Il saggio analizza il modo in cui gli interessi collettivi transnazionali sono presi in considerazione nelle politiche di responsabilità sociale delle imprese multinazionali. A tal fine, viene innanzitutto tracciata una distinzione tra iniziative di RSI unilaterali (segnatamente, codici di autoregolamentazione) e iniziative negoziate (accordi transnazionali). Mentre gli strumenti unilaterali sono predisposti o, in ogni caso, selezionati esclusivamente dal datore, quelli negoziati comportano il coinvolgimento dei sindacati nel processo redazionale, agevolando l’organizzazione dei lavoratori a livello transnazionale. Sul piano giuridico, malgrado l’assenza di un quadro normativo generale, è comunque possibile ravvisare un crescente grado di attenzione rispetto agli interessi collettivi transnazionali: nell’ultima parte sono dunque esaminate alcune delle fonti (di soft e hard law) che hanno recentemente disciplinato la materia in maniera più diretta e specifica.
The essay examines how transnational collective interests are dealt with in multinational corporations’ CSR policies and investigates what kind of social and legal value such policies have. The author draws a distinction within the realm of CSR initiatives between unilateral instruments (especially codes of conduct) and negotiated ones (i.e. transnational company agreements). While the formers are devised or chosen solely by the business, the latter imply the participation of trade unions in the process, thus paving the ground for a more developed form of workers’ organisation. From a legal point of view, despite the lack of a consistent regulatory framework, an increasing attention towards transnational collective interests can be noticed: in this regard, a few pieces of legislation are analysed and discussed.
Keywords: multinational corporations – international collective interest – corporate social responsibility – codes of conduct – transnational company agreements – non-financial statement – duty of care.
Articoli Correlati: imprese multinazionali - responsabilità sociale d’impresa
1. Imprese multinazionali e interesse collettivo transnazionale - 2. Tipologia, contenuti e limiti dei codici di autoregolamentazione - 3. Dall’interesse collettivo all’organizzazione collettiva: gli accordi transnazionali a livello d’impresa - 4. Interesse collettivo transnazionale e ordinamento giuridico: nuovi percorsi di normazione della RSI - NOTE
La diffusione su larga scala del modello organizzativo incentrato sull’impresa multinazionale [1] ha fatto emergere, per contrasto, diversi interessi collettivi di carattere transnazionale. Ci si riferisce segnatamente alla situazione di tutti quei gruppi di soggetti, che, in qualche modo, entrano in contatto con l’attività della multinazionale e ne sono variamente influenzati. Il termine “interesse”, volutamente generico, si presta a comprendere posizioni disparate, che variano dal diritto soggettivo in senso stretto alla mera aspettativa di natura morale. Tale interesse è collettivo in quanto comune a una molteplicità di individui, che si rapportano alla multinazionale in maniera omogenea tra loro e distinta da altri. Inoltre, esso è transnazionale perché trascende i confini nazionali, stante il fatto che, per definizione, l’impresa multinazionale opera sul territorio di più Stati. I portatori di questi interessi, detti anche stakeholders [2], non sono identificabili in astratto e a priori, ma devono essere individuati sulla base dell’attività concretamente svolta dall’impresa e delle ripercussioni di questa. È pur vero, però, che alcune categorie di stakeholders sono più o meno sempre presenti: si pensi ai fornitori, ai clienti, agli investitori, nonché ai lavoratori [3], sui quali, per ovvie ragioni di pertinenza, si incentrerà il seguito dell’analisi condotta in questa sede. In mancanza di un quadro giuridico specifico e uniforme a livello internazionale, gli interessi collettivi transnazionali sono stati finora presi in considerazione quasi esclusivamente attraverso le lenti della cd. responsabilità sociale delle imprese (in prosieguo anche RSI) [4]. Com’è noto, la Commissione europea ha dedicato grande attenzione al tema della RSI [5], che, nel Libro Verde del 2001, è stata definita come «l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate» [6]. Circa dieci anni più tardi, recependo tra l’altro le indicazioni contenute nei Principi guida delle Nazioni Unite (su cui, v. infra), la Commissione ha poi provveduto a perfezionare la propria definizione di responsabilità sociale, che consisterebbe nel [continua ..]
Esempio emblematico di iniziative unilaterali è naturalmente il codice di condotta. Prendendo nuovamente in prestito le parole della Commissione, si può affermare che esso consista in una «dichiarazione ufficiale dei valori e delle prassi commerciali di un’impresa e, a volte, dei suoi fornitori. Un codice enuncia norme minime e attesta l’impegno preso dall’impresa di osservarle e di farle osservare dai suoi appaltatori, subappaltatori, fornitori e concessionari …» [10]. All’interno di questa etichetta possono essere ricondotti documenti affatto diversi tra loro per quanto riguarda, tra l’altro, i soggetti che li predispongono, i contenuti e le modalità operative. Sotto il primo profilo citato, si usa distinguere tra codici autonomi, redatti direttamente dall’impresa, e codici eteronomi. Questi ultimi, a loro volta, possono essere elaborati da organizzazioni internazionali, da organismi statali o da enti privati [11]. Le analisi empiriche dimostrano che, nei loro impegni, le imprese tendono spesso a trascurare molte questioni legate al rapporto con i dipendenti [12], anche se in anni recenti sembra registrarsi una tendenza incoraggiante all’ampliamento del novero degli aspetti considerati [13]. Un’influenza virtuosa in tal senso è stata probabilmente esercitata da alcune tra le più importanti organizzazioni internazionali [14]. Ad esempio, le Linee guida dell’OCSE per le imprese multinazionali, adottate nel 1976 e modificate da ultimo nel 2011, sono strutturate in 11 capitoli [15] e toccano temi come diritti umani, ambiente, lotta alla corruzione, tutela dei consumatori. Per quanto concerne la sezione specificamente dedicata al lavoro (punto V, «employment and industrial relations»), il par. 1 richiama implicitamente i principi fondamentali sanciti dalla Dichiarazione OIL del 1998, vale a dire libertà di associazione e contrattazione collettiva [16], eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile e del lavoro obbligatorio, pari opportunità e non discriminazione. Inoltre, le imprese sono invitate a «observe standards of employment and industrial relations not less favourable than those observed by comparable employers in the host country» (par. 4, lett. a) [17]. Infine, il commentario [18] raccorda opportunamente le previsioni delle Linee guida con la [continua ..]
Per porre rimedio ai principali limiti delle iniziative unilaterali [30], le federazioni sindacali internazionali ed europee hanno cominciato a negoziare direttamente con le multinazionali standard minimi condivisi. I prodotti di tale forma, ancora embrionale, di contrattazione collettiva transnazionale sono chiamati, secondo la terminologia adottata dalla Commissione europea, transnational company agreements (in prosieguo anche TCA) [31]. Il primo accordo di questo genere è stato concluso nel 1988 dalla multinazionale francese BSN (oggi Danone) con la International Union of Food, Agricultural, Hotel, Restaurant, Catering, Tobacco and Allied Workers’ Association (IUF) [32]; ma è solo intorno agli anni Duemila che il loro numero ha iniziato a crescere con relativa costanza. Attualmente, la banca dati realizzata dalla Commissione europea in collaborazione con l’OIL [33] riporta più di 300 accordi, stipulati da oltre 160 società diverse. Si tratta dunque di una realtà assai meno diffusa di quella dei codici di condotta, ma comunque meritevole di attenzione e in continuo sviluppo. Rispetto alle iniziative unilaterali si registra un maggior grado di uniformità, sebbene il panorama sia comunque piuttosto frammentato. A fini classificatori, si usa distinguere tra accordi internazionali o globali (cd. global framework agreements o GFA) e accordi di respiro meramente europeo (detti anche European framework agreements, EFA). Peraltro, gli stessi accordi internazionali sono perlopiù stipulati da società aventi la sede in Europa, anche se il numero di imprese non europee che si sono dotate di un accordo quadro risulta in aumento [34]. I GFA sono solitamente conclusi da federazioni sindacali internazionali [35] e, nella loro forma più elementare, stabiliscono una serie di standard di base che l’impresa si impegna a rispettare in tutte le sue operazioni, ovunque localizzate, talvolta includendo anche i soggetti che fanno parte della sua filiera produttiva [36]. Detti standard comprendono, come minimo, i principi sanciti dalle otto convenzioni fondamentali dell’OIL (spesso esplicitamente richiamate) [37], ma possono altresì riguardare materie come salute e sicurezza, retribuzione, orario di lavoro e, nei casi più evoluti, mobilità, formazione professionale, previdenza sociale. Negli ultimi mesi sono stati pure [continua ..]
Per poter sfruttare al meglio il potenziale della RSI nell’ottica della protezione e valorizzazione degli interessi collettivi transnazionali, bisogna dunque comprendere quale rilievo giuridico possono assumere le iniziative precedentemente analizzate. Pur in mancanza di uno specifico quadro regolativo (fatto salvo quanto si dirà più avanti), la dottrina si interroga da tempo circa l’applicabilità di istituti generali alle fattispecie in questione [52]. Si è così prospettato il ricorso a figure quali la promessa al pubblico ovvero l’uso aziendale per fondare la giustiziabilità degli impegni assunti dall’impresa [53]. Inoltre, il comportamento dell’impresa che divulghi informazioni relative alla propria performance sociale poi rivelatesi false o ingannevoli potrebbe essere sanzionato per violazione della normativa a tutela della concorrenza e dei consumatori [54]. Con specifico riferimento ai TCA, il carattere bilaterale potrebbe poi far pensare a testi di natura contrattuale e, come tali, fonti di obbligazioni reciproche tra le parti. La questione dovrebbe comunque essere risolta caso per caso, ricostruendo la volontà delle parti in proposito [55]. Senonché, la totale assenza, a quanto consta, di contenzioso giudiziale (o arbitrale [56]) induce a ritenere, quantomeno, che le federazioni sindacali non abbiano intenzione di servirsi degli accordi in questo modo [57]. Né ha avuto seguito, nonostante le sollecitazioni del Parlamento [58] e l’appoggio propositivo della CES [59], l’attività esplorativa della Commissione europea [60] nell’ottica di istituire un quadro normativo facoltativo [61], cui le parti a livello transnazionale avrebbero potuto volontariamente ancorare l’accordo sottoscritto. Ciò posto, bisogna comunque osservare che, negli ultimi anni, la tutela degli interessi collettivi transnazionali è stata oggetto di una rinnovata e più diretta attenzione da parte delle istituzioni nazionali e sovranazionali [62]. In particolare, sul piano internazionale il dibattito pubblico è stato notevolmente influenzato dai Guiding principles on business and human rights, elaborati dal prof. John Ruggie in qualità di Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite [63]. Rispetto alle precedenti iniziative in materia di [continua ..]