Si fa una analisi della più recente evoluzione del distacco transnazionale dei lavoratori nelle direttive UE. In particolare, il saggio si concentra sulle novità introdotte dalla direttiva 2018/957/UE e sul contrasto al dumping sociale. Quest’ultimo ha rappresentato il principale problema sollevato dalle precedenti direttive sul distacco, soprattutto dopo le controverse interpretazioni che la Corte di giustizia Ue ha fornito del distacco, alla luce del principio libera prestazione di servizi (art. 56 TFUE). Il secondo problema preso in esame è l’effettività della disciplina: la direttiva del 2018 interviene rafforzando l’attività di coordinamento e di vigilanza da parte degli Stati membri. Infine, viene brevemente analizzata l’autorità europea del lavoro (ELA), instituita nell’ordinamento UE con analoghe finalità di coordinamento tra le amministrazioni degli Stati membri.
An analysis is made of the most recent evolution of the transnational posting of workers in the EU directives. In particular, the essay focuses on the innovations introduced by the directive (UE) 2018/957 / EU and on the fight against social dumping. The latter represented the main problem raised by the previous directives on posting, especially after the controversial interpretations that the EU Court of Justice provided on posting in light of the principle of freedom to provide services (Article 56 TFEU). The second problem examined is the effectiveness of the discipline: the 2018 directive intervenes by strengthening the coordination and supervisory activities by Member States. Finally, the European Labor Authority (ELA) established by the EU legislation with similar coordination purposes among administrations of the Member States is briefly analyzed.
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1. La nozione UE di distacco - 2. Distacco e dumping sociale - 3. La legge applicabile: tra diritto Ue e diritto internazionale privato - 4. La fattispecie del distacco genuino - 5. Il rafforzamento e il coordinamento delle attività di vigilanza e amministrative - 6. L’effettività dei diritti e l’istituzione dell’autorità europea del lavoro (ELA) - NOTE
L’istituto del distacco transnazionale è stato oggetto di reiterati interventi normativi a livello europeo, cui si aggiunge una cospicua elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia dell’UE. Si tratta dunque di ricostruire, brevemente, il quadro vigente, soffermando l’attenzione sui principali snodi problematici che hanno originato un acceso e intenso dibattito politico e teorico-dottrinale [1]. Iniziamo con il ricordare che alla prima direttive direttiva 96/71/CE del 16 dicembre 1996 (attuata dal d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 72), hanno fatto seguito la direttiva 2014/67/UE del 15 aprile 2014 (c.d. direttiva enforcement, attuata dal d.lgs. 17 luglio 2016, n. 136), la direttiva (UE) 2018/957 del 28 giugno 2018 (attuata dal d.lgs. 15 settembre 2020, n. 122), che modifica la precedente direttiva 96/71/CE. Da ultimo, va richiamata anche la direttiva (UE) 2020/1057 del 15 luglio 2020, riguardante il settore del trasporto su strada. Dal combinarsi delle fonti richiamate origina la disciplina UE rivolta alle “imprese stabilite in uno Stato membro che nel quadro di una prestazione di servizi transnazionale, distacchino lavoratori” (art. 1.1 direttiva 96/71/CE). Nella nozione di distacco si fanno rientrare: a) l’appalto o subappalto; b) la mobilità all’interno di un gruppo di imprese; c) la somministrazione di lavoro. In tutte e tre le ipotesi considerate occorre un elemento di transnazionalità della mobilità del lavoratore (art. 1.3 direttiva 96/71/CE), che si ha laddove “il lavoratore che, per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente” (art. 2.1, direttiva 96/71/CE). Il distacco transnazionale è il soggiorno temporaneo di un prestatore di lavoro in uno Stato membro diverso da quello in è occupato. In realtà la fattispecie del distacco comporta una serie di corollari che si possono compendiare nella fortuna formula di mobilità all’interno dell’impiego [2] (v. infra). Si tratta cioè di una peculiare forma di mobilità del lavoro intraeuropea, affatto diversa dal regime di libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFU) [3]. La mobilità propiziata dal distacco, insieme allo spostamento fisico del lavoratore sul territorio dello stato ospite, realizza una – [continua ..]
Quanto esposto in precedenza è utile a contestualizzare l’istituto del distacco e l’evolversi del “diritto vivente”, in particolare con riguardo alla questione del dumping sociale che ne condiziona il concreto operare negli ordinamenti statali [6]. Il termine dumping, mutuato dal linguaggio economico, illustra la pratica commerciale consistente nel vendere sul mercato estero una merce a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati nel mercato interno. In ambito lavoristico, parliamo di dumping sociale per riferirci all’ipotesi nella quale il prezzo di vendita di merci e di servizi è basso in ragione di un minore costo di produzione che, sua volta, è giustificato dal minore costo della manodopera utilizzata. Sta dunque ad indicare il modello di agire economico volto al perseguimento di un vantaggio competitivo che, nel caso del distacco, include l’insieme delle prassi di evasione o elusione della legislazione lavoristica, poste in essere dagli attori economici per conseguire un vantaggio competitivo nel mercato UE sfruttando «l’esistenza di differenze tra i sistemi di regole sociali» [7] fra i diversi Stati membri. Il distacco, come chiarito sopra, è una peculiare forma di mobilità o circolazione della manodopera, ma in concreto opera come un vettore di mobilità delle norme lavoristiche nazionali, con esiti estremamente impattanti per gli ordinamenti statuali in quanto è un istituto sistematicamente da inquadrare nell’ambito del regime di libera circolazione dei servizi (art. 56 TFUE), libertà fondamentale garantita dal diritto primario UE. Le peculiarità appena descritte hanno determinato pratiche di dumping sociale in danno di Stati ospitanti aventi standard economici e normativi più elevati rispetto a quelli cui sono tenute le imprese distaccanti, che in tal guisa realizzano una concorrenza al ribasso rispetto alle imprese operanti nello Stato di destinazione. Basterà ricordare lo storico caso Rush portuguesa [8] da cui prese le mosse la disciplina del distacco [9]. Il fenomeno del dumping sociale ha fatto insorgere fondati timori per il rischio di una competizione deregolativa fra ordinamenti [10]. Si è pertanto dovuto prendere atto che veniva meno il presupposto immunitario del diritto del lavoro, che si riteneva comunque [continua ..]
È utile precisare che la direttiva sul distacco non va intesa come la classica fonte UE di armonizzazione del diritto del lavoro dei diversi Stati membri, è piuttosto da inquadrare nel sistema delle norme internazional-privatistiche il cui fine è la determinazione della legge applicabile ai contratti di lavoro dei lavoratori distaccati negli Stati ospitanti [21]. In effetti dalla mobilità transnazionale di lavoratori – che è dall’altra parte il cuore della questione politico-istituzionale evocata dalla direttiva – origina un conflitto tra norme nazionali che, sul piano generale, trova soluzione nella Convenzione di Roma (Roma I, regolamento n. 593/2008). La direttiva sul distacco si pone come fonte integrativa di Roma I, avendo, come obiettivo specifico, l’elaborazione di criteri delle regole applicabili costituenti il nucleo di protezione minima dei lavoratori (c.d. nocciolo duro art. 3.1, direttiva 96/71/CE). Ne scaturisce una problematica tanto essenziale quanto critica, se si pensa alla discussione sorta attorno all’art. 3.10 circa l’interpretazione delle norme di ordine pubblico [22]. Nella originaria direttiva 96/71/CE, ove si è cercato un arduo contemperamento fra gli interessi delle imprese, dei lavoratori e degli Stati membri, si prevede che oltre alle tutele minime garantite ai lavoratori distaccati, sia possibile, per lo Stato ospite, estendere a tali lavoratori solo le proprie “disposizioni di ordine pubblico” (art. 3.10, direttiva 96/71/CE) [23]. Coordinandosi con quanto prevede il regolamento Roma I (art, 8, regolamento CE n. 593/2008), il nuovo testo della direttiva identifica le norme di applicazione necessaria (art. 9, regolamento CE n. 593/2008) per coloro che si trovino temporaneamente presenti sul territorio dello Stato ospitante. Sulla questione dell’ordine pubblico un ruolo significativo l’ha svolto la Corte di giustizia, da un lato escludendo che uno Stato possa imporre il rispetto dell’intero complesso del diritto del lavoro nazionale, dall’altra stabilendo che è illegittimo estendere il sistema nazionale di indicizzazione delle retribuzioni mediante il richiamo dall’ordine pubblico [24]. La direttiva (UE) 2018/57 novella il testo della direttiva del 1996 guidata, come già anticipato in premessa, dalla ratio di contrasto al dumping sociale che si [continua ..]
L’obiettivo generale di contrasto a pratiche di dumping sociale traspare chiaramente anche dalle nuove disposizioni volte a fissare i parametri di un distacco genuino, contestualmente individuando quindi le ipotesi elusive o fraudolente di distacco conosciute nella prassi applicativa. A tal riguardo si registrano due tipi abusi riferiti al legame col territorio dello Stato ospitante: l’uno riguardante la natura fittizia del nesso tra l’impresa distaccante e lo stato ospitante, ove viene costituita la c.d. letterbox company è cioè la sede solo apparente dell’impresa [30]; l’altro che fa leva sulla temporaneità della presenza del lavoratore distaccato. Per contrastare tale duplice forma di abuso, il legislatore UE stabilisce criteri, solo esemplificativi, idonei a stabilire sia l’effettivo stabilimento dell’impresa distaccante nello Stato di origine (art. 4.2, direttiva 2014/67), sia la natura temporanea della prestazione svolta dal lavoratore distaccato nello Stato ospite (art. 4.3, direttiva 2014/67). La direttiva (UE) 2018/957 introduce il limite di 12 mesi (prorogabili a 18, su richiesta dell’impresa distaccante) al superamento dei quali al lavoratore distaccato è obbligatorio riconoscere le medesime tutele previste per i lavoratori dello Stato ospite (art. 3, par. 1-bis introdotto nella direttiva 96/71/CE). Dunque, il distacco è legittimo anche se superiore a 12 mesi, ma parrebbe essere di fatto disincentivato, dalla applicazione delle (verosimilmente) maggiori tutele riconosciute nell’ordinamento ospitante e quindi determinando un aumento del costo per l’impresa distaccante. In realtà, occorre tenere presente in vincolo sistematico già sopra richiamato, alla luce del quale “le norme che garantiscono tale protezione dei lavoratori non possono pregiudicare il diritto delle imprese che distaccano lavoratori nel territorio di un altro Stato membro di invocare la libera prestazione dei servizi anche nei casi in cui un distacco sia superiore a 12 o, se del caso, 18 mesi. Qualsiasi disposizione applicabile a lavoratori distaccati nel contesto di un distacco superiore a 12 o, se del caso, 18 mesi deve pertanto essere compatibile con tale libertà. In conformità della giurisprudenza consolidata, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi sono ammissibili solo se sono giustificate da motivi [continua ..]
Dalle valutazioni fatte circa l’applicazione della originaria direttiva sul distacco, nonché dalle finalità perseguite dalla direttiva Enforcement è emerso chiaramente che una delle principali carenze è derivata dalla scarsa effettività delle regole UE nella materia de qua, imputabile innanzitutto ad uno scarso, se non addirittura inesistente, coordinamento amministrativo fra istituzioni statuali [36]. Infatti, oltre a comportamenti opportunistici e talora fraudolenti, messi in atto da operatori economici, vi è stata una oggettiva mancanza di comunicazione e informazione fra imprese operanti in distinti ordinamenti e spesso in difficoltà nell’applicare le norme proprie dello stato ospitante. Innestandosi su quanto già disposto dalla direttiva 2014/67/UE, si prevede ora che gli Stati membri predispongano una cooperazione tra le autorità o gli organismi competenti, comprese le amministrazioni pubbliche, consistente in particolare “nel rispondere alle richieste motivate di informazioni da parte di tali autorità o organismi a proposito della fornitura transnazionale di lavoratori e nel combattere gli abusi evidenti o presunti casi di attività transnazionali illegali, quali i casi transfrontalieri di lavoro non dichiarato e lavoro autonomo fittizio legati al distaccamento dei lavoratori”. Si specifica altresì che “qualora l’autorità o l’organismo competente dello Stato membro a partire dal quale il lavoratore è distaccato non sia in possesso delle informazioni richieste dall’autorità o dall’organismo competente dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato, esso sollecita l’ottenimento di tali informazioni presso altre autorità o organismi in tale Stato membro”. Tuttavia, risulta carente un vero e proprio rimedio sanzionatorio, in caso di “ritardi persistenti” nella trasmissione di informazioni “la Commissione ne è informata e adotta misure adeguate”. (art. 4, par. 2, direttiva 96/71/CE).
Oltre ad un indispensabile sistema di coordinamento amministrativo, l’effettività del distacco viene rafforzata anche dal fatto che il legislatore Ue obblighi gli Stati membri sia a monitorare e controllare la corretta esecuzione della disciplina del distacco, sia ad adottare “misure adeguate in caso di inosservanza della presente direttiva” (art. 5.1, direttiva 96/71/CE). Segnatamente “gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla presente direttiva e adottano tutte le misure necessarie per garantirne l’attuazione” (art. 5.2, direttiva 96/71/CE). La sostanziale mancanza di contenzioso nell’attuazione dell’originaria direttiva 96/71/CE, ha indotto il legislatore UE a introdurre un obbligo per gli Stati membri di vigilare “affinché i lavoratori e/o i rappresentanti dei lavoratori dispongano di procedure adeguate ai fini dell’esecuzione degli obblighi previsti” dalla nuova direttiva 96/71/CE (art. 5.3). È una norma che si affianca a quanto già dispone l’art. 11.3, direttiva 2014/67/UE, che riconosce alle organizzazioni sindacali la possibilità di agire in giudizio per “promuovere ogni procedimento giudiziario o amministrativo diretto a ottenere l’applicazione della presente direttiva e della direttiva 96/71/CE e/o l’esecuzione degli obblighi da esse risultanti”. Ancora, in tema di sanzioni per il distacco illegittimo, quando è accertato “che un’impresa, in modo scorretto o fraudolento, simuli che la situazione di un lavoratore rientri nell’ambito di applicazione” della direttiva 96/71/CE, si prevede che “lo Stato membro in questione garantisce che il lavoratore benefici della normativa e della prassi pertinente” (art. 5.4, direttiva 96/71/CE). Da ultimo, con riguardo alla mobilità transnazionale, un apporto significativo sul piano dell’effettività, potrà indubbiamente derivare dalla recente istituzione dell’autorità europea del lavoro (ELA, European Labour Agency) [37]. Le molteplici funzioni attribuite all’ELA sono, nel complesso, riportabili ad una attività di sostegno e miglioramento della cooperazione transfrontaliera, oltre all’assistenza nel coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale [continua ..]