Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Dall'ideologia della flessibilità al rischio della precarietà: dignità e flessibilità del lavoro (di Maria Dolores Ferrara, Ricercatrice di Diritto del lavoro dell’Università degli Studi di Trieste)


Il saggio ripercorre le tappe più importanti della relazione tra la tutela della dignità e la flessibilità del lavoro. Nel contributo si analizzano le fasi legislative e le relative tecniche adottate nella regolazione di talune tipologie di lavoro flessibile (particolarmente lavoro a termine e somministrazione di lavoro) nella prospettiva di indagarne le ricadute sul piano della protezione della dignità sociale dei lavoratori e delle lavoratrici. Nell’ultima stagione regolativa, dopo il c.d. decreto Dignità, la dignità è diventata un brand legislativo, anche se la tecnica utilizzata rischia di superare il valore medesimo, ponendo in competizione i principi della Carta costituzionale, ossia dignità ed eguaglianza di occasioni stabili di lavoro con il rischio che l’ordinamento sia costretto ad accogliere contenuti più inoffensivi del concetto stesso di dignità.

From the flexibility ideology to the precarious risk: dignity and work flexibility

The essay explores the most important steps of the relationship between dignity and work flexibility. The paper analyses the techniques that the legislator uses in the regulation of certain types of flexible work (particularly, fixed-term work and temporary work through agency) in the perspective of examining their impact on the dignity of the worker. In particular, in the last regulatory season after the so-called “Dignity decree”, dignity becomes a legislative brand, even if the technique used risks exceeding the value itself. In fact, the same principles of the Constitutional Charter could be in competition among them, that is dignity and equality of stable job opportunities.

SOMMARIO:

1. Dignità e flessibilità del lavoro: il campo di indagine - 2. Dignità e forme flessibili di impiego come relazione antinomica: la dignità come tecnica - 3. Dignità e rapporti di lavoro flessibili come relazione sintonica: la composizione nel mercato del lavoro - 4. I confini mobili tra dignità e flessibilità del lavoro: il futuro di questa relazione - NOTE


1. Dignità e flessibilità del lavoro: il campo di indagine

La delimitazione concettuale del campo di indagine di questo studio è particolarmente complessa sia in ragione della polisemia dei concetti in discussione, dignità e flessibilità del lavoro, sia a causa della multidimensionalità regolativa degli strumenti e delle tecniche a presidio della dignità e a sostegno della flessibilità del lavoro. Il discorso sulla dignità [1] è tutt’altro che agevole, anche se necessario in considerazione del suo uso sempre più politico per giustificare precise scelte legislative soprattutto nella regolamentazione dei rapporti di lavoro. È stato detto che «il contenuto essenziale dei diritti fondamentali coincide con l’ambito coperto dal principio della dignità sociale» e che i diritti hanno bisogno che il legislatore se ne prenda carico e ne preveda regolazione e tutele [2]. Tuttavia, in relazione sia alla tecnica regolativa sia alla delimitazione degli obiettivi e del contenuto dei diritti fondamentali, l’indagine sulla relazione tra dignità e flessibilità del lavoro impone una rilettura delle questioni da diverse angolazioni, avvertendo fin d’ora che è stata operata una scelta selezionando solo alcuni profili di indagine in relazione a specifiche fasi regolative. Nel saggio si è cercato di individuare i tratti salienti del rapporto tra la tutela della dignità sociale e la flessibilità del lavoro al fine di indagare l’impatto della prima nozione sulla regolazione delle forme flessibili di impiego alla luce delle agende politiche di questi anni con particolare riferimento ai contratti di lavoro a termine e alla somministrazione di lavoro. La nozione di dignità pare sfuggevole quanto necessaria per dare coerenza all’intero sistema costituzionale. Le articolazioni espresse o inespresse della nozione di dignità e le sue declinazioni ad opera della Corte Costituzionale paiono il terreno più fecondo su cui gli studiosi si sono misurati [3] al fine di indagarne le sue funzioni in una prospettiva non solo statica di delimitazione della nozione ma anche dinamica di individuazione delle potenziali applicazioni [4]. Da questa angolazione, infatti, il discorso sulla dignità appare più fecondo, ricavandosi dalla giurisprudenza costituzionale [5] un uso multiforme della dignità per rafforzare [continua ..]


2. Dignità e forme flessibili di impiego come relazione antinomica: la dignità come tecnica

In una prima fase della storia legislativa la relazione in esame, ossia dignità e flessibilità del lavoro, appare contrassegnata da un’evidente antinomia. Dalle relazioni che accompagnavano le varie proposte di legge in tema di lavoro a termine prima di approdare alla legge 18 aprile 1962, n. 230, e soprattutto dal relativo dibattito parlamentare, emergeva con chiarezza il grande rilievo dato alle modifiche legislative in materia di contratto di lavoro a tempo determinato. Si intendeva porre fine all’abuso di questa tipologia contrattuale, descritto come « … sordida speculazione» [13] da cui derivava un « … pesante sfruttamento economico e morale, intimidazioni odiose, attentati alla sua dignità ed integrità fisica» [14]. Quindi la tutela della dignità nel rapporto di lavoro diventava l’obiettivo fondamentale affidato alla novella in tema di lavoro a termine nella consapevolezza che gli effetti dell’abuso dei contratti a termine riguardavano l’intera condizione del lavoratore, comportando un maggiore sfruttamento economico e morale di questi lavoratori, una soggezione qualificata derivante dalla precarietà del posto di lavoro e da un ampio e discrezionale potere selettivo del datore di lavoro [15]. La tutela della dignità, seppure non compariva nei preamboli e nei titoli dei progetti, animava implicitamente l’intero iter di approvazione della legge del 1962 e il contemperamento con le esigenze di flessibilità delle imprese fu realizzato attraverso la scelta di scartare diverse proposte, molte di matrice sindacale, in cui non solo si proponeva l’uso rigoroso dei casi in cui era possibile ricorrere al termine nella relazione lavorativa ma si aggiungevano meccanismi di comunicazione preventiva o di autorizzazione da parte delle autorità amministrative o delle rappresentanze sindacali in azienda [16]. Non si voleva eliminare il lavoro a termine, ma si voleva dare una più efficace attuazione del principio dello sfavore nei riguardi di questa tipologia contrattuale considerata alternativa al lavoro a tempo indeterminato. Già nell’impianto codicistico, infatti, il governo del contratto a termine era affidato al controllo di pratiche elusive, poiché, ai sensi dell’art. 2097, comma 2, c.c. l’apposizione del termine era priva di effetto se fatta per [continua ..]


3. Dignità e rapporti di lavoro flessibili come relazione sintonica: la composizione nel mercato del lavoro

Le coordinate della relazione indagata, dignità e flessibilità del lavoro, sono rimaste più o meno stabili secondo il modello sopra delineato fino agli albori del nuovo millennio. Le nuove ricette per affrontare le sfide dell’inte­gra­zione dei mercati sul piano globale, per stabilizzare e far progredire il progetto di un’unione economica, monetaria, politica e sociale tra gli Stati membri della Comunità europea hanno imposto una riscrittura radicale dei valori e dei termini di questa relazione. La flessibilità perde la dimensione di disvalore dei precedenti decenni e diviene obiettivo delle agende politiche comunitarie e nazionali. Il rapporto antinomico tra dignità e flessibilità trova una nuova vita in un nesso sintonico che ha come collante il mercato del lavoro. La flessibilità del lavoro diviene indispensabile garanzia della flessibilità del mercato del lavoro. Le riforme degli anni duemila, anticipate dalle aperture giurisprudenziali [33] e da precedenti interventi legislativi settoriali [34], segnano il trionfo dell’ideologia della flessibilità, intesa come valore in sé da attuare a tutti costi e come tecnica di promozione del lavoratore nelle dinamiche del mercato. Già nel 1993, tuttavia, a proposito delle misure introdotte dal Protocollo del 23 luglio 1993, Massimo D’Antona rilevava l’obsolescenza dell’introduzione di quote di flessibilità aggiuntiva nelle tipologie dei rapporti di lavoro al fine di aumentare l’occupazione [35]; eppure questi avvertimenti non hanno impedito la nascita dell’ideologia della flessibilità che ha pervaso più campi del sapere scientifico e caratterizzato in modo indelebile le agende politiche dei governi nazionali e sovranazionali [36]. In effetti, anche a livello europeo, la flessibilità del lavoro era considerata, inizialmente, una delle misure possibili per aumentare l’occupazione come si legge nei primi documenti in tema di ristrutturazione dei tempi di lavoro [37]. Era sintomatico che, in conseguenza di queste prime narrazioni, la flessibilità veniva individuata dalla Commissione come possibile strumento per promuovere l’occupazione (Comunicazione COM(82) 661 def. del 14 ottobre 1982), fermo restando che le azioni dovevano puntare soprattutto a promuovere gli investimenti produttivi privati e [continua ..]


4. I confini mobili tra dignità e flessibilità del lavoro: il futuro di questa relazione

La liberalizzazione durante e post crisi dei rapporti di lavoro flessibili e, in particolare della somministrazione di lavoro e del termine, ha tracciato un nuovo archetipo della difficile relazione tra dignità e flessibilità del lavoro. Dopo il Jobs Act, infatti, il discorso sulla flessibilità del lavoro transita dal mercato del lavoro potenzialmente a tutti gli altri mercati, divenendo strumento “nella crisi” non solo, come è stato detto, «per una nuova organizzazione del lavoro e per un nuovo modello di relazioni industriali» [56] ma, a parere di scrive, ambisce a disegnare nuovi modelli di impresa e di produzione. Un esempio chiarirà il senso dell’affermazione. La riforma della somministrazione di lavoro, nell’originaria versione del decreto n. 81/2015 prima del c.d. decreto Dignità, d.l. 12 luglio 2018, n. 87, conv. in l. 9 agosto 2018, n. 96, non è stata soltanto un’operazione di liberalizzazione di questa forma contrattuale, ma ha rappresentato una possibile metamorfosi delle funzioni di questo istituto. Già nel decreto legislativo n. 276/2003 mancavano norme che governassero l’ipotesi, peraltro frequente nella pratica, di successione di distinti contratti di lavoro in somministrazione a termine stipulati dall’agenzia e dal lavoratore in funzione di un contratto di somministrazione tra l’agenzia e l’utilizzatore a tempo determinato [57]. Questa lacuna è stata confermata nel quadro regolativo post Jobs Act, anzi semmai si è aggravata (art. 34, comma 2, d.lgs. n. 81/2015), confermando una situazione di anarchia legislativa nei rapporti di lavoro a termine in somministrazione in cui era possibile reiteratamente stipulare contratti a termine in somministrazione e abusivamente mandare i lavoratori anche per lunghi (e a questo punto infiniti) periodi in missione presso lo stesso utilizzatore a svolgere le medesime mansioni, nella sostanziale convenienza di questa operazione da parte dei soggetti datoriali, in cui contava, di fatto, l’eventuale diffusione di diverse e migliori pratiche da parte delle Agenzie [58]. Se l’abbandono della causale nel lavoro a termine tout court aveva lasciato impregiudicati i vincoli temporali legati alla durata massima del periodo o di più periodi svolti con rapporti di lavoro a tempo determinato, nella [continua ..]


NOTE