Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Tutela della produzione e dell´occupazione versus tutela della salute e dell'ambiente: un caso di “legge provvedimento” all´ombra dell´Ilva di Taranto (di Stefano Maria Corso, Ricercatore di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Milano)


Nella vicenda ex Ilva, la legge provvedimento, ad personam juridicam, è costituzionalmente compatibile e convenzionalmente obbligatoria. Tuttavia, la legittimità formale dello strumento di intervento del potere esecutivo-legislativo, mediante disposizioni settoriali con destinatario predeterminato, non rimuove la forte contrapposizione in atto con il potere giudiziario né dissolve i dubbi sul bilanciamento operato tra diritto all’ambiente e alla salute, da tutelare “a ogni costo” (Corte Cost. n. 127/1990), e diritto al lavoro mediante la continuità produttiva del complesso industriale strategico per l’economia nazionale. La tutela del lavoro appare non l’obiettivo prevalente, ma l’argomento (o, forse, il pretesto) ad adiuvandum per sostenere la funzione sociale dell’attività produttiva (argom. ex art. 42, comma 2, Cost.) e l’utilità sociale della sua non interruzione nonostante i danni da inquinamento e in vista della loro programmata rimozione in tempi quantomeno fluidi.

Parole chiave: Salute – Leggi-provvedimento – Il caso Ilva di Taranto – Tutela dell’occupazione e tutela dell’ambiente.

Protecting production and employment versus protecting health and environment: an example of “legge provvedimento” in the shadow of Ilva in Taranto

In the Ilva case, the specific law or “legge provvedimento”, ad personam juridicam, is con­stitutionally compatible and conventionally mandatory. However, the formal legitimacy of this instrument of intervention from the executive-legislative power (through sectoral provisions with a predetermined recipient), does not solve the quarrel with the judiciary nor the doubts on the balance between the right to the environment and health (Constitutional Court n. 127/1990), and the need to protect a strategic industrial complex. The protection of employment does not appear to be the overriding objective, but the argument (or, perhaps, the pretext) ad adiuvandum to support the social function of production (pursuant to art. 42 par. 2 of the Constitution) and the social utility of its non-interruption despite the damages caused by pollution and in view of their planned removal with some indefinite times.

Keywords: Health and safety – Specific-law – The Ilva Case – Employment protection and environmental protection.

SOMMARIO:

1. La separazione dei poteri nella Costituzione italiana e i meccanismi per la composizione e il superamento di eventuali conflitti tra poteri - 2. La tendenziale insindacabilità delle scelte di politica legislativa - 3. La legge provvedimento e la sua compatibilità con la Costituzione: l’eccezione che, nell’esperienza italiana, diventa la regola - 4. Produzione, occupazione, lavoro, salute e ambiente: lo ius singulare immanente nella normativa “salva Ilva” o “ad Ilvam” e il conflitto con il potere giudiziario - 5. L’ulteriore evoluzione della normativa sull’Ilva (2012-2021) tra asserite “riserve di amministrazione” e “riserve di giurisdizione”: i dubbi persistenti sulla ragionevolezza delle scelte - 6. Conclusioni - NOTE


1. La separazione dei poteri nella Costituzione italiana e i meccanismi per la composizione e il superamento di eventuali conflitti tra poteri

Charles-Louis Secondat, barone di Montesquieu, nell’Espirit des Lois (1748) teorizzava non solo la separazione tra i poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), ma anche il loro equilibrio, al punto che – nella sua visione della società – “le pouvoir arrét le pouvoir”. La Costituzione italiana, nel recepire il principio della separazione dei poteri e nel collocarlo – ragionevolmente – in quello che la dottrina ha definito il nucleo immodificabile del testo fondamentale [e, come tale, non modificabile neppure attraverso la procedura di revisione costituzionale (art. 138 Cost.)], non solo ha delimitato i rispettivi ambiti di operatività, ma ha disciplinato anche i rapporti reciproci e i criteri di soluzione dei conflitti. L’estrinsecazione del potere legislativo trova una disciplina formale negli artt. 70-81 della Costituzione (in una sezione rubricata “la formazione delle leggi”) che individuano nel Parlamento l’organo deputato a delineare e tradurre in norme giuridiche le scelte politiche destinate a regolare una determinata materia. L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al potere esecutivo (e ciò è un evidente limite costituzionale al potere legislativo, ma anche una forte tutela da interferenze da parte del potere esecutivo) se non nei limiti ristretti di cui all’art. 76 Cost. Dall’altra parte, il Governo non può attribuirsi poteri legislativi, ove a ciò non espressamente delegato, se non “in casi straordinari di necessità ed urgenza” nei quali è impossibile o sconsigliata l’attesa di un’iniziativa legislativa che sconti i più lunghi tempi di formazione delle leggi (art. 77 Cost.). Non si configurano – a livello costituzionale – previsioni di esercizio della funzione legislativa da parte del potere (rectius, ordine) giudiziario [1]. L’art. 101, comma 2, Cost. è perentorio nel disporre che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” e che questa gerarchia esclude il potere di disapplicare la legge nel caso concreto [2] e di operare una interpretazione che, creando norme di legge, realizzi una “supplenza” a (vere o presunte) lacune legislative e, quindi, una invasione delle attribuzioni riservate al legislatore: ipotesi non teorica, se è vero che lo stesso legislatore ha [continua ..]


2. La tendenziale insindacabilità delle scelte di politica legislativa

Il compito di legiferare spetta soltanto ai rappresentanti eletti a suffragio universale dall’intera collettività nazionale, mentre il compito del giudice è quello di individuare “il significato corretto della disposizione nell’arco delle sole opzioni che il testo autorizza e che la persona può rappresentarsi leggendolo” [8]. Ove la scelta legislativa si manifesti come costituzionalmente compatibile (e cioè rispondente a quel sistema di valori che la Costituzione recepisce e/o afferma), non è consentito al giudice di farsi portatore di una interpretazione costituzionalmente “preferibile” né alla Corte Costituzionale di farla propria, ove la questione venga portata alla sua attenzione mediante il sindacato di legittimità di cui all’art. 134 Cost., perché ciò si tradurrebbe in una interferenza nelle scelte di politica generale che sono affidate al potere legislativo [9]. Il limite nella scelta dei contenuti del precetto da parte del legislatore ordinario è rappresentato unicamente dalla Carta fondamentale e dai diritti fondamentali, in essa individuati [10], che il legislatore è chiamato esplicitamente [11] o implicitamente a tradurre in un diritto positivo che sia capace di superare il vaglio di ragionevolezza [12]. Non è il giudice ordinario che, nell’esercizio della sua funzione, può rivedere il bilanciamento dei valori, come operato dal legislatore, e – ove da esso dissenziente – possa imporre, sia pure con effetti nel solo caso specifico, un diverso equilibrio dei valori contrapposti. L’indipendenza dell’ordine giudiziario non è tale rispetto alla legge, non ricomprende il potere di decidere prescindendo dal quadro normativo (tamquam non esset) né quello di privilegiare componenti esterne al dettato normativo o personali riletture di esso. La stessa Corte Costituzionale è chiamata a rispettare le scelte legislative in materia sociale, economica e di definizione del rapporto tra lecito e illecito, non solo sul piano penale [13] ma anche lavoristico. L’art. 2 Cost. opera il riconoscimento ed assicura la garanzia ai diritti inviolabili dell’uomo, con ciò non consentendo al legislatore ordinario di disconoscere o negare tutela a questi diritti. L’art. 3 Cost. impone al legislatore ordinario di intervenire ad [continua ..]


3. La legge provvedimento e la sua compatibilità con la Costituzione: l’eccezione che, nell’esperienza italiana, diventa la regola

Una volta acclarato che la Costituzione italiana attua il principio della separazione dei poteri e circoscrive (e precisa) le modalità di una possibile interferenza del potere esecutivo e giudiziario nell’esercizio della funzione legislativa, è il caso di interrogarsi sulla possibilità di una “ingerenza” legislativa in quelle che sono le funzioni amministrative e/o giudiziarie. La generalità ed astrattezza (e, quindi, la capacità della norma di riferirsi ad un numero indistinto di destinatari, di comportamenti e di situazioni) sono un connotato tradizionalmente attribuito alle norme di legge. Il passaggio dalla disciplina generale alla fattispecie concreta è, di regola, assicurato dall’attività amministrativa che si estrinseca nel potere regolamentare e cioè nell’emanazione di norme sublegali (art. 1 preleggi), non più generali e astratte ma di dettaglio, che non possono introdurre una disciplina contraria alle disposizioni di legge. Competerà, poi, al potere giudiziario verificare se, nella fattispecie concreta, vi sia stata una corretta applicazione della lex generalis e se quest’ultima risulti compatibile con i principi della Costituzione. Se questa è la filiera ricorrente che disciplina i rapporti tra i poteri, va detto che non è rinvenibile nella Carta costituzionale un vincolo contenutistico per la legge [18] e, quindi, un divieto implicito di emanare norme giuridiche che non siano generali e astratte e che, di conseguenza, incidano sull’esercizio del potere amministrativo e giudiziario [19]. Anzi, sono rinvenibili previsioni di norme generali ed astratte che incidono su pronunce giudiziarie divenute definitive [20] o anche su situazioni processuali ancora sub iudice o oggetto di sentenza non ancora passata in giudicato [21]. Parimenti sono rinvenibili norme generali ed astratte che incidono su provvedimenti amministrativi anche definitivi (si pensi ad un condono edilizio o a un condono tributario) [22], anche alla luce del fatto che nessuna norma costituzionale delinea una “riserva di amministrazione” [23], o che spostano dall’ammini­strazione alla giurisdizione il compimento di atti amministrativi. Quanto è normalmente presente (e richiesto) in una legge – e cioè i caratteri di generalità e astrattezza – può non essere [continua ..]


4. Produzione, occupazione, lavoro, salute e ambiente: lo ius singulare immanente nella normativa “salva Ilva” o “ad Ilvam” e il conflitto con il potere giudiziario

La presenza del complesso produttivo dell’acciaieria Ilva (in seguito ArcelorMittal, oggi Acciaierie d’Italia) nel territorio di Taranto ha rappresentato per decenni una grande risorsa economica (con importantissime ricadute sui livelli occupazionali, tenendo conto sia del personale dipendente che dell’in­dotto) e, altresì, una forte causa di impatto ambientale [41]. Niente di occulto o occultato, se è vero che – oltre trent’anni fa – il Consiglio dei ministri, con delibera 3 novembre 1990, ha classificato Taranto ed alcuni comuni limitrofi come zona “ad elevato rischio di crisi ambientale”. Per decenni era (ed è rimasto) pacifico che la produzione dell’acciaieria determinava una situazione di grave inquinamento ambientale e che l’inquina­mento ha inevitabilmente reso le persone che vi erano sottoposte più vulnerabili a varie malattie [42], al di là dell’asserita mancanza di prova del nesso causale tra emissioni industriali dell’Ilva e talune gravi patologie [43]. Da decenni esistevano sia una specifica normativa contro l’inquinamento, nel tempo implementatasi con il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, sia gli strumenti di intervento poi utilizzati dall’autorità giudiziaria (sequestro preventivo) [44], ma né la pubblica amministrazione né la magistratura – nell’ambito delle rispettive attribuzioni e, ben inteso, nei limiti di quanto noto allo scrivente – erano state segnalate per un qualche incisivo intervento a tutela dall’inquinamento delle acque o dell’aria nonché della salute all’interno o all’esterno dell’Ilva [45]. Non presentandosi – men che meno con urgenza – alcuna occasio legis, lo stesso legislatore ordinario non ha visto ragioni impellenti per un mutamento dello status quo. La situazione è radicalmente cambiata nel 2012, quando la magistratura è sembrata uscire da una situazione di stallo e assumere iniziative dirette contro il più grande complesso siderurgico d’Europa, sul presupposto di reati ambientali e contro l’incolumità e la salute pubblica. In data 22 novembre 2012 il g.i.p. presso il Tribunale di Taranto disponeva il sequestro preventivo dei prodotti finiti e semilavorati derivanti dai processi produttivi dell’area a caldo [continua ..]


5. L’ulteriore evoluzione della normativa sull’Ilva (2012-2021) tra asserite “riserve di amministrazione” e “riserve di giurisdizione”: i dubbi persistenti sulla ragionevolezza delle scelte

L’articolata legislazione in tema di Ilva (almeno a partire dal 2012) consente di escludere che si sia in presenza di una materia non regolata dalla legge. L’esistenza di una normativa – addirittura specificamente orientata al caso – viene a rappresentare un (voluto) limite all’attività interpretativa del giudice che, in quanto servus legum e bouche de la lois, non potrà prendere le distanze da una politica economica ritenuta erronea, non potrà disapplicarla nel caso concreto e che dovrà rispettare ed applicare la scelta del legislatore ordinario con la sola alternativa di richiedere il sindacato di legittimità costituzionale, ove ne esistano i presupposti. Esclusa la configurabilità di un silenzio del potere legislativo, va dato atto che il legislatore ha positivizzato le sue scelte in materia di diritto alla salute, diritto al lavoro e diritto all’ambiente [61]; ha operato un bilanciamento tra i valori contrapposti addirittura con riferimento ad una specifica realtà locale, economica e produttiva, il che esclude che il giudice – nell’esercizio delle sue funzioni – possa far prevalere altre scelte, altre strategie, altre modalità di intervento [62]. In altre parole, non vi è spazio per supplenza e non vi è necessità di interpretazioni adeguatrici ed è fuori luogo evocare una interpretazione evolutiva con riguardo ad un testo normativo di recentissimo conio. Ciò non impedisce di rilevare che nemmeno l’importante avallo rappresentato dalla sentenza n. 85/2013 della Corte Costituzionale ha chiuso la vertenza Ilva e ne ha composto il conflitto di attribuzioni con l’autorità giudiziaria [63]. Il d.l. 4 giugno 2013, n. 61, convertito con modificazioni con la legge 3 agosto 2013, n. 89, ha introdotto “nuove disposizioni urgenti a tutela dell’am­biente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale”, prevedendo sia la nomina di un “commissario straordinario” (da parte del Consiglio dei ministri) (art. 1) sia il “commissariamento della s.p.a. Ilva” (art. 2) [64]. Il presupposto – con riguardo all’Ilva – è l’inottemperanza degli organi di amministrazione dell’impresa rispetto alle prescrizioni contenute nell’AIA (Autorizzazione Integrata [continua ..]


6. Conclusioni

La legge provvedimento, da un punto di vista formale, non si distingue da altre leggi. Con la legge provvedimento, il potere legislativo interviene a tutelare direttamente determinate situazioni soggettive, con ciò rinunciando – in casi specifici – al carattere generale e astratto per meglio provvedere in una nuova fattispecie concreta. La giurisprudenza costituzionale italiana, a partire almeno da Corte Cost. 25 maggio 1957, n. 59, ha escluso che il contenuto “ristretto” di una legge consentisse di sottrarla al vaglio di legittimità costituzionale, valorizzando la “forza di legge” comunque riconoscibile anche alla legge provvedimento, in quanto approvata con l’ordinario procedimento legislativo. Sempre, però, la Corte Costituzionale – al fine di escludere ogni contenuto discriminatorio (e lesivo dell’art. 3 Cost.) – considera centrale, nel giudizio di legittimità, un rigoroso scrutinio dello specifico contenuto “essenzialmente sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta del legislatore” [82]. La legge provvedimento (come peraltro, qualsiasi legge) deve essere compatibile con il quadro dei valori recepiti e affermati nella Carta costituzionale, motivo per cui le leggi provvedimento “sono ammissibili entro limiti sia specifici, qual è quello del rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso, sia generali, e cioè del principio di ragionevolezza e non arbitrarietà” [83]. Di conseguenza, va riconosciuta l’ammissibilità delle leggi provvedimento purché “siano osservati i principi di ragionevolezza e non arbitrarietà e dell’intangibilità del giudicato e non sia vulnerata la funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso” (Corte Cost. n. 94/2009) [84]. Collocandoci in questa prospettiva di necessario coordinamento di una pluralità di interessi o valori costituzionalmente rilevanti, è rinvenibile nella giurisprudenza del giudice delle leggi non solo il ricorrente insegnamento che questo compito è e non può che essere proprio del legislatore ordinario (Corte Cost. ord. n. 162/2009 e sentenza n. 279/2006), ma anche il riconoscimento della dimensione costituzionale di determinati interessi collettivi di contenuto economico, quali [continua ..]


NOTE