L’articolo si occupa della recente riforma, che ha introdotto con d.lgs. n.14 del 12 gennaio 2019 il c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Nello specifico si approfondiscono le regolamentazioni riguardanti l’estensione delle tutele previste nel caso di trasferimento d’azienda e della Nuova assicurazione sociale per l’impiego. In particolare l’Autore si concentra sugli effetti del trasferimento d’azienda, disciplinati all’art 191 del Codice da un espresso rinvio alla disciplina lavoristica, al fine di armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori, che trovano fondamento nella Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, come interpretata dalla Corte di Giustizia Europea. Si affronta altresì la disposizione contenuta nell’art 190, che riconosce espressamente la cessazione del rapporto di lavoro per intervenuta liquidazione giudiziale come ipotesi equiparabile alla perdita incolpevole dell’attività lavorativa, idonea a consentire al lavoratore, in presenza dei requisiti di cui all’art. 3, d.lgs. n. 22/2015, di accedere alla prestazione assistenziale c.d. NASpI.
The article deals with the recent reform, which introduced the so-called Legislative Decree No. 14 of 12 January 2019 Code of business crisis and insolvency. Specifically, the regulations regarding the extension of the protections provided in the case of company transfer and New social insurance for employment are deepened. In particular, the Author focuses on the effects of the transfer of the company, governed by Article 191 of the Code by an express reference to the work discipline in order to harmonize the crisis and insolvency management procedures of the employer with the forms to protect the employment and income of workers, which are based on Council Directive 2001/23 / EC, as interpreted by the European Court of Justice. It also deals with the provision contained in art 190, which expressly recognizes the termination of the employment relationship due to judicial liquidation as a hypothesis comparable to the innocent loss of the working activity, suitable to allow the worker, in the presence of the requirements of art. .3 Legislative Decree 22/2015, to access the so-called welfare service NASpI.
KEYWORDS: business crisis – business transfer – involuntary loss of employment
1. L’art. 191 del d.lgs 12 gennaio 2019, n. 14 - 2. Segue: il rinvio alla nuova formulazione dell’art. 47 della legge n. 428/1990 - 3. Trasferimento d’azienda nelle procedure concorsuali e tutele dei lavoratori - 4. La perdita involontaria dell’occupazione - 5. L’estensione della Naspi ai lavoratori dipendenti da imprenditori sottoposti a liquidazione giudiziale - NOTE
L’art. 191 del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, nel disciplinare il trasferimento di azienda nell’ambito delle procedure di liquidazione giudiziale, concordato preventivo ed in esecuzione di accordi di ristrutturazione, ribadisce l’applicazione dell’art. 47 della legge n. 428/1990, oltre che dell’art. 11, d.l. n. 145/2013, convertito in legge n. 9/2014 e delle altre disposizioni vigenti in materia [1]. Quest’ultima normativa prevede particolari forme agevolative per le società cooperative costituite da lavoratori dipendenti dell’impresa sottoposta alla procedura e per gli stessi prestatori di lavoro [2]. È evidente che gli effetti del trasferimento di azienda sui rapporti di lavoro sono disciplinati tramite un espresso rinvio alla disciplina lavoristica, in vista dell’attuazione del principio enunciato dalla legge delega, che impone di “armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori che trovano fondamento nella Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001,come interpretata dalla Corte di giustizia europea” [3]. In particolare, l’articolo 47 della legge n. 428/1990 prevede una specifica tutela procedurale per i lavoratori coinvolti in un trasferimento d’azienda o di un suo ramo, quando l’azienda trasferenda, nel suo complesso, occupa più di quindici lavoratori. È previsto un obbligo gravante su cedente e cessionario di comunicare per iscritto ai sindacati (RSU o RSA e sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento) l’intenzione di trasferire l’azienda o un suo ramo, almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti [4]. Tale adempimento consente ai sindacati d’intervenire in questa delicata fase in cui le trattative tra i due imprenditori sono ancora aperte e le sorti dei lavoratori che verranno trasferiti ancora incerte, potendo anche controllare la vicenda traslativa dell’azienda in ordine alle capacità tecniche e finanziarie del nuovo titolare di gestire e/o rilanciare l’azienda. Entro sette giorni dal ricevimento dell’informativa, i sindacati [continua ..]
Il rinvio all’art. 47 contenuto nell’art. 191 del d.lgs. n. 14/2019, interessa la norma per come innovata dallo stesso Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, da considerare avendo presente oltre alle modifiche contenute nell’art. 368 anche altre disposizioni dello stesso (come gli artt. 212 e 214, rispettivamente in tema di affitto dell’azienda o di suoi rami e di vendita in blocco dell’azienda o di suoi rami in relazione a procedure di liquidazione giudiziale) [6]. In particolare, al fine di superare alcune criticità interpretative che l’art. 47, legge n. 428/1990 aveva sollevato anche rispetto al diritto europeo, l’art. 368 del nuovo codice della crisi d’impresa sostituisce i commi 4-bis e 5 dell’art. 47, prevedendo espressamente, in conformità alle direttive europee, il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro sia in caso di procedure non liquidatorie (comma 4-bis) che liquidatorie (comma 5); la stessa norma ammette anche la possibilità di deroghe all’art. 2112 c.c. per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste da accordi sindacali, che sono fatti salvi per lo scopo precipuo di salvaguardia dell’occupazione, posto che in entrambi i casi il compendio normativo presuppone che il trasferimento al cessionario dei diritti dei lavoratori abbia già avuto luogo, conformemente all’art. 5, n. 3 della direttiva 2001/23 e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE [7]. Secondo il nuovo comma 4-bis, nell’ipotesi in cui il trasferimento riguardi imprese per le quali sia stata aperta una procedura di concordato preventivo in regime di continuità diretta, vi sia stata omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti, se essi non hanno carattere liquidatorio, oppure sia stata disposta l’amministrazione straordinaria in caso di continuazione o mancata cessazione dell’attività, il contratto collettivo che preveda il mantenimento dell’occupazione da parte del cessionario può modulare le modalità di applicazione dell’art. 2112 c.c. con riguardo alle condizioni di lavoro [8]. Il nuovo comma 5, invece, prevede che in caso di trasferimento di imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero emanazione del [continua ..]
Il trasferimento d’azienda può rappresentare in situazioni di crisi una soluzione volta a garantire il mantenimento dell’occupazione e la continuità aziendale [10]. La disciplina interna è stata oggetto di diversi interventi nel tempo anche, e soprattutto, a seguito della spinta del diritto europeo [11]. In particolare l’art. 2112 c.c., in origine finalizzato alla solo salvaguardia dell’integrità funzionale dell’impresa, oggi è essenzialmente volto a garantire la tutela dei lavoratori coinvolti, come si evince anche dalla stessa rubrica che recita «mantenimento di diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda» [12]. Gli interventi comunitari che hanno portato a modificare la disciplina nazionale sono le direttive 77/187/CEE, 98/1950/CEE e 2001/23/CE, nonché la giurisprudenza della Corte di Giustizia [13]. A ciò si aggiunga la giurisprudenza interna e sovranazionale, che ha fornito, nel corso degli anni, importanti elementi per l’elaborazione del concetto di azienda e di un suo ramo [14]. Con riferimento alle specifiche ipotesi di fallimento è consentita al curatore, in caso di cessione d’azienda, la deroga al regime stabilito dall’art. 2112 c.c., nel corso di consultazioni sindacali in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione (art. 47, comma 5, legge n. 428/1990) [15]. Tuttavia, a differenza dell’imprenditore il quale, sia pure sotto la vigilanza del commissario giudiziale, mantiene l’esercizio dell’impresa nell’esperimento della procedura di concordato preventivo (art. 94, comma 1, come già l’art. 167, comma 1, l. fall.), il curatore fallimentare assume l’amministrazione e la disponibilità dei beni (e, tra essi, di eventuali aziende) del fallito (artt. 128, commi 1 e 142, comma 1, già artt. 31, commi 1, e 42, comma 1, l. fall.) senza averne alcuna conoscenza [16]. Questo dato, di indubbia rilevanza, dovrebbe in qualche modo far riflettere l’imprenditore in condizione di crisi sull’inopportunità strategica di mantenere ad ogni costo la titolarità della propria impresa pur di evitare di perderne l’autonomia (anche se spesso ridotta a mero simulacro formale, per essere stata di fatto già trasferita ai creditori), piuttosto che [continua ..]
La disposizione contenuta nell’art. 190 del d.lgs. n. 14/2019 chiarisce che la cessazione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art.189, costituisce perdita involontaria dell’occupazione ai fini di cui all’art. 3 del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22 e che al lavoratore è riconosciuto il trattamento NASpI, a condizione che ricorrano tutti requisiti ai quali il suddetto decreto legislativo subordina detto trattamento [23]. Si è inteso, in tal modo, tener conto del suggerimento dell’undicesima Commissione permanente (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato, di confermare che il d.lgs. n. 22/2015 si applica nella sua interezza, anche per ciò che concerne i requisiti generali per l’accesso alle prestazioni [24]. Va quindi preliminarmente osservato che mentre l’art. 189, comma 8, precisa che il contributo NASpI è ammesso al passivo come credito anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale [25] ai fini dell’ammissione al passivo, il successivo art. 190 chiarisce invece che la cessazione del rapporto di lavoro derivante dalla apertura della liquidazione giudiziale costituisce perdita involontaria dell’occupazione, ai fini di quanto disposto dall’articolo 3 del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22 [26]. Orbene, nei confronti dei disoccupati involontari il sistema pubblico garantisce un sostegno ex art. 38 Cost. che per lunghissimo tempo ha coinciso con l’indennità di disoccupazione ordinaria (r.d. n. 1827/1935) e, a partire dal 1°gennaio 2013, è stato affidato, per opera della legge n. 92/2012, all’Assicurazione sociale per l’impiego (c.d. «ASpI») e alla «miniASpI» per coloro che non potessero far valere i requisiti per l’erogazione della prima. Dal 7 marzo 2015, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 22/2015, emanato in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n.183, c.d. Jobs Act atto II del governo Renzi, le tutele previste per la disoccupazione involontaria sono state riordinate e rimodellate. Rispetto alla normativa previgente (legge n. 92/2012), i nuovi requisiti consentono sicuramente ad un maggior numero di disoccupati di poter beneficiare del trattamento di disoccupazione. Non può dirsi comunque che la durata e l’importo del nuovo trattamento di disoccupazione siano più favorevoli rispetto ai precedenti, [continua ..]
Nell’ottica di armonizzazione delle procedure concorsuali con le forme di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori, l’art. 190 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza riconosce dunque il trattamento NASpI («Nuova assicurazione sociale per l’impiego») [28], introdotto dal d.lgs. n. 22/2015, al ricorrere dei requisiti e nel rispetto delle disposizioni in esso previsti [29], anche ai lavoratori dipendenti da imprenditori nei cui confronti sia stata aperta la liquidazione giudiziale [30]. Il riconoscimento del trattamento si realizza attraverso l’estensione alla sospensione del rapporto di lavoro, per effetto della procedura ed in virtù del richiamo appunto dell’art. 189, comma 1, della nozione di «perdita involontaria dell’occupazione», che presuppone l’inattività derivante dall’estinzione o dall’interruzione del rapporto [31]. La condizione coincidente con l’apertura della liquidazione giudiziale è infatti temporanea e suscettibile di evoluzione nel senso della continuità dell’attività d’impresa, anche attraverso il trasferimento dell’azienda (e, pertanto, del rapporto di lavoro), in virtù della scelta del curatore di subentro (con assunzione dei relativi obblighi dalla comunicazione ai lavoratori) ovvero di scioglimento attraverso il recesso (con effetto dalla data di apertura della liquidazione) secondo l’ordinaria disciplina dei rapporti pendenti, già (e tuttora per l’ampia vacatio legis) prevista nel fallimento [32]. Si tratta, dunque, di una forma di sostegno al reddito del lavoratore che rimane sprovvisto della retribuzione nello spatium deliberandi riservato al curatore in assenza del trattamento di integrazione salariale, non più previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2016, nei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa, a norma dell’art 21, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 148/2015. Appare evidente come, anche opportunamente, l’istituto di integrazione straordinaria salariale abbia perso il carattere assistenziale che negli anni l’aveva progressivamente connotato [33], per essere restituito ad una finalità di intervento temporaneo in funzione di una ripresa effettiva dell’attività economica, [continua ..]