Il contributo analizza la misura emergenziale del divieto dei licenziamenti economici, sottoponendola al vaglio di un complessivo giudizio in termini sia di ragionevolezza che di opportunità. Con riferimento al primo profilo, l’indagine sul campo d’applicazione del divieto, nel prisma dell’art. 46 del d.l. n. 18/2020 e delle interpretazioni offerte dalla giurisprudenza, fa emergere, sin dalla sua introduzione, alcune irrazionalità intrinseche, che vengono confermate e acuite dai continui e altalenanti interventi di proroga, che se da un lato contribuiscono ad attenuare il rigore del divieto con la previsione di deroghe espresse; dall’altro continuano a tener fermo un divieto generale e sostanzialmente incondizionato in fasi pandemiche diverse, anche in ordine di gravità. Pertanto, dopo aver vagliato la costituzionalità della misura, sottolineandone il fragile equilibrio costituzionale, ci si concentrerà sul giudizio di opportunità che segnala la miopia della misura oggetto d’esame, sprovvista della capacità di tutelare, nel lungo periodo, l’occupazione, essendo a tal fine necessarie ben altre misure.
This paper analyses the emergency measure of the prohibition of dismissals, with an overall judgment in terms of both reasonableness and opportunity. With reference first profile, the analysis of the scope of the prohibition, in reference to art. 46 of the d.l. 18/2020 and to the interpretations offered by the jurisprudence, reveals some inherent irrationalities, which are confirmed and sharpened by the swinging interventions of extension of the prohibition, which, on the one hand, mitigate its rigour by providing for derogations; on the other hand they continue to hold firm a general and substantially unconditional ban in different pandemic phases, even in order of severity. Therefore, after examining the constitutionality of the measure, underlining its fragile constitutional balance, we will focus on the assessment of opportunities that points out the short-sightedness of the measure being examined, which appears to lack the capacity to protect employment, in the long term, and points to the need for other measures to this purpose.
Keywords: pandemic law – prohibition of redundancies – extensions – conditionality – reasonableness – appropriateness.
1. Pandemia e divieto di licenziamenti economici: ragioni ed opportunità alla prova delle varie fasi dell’emergenza - 2. Il perimetro del divieto al vaglio della giurisprudenza - 3. L’evoluzione del “blocco”: le proroghe del divieto e la saga dei dilemmi sulle flessibilità - 4. Segue. Le deroghe - 5. Il fragile equilibrio costituzionale - 6. L’(in)opportunità del blocco e le misure alternative per fronteggiare la stagione post-pandemica - NOTE
Tra le più discusse misure volte a fronteggiare l’emergenza pandemica [1] figura il cd. blocco dei licenziamenti, che fa divieto a tutti i datori di lavoro, senza differenziazioni dimensionali o settoriali, di procedere a licenziamenti, collettivi o individuali, per giustificato motivo oggettivo [2]. La traumatica sospensione temporanea del potere di recesso datoriale viene disposta, nella prima fase dell’emergenza sanitaria, dall’art. 46 del decreto “cura Italia” (d.l. 17 marzo 2020, n. 18) e, a causa del perdurare della pandemia e dello stato di emergenza ad essa connesso, viene più volte prorogata per la durata di un anno e più (art. 80 d.l. n. 34/2020; art. 14 d.l. n. 104/2020; art. 12, d.l. n. 137/2020; art. 1, comma 309, legge n. 178/2020; art. 8 d.l. n. 41/2021 e da ultimo artt. 40 e 43 d.l. n. 73/2021). Per effetto del decreto Sostegni (d.l. n. 41/2021, conv. in legge n. 69/2021) il divieto di licenziamenti economici resta in vigore per la generalità delle imprese fino al 30 giugno 2021, data a partire dalla quale verrà abbandonata la via del divieto indiscriminato e si procederà, invece, con uno schema a doppio binario: a) da un lato le imprese tradizionalmente beneficiarie degli ammortizzatori sociali ordinari (ai sensi del d.lgs. n. 148/2015), per le quali a partire dal 1° luglio 2021 cadrà il blocco; b) e dall’altro le imprese non destinatarie delle integrazioni salariali ordinarie, per cui il divieto resta fermo fino al 31 ottobre 2021, potendo, tuttavia, beneficiare dell’assegno ordinario o dei trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga (ex artt. 19, 21, 22 e 22-quater del d.l. n. 18/2020), disposti (e prorogati) a causa dell’emergenza epidemiologica. Tale quadro non viene alterato dagli ultimi interventi in materia, apportati dal decreto c.d. Sostegni-bis (d.l. 25 maggio 2021, n. 73) e dal d.l. 30 giugno 2021, n. 99, essendo stata abbandonata la scelta, inizialmente prospettata, di prorogare ulteriormente il blocco generale. In effetti, anche quest’ultimi decreti emergenziali contengono una velata proroga del blocco dei licenziamenti che, tuttavia, in netta discontinuità con le precedenti proroghe, muta i connotati del divieto originario all’insegna della limitazione settoriale e dell’espressa condizionalità, oltre che della scarsa precettività. Per scelta metodologica, prima di [continua ..]
Il blocco dei licenziamenti viene disposto, come prima risposta alla pandemia e alla conseguente interruzione del ciclo produttivo, dall’art. 46 del decreto “Cura Italia” (d.l. n. 18/2020, conv. in legge n. 27/2020), con l’iniziale durata di sessanta giorni, decorrenti dalla data di entrata in vigore del decreto. L’art. 46 sospende tutte le procedure pendenti di licenziamento collettivo (ex artt. 4, 5 e 24, legge n. 223/1991) e di licenziamento per g.m.o. (ex art. 7 legge n. 604/1966) avviate a partire dal 23 febbraio 2020 e introduce per tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti impiegati, un divieto assoluto di licenziamenti, plurimi e individuali, per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 legge n. 604/1966. La previsione legislativa è, dunque, estremamente ampia, con un campo d’applicazione che non fa distinzioni e che non contempla eccezioni, neppure in caso di cessazione dell’attività dell’impresa, eccezione poi opportunamente introdotta (v. par. IV). L’ampia formulazione dell’art. 46 pone delicati scogli interpretativi con riguardo al campo di applicazione del divieto. Punto fermo è senza dubbio l’esclusione dei licenziamenti disciplinari (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo). Analogamente, è pacifico che il divieto trovi applicazione con riferimento al lavoro a tempo indeterminato, sia subordinato che etero-organizzato (in ossequio alla soluzione ermeneutica offerta dalla Cassazione n. 1663/2020 [15]), con esclusione delle ipotesi di recesso ad nutum. Viceversa, il rinvio espresso alla nozione di g.m.o. di cui all’art. 3 legge n. 604/1966 (notoria formulazione aperta [16]), desta alcune perplessità. Il punto più problematico è stabilire se il legislatore abbia voluto riferirsi ai soli licenziamenti economici “in senso stretto” (per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento), oppure se, per effetto del richiamo alla nozione di g.m.o., siano compresi nel divieto anche quei licenziamenti connessi a fatti, ovviamente non colposi, che non riguardano l’impresa colpita dagli effetti della pandemia, bensì la persona del lavoratore (quali la sopravvenuta inidoneità psicofisica alla prestazione, la perdita dei requisiti professionali, il superamento del periodo di [continua ..]
L’ampiezza del divieto di licenziamenti economici non viene scalfita dai plurimi interventi di proroga disposti dalla frenetica decretazione emergenziale. Infatti, anche se, con il sopraggiungere della “Fase 2”, la proroga di cui all’art. 14 del “decreto Agosto” (a differenza del precedente d.l. 19 maggio 2020, n. 34) sembra voler modificare i riferimenti temporali e soggettivi del blocco originario [29], occorre rilevare che gli interventi successivi confermano, invece, l’opzione per un divieto generale e incondizionato. In effetti, l’art. 14 del “decreto Agosto” (d.l. n. 104/2020, convertito in legge n. 126/2020) presenta una formulazione ambigua, che ha innescato da subito letture volte ad enfatizzare l’avvenuta flessibilizzazione del divieto, dato che nello stesso si legge che il blocco si applica «ai datori di lavoro che abbiano sospeso o ridotto l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 e che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19». Tale formulazione, frutto del carattere indubbiamente compromissorio del decreto (che interveniva in una fase di auspicabile ripresa, prima della “doccia gelata” d’autunno), suscita evidenti problematiche interpretative. Secondo alcune ricostruzioni, a differenza del divieto iniziale, generale e incondizionato ma con scadenza fissa, il decreto Agosto avrebbe introdotto un divieto condizionato (all’effettiva o comunque integrale fruizione delle integrazioni salariali o degli esoneri contributivi [30]) ma con scadenza mobile e relativa [31]; insomma un «divieto flessibile» [32] che potrebbe non trovare applicazione per quelle imprese che abbiano cessato di fruire degli ammortizzatori (circostanza mutevole a seconda dell’impresa) o non ne abbiano mai fatto richiesta. Senonché, tali interpretazioni (volte a smorzare l’obbligatorietà del divieto) sembrano cadere al cospetto dei successivi interventi di proroga che hanno omesso (volutamente, ad avviso di chi scrive) il riferimento ambiguo all’integrale fruizione degli ammortizzatori. Infatti, il “decreto Ristori” (d.l. n. 137/2020, conv. in legge n. 176/2020) proroga fino al 31 dicembre il divieto di licenziamento, senza [continua ..]
Fuori dal campo d’applicazione del blocco dei licenziamenti economici vi sono alcune ipotesi derogatorie, opportunamente introdotte da parte del Decreto Agosto e costantemente confermate dai successivi interventi di proroga che hanno contribuito ad attenuarne l’eccessivo rigore [37]. A differenza del rigidissimo blocco originario che contemplava quale sola eccezione l’ipotesi del cambio appalto, gli interventi di proroga prevedono tre deroghe espresse al divieto: a) i licenziamenti causati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, e fuori dai casi di configurabilità di trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ex art. 2112 c.c.; b) i licenziamenti motivati dal fallimento (e non già da qualsiasi procedura concorsuale [38]); c) le cessazioni di rapporto derivanti da “accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, d’incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro” (art. 14, comma 3, d.l. n. 104/2020), che, come accade per le risoluzioni consensuali stipulate dinnanzi all’Ispettorato Territoriale del Lavoro ex art. 7 legge n. 604/1966, danno, eccezionalmente, diritto ad ottenere l’indennità NASPI. La previsione delle prime due eccezioni è senza dubbio da accogliere con favore, dato che allontana i (fondati) rischi di illegittimità costituzionale relativi ad un’imposizione di continuazione forzata dell’attività economica. La terza deroga, invece, costituisce un’ipotesi a sé stante e di particolare interesse, dato che si attribuisce alla contrattazione collettiva un’importante funzione di mediazione nella disposizione dei diritti del lavoratore (nel caso di specie, il diritto a non essere licenziato durante l’emergenza). Il legislatore affida tale funzione alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, escludendo RSU e RSA [39] e rinviando all’antica ma irrisolta questione della difficoltosa identificazione dei soggetti capaci di soddisfare tale requisito [40]. Ciò specie se si considera l’indicazione offerta dall’INPS (messaggio n. 689/2021) secondo cui, ai fini della [continua ..]
Il divieto di licenziamenti economici richiede necessariamente una riflessione sull’equilibrio del bilanciamento valoriale che ne è alla base: tutela del (posto di) lavoro da un lato e della libertà economica dall’altro. Sul primo fronte sono coinvolti gli artt. 1, 4, 35, Cost., che sanciscono la tutela del (diritto al) lavoro in tutte le sue forme e impongono al legislatore di perseguire, specie in momenti di crisi, politiche orientate alla massima garanzia di occupazione [42]. Sul secondo, invece, v’è la tutela della libertà d’impresa ex art. 41 Cost., che, al comma 1, riconosce la libertà di iniziativa economica privata ma ne precisa, al comma 2, i limiti funzionali, non potendosi la stessa svolgere in contrasto con «l’utilità sociale» o in «danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Come sempre, il bilanciamento tra principi richiede il ricorso alla tecnica di composizione delle antinomie [43] tramite strumenti adeguati, proporzionati e ragionevoli che impediscano una tirannia di alcuni valori costituzionali sugli altri [44]. Di per sé già la normativa sul licenziamento per g.m.o. risponde all’esigenza di contemperamento tra l’interesse del prestatore alla conservazione del posto di lavoro e quello dell’impresa alla libera iniziativa economica con l’introduzione di «vincoli di razionalità sociale finalizzati a controbilanciare gli elementi di razionalità meramente economica delle scelte imprenditoriali»› [45]. Ma la normativa emergenziale non comporta una limitazione del potere di recesso ma una sua radicale esclusione, ammissibile solo pro tempore e in un contesto di assoluta eccezione, ben ravvisabile nello stato d’eccezione pandemico. Com’è stato osservato in letteratura, la drammaticità della crisi pandemica sembra giustificare, in nome dell’ordine pubblico e della salute pubblica, della solidarietà e dell’utilità sociale, una sospensione temporanea delle libertà fondamentali, tra cui anche le libertà economiche [46], tra l’altro in ossequio al comma 3 dell’art. 41 Cost. che riserva alla legge la facoltà di determinare programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica possa essere indirizzata e coordinata [continua ..]
Al netto delle ragioni legate allo stato di eccezione pandemico che giustificano, anche a livello costituzionale (seppur entro determinati limiti), la tragica misura del blocco dei licenziamenti, è possibile riflettere sulla opportunità di una misura radicalmente lontana dalle tendenze mainstream della flexicurity e priva di paragoni nel panorama europeo; opportunità che non è del tutto svincolata dall’indagine sulla ragionevolezza dato che la sussistenza di più opportune misure alternative al rigido e generalizzato divieto ne alimenta ulteriormente le censure d’irrazionalità. Ai fini del giudizio di opportunità occorre chiedersi se quest’anno e più senza licenziamenti per g.m.o. abbia sortito gli effetti desiderati. Secondo una nota della Banca d’Italia, le misure adottate dallo Stato per fronteggiare la pandemia (estensione della CIG, sostegno alla liquidità delle imprese e il blocco dei licenziamenti) hanno impedito circa 600.000 licenziamenti nell’arco del 2020 [52]. Tuttavia, fermarsi ad una mera valutazione di breve periodo è miope e controproducente. E se ci si sposta nell’ottica di medio-lungo periodo tale misura (forse più emotiva che razionale) presenta addirittura i rischi di una eterogenesi dei fini. Infatti, la sospensione del diritto di recesso per motivi oggettivi ha intrappolato le imprese in un fermo immagine, corrispondente alla situazione organizzativa precedente al Coronavirus, sulla base della speranza (neppure troppo velata) che, passata l’emergenza, le aziende siano poi in grado di riassorbire gradualmente le eccedenze di personale. Ma trattasi di un auspicio fin troppo ottimistico, dato che la crisi pandemica sembra destinata a produrre nell’economia e nel mondo del lavoro effetti di lunga durata, difficilmente riassorbili con interventi ordinari e, soprattutto, con singhiozzanti estensioni degli ammortizzatori sociali con obbligo di non licenziare [53]. Empiricamente, il blocco dei licenziamenti congela il fisiologico dinamismo funzionale dell’impresa non consentendo alla stessa di procedere ad una riorganizzazione adeguata (non già al contesto pandemico ma a quello della ripresa futura), con il rischio evidente che i vecchi profili organizzativi dell’impresa potrebbero essere incoerenti o finanche incompatibili con gli andamenti del mercato post pandemico, su [continua ..]