L’attualità del pensiero del Prof. Grandi si respira intensamente nel saggio dal titolo “In difesa della rappresentanza sindacale” del 2004, ove si cali la problematica evidenziata nell’attuale contesto lavorativo dell’impresa 4.0 e del lavoro digitale e del relativo dibattito sulla possibile rappresentanza sindacale di tali rapporti, che subordinati non sono. L’affermarsi sul mercato, infatti, di nuovi lavori e professionalità, reso possibile dall’evoluzione tecnologica e dalla massiccia digitalizzazione dei processi produttivi globali, impone un radicale ripensamento del sindacato, della selezione dei soggetti legittimati all’esercizio della contrattazione collettiva e dell’individuazione degli interessi dei soggetti rappresentati.
Obiettivo del presente studio sarà, allora, da un lato tentare di analizzare il tema della rappresentanza e della rappresentatività alla luce degli attuali mutamenti del lavoro, cercando di delineare delle possibili soluzioni, e dall’altro porre in luce gli elementi di eventuale continuità e/o discontinuità con il pensiero formulato sulla rappresentanza e rappresentatività sindacale dal Prof. Grandi nei tradizionali rapporti di lavoro dipendente.
The topicality of Prof. Grandi’s thought can be felt intensely in the essay entitled “In defense of trade union representation” of 2004, where the problem highlighted in the current working context of the 4.0 company and digital work and the related debate on possible trade union representation of these relationships, which are not subordinates. The affirmation on the market, in fact, of new jobs and professionalism, made possible by technological evolution and the massive digitization of global production processes, requires a radical rethinking of the trade union, of the selection of subjects entitled to exercise collective bargaining and identification of the interests of the subjects represented.
The objective of this study will, therefore, be on the one hand to try to analyze the theme of representation and representativeness in the light of current changes in the work, trying to outline possible solutions, and on the other hand to highlight the elements of possible continuity and / or discontinuity with the thought formulated on trade union representation and representation by Prof. Grandi in traditional employment relationships.
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1. Premessa - 2. Rappresentanza sindacale tra teoria della “collettivizzazione” degli interessi e sindacato come fenomeno associativo-pluralistico - 3. Effetti delle suddette conclusioni sulla rappresentanza sindacale dei riders - 4. Il recente CCNL per la disciplina dell’attività di consegna di beni per conto altrui, svolta da lavoratori autonomi, c.d. riders. Conclusioni - NOTE
Nel saggio del 2004 dal titolo “In difesa della rappresentanza sindacale” [1] il Prof. Grandi afferma: “Il diritto del lavoro non è, in genere, amico della libertà. Il protezionismo, che è l’anima sua più autentica, implica quasi sempre limitazioni di libertà, specie dal lato del soggetto che, nel rapporto contrattuale, organizza e impiega la forza lavoro” [2]. Tale riflessione induce a ripensare la stessa all’interno dell’attuale contesto lavorativo, “caratterizzato da tecnologie digitali, algoritmiche ed autopredittive che intermediano, segmentano e parcellizzano il lavoro umano” [3], contesto che taluno ha definito di “total branding” [4], ponendo l’accento sulla crescente sottomissione del “mondo della vita” del lavoratore al ciclo produttivo, per cui “l’uomo si impoverisce nella produzione-riproduzione di sé per il lavoro” [5]. Sotto questo profilo, allora, si può considerare netto il cambio di rotta attuale rispetto al passato, perché se la finalità protezionistica del diritto del lavoro in origine vedeva una propria attuazione nella limitazione dei poteri del datore di lavoro, l’odierno scenario di tecnologia digitale comporta invece che i lavoratori 4.0 si assumano interamente il rischio economico della prestazione, operando nel mercato del lavoro da un lato in maniera autonoma ed auto-organizzata, ma dall’altro lato in condizioni di debolezza contrattuale ed economica rispetto ai propri committenti, lavorando in un regime di costante concorrenza, incentivante il dumping salariale e spesso l’auto-sfruttamento [6]. Il primo dato che emerge è che, in questo caso, si tratta di attori endemicamente deboli dal punto di vista giuridico e, soprattutto, contrattuale [7] e, pertanto, le limitazioni alla libertà dovranno concentrarsi dal lato delle imprese delle c.d. piattaforme e non dal lato di chi svolge lavoro digitale, pur trattandosi di lavoratori autonomi secondo la più recente giurisprudenza sull’argomento. Non è un caso, peraltro, che proprio in un’ottica di tutela, “al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall’art. 2, comma 1 del d.lgs. n. 81/2015, la legge ricollega imperativamente l’applicazione della disciplina della [continua ..]
Si diceva in premessa che è nel tema della rappresentanza sindacale che maggiormente “il principio di libertà subisce il condizionamento di logiche funzionali collegate ad esigenze protezionistiche”, le quali, con spinta centrifuga, la allontanano dalla matrice associativa-organizzativa per ricondurla, in un processo di astrattismo sociologico, ad una “oggettivazione del gruppo destinatario dell’azione di tutela” [10], considerato “come soggetto a sé stante, dotato di propria ‘alterità’ e di propri poteri rispetto alla base degli organizzati” [11]. In altre parole, la rappresentanza sindacale, anziché concepita come “espressione volontaristica di un’unione libera di persone” [12], viene sentito “come lo strumento di espressione di un sistema astratto di gruppi o di categorie o di classi” [13], portatori di interessi in natura collettivi e indivisibili. La spiegazione è riconducibile ad un “motivo funzionale” [14], ossia l’“esigenza di conferire portata generale o tendenzialmente generale all’azione di autotutela collettiva” [15], riducendo la dimensione plurale degli attori negoziali “mediante procedure formali di selezione o di accorpamento o di unificazione della rappresentanza” [16], sul presupposto che il pluralismo delle forme di rappresentanza sia un “fattore patologico” [17] e addirittura un “disvalore” [18]. Tuttavia, ciò porta a ridurre “la molteplicità concreta degli interessi e delle volontà all’unico interesse e all’unica volontà dell’ente esponenziale” [19]. A questo punto non è forse più corretto, come si chiedeva Massimo D’Antona, domandarsi: “Chi rappresenta chi?”; “chi decide a nome di chi, in base a quale mandato e con quale responsabilità?” [20], posto che ridurre il rapporto tra base e rappresentanze sindacali al principio passivo della delega sarebbe limitativo, così come lo è la selezione su mera base elettiva. Sul punto il Prof. Grandi formula una raffinata spiegazione del perché è possibile giungere ad una siffatta conclusione [21]. Pare preferibile, soprattutto nel campo del lavoro digitale, un coinvolgimento diretto ed in [continua ..]
I dati reali ci consentono di ricavare la prova “provata” della sussistenza di interessi collettivi in capo ai lavoratori digitali e ciò, si badi bene, nonostante il legislatore nulla dica, neppure nella recente legislazione di tutela del lavoro autonomo ex lege n. 81/2017, sull’ipotizzabilità dell’azione sindacale al di fuori del lavoro subordinato. Nonostante l’inerzia del legislatore, nel quadro costituzionale è, comunque, possibile delineare alcune disposizioni, l’art. 39 e l’art. 40 Cost., le quali, lette in collegamento sistematico con gli artt. 2 e 3, comma 2, Cost., consentono di ritenere che la libertà di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero siano strumentali alla garanzia e protezione dei diritti inviolabili dell’uomo, nonché mezzi indispensabili per rimuovere gli ostacoli allo sviluppo della persona nel lavoro in generale – non necessariamente nel lavoro subordinato [25] – tutte le volte in cui la controparte imponga le condizioni contrattuali e incida sull’autodeterminazione del prestatore, allo scopo di realizzare il principio di uguaglianza sostanziale del cittadino-lavoratore [26]. In questo senso, si colloca anche l’art. 35, comma 1, Cost., che richiede al legislatore di intervenire a protezione del lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni” – e quindi non necessariamente con riferimento al lavoro subordinato – in attuazione del principio lavoristico fondante la Repubblica. Del resto, ricordiamo che la stessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha collocato la libertà sindacale, il diritto di negoziazione collettiva e il diritto di sciopero nella CEDU (art. 11) quali diritti strumentali alla protezione e garanzia dei diritti umani nel lavoro contrattualmente debole [27]. Con riferimento al lavoro digitale, se quest’ultimo manifesta una chiara insofferenza verso le forme tradizionali di rappresentanza, all’opposto registra un proliferare di forme di auto-organizzazione a livello locale, ma anche europeo e transnazionale. Ciò è reso possibile dalle stesse tecnologie digitali, le quali consentono il ricorso a canali di comunicazione attraverso cui si intrecciano le relazioni e da cui partono le rivendicazioni sindacali. Un esempio, in questo senso, in Italia si è verificato a Bologna con [continua ..]
Com’è noto, il 15 settembre 2020 è stato stipulato il Ccnl per la disciplina dell’attività di consegna di beni per conto altrui, svolta da lavoratori autonomi, c.d. riders. Si tratta di un contratto che ha visto la luce a seguito di negoziati tra Assodelivery [34], l’associazione che raggruppa le maggiori piattaforme del cibo a domicilio, e il sindacato UGL RIDER [35]. Tale sindacato, nato dalla recentissima adesione di Anar-Associazione nazionale autonoma rider, che associa un migliaio di ciclofattorini, all’Ugl, è giunto alla stipula del contratto collettivo mettendo fuori gioco i sindacati confederali, i quali avevano posto come condizione che il lavoro dei riders venisse qualificato senz’altro come subordinato e, pertanto, assoggettato al Ccnl della Logistica [36]. Alla stipulazione del contratto ha fatto seguito, con inusuale immediatezza, una reazione durissima delle tre confederazioni sindacali maggiori (le quali però non sono in grado di dimostrare un maggior numero di iscritti, tra i riders, rispetto alla neonata UGL-Rider, tacciata di essere un sindacato di comodo), cui ha fatto immediatamente eco una presa di posizione altrettanto dura del Ministero del Lavoro, il quale ha indirizzato una lettera ad AssoDelivery, qualificando il nuovo Ccnl nei termini di “contratto-pirata”. Secondo il Ministero, infatti, le parti stipulanti difetterebbero della “maggiore rappresentatività comparativa” richiesta dalla norma del 2019 per l’efficacia della deroga contrattata alla disciplina legislativa. Senonché, come ha osservato in dottrina [37], la lettera dimentica di chiarire a quale settore si riferisce quando nega il requisito della maggiore rappresentatività alle parti stipulanti. Se il “perimetro” entro cui misurare e confrontare la rappresentatività delle associazioni stipulanti coincidesse coi confini del campo di applicazione del Ccnl logistica-trasporto merci-spedizioni sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil, certamente AssoDelivery e Ugl non potrebbero vantare il requisito richiesto dalla legge. Ma nel nostro regime di libertà sindacale, a differenza di quello corporativo, la categoria sindacale e contrattuale non preesiste al contratto, non è stabilita dalla legge e tantomeno dal Ministero del Lavoro (né, come pretenderebbero Cgil, Cisl e Uil e [continua ..]