La questione della “legge singolare” in materia di lavoro in Uruguay non è esente da alcune criticità. Come le realtà di altri paesi, il potere legislativo – sotto la pressione delle organizzazioni sindacali e dei poteri politici – ha emanato leggi privi dei requisiti di generalità e astrattezza, per risolvere problemi specifici relativi alle crisi occupazionali in varie attività. Sebbene non si possa affermare che la questione sia stata approfondita in dottrina e in giurisprudenza, vi è comunque un consenso sull’esistenza – in relazione alla norma singolare – di una necessaria ponderazione che permetta di confrontare le finalità della legge con la necessità sociale che giustificherebbe la sua approvazione, sulla base dei criteri di idoneità, di necessità, di ragionevolezza e di equilibrio tra gli obiettivi proposti e i risultati raggiunti.
Parole chiave: Ius singulare – Ragionevolezza – Crisi occupazionale.
The question of the “specific case” of Uruguay’s labour law is not exempt from some criticality. Like the realities of other nations, the legislative power – under pressure from trade unions and political powers – has enacted laws without the requirements of generality and abstraction, to solve specific problems relating to employment crises in various activities. Although it cannot be said that the matter has been studied in depth in doctrine and jurisprudence, there is, however, a consensus on the existence – in relation to the singular rule – of a necessary weighting that allows the purposes of the law to be compared with the social necessity that would justify its approval, on the basis of the eligibility criteria, of necessity, reasonableness and a balance between the objectives proposed and the results achieved.
Keywords: Specific case – Reasonableness – Employment crisis.
1. Introduzione - 2. La legge singolare e il diritto del lavoro - 3. I caratteri di generalità e astrattezza della legge - 4. La dottrina uruguaiana sulla legge “singolare” - 5. La giurisprudenza sul principio dell’uguaglianza e la legge “singolare” - 6. Esempi di leggi “singolari” - 7. Potere, attori sociali e leggi singolari - 8. Riflessioni finali - NOTE
L’invito ad esaminare un argomento non particolarmente sviluppato nella dottrina latino-americana è gradito nella misura in cui, da un lato, ci permette di riflettere sulla realtà del mio Paese (Uruguay) in relazione a una questione non molto indagata e, da un altro, ci consente di analizzare in generale, secondo una prospettiva del tutto soggettiva, la peculiarità delle leggi singolari in materia di diritto del lavoro. Come è noto, intendiamo per legge singolare, o anche legge concreta o – come si suol dire in Italia – “legge provvedimento”, quella che si allontana dai principî di astrattezza e generalità propri della natura della legge per regolare casi concreti. Il dibattito promosso dal Prof. Gragnoli a Parma [1] si inquadra quindi sulla legittimità – o meno – di questo “prodotto” legislativo, ogni volta più comune nel diritto comparato. Non esiste in Uruguay un’espressione che traduca in modo letterale la locuzione “legge provvedimento”, per cui ci sembra più adeguato parlare di legge singolare, o espressioni simili come jus singularis, legge autoapplicativa, legge per il caso concreto o legge ad-hoc. Preferiamo l’espressione “legge singolare” – la nostra giurisprudenza usa anche la formula “legge concreta” – che definiamo come quella legge, che allontanandosi dai criteri di generalità ed astrattezza propri della natura dell’atto legislativo, ha come finalità regolare un fatto o un fenomeno concreto. In altre parole, è quella legge che suppone una funzione tipicamente esecutiva in applicazione della regola al caso concreto. Il “Diccionario panhispánico del español jurídico” definisce la legge singolare come quella emanata in funzione di un presupposto di fatto concreto e singolare, che esaurisce il suo contenuto ed efficacia nell’adozione ed esecuzione della misura presa dal legislatore in merito a tale presupposto, isolato nella legge singolare e non relazionabile con nessun altro [2]. La dottrina classica tedesca negava la possibilità dell’esistenza della legge singolare, in quanto considerava che essa implicava modifiche al sistema di garanzie giudiziali e si opponeva alle regole della concorrenza, che dovevano essere generali, non potendo stabilirsi eccezioni per casi individuali. [continua ..]
L’assunto del Convegno è trasversale e incrocia, inevitabilmente, il Diritto Costituzionale e il Diritto del Lavoro, per cui è necessaria un’operazione di assemblaggio tra le due discipline: Il Diritto del Lavoro è di per sé un “diritto concreto”: non nasce e non si evolve per regolare in forma astratta il lavoro, ma si adegua il più delle volte ad attività diverse e differenti condizioni personali. è un diritto nato nelle fabbriche, nelle professioni, nelle differenti lotte del conflitto industriale, e continua ad essere – in molti casi – un diritto “di emergenza”, che impone soluzioni immediate e circostanziali. È un diritto frammentato: il contatto diretto con la vita, con la realtà, la grande varietà di situazioni che regola, l’urgenza di molte soluzioni, impediscono al Diritto del lavoro di regolare la realtà in modo unico, generale e stabile. È un diritto incompleto, imperfetto: le trasformazioni rapide del lavoro obbligano a un processo di cambi permanenti, molte volte rapportati alle professioni e alle svariate contingenze proprie del fenomeno “lavoro”. Pertanto sono proprio queste caratteristiche del Diritto del lavoro ad aprire un dibattito molto specifico sulla questione della legge-provvedimento. Dobbiamo infatti ricordare che le norme del lavoro, il più delle volte, non nascono nel laboratorio, ma sono soluzioni provvisorie di conflitti a monte, che hanno necessità di raggiungere decisioni rapide e ragionevoli. Il conflitto si risolve, in alcuni casi, attraverso la contrattazione collettiva (la via perfetta, a nostro giudizio), ma altre volte è la legge che pone fine a problemi che coinvolgono non solo le parti, ma anche terzi soggetti ed altri stakeholders, che da esse dipendono. Quando parliamo di relazioni industriali, parliamo inevitabilmente di rapporti di potere e quindi la legge singolare in molti casi è proprio espressione della speciale tensione del sistema ed ha come obiettivo la volontà di raffreddare una realtà, che – anche se singolare e concreta – colpisce con forza la società (licenziamenti collettivi, chiusura di aziende emblematiche dello Stato o attività in grado di sostenere dal punto di vista socio-economico una regione o una città). È pur vero che le soluzioni della legge comportano [continua ..]
Come afferma Zagrebelsky, abbiamo assistito a una vera e propria “degenerazione della legge”: le attuali leggi non condividono più i tratti salienti rinvenibili nella nozione della legge del pensiero illuministico e rivoluzionario, che contribuì a formare la teoria dello Stato di diritto del secolo XIX [8]. La legge – afferma l’illustre magistrato italiano – era la proclamazione generale e astratta di una ragione normativa, che si applicava ai fatti sociali, come una regola per risolvere i conflitti presenti nella società tra le differenti libertà, o anche tra questa libertà e l’autorità dello Stato [9]. Questi attributi sono stati oggi “annichiliti”, “polverizzati” da leggi di carattere settoriale e temporale, fino al limite estremo di leggi ad personam, di leggi esecutive e di leggi che mancano totalmente di un’autentica intenzione di regolamentazione [10]. Si produce – conferma Gragnoli – una chiara rinuncia alla generalità e all’astrattezza delle prescrizioni, fatto frequente e consolidato, che produce una disarmonia del sistema, spesso eluso da strategie isolate, regolate in modo diverso e con soluzioni apposite [11]. L’autore avverte che: «La frequente adozione di provvedimenti normativi in materia di lavoro inerenti a un caso singolo o a pochi, comunque con un taglio settoriale, caratterizza a tale punto l’attuale esperienza da indurre a verificare se il fenomeno sia solo italiano o abbia un rilievo in ambito transnazionale e le connesse ferite inferte all’uguaglianza o alla complessiva disciplina organica siano tipiche di vari sistemi, in specie in Paesi di capitalismo evoluto e con comuni difficoltà nel raggiungere un equilibrio stabile fra la promozione delle aziende, soprattutto di quelle più importanti, e la difesa degli interessi dei prestatori di opere e dei loro livelli retributivi» [12]. In tal modo il diritto del lavoro perde la necessaria “omogeneità” di soluzioni, storicamente giustificate dalla necessità di proteggere la concorrenza, assicurare l’imparzialità delle regole e valorizzare il buon andamento del sistema [13]. Ferrajoli condivide il fatto che si sia prodotta una crisi del principio della legalità, accompagnata da una inflazione legislativa a livello comparato, con [continua ..]
Nel sistema di relazioni industriali dell’Uruguay – oggetto di esame di questo contributo –, la dottrina e la giurisprudenza non si sono spinte fino a dichiarare incostituzionali le leggi del lavoro approvate per risolvere casi concreti. Sebbene l’Uruguay sia un piccolo paese dell’America Latina, la sua lunga tradizione giuridica, la sua attenzione alla dottrina europea (Kelsen, Goldschmidt) e specialmente a quella italiana (Chiovenda, Santi Romano, Ferrajoli) legittimano questa partecipazione nell’ampio dibattito promosso in questo incontro dall’Università di Parma. Va segnalato d’altronde che non troviamo nel Diritto del continente latino-americano espressioni chiare di condanna o rifiuto quando si approvano leggi singolari per risolvere casi specifici su questione del lavoro. Nel diritto uruguaiano autori classici come Jiménez de Arechaga e Baethgen difendono la tradizionale tendenza di ritenere necessario l’elemento “generalità”, ma comunque la dottrina maggioritaria ritiene condivisibile l’opinione del giusamministrativista Sayagués Laso, che non considera la “generalità” della legge elemento imprescindibile del sistema costituzionale decentrato, perché è possibile stabilire delle eccezioni [19]. L’autore afferma che in principio la legge deve decidere con carattere generale, senza considerare persone o situazioni particolari, quale conseguenza del riconosciuto principio di uguaglianza costituzionale. Ma – aggiunge – nulla vieta che le leggi possano stabilire disposizioni di carattere individuale, almeno quando è previsto dalla Costituzione. Esempio di leggi che si separano dal criterio della “generalità” sono quelle che stabiliscono spese speciali (pensioni per meriti speciali, sovvenzioni, ecc.) e quelle che autorizzano spese pubbliche, che esigono l’approvazione di una legge [20]. Conclude Sayagués Laso che leggi che decidono su casi individuali sono in principio incostituzionali, ma sono possibili eccezioni nelle ipotesi consentite dalla Costituzione stessa [21]. Altri esempi sono le Leggi di Bilancio e le norme che stabiliscono gli statuti delle Aziende Pubbliche [22]. Un ultimo esempio è segnalato da Rodríguez Azcúe (G.A.): l’art. 188 della Costituzione uruguaiana prevede la [continua ..]
La giurisprudenza uruguaiana, in primis la Suprema Corte di Giustizia, ha espresso una posizione moderata sulla possibile questione della incostituzionalità della legge per mancata “generalità” o per violazione del principio di uguaglianza. La sentenza n. 73 del 14 aprile 2010 ha respinto infatti l’incostituzionalità della legge n. 18.396, che si riferiva alla situazione della Cassa Previdenziale del settore finanziario (Caja Bancaria). Il ricorso di incostituzionalità era stato presentato da lavoratori affiliati all’istituzione, esclusi dal regime generale e la cui disciplina risultava essere meno favorevole rispetto alle altre istituzioni [24]. Il massimo organo giudiziale uruguaiano, ricorrendo a concetti già espressi in precedenza, ha respinto il ricorso di incostituzionalità nella sentenza prima richiamata, che così conclude: «esta Corporación ha señalado que el mismo no impide que se legisle para clases o grupos de personas, siempre que éstos se constituyan justa y racionalmente. A condición de que, tal como lo ha sustentado la justicia norteamericana y lo ha expresado el ilustrado constitucionalista nacional Justino Jiménez de Aréchaga, todos los comprendidos en el grupo sean igualmente alcanzados por la norma y de que la determinación efectuada por la misma sea razonable, no injusta, caprichosa o arbitraria, sino fundada en una real distinción (cfr. Jiménez de Aréchaga, La Constitución Nacional, Ed. Cámara de Senadores, T. I, 367; cfr. Sentencias de la Corporación Nos 323/94, 720/96 y 28/2006)». Il costituzionalista uruguaiano Risso Ferrand si chiede – nel commento che fa alla sentenza – se il legislatore possa, senza violare il principio dell’uguaglianza, creare disuguaglianze attraverso l’individuazione ex lege di “gruppi” specifici. Per l’esperto, è necessario verificare tre aspetti [25]: a) la ragionevolezza della causa della distinzione: sarà necessario quindi sottoporre la questione a un “giudizio di ragionevolezza”, il quale potrà rispondere a legittime differenze riconosciute dalla Costituzione, come la maggiore o minore età o l’appartenenza a determinate categorie come l’agricoltura, l’industria, ecc.; b) la finalità legittima [continua ..]
Il sistema giuridico uruguaiano stabilisce in diverse leggi-delega garanzie giuridiche di carattere generale che poi gli atti amministrativi (generalmente, decreti del Ministero del Lavoro) delimitano di volta in volta in relazione a diverse realtà concrete (specialmente in situazioni vincolate alla disoccupazione e a fallimenti aziendali). A titolo meramente esemplificativo è possibile ricordare il decreto-legge n. 15.180 del 20 agosto 1981 e la legge n. 18.399 del 24 ottobre 2008, i quali prevedono che il potere esecutivo (nella persona giuridica del Ministero del Lavoro) può – per ragioni di interesse generale – stabilire regimi speciali di sussidio di disoccupazione per lavoratori di alta specializzazione durante un periodo massimo di un anno, comunque prorogabile, con l’impegno dell’azienda di conservare i posti di lavoro. La norma è stata applicata in diverse attività (industria della carne, vetro, metallurgici, industria del caucciù, ecc.) e – recentemente e in forma generale – per arginare la disoccupazione all’interno di quelle attività interessate in particolar modo dalla pandemia del Covid 19. L’applicazione di queste norme delegate è stata giustificata più da motivi riguardanti l’interesse pubblico per mantener in vita aziende e locali commerciali in tempi di crisi, piuttosto che dalla maggiore e minore specializzazione dei lavoratori. Fatta questa precisione, la storia giuridica del Paese raccoglie alcune leggi (poche) che hanno regolato direttamente situazioni di crisi aziendali, evitando licenziamenti collettivi. Le prime leggi considerate corrispondono al periodo posteriore all’anno 1985, con il ritorno al sistema costituzionale democratico (1973-1985: dittatura militare). Segnaleremo le principali: Legge n. 16.102 del 10 novembre 89 dispose che lo Stato si sarebbe fatto carico delle indennità di fine rapporto dei lavoratori del Frigorifico Nacional (industria della carne), licenziati dopo la chiusura di questa azienda a controllo pubblico disposta dal d.l. n. 14.810 dell’11 agosto 1978. La legge indicava che lo Stato assumeva l’onere di pagare le indennità con addebito al tesoro pubblico, perché considerava che la chiusura del Frigorífico Nacional comportava una responsabilità dello stesso Stato per gli effetti dannosi sui lavoratori. La legge voleva così [continua ..]
Quando parliamo di relazioni industriali, inevitabilmente facciamo riferimento a rapporti di potere. Le norme “formali” sono il più delle volte frutto di soluzioni razionali a un conflitto sottostante, ed in ogni caso sono espressione della tensione tra gli imprenditori, la forza del sindacato, i politici e la pressione del mercato. Ebbene, quando analizziamo le leggi, è necessario anche conoscere le caratteristiche del sistema nel suo insieme, il quale è sempre sottoposto all’influsso di circostanze economiche, tecnologiche e politiche, così come insegnava già a metà del secolo scorso Dunlop [31]. Le regole di un sistema giuridico (tra cui, la legge) sono il prodotto del conflitto tra le parti, che a volte si risolve attraverso la contrattazione collettiva (la via perfetta, secondo noi), ma altre volte è espressione di un conflitto di più ampia estensione, che coinvolge non solo gli attori, ma anche gli stakeholders sociali ed economici. Le leggi singolari in materia di Diritto del lavoro sono evidentemente espressione di tensioni speciali che si producono nel sistema, ed hanno la finalità di “raffreddare” una realtà – singolare e concreta –, con un forte impatto sulla comunità. Situazioni che possono provocare un numero elevato di licenziamenti, o porre a rischio aziende, che sono in qualche modo un “emblema” dello stesso Stato, o che hanno forti vincoli con il potere sindacale/imprenditoriale e il potere politico, producono risultati che fanno prevalere gli interessi di un determinato gruppo di fronte all’interesse di tutta la società. In questa linea, come evidenzia Gragnoli, sono alla fine i cittadini contribuenti che dovranno finanziare i costi di politiche parlamentari, che fanno differenza tra un gruppo e l’altro e quindi producono inevitabili discriminazioni con palese violazione del principio dell’uguaglianza [32]. Pertanto, quando esaminiamo la questione delle leggi singolari è necessario capire che esse sono espressione del potere dei gruppi, e saranno proprio i gruppi meglio organizzati a portare avanti leggi circoscritte alla protezione dei propri lavoratori. Ma sarebbe riduttivo limitare l’impulso alla sola organizzazione sindacale. La realtà uruguaiana dimostra che, specialmente per quelle imprese profondamente radicate nel Paese, la chiusura di una [continua ..]
L’incontro di Parma sulle “leggi provvedimento” è stata una opportuna occasione per riflettere sui principî e i criterî giuridici relativi alla questione della legge singolare, prodotto parlamentare ogni volta più comune nel diritto comparato. Per quanto riguarda l’Uruguay, va detto che sebbene la dottrina e la giurisprudenza riconoscano l’incontrovertibilità del principio della “generalità” e dell’“astrattezza”, questi criteri non sono previsti in modo esplicito nella Costituzione. Ad ogni modo, si ammette che, anche senza un chiaro riconoscimento, questi criterî derivano dal principio della uguaglianza della legge, riconosciuto dall’art. 8 della Carta: “Todas las personas son iguales ante la ley”. Appare opportuno anche segnalare che sebbene esista una certa condivisione sul principio dell’uguaglianza, id est il Parlamento deve approvare leggi generali, la stessa Costituzione prevede ipotesi di leggi singolari (la legge di bilancio, la costituzione di società miste pubblico/private, le norme che concedono monopoli, le regole doganali, la dichiarazione di guerra, ecc.). In tal senso, quando ci riferiamo alla questione della legge concreta o singolare, escludiamo quelle ipotesi, espressamente previste dalla Costituzione, e ci riferiamo invece a soluzioni concrete stabilite dal legislatore senza una precisa autorizzazione costituzionale. Verifichiamo una tendenza internazionale – anche in Uruguay – in base alla quale il legislatore approva sempre più leggi per il caso concreto, leggi dunque prive del carattere di generalità e astrattezza per regolare specifiche situazioni giuridiche. A ciò si aggiungano quelle leggi che riconoscono al potere esecutivo una sorta di autorizzazione “in bianco” finalizzata a intervenire sulla disciplina specifica di determinati gruppi (per esempio, in materia di disoccupazione). La dottrina e la giurisprudenza uruguaiana dominante ritengono legittimi tali interventi legislativi quando sono giustificati da ragioni di interesse generale o perché sussistono gravi problemi di natura sociale. Anche se si ammette che le leggi singolari non costituiscono un esercizio normale della potestà legislativa, si accetta la loro esistenza in virtù di ragioni di ordine pubblico o di interesse generale. A conclusioni differenti si [continua ..]