Variazioni su Temi di Diritto del LavoroISSN 2499-4650
G. Giappichelli Editore

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Il trattamento economico nel lavoro pubblico contrattualizzato (di Rosario Santucci, Professore ordinario di Diritto del Lavoro – Università del Sannio)


Per esaminare le novità in materia di retribuzione all’indomani delle riforme del 2017, l’A. premette i fondamenti in merito verificando il grado di allineamento delle regole del settore pubblico a quelle del settore privato. Il centro delle innovazioni è individuato da un lato nei limiti in cui si imbatte il legislatore nella sospensione della contrattazione collettiva relativa alla retribuzione e nelle regole che quantificano le risorse finanziarie disponibili per il trattamento economico e dall’altro nella modifica del sistema dei trattamenti accessori collegati alla performance, liberato da imposizioni legislative irrazionali. Nel lavoro è considerato criticamente il ruolo della dirigenza con attenzione sia per i trattamenti economici previsti sia per le responsabilità nel riconoscimento dei trattamenti economici al personale non dirigente

The economic treatment of public sector employment

To examine the news in matters of remuneration in the aftermath of the 2017 reforms, the A. pressed the fundamentals in this area checking the degree of alignment of public sector to private one. The innovation centre is identified on the one hand within the limits of which the legislature encounters the suspension of collective bargaining relating to the remuneration and the rules quantifying the financial resources available for economic treatment and the other hand in changing the system of ancillary treatments related to the performance, delivered from irrational legislative impositions. The role of management is critically considered in the work, with a focus on both the expected economic treatments and the responsibilities in recognition of economic treatment to non-executive staff.

KEYWORDS: sources – constraints – fundamental and ancillary remuneration – reward pay – performance

SOMMARIO:

1. La retribuzione dei lavoratori pubblici privatizzati tra uniformità e diversità rispetto a quelli privati: “riassunto delle puntate precedenti” e focus sulle fonti - 2. Segue: le tecniche per evitare il rischio di cogestione sindacale nel trattamento retributivo - 3. Segue: vincoli e controlli sull’autonomia collettiva, in particolare sui trattamenti economici accessori - 4. Il trattamento economico dei dirigenti - 5. Le regole sulla retribuzione tra conferme, modifiche e prassi successive al 2009. A) I limiti della sospensione della contrattazione collettiva da parte della legge e la quantificazione delle risorse finanziarie - 6. B) La retribuzione accessoria: sul nuovo art. 19 del d.lgs. n. 150 e su meriti e premi - 7. Uno sguardo alla giurisprudenza e ai contratti collettivi, con qualche valutazione finale - NOTE


1. La retribuzione dei lavoratori pubblici privatizzati tra uniformità e diversità rispetto a quelli privati: “riassunto delle puntate precedenti” e focus sulle fonti

Per il trattamento economico la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è stata ambivalente, caratterizzandosi tanto per uniformità quanto per diversità rispetto al lavoro privato, com’è del resto naturale in ragione delle peculiarità del datore di lavoro pubblico. Per assicurare il controllo del costo del lavoro pubblico le diversità tuttavia sono numerose. Il campo è “minato” dalla presenza di forti limitazioni per l’au­tonomia negoziale, collettiva e individuale, e si registra un corredo di principi che, a prima vista, appaiono confliggenti con quelli del settore privato. Solo in virtù di interpretazioni coerenti con il sistema privatistico e di successivi interventi legislativi si è evitata la riconduzione dell’assetto retributivo del lavoro pubblico nell’ambito di una cogestione legislativamente imposta, una volta e per sempre, da ritenersi distorsiva degli interessi tanto dell’organizzazione pubblica quanto delle funzioni sindacali, e di una concezione pubblicistica, strutturalmente lontana da un minimo denominatore privatistico del contratto di lavoro. Innanzitutto nel sistema delle fonti sono indubbi il ruolo riconosciuto ai contratti collettivi e il ristretto spazio lasciato al contratto individuale [1]. L’af­fermazione non è smentita dall’orientamento alla “ri-legificazione” del lavoro pubblico, inaugurato dalla riforma Brunetta (l.d. n. 15/2009 e d.lgs. n. 150/2009) e conservato, in forma più attenuata, dalla riforma Madia (legge n. 124/2015; d.lgs. n. 74 e n. 75/2017), in quanto esso non significa “ri-pub­blicizzazione” del lavoro pubblico, seppure emerga la consapevolezza che sia necessario abbandonare l’idea che la privatizzazione sia servita a ricondurre alla casa comune il lavoro subordinato, a prescindere dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro [2]. Se si tiene conto del fatto che i contratti collettivi nel settore pubblico posseggono efficacia generale, hanno un rilievo ancor più pregnante gli artt. 2, commi 3 e 45, comma 1, d.lgs. n. 165/2001 i quali stabiliscono infatti che il trattamento economico fondamentale e accessorio è definito dai contratti collettivi e l’attribuzione dei trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante i contratti [continua ..]


2. Segue: le tecniche per evitare il rischio di cogestione sindacale nel trattamento retributivo

Da rilevare, nel passaggio dalla prime riforme a quella del 2009 [5], l’in­serimento di alcune “salvezze” previste dalle disposizioni legislative con riguardo all’assetto delle fonti sulla retribuzione. Le stesse si spiegano per la rigidità della “riserva di competenza” riconosciuta – secondo molti – dalla legge alla contrattazione collettiva in materia retributiva (art. 45) [6]. Le riserve di competenza si pongono infatti in rotta di collisione con la privatizzazione, reintroducendo un assetto vincolato di “cogestione”. Secondo alcuni infatti, più che una riserva di competenza, si sarebbe dovuta considerare una preferenza per la contrattazione collettiva, ferma restando la possibilità di determinazioni unilaterali dell’amministrazione, accettate dalle controparti individuali quando si tratti di modifiche di requisiti essenziali del contratto. La tesi è ora confermata, per meglio dire oltrepassata, dal comma 3-ter dell’art. 40 [7]. Questo stabilisce espressamente che, nel caso in cui non si raggiunga l’accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, «qualora il protrarsi delle trattative determini un pregiudizio alla funzionalità dell’azione amministrativa, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede fra le parti, l’amministrazione interessata può provvedere in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo fino alla successiva sottoscrizione e prosegue le trattative al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell’accordo. Agli atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria previste dall’ar­ticolo 40-bis». Attribuisce dunque un potere di modifica unilaterale sulle materie oggetto del mancato accordo ma non evita la lettura che conformi i comportamenti e gli atti alle regole del diritto comune. In ogni caso va ricordato che il contratto nazionale definisce il termine delle sessioni negoziali in sede decentrata; alla scadenza le parti riassumono le rispettive prerogative e la libertà di iniziativa e decisione (art. 40, comma 2-bis). Una facoltà e un obbligo sono riconosciuti a livello di trattamenti stipendiali. L’art. 47-bis, comma 1, stabilisce che, qualora sia trascorso un periodo di 60 gg. [continua ..]


3. Segue: vincoli e controlli sull’autonomia collettiva, in particolare sui trattamenti economici accessori

L’autonomia collettiva è soggetta a vincoli e controlli che si giustificano per le peculiarità del datore di lavoro pubblico, tenuto a perseguire obiettivi costituzionalizzati attinenti all’equilibrio dei bilanci e al buon andamento dell’amministrazione (art. 97, commi 1 e 2 Cost.). Per un primo verso, le risorse disponibili sono predeterminate attraverso gli strumenti di finanza pubblica e i contratti collettivi sono tenuti a prevedere clausole che consentano di prorogare l’efficacia del contratto o di sospenderne l’esecuzione totale o parziale in caso di accertata esorbitanza dai limiti di spesa (art. 48, d.lgs. n. 165/2001). Per un secondo verso, i trattamenti economici accessori in primo luogo possono essere erogati dalle pubbliche amministrazioni solo quando corrispondano alle prestazioni effettivamente rese (art. 7, comma 5, d.lgs. n. 165/2001) e i dirigenti sono responsabili dell’attribuzione dei trattamenti economici accessori (art. 45, comma 4, d.lgs. n. 165/2001) [10]. In secondo luogo i trattamenti economici accessori devono essere ancorati a parametri stabiliti direttamente dalla legge [11]. L’art. 45, comma 3 dispone infatti che i contratti collettivi definiscono, in coerenza con le disposizioni legislative vigenti, trattamenti economici accessori collegati alla performance individuale, a quella organizzativa con riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l’amministrazione, all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero dannose o pericolose per la salute (comma 2). Inoltre (comma 3-bis) per premiare il merito e il miglioramento della performance ai sensi delle disposizioni legislative (si tratta della premialità predisposta dal titolo III del d.lgs. n. 150/2009), compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, sono destinate apposte risorse nell’ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro. Nella contrattazione collettiva si reperiscono da anni indennità non necessariamente legate a tali parametri (indennità per specifiche responsabilità non comportanti posizioni organizzative, bilinguismo, per messi notificatori, per l’assistenza domiciliare etc.). Si può ritenere che la disposizione legislativa possa interpretarsi nel senso [continua ..]


4. Il trattamento economico dei dirigenti

Per i dirigenti [17] è previsto che il contratto individuale definisca il relativo trattamento economico nel rispetto di vincoli fissati dallo stesso legislatore (art. 19, comma 2, d.lgs. n. 165) [18]. La retribuzione del personale con qualifica di dirigente – con la quale si remunerano tutte le funzioni e i compiti attribuiti al dirigente nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del proprio ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso la quale prestano servizio – è determinata dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, prevedendo che il trattamento economico accessorio sia correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti dal dirigente (art. 24, comma 1, d.lgs. n. 165). La graduazione delle funzioni e responsabilità ai fini del trattamento accessorio è definita dalle amministrazioni pubbliche con provvedimento dei rispettivi organi di governo (per lo Stato con decreto ministeriale), ferma restando l’osservanza di criteri e limiti delle compatibilità finanziarie fissate dal Presidente del Consiglio dei Ministro di concerto con il Ministro dell’economia. La parte collegata ai risultati deve costituire almeno il 30% della retribuzione complessiva del dirigente (fatta esclusione della dirigenza del Servizio sanitario nazionale) e non può essere corrisposta se l’amministrazione di appartenenza non ha provveduto a predisporre il sistema di valutazione della performance (art. 24, commi 1-bis e 1-quater, d.lgs. n. 165) [19]. Per le posizioni di vertice delle amministrazioni ha maggiore spazio l’autonomia individuale. Per gli incarichi di uffici dirigenziali di livello generale, con contratto individuale è stabilito il trattamento fondamentale, assumendo come parametro di base i valori economici massimi contemplati dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, ed è determinato il trattamento economico accessorio (istituti ed importi), collegato al livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione e ai risultati conseguiti nell’attività amministrativa e di gestione. Con d.P.C.M. sono stabiliti i criteri per l’individuazione dei trattamenti accessori massimi, secondo i criteri di contenimento della spesa e di uniformità e perequazione (art. 24, comma 2, d.lgs. n. 165) [20].


5. Le regole sulla retribuzione tra conferme, modifiche e prassi successive al 2009. A) I limiti della sospensione della contrattazione collettiva da parte della legge e la quantificazione delle risorse finanziarie

Nelle riforme recenti, le vie da seguire per osservare le modifiche o le integrazioni sulla disciplina della retribuzione sono due: gli interventi a monte, sulle regole che si occupano delle risorse finanziarie disponibili; gli interventi a valle sulle dimensioni strutturali della retribuzione. È importante premettere la posizione della Corte costituzionale (sentenza 24 giugno 2015 n. 178) che, pur muovendo da una prospettiva parziale del sistema (il rapporto tra legge e contrattazione collettiva), ha affermato il carattere di imprescindibile fonte del contratto collettivo, che disciplina anche il trattamento economico (art. 2, comma 3, d.lgs. n. 165/2001), nelle sue componenti fondamentali ed accessorie (art. 45, comma 1, d.lgs. n. 165/2001) [21]. Dal testo della sentenza si evince però che centrale è il procedimento negoziale e contrattuale, dal momento che non può affermarsi esistente un obbligo a contrarre, bensì solo a trattare, gravante sulle amministrazioni pubbliche, con la preminenza della fonte contrattuale collettiva per gli aspetti retributivi. Infatti per la Corte, «in una costante dialettica con la legge, chiamata nel volgere degli anni a disciplinare aspetti sempre più puntuali (art. 40, comma 1, secondo e terzo periodo del d.lgs. n. 165/2001), il contratto collettivo contempera in maniera efficace e trasparente gli interessi contrapposti delle parti e concorre a dare concreta attuazione al principio di proporzionalità della retribuzione, ponendosi, per un verso, come strumento di garanzia della parità di trattamento dei lavoratori (art. 45, comma 2, d.lgs. n. 165/2001) e, per altro verso, come fattore propulsivo della produttività e del merito (art. 45, comma 3, d.lgs. n. 165/2001)». Collegato il contratto collettivo a una complessa trama di valori costituzionali (artt. 2, 3, 36, 39 e 97 Cost.), in un quadro di tutele presidiato anche da numerose fonti sovranazionali, le procedure “negoziali e contrattuali”, per la Corte, possono subire sospensioni anche superiori al termine di un anno per realizzare interessi generali della comunità [22]; in ogni caso i periodi devono essere definiti e non protratti ad libitum. «Il carattere ormai sistematico di tale sospensione» – originata dal congelamento del trattamento economico complessivo derivante dall’art. 9 del d.l. n. 78/2010 conv. in legge n. 122/2010 [continua ..]


6. B) La retribuzione accessoria: sul nuovo art. 19 del d.lgs. n. 150 e su meriti e premi

L’art. 19 del d.lgs. n. 150/2019 ha subito una giustificata revisione (art. 13, comma 1, d.lgs. n. 74/2017) che ha spazzato il vincolismo organizzativo di un sistema di performance management assai discusso (la distribuzione forzata). Dopo la prima modifica effettuata dall’art. 2, comma 1 del d.lgs. n. 141/2011, ora si rimette al centro il contratto collettivo nazionale, che, «nell’ambito delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance ai sensi dell’articolo 40, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», stabilisce la quota delle risorse destinate a remunerare, rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale e fissa criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi di cui all’art. 9, comma 1, lett. d), corrisponda un’effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati (comma 1) [28]. Per i dirigenti, il criterio di attribuzione dei “premi” è riferito alla retribuzione di risultato (comma 2). Una significativa revisione riguarda anche i premi. Il bonus annuale delle eccellenze (art. 21), incastonato nel sistema di distribuzione forzata e istituito necessariamente dalle pubbliche amministrazioni nell’ambito delle risorse previste per la retribuzione accessoria (art. 45, comma 3-bis, d.lgs. n. 165/2001), cambia completamente natura: a) «può» essere attribuito da ogni amministrazione pubblica; b) nei limiti delle risorse disponibili, la contrattazione collettiva nazionale determina l’ammontare del bonus. La disposizione non si occupa più del tipo di eccellenza anche se si sottintende, essendo assegnato a conclusione del processo di valutazione che serve per premiare l’eccellenza nell’ambito del sistema di valutazione delle performance. Non si stabilisce più in quale quantità, ma essendo le risorse predefinite e stabilendo la contrattazione collettiva l’entità del bonus, è evidente che risulti indirettamente fissato il numero di “bonus” assegnabili. Il premio annuale (unico) per l’innovazione (art. 21) rimane invariato ed è gestito dall’amministrazione che necessariamente lo istituisce anche se con un valore pari al bonus e l’assegnazione spetta all’OIV. La contrattazione collettiva non è tenuta fuori: le [continua ..]


7. Uno sguardo alla giurisprudenza e ai contratti collettivi, con qualche valutazione finale

È doverosa la considerazione di autorevoli orientamenti giurisprudenziali e indirettamente dello stato dell’arte della contrattazione collettiva. Di rilievo è la valutazione della natura della retribuzione di posizione e di risultato e dei loro rispettivi requisiti. La Cassazione [30], interpretando gli artt. 9 e 10 del CCNL del comparto regioni-autonomie locali del 31 marzo 1999 che attribuiscono ai dipendenti assegnatari di posizioni organizzative una retribuzione di risultato, rilevano come l’erogazione di quest’ultima sia subordinata alla valutazione positiva dell’Amministrazione circa il raggiungimento di obiettivi gestionali previamente programmati. Sicché il lavoratore non può rivendicare il riconoscimento dell’emolumento, ove ometta di indicare e provare l’obiettivo assegnatogli e l’avvenuto conseguimento dello stesso, senza che abbia rilievo la mancata costituzione, da parte dell’ente, di un nucleo di valutazione del risultato. In particolare, nell’ambito della retribuzione accessoria, mentre la retribuzione di posizione è legata allo svolgimento delle mansioni afferenti alla posizione organizzativa assegnata, la retribuzione di risultato è un emolumento ulteriore legato alla positiva valutazione dei risultati delle attività svolte dai dipendenti cui siano stati attribuiti gli incarichi di posizioni organizzative, valutazione da effettuarsi sulla base di criteri e procedure predeterminati dall’ente. Quindi, secondo la normativa contrattuale collettiva di comparto, la retribuzione di risultato presuppone necessariamente non già solo lo svolgimento, secondo l’ordinaria diligenza, delle attività in cui consiste la posizione organizzativa, per cui è già previsto l’elemento accessorio della retribuzione di posizione, ma la valutazione del raggiungimento degli obiettivi fissati. La retribuzione di risultato è quindi «un emolumento accessorio di natura premiale ed incentivante a carattere speciale in un’ottica di gestione per obiettivi del personale di livello direttivo. Il dipendente cui (è) assegnata una posizione organizzativa non solo (è) tenuto a svolgere con diligenza le sue mansioni (...), ma (può) essere chiamato anche a raggiungere determinati obiettivi fissatigli dall’amministrazione (...). Quest’ul­timo e non il [continua ..]


NOTE