dapprima nella legge n. 382/1978 in materia di disciplina militare, e poi nel d.lgs. 66/2010 (c.d. codice dell’ordinamento militare, d’ora in poi c.o.m.) e l’atteg­giamento dichiaratamente ostile della giurisprudenza, registratosi a partire dall’immediato dopoguerra. Il picco di tale chiusura al sindacalismo militare si raggiunse con una decisione del Consiglio di Stato del 1966, che riconobbe come illegittima la costituzione di un sindacato all’interno della Polizia di Stato (allora corpo militare) [2] sul presupposto – sociologico e non normativo – che i sindacati fossero una cinghia di trasmissione del potere politico [3]. Il Consiglio fece leva sull’art. 98, comma 3, Cost., in virtù del quale si possono stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per poliziotti, militari, magistrati e personale diplomatico all’estero. Peccato, però, che la norma costituzionale faccia riferimento al partito politico, corpo intermedio distinto dal sindacato [4], e la Costituzione stessa configuri come assoluta la libertà sindacale [5], affermando semplicemente che «L’organizzazione sindacale è libera». Sulla stessa lunghezza d’onda, nel 1999 Corte costituzionale aveva ritenuto conforme alla carta fondamentale il divieto analogo per il personale militare di costituire e aderire ad associazioni sindacali, contenuto nella legge n. 382/1978, sulla scorta della neutralità politica e della coesione interna delle Forze armate, con argomentazioni basate sui rapporti di supremazia speciale [6]. La sentenza n. 120/2018 ha come premessa storico-normativa la smilitarizzazione della Polizia di Stato, avvenuta nel 1981 all’interno di un complessivo disegno di democratizzazione dell’apparato pubblico [7]: da allora i poliziotti possono costituire o aderire a sindacati ‘di mestiere’, diretti e rappresentati soltanto da membri del corpo, essendo preclusa l’affiliazione ad altre sigle (il mondo confederale, dunque), né tantomeno possono scioperare. Nel 1990, un ulteriore passo in avanti è costituito dalla legge di smilitarizzazione del Corpo degli Agenti di custodia, divenuto Polizia penitenziaria, forza di polizia a [continua ..]


4. Dalla legge n. 46/2022 alla novella del c.o.m.: la libertà sindacale dimidiata

Dopo quasi quattro anni dalla pronuncia della Corte costituzionale, il legislatore ha posto fine ad un’intollerabile vacatio, in cui i diritti sindacali dei militari erano esercitati in un limbo di circolari amministrative dei ministeri della Difesa e dell’Economia e delle finanze [1]. La legge n. 46/2022, poi abrogata dal d.lgs. n. 192/2023 che ne ha trasposto i contenuti negli artt. 1475-1482 bis c.o.m. [2], è tutta sbilanciata a favore dei principi di buon andamento e imparzialità della macchina amministrativa: è opinione di chi scrive che l’art. 39, comma 1, Cost. sia irragionevolmente sacrificato a discapito dell’art. 97 Cost., declinato alla luce delle categorie di ordine, disciplina, gerarchia e coesione interna. Si proverà a dimostrare tale tesi partendo dalle modalità di costituzione ed organizzazione del sindacato, passando per l’esercizio dei diritti collettivi e la contrattazione, per concludere con lo sciopero e la repressione della condotta antisindacale. Il modello prescelto è quello del sindacalismo separato, sulla falsariga di quanto previsto dalla legge n. 121/1981 sulla smilitarizzazione della Polizia di Stato. Infatti, secondo l’art. 1475 c.o.m. i militari possano dar vita ad associazioni professionali a carattere sindacale per singola Forza armata o di polizia, essendo possibile al massimo la creazione di un sindacato interforze, senza alcuna possibilità di aderire alle organizzazioni confederali [3]. Già la terminologia usata tradisce il conservatorismo del legislatore, che fa riferimento ad «associazioni professionali a carattere sindacale», e non a sindacati o associazioni sindacali. Di tali sigle non possono fare parte quanti ricoprono le cariche di vertice di Capo di Stato maggiore, i Capi di stato maggiore dell’Esercito, della Marina militare e dell’Aeronautica militare, il Comandante del comando operativo di vertice interforze, il Direttore generale degli armamenti, il Segretario generale della difesa, il Comandante generale della Guardia di finanza e quello dei Carabinieri, e i militari di truppa limitatamente agli allievi: se i divieti per gli organi apicali sono condivisibili, in quanto estrinsecano la volontà di una pubblica amministrazione costruita sulla gerarchia e l’obbedienza, non si comprende l’esclusione dei semplici allievi. Rispetto al modello della Polizia di [continua ..]


5. Il punto di vista interno: un’analisi comparativa degli statuti sindacali

Nonostante i numerosi paletti legislativi, l’ordinamento intersindacale militare fa registrare una forte vitalità: ad oggi risultano costituiti ben ventotto sindacati nelle Forze armate e nell’Arma dei carabinieri [1], e cinque nella Guardia di finanza [2]. Sull’ampiezza dell’interesse collettivo, esistono già dei sindacati interforze: è il caso del S.a.m. (Sindacato autonomo dei militari) all’interno delle Forze armate, che raggruppa gli appartenenti ad Esercito, Marina e Aeronautica [3]; o di Asso.Mil. (Associazione sindacale militari), cui possono aderire membri delle Forze armate e della Guardia di finanza [4]. La realtà più prossima a quella confederale è costituita dal S.i.u.l.m. (Sindacato unitario lavoratori militari), cui possono aderire indifferentemente membri delle Forze armate, dei Carabinieri e della Guardia di finanza [5]. A seguito di un’indagine empirica degli statuti delle sigle riconosciute, che non ha alcuna pretesa di esaustività, risulta come un mondo a lungo impermeabile alla realtà sindacale declini in vario modo l’interesse collettivo sul piano dei valori, a cominciare dal nome del sindacato: si va infatti da Sindacato italiano lavoratori finanzieri o Unione sindacale marinai a Militari italiani associati-M.i.a. Patria. Per quanto attiene ai principi fondamentali, taluni sindacati non menzionano solo la tutela degli interessi economico-professionali dei militari: a titolo di esempio, l’Unione sindacale marinai nello statuto contiene anche riferimenti alla Costituzione e alla pacifica convivenza [6]; vi è poi il Si.nam.-Sindacato nazionale marina che menziona espressamente il principio di solidarietà e, addirittura, si prefigge di rafforzare i rapporti coi sindacati confederali per favorire la democratizzazione degli apparati dello Stato, oltre che sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi dei lavoratori della Marina [7]; o il Silf-Sindacato italiano lavoratori finanzieri, che tra i principi fondamentali annovera la «pace tra i popoli valore imprescindibile quale bene supremo dell’uma­nità» [8]. Invece, la maggioranza dei sindacati declina in modo decisamente più neutro l’assiologia, incentrata sulla difesa di diritti e situazioni giuridiche soggettive connesse all’esecuzione del rapporto di lavoro: ad es., il [continua ..]


6. Diritti e libertà sindacali: tra esercizio e potenziali repressioni e limitazioni

Verranno ora analizzati i diritti che hanno la loro origine nei titoli I e III dello Statuto dei lavoratori e che, anche in un mondo gerarchizzato come quello militare, dovrebbero consentire la promozione della attività sindacale nei luoghi di lavoro: diritto di critica, diritto di assemblea, e trasferimenti del dirigente sindacale. Per quanto riguarda le libertà individuale e collettiva di espressione, il filo rosso è costituito dalla loro attinenza a questioni strettamente connesse al servizio. Chi ricopre incarichi elettivi in una sigla sindacale non può essere perseguito disciplinarmente per le opinioni espresse in merito allo svolgimento delle proprie funzioni, col rispetto della continenza formale e coi limiti derivanti dal giuramento prestato, dal grado, dal senso di responsabilità e dal contegno da tenere, anche fuori dal servizio, a salvaguardia del prestigio istituzionale (art. 14 lett. a). La norma reca ancora incrostazioni dei vetusti rapporti di supremazia speciale, come le nozioni di responsabilità e contegno, del tutto prive di determinatezza e che, in funzione della lettura data dai comandi, potrebbero limitare profondamente il diritto di critica. La portata della libertà di espressione è ancor più ristretta, se si tiene conto che quest’ultima è circoscritta, entro i confini del segreto militare (limite, questo sì, ragionevole), a tutte le materie coperte dalla competenza del sindacato, essenzialmente retribuzione, orario di lavoro, salute e sicurezza e previdenza complementare (cfr. infra par. 8). Se dal profilo individuale ci si sposta a quello collettivo, l’assemblea (art. 1480bis c.o.m.) può svolgersi sia all’interno di locali messi a disposizione dall’amministrazione, sia in luoghi aperti al pubblico senza l’uso dell’unifor­me, in modo da preservare la neutralità esteriore dei corpi. Tale diritto spetta a tutte le associazioni sindacali riconosciute, indipendentemente da requisiti di rappresentatività, configurando una disciplina migliorativa rispetto a quelle del lavoro pubblico contrattualizzato, dello Statuto dei lavoratori e del Testo unico sulla rappresentanza. Il profilo critico, se l’ermeneutica del diritto militare si basa sul principio di libertà sindacale e non sulla categoria dell’interesse legittimo, è che la pubblica amministrazione può autorizzare [continua ..]


7. La libertà sindacale nei teatri operativi: aspettando Godot?

Ad oggi, l’attività sindacale può essere svolta esclusivamente fuori dal servizio (art. 1480, comma 1, c.o.m.). Inoltre, la legge n. 46/2022 prevede che soltanto con decreto legislativo, da adottare nei diciotto mesi successivi alla data di entrata in vigore della stessa, verranno dettate le specifiche limitazioni all’attività sindacale del personale impegnato in attività operativa, di addestramento e formazione ed esercitazione anche al di fuori del territorio nazionale: il legislatore delegato dovrà operare un bilanciamento tra libertà di azione sindacale e buon andamento della pubblica amministrazione, inteso come «funzionalità, sicurezza e prontezza operativa correlata alle specifiche operazioni militari» (art. 9, comma 15, legge n. 46/2022). Senonché, l’attività sindacale dei contingenti militari in missione all’estero in ambito Onu, Nato o Ue [1], di quanti sono impegnati in attività di addestramento come discenti o docenti o, ancora, di quanti svolgono attività di pattugliamento o di polizia giudiziaria, non è ancora stata disciplinata nello specifico, tenuto conto che il decreto legislativo va adottato dal governo sentite le associazioni sindacali rappresentative. In questo costante intreccio tra fonti primarie e secondarie, il Ministro per la pubblica amministrazione non ha ancora adottato il decreto che determina i soggetti rappresentativi, chiamati a rendere il parere obbligatorio ma non vincolante sulle modalità di esercizio della libertà sindacale fuori dal territorio nazionale: al riguardo, l’art. 12 d.l. n. 132/2023 ha prorogato al 31 gennaio 2024 il termine di rilevazione, per il 2023, delle consistenza effettiva del sindacato all’interno della Forza armata o forza di polizia a ordinamento militare per la determinazione della rappresentatività. Come se non bastasse, la legge n. 201/2023, entrata in vigore il 6 gennaio 2024, ha ampliato a trenta mesi il termine originario di diciotto mesi concesso al governo dalla legge n. 46/2022 per i diritti sindacali nei teatri operativi, e quindi sino al 27 novembre 2024. Tale regime di proroghe fa sì che il principio di libertà sindacale resti ancora lettera morta nella quotidianità, con buona pace dell’art. 39 Cost.: vero è che secondo le fonti sovranazionali si possono introdurre delle limitazioni a tale [continua ..]


8. La contrattazione: materie, procedimento, struttura

Senza soluzione di continuità rispetto a quanto previsto dalla legislazione prececente, il c.o.m. esclude dalla sfera di competenza del sindacato militare quel corpus di materie già precluse agli organismi di rappresentanza: logistica, addestramento, ordinamento militare, rapporto gerarchico-funzionale e impiego del personale in servizio. In tal modo si comprimono irragionevolmente le prerogative del soggetto collettivo, che non può intervenire, neppure nella forma della semplice consultazione, su ambiti che in nessun modo vanno ad inficiare efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa. E così, ad esempio, l’ammi­nistrazione militare determinerà in via unilaterale il funzionamento delle mense obbligatorie di servizio e le disponibilità alloggiative, sussumibili nel lemma «logistica». Per non parlare dell’addestramento, tenuto conto dell’ele­vato tasso di suicidi tra gli appartenenti alle forze dell’ordine [1], che richiederebbero un maggiore coinvolgimento del soggetto collettivo e forme di pedagogia più “orizzontali”. De jure condendo, sarebbe stata preferibile una elencazione più analitica e al contempo più limitata delle materie sottratte all’intervento sindacale. Nello specifico, le materie rimesse all’intervento dell’autonomia collettiva sono (artt. 1476 ter c.o.m., 4 e 5 d.lgs. n. 195/1995): la retribuzione nella duplice componente fondamentale ed accessoria; t.f.r. e previdenza complementare; durata massima dell’orario di lavoro settimanale; licenze; aspettativa per motivi privati e infermità; permessi brevi per esigenze personali; il contingente massimo dei distacchi autorizzabili per ciascuna Forza Armata o di polizia a ordinamento militare; il numero massimo annuo dei permessi retribuiti per i rappresentanti delle associazioni rappresentative; istituzione dei servizi integrativi del Servizio sanitario nazionale; il trattamento di missione; i criteri per l’istituzione di organi di verifica della qualità e salubrità dei servizi di mensa e degli spacci, per lo sviluppo delle attività di protezione sociale e di benessere del personale, ivi compresi l’elevazione e l’aggiornamento culturale del medesimo, nonché per la gestione degli enti di assistenza del personale; pari opportunità; spazi e attività culturali e ricreative; [continua ..]


9. Il conflitto: sciopero, conciliazione, condotta antisindacale

Sul versante del conflitto collettivo la riforma del 2022 ripropone il divieto di esercizio del diritto di sciopero sulla falsariga della legge n. 382/1978 e del c.o.m. nell’originaria formulazione: la proibizione è integrale, in quanto interessa anche le azioni sostitutive dell’autotutela, oltre che la partecipazione a scioperi indetti da sindacati estranei al personale militare. La norma è tra le poche politicamente condivisibili alla luce di una lettura sistematica del dettato costituzionale, che ricava implicitamente il divieto dalla funzione assolta dalle Forze armate e a ordinamento militare, nonostante un’interpretazione letterale dell’art. 40 della carta fondamentale lasci propendere per forme di limitazione dell’esercizio del diritto, e mai per divieti puri e semplici. A livello ermeneutico la ricostruzione proposta si basa su una precomprensione assiologica che integra il precetto costituzionale, operando una precisa scelta tra le molteplici possibilità di soluzione di un problema pratico, rappresentate dai valori [1]. Al riguardo va richiamata la sentenza n. 31/1969 della Corte costituzionale [2], che ha ritenuto legittima la compressione del diritto al conflitto nell’impiego pubblico se strumentale a garantire l’effettività dei diritti della persona costituzionalmente tutelati e, a parere di chi scrive, l’esistenza stessa dello Stato di democrazia pluriclasse nato col patto fondativo del 1948 [3]. La lettura offerta, adesiva al divieto di sciopero, non vuole sconfinare nel soggettivismo dei valori; al contrario, è legittimata da principi e clausole generali che, pur non contemplate dall’art. 40, sono contenute nella Costituzione: diritto alla libertà e all’incolumità fisica, tutela dell’ordine pubblico, garanzia dei principi di eguaglianza, solidarietà e utilità sociale. Non si tratta, cioè, di riproporre il vetusto modello della supremazia speciale e degli ordinamenti separati, ma di giustificare l’opzione legislativa all’interno della dogmatica costituzionale: se si garantisse lo sciopero del ‘comparto sicurezza’, si metterebbe a rischio la tenuta dello Stato costituzionale in ipotesi astrattamente verificabili, come un golpe fascista, magari proprio il giorno dell’astensione collettiva dal lavoro; un esproprio per pubblica utilità di un’impresa con [continua ..]


10. Conclusioni: un modello di persistente separatezza

Un’analisi costituzionalmente orientata della normativa appena descritta non può prescindere dai valori-limite, ovvero da quei beni giuridici fondamentali che un’organizzazione militare compatibile con un ordinamento democratico deve comprimere entro limiti ragionevoli. V’è da chiedersi, cioè, se le esigenze di buon funzionamento dell’apparato pubblico giustifichino una autonomia pressoché totale del diritto sindacale militare. Se una specialità di quest’ultimo residua, andrebbe recepita la tesi della funzionalizzazione, ovvero di restrizioni di diritti costituzionalmente tutelati nella misura strettamente necessaria in cui tale esercizio arrechi un vulnus al perseguimento delle finalità istituzionali delle Forze armate e di polizia a ordinamento militare: un terreno di elezione, a titolo esemplificativo, è costituito dai divieti di sciopero, di partecipare in uniforme a manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, di divulgare materie coperte dal segreto militare, e nel dovere di neutralità rispetto a qualsiasi forma di competizione politica ed elettorale. Tuttavia, non si comprende perché il sindacato militare non possa aderire a sigle confederali e neppure avviare con queste ultime un percorso di collaborazione soft, come la stipula di convenzioni per i servizi di patronato; perché la stessa azione del contropotere collettivo sia subordinata all’assenso dell’autorità amministrativa, che vaglia periodicamente il contenuto delle previsioni statutarie attraverso provvedimenti di carattere vincolato; e perché la legge impedisca al singolo di aderire a un sindacato se si eccede il settantacinque per cento di un grado all’interno della composizione degli iscritti al sindacato stesso. Il dato di sintesi che si ricava è che la libertà sindacale degrada ad interesse legittimo, poiché è sempre subordinata a eventuali esigenze funzionali e di servizio della pubblica amministrazione. Un simile modello, a prescindere da considerazioni politico-assiologiche, non ha giustificazione deontica: l’art. 39 Cost. prevede infatti che l’organizzazione sindacale è libera, e in tale affermazione condensa un incomprimibile principio di libertà in termini organizzativi e rivendicativi [1]. È il sindacato, e non il legislatore, a scegliere se dotarsi di struttura [continua ..]


NOTE