Il saggio si interroga sulla problematica vigenza dell’art. 8, commi 1-3, legge n. 148/2011, specie a seguito delle modifiche del quadro legislativo intervenute principalmente ad opera del Jobs Act. Assunta un’ottica interpretativa che integra molteplici piani d’analisi e criteri ermeneutici, l’A. opta per una soluzione da ricercare di volta in volta a seconda delle materie che vengono in gioco, considerando in via esemplificativa, al fine di dare pratica attuazione alla chiave di lettura proposta, alcuni degli istituti su cui si è maggiormente appuntata l’attenzione degli studiosi: lavoro a progetto (e collaborazioni etero-organizzate), mansioni, controlli a distanza, contratto a termine.
The essay analyses the issues related to the art. 8, paragraphs 1-3, Act 148/2011, especially in the light of the innovations in the legislative framework introduced by the Jobs Act. This paper proposes to use an interpretative approach, able to combine the creation of an analysis plan with the application of hermeneutic criteria. Furthermore, the A. suggests that the appropriate solution to any possible issue concerning the art. 8 has to be decided from time to time, depending on the subjects at stake, and considering some of the institutions on which the attention of the scholars has been mostly driven to: project work (and hetero-organized collaborations), tasks, remote controls, fixed-term contracts.
Keywords: proximity collective agreements – art. 8 Law 148/2011 – Jobs Act – implicit repeal – criterion of speciality – hetero-organized collaborations – tasks – remote controls – fixed-term contract.
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1. Finalità e limiti dell’indagine - 2. La contrattazione di prossimità dopo il Jobs Act: spunti problematici - 3. Una possibile chiave di lettura - 4. Qualche esemplificazione (significativa): il lavoro a progetto (e le collaborazioni etero-organizzate) - 5. Segue: Le mansioni - 6. Segue: I controlli a distanza - 7. Segue: Il caso del contratto a termine. A mo’ di conclusioni - NOTE
Norma divisiva per eccellenza, come conferma la letteratura, ormai sconfinata, che può reperirsi in materia [1], l’art. 8, commi 1-3, d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148/2011, sembra pensato per portare allo scoperto le più rilevanti questioni che, ancora oggi, attraversano il diritto sindacale italiano: dall’efficacia generale del contratto collettivo (nello specifico, quello decentrato), con connessa, problematica compatibilità rispetto al meccanismo individuato dall’art. 39, commi 2-4, Cost. [2]; alla selezione dei soggetti abilitati a partecipare al modello di «derogabilità periferica» [3] delineato dalla norma, che fa leva su di un criterio – quello della maggiore rappresentatività comparata – di per sé foriero d’innumerevoli incertezze [4], potenzialmente acuite dall’inedita possibilità di valutare detta rappresentatività con riguardo a un non meglio precisato ambito territoriale [5]; dai rapporti/raccordi fra i livelli contrattuali, che, al di là del dubbio rispetto dell’art. 39, comma 1, Cost., pongono non pochi interrogativi circa la tenuta del sistema di relazioni industriali [6], scossa da una forma di «decentramento disorganizzato» [7] quale quello prefigurato dall’articolo in esame; alla nuova relazione, tratteggiata dal legislatore, fra fonti eteronome e fonti autonome del diritto del lavoro [8]. A ciò si aggiunge una miriade di questioni ermeneutiche – a partire dall’interpretazione della locuzione «specifiche intese» [9] e dall’individuazione delle modalità applicative del criterio maggioritario in base al quale esse dovrebbero essere sottoscritte [10], oltre che dei limiti, costituzionali e sovranazionali, che sono chiamate a rispettare [11] – le quali hanno contribuito a rendere assai confuso il quadro normativo di riferimento. Il che, unitamente all’avversione fin da subito manifestata nei suoi confronti dal sindacato con la famosa clausola del 21 settembre 2011 [12], ha indubbiamente ostacolato l’operatività dell’art. 8. Peraltro, benché ufficialmente contraria ad avvalersene, la prassi sindacale ha visto poi emergere un atteggiamento del “si fa, ma non si dice” [13] meno idealista e più [continua ..]
In effetti, se già a seguito dell’entrata in vigore della “legge Fornero” e del cd. “pacchetto-lavoro Letta” ci si era interrogati sulla questione, in particolare con riferimento al rapporto fra l’art. 8 e la riforma della disciplina del contratto a termine e della responsabilità solidale negli appalti, che quelle normative avevano realizzato associandovi una ridefinizione del ruolo della contrattazione collettiva [19], a maggior ragione il tema della sopravvivenza della disposizione in oggetto risulta ancora più attuale oggi [20], specie dopo l’emanazione del d.lgs. n. 81/2015. Da un lato, infatti, il decreto in parola contiene una previsione, l’art. 51, che – al di là dei tratti comuni rispetto all’impianto dell’art. 8 [21], con connessa estensione dei dubbi di legittimità ex art. 39, comma 1, Cost. [22] – s’ispira a un principio di «equiordinazione» fra i livelli contrattuali, considerati funzionalmente equivalenti [23], il quale consente al contratto decentrato di sostituirsi a quello nazionale negli interventi integrativi/specificativi/derogatori demandati dal d.lgs. n. 81/2015 all’autonomia collettiva, e ciò a prescindere dalle condizioni previste nel 2011 (una per tutte: il rispetto dei «vincoli di scopo» [24], per quanto genericamente formulati). In tal modo, si supera la stessa valorizzazione della contrattazione di prossimità operata dall’art. 8 [25], anche perché il nuovo modello aspira ad assumere una valenza sistematica di ordine generale, come confermano i richiami all’art. 51 da parte di normative posteriori [26]. In effetti, quest’ultimo, pur non attribuendo al livello decentrato una competenza esclusiva, come, invece, fa la disposizione del 2011, incide pesantemente sulla «tradizionale gerarchia delle fonti contrattuali», la quale «è alterata non solo quando si privilegia il contratto decentrato ma anche quando […] il rinvio è indifferenziato ai vari livelli, proprio perché, in assenza di vincoli legislativi, ogni livello è competente a negoziare le condizioni di lavoro» [27]. Dall’altro lato, la legislazione del 2015 procede, in un’ottica di maggiore flessibilità, a una completa riscrittura d’interi istituti su cui insiste anche [continua ..]
Invero, mancando una previsione che espressamente provveda ad espungere dall’ordinamento l’art. 8 citato, occorre chiedersi se non possa farsi ricorso al meccanismo dell’abrogazione tacita per incompatibilità, enunciato nell’art. 15 Preleggi. Sennonché, e fatti salvi i noti margini d’incertezza che caratterizzano tale tipologia di abrogazione, in questo caso sembra comunque difficile parlare di «incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti», non trovandoci di fronte a una disposizione che pone una diversa disciplina, incompatibile con la pregressa, in tema di contrattazione decentrata nei suoi rapporti con quella nazionale e con la legge. E ciò per l’ovvia ragione che una regolazione esaustiva di detta contrattazione, a cui il legislatore riconnette l’efficacia derogatoria e generalizzata cui si è accennato, si rinviene solo nel menzionato art. 8, mentre la struttura dell’art. 51, d.lgs. n. 81/2015 si configura in termini differenti, tanto da rendere problematico – almeno sembra – un confronto diretto, ai fini che qui interessano, con la previsione del 2011. Confronto che, invece, assume rilievo rispetto alle specifiche ipotesi di derogabilità contemplate dal d.lgs. n. 81/2015, i cui rinvii alla contrattazione collettiva debbono, per l’appunto, interpretarsi alla luce del principio di pari competenza tra i livelli contrattuali posto dall’art. 51 (a meno che il legislatore non abbia provveduto a selezionarne fra essi uno in particolare). Quest’ultimo, quindi, rileva ai nostri fini solo in via mediata, ossia letto in combinato disposto con i precetti che, di volta in volta, devolvono alla contrattazione collettiva anche poteri derogatori, inserendosi in un corpus normativo più complesso – l’intero d.lgs. n. 81/2015 – il quale, in ultima analisi, finisce con il disciplinare la medesima fattispecie regolata dal legislatore del 2011, ossia contratti collettivi derogatori nelle stesse materie già individuate dall’art. 8. Se, allora, la comparazione sembra investire, più correttamente, la regolamentazione posta dal decreto in questione – e adottata anche tramite rinvii, in chiave derogatoria, alla contrattazione collettiva come definita dall’art. 51 – nei suoi rapporti con le materie indicate nell’art. 8, comma 2, v’è da chiedersi se non [continua ..]
Secondo l’art. 8, comma 2, lett. e), oggetto di deroga possono essere anche le «modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA […]» [54]. Con riguardo, in particolare, all’ultima parte del frammento normativo riportato, va osservato, com’è noto, che il lavoro a progetto è stato superato dall’abrogazione degli artt. 61 ss., d.lgs. n. 276/2003 ad opera dell’art. 52, d.lgs. n. 81/2015, il quale, a sua volta, ha fatto salve le collaborazioni ex art. 409, n. 3, c.p.c. Per altro verso, l’art. 2, comma 2, lett. a), dello stesso decreto attribuisce solo agli «accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale» – i quali prevedano «discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore» – il potere di sottrarre le collaborazioni etero-organizzate a quanto statuito dal precedente art. 2, comma 1, in ordine all’applicazione, a partire dal 1° gennaio 2016, della «disciplina del lavoro subordinato» [55]. Sul fatto che ci si trovi di fronte all’affidamento all’autonomia collettiva di una potestà derogatoria, oltre tutto di amplissima portata, non pare possano esservi dubbi, consentendosi al sindacato di «disapplicare» [56] la disciplina legale propria del lavoro subordinato, senza, peraltro, che ciò si traduca in una controversa disposizione del tipo ad opera delle parti sociali, secondo l’obiezione adombrata con riguardo all’art. 8 [57]: invero, almeno in base alla prospettazione accolta da chi scrive [58], non si tratterebbe, in questo caso, di rapporti riconducibili nell’alveo della subordinazione [59]. In ogni modo, la domanda circa la compatibilità della disposizione del 2011 con il meccanismo prefigurato dal d.lgs. n. 81/2015 sorge immediata. In proposito, e tralasciando di soffermarsi sulle molteplici problematiche sollevate dall’art. 2, comma 2, lett. a) [60], che esulerebbero dall’oggetto di queste pagine, ai nostri fini vale rilevare che i livelli decentrati non paiono legittimati a intervenire ai sensi dell’art. 8 [61], come [continua ..]
A conclusioni non dissimili parrebbe potersi giungere con riguardo «alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale» (art. 8, comma 2, lett. b) [70] in virtù della ratio legis che ispira la nuova formulazione dell’art. 2103 c.c. [71], atteso che l’art. 3, d.lgs. n. 81/2015, riscrivendo interamente la disposizione codicistica nell’ottica non più di tutelare la professionalità del lavoratore, ma di accrescere sensibilmente i margini di flessibilità funzionale a disposizione del datore di lavoro [72], sembra disegnare una disciplina esaustiva anche con riferimento al ruolo della contrattazione collettiva. Da un lato, infatti, la novella attribuisce ai contratti collettivi di qualsiasi livello (ex art. 51, d.lgs. n. 81/2015) il potere d’individuare ulteriori ipotesi di demansionamento (art. 2103, comma 4, c.c.), oltre a invocare l’intervento degli stessi contratti a proposito della fissazione del termine (anche più elevato dei sei mesi continuativi indicati in via sussidiaria dal legislatore), allo spirare del quale matura il diritto del lavoratore all’acquisizione della qualifica corrispondente alle mansioni superiori svolte (comma 7), e a richiamare indirettamente il ruolo dell’autonomia collettiva nella mobilità cd. orizzontale (comma 1) [73]. Dall’altro lato, essa assegna non già a quest’ultima, ma all’autonomia individuale assistita, amplissimi margini di manovra ai sensi del riformato art. 2103, comma 6, c.c. [74]. Sì che l’art. 8 sembra doversi ritenere non solo ormai poco appetibile [75], ma abrogato in parte qua [76], venendo meno la sua coerenza, sul punto, rispetto all’evoluzione del quadro normativo di riferimento, in quanto figlio dell’esigenza di derogare a una disciplina che si ispirava a una filosofia profondamente diversa da quella dell’attuale art. 2103 c.c., e in rapporto alla quale la contrattazione di prossimità, regolata dal d.l. n. 138/2011, avrebbe potuto costituire uno strumento utile ad «assecondare un’organizzazione più flessibile del rapporto di lavoro» [77]. Esigenza a cui, quattro anni dopo, il legislatore, assumendo in prima persona l’onere di flessibilizzare la materia in esame, ha ritenuto evidentemente di fornire una risposta differente, che ingloba al proprio interno [continua ..]
Discorso differente, invece, in materia di controlli a distanza, poiché, in tale ipotesi, non sembra che il nuovo art. 4 Stat. lav. [82] si ispiri, quanto al ruolo della contrattazione collettiva, a una ratio radicalmente diversa rispetto alla pregressa disciplina. Sicuramente la riscrittura della disposizione riflette l’esigenza di adeguare una normativa ormai datata al mutato contesto tecnologico [83], tant’è vero che una delle ragioni per cui la materia degli «impianti audiovisivi» e della «introduzione di nuove tecnologie» [84] (comma 2, lett. a) era stata inserita nell’art. 8 rispondeva proprio alla necessità di svecchiamento/aggiornamento della previsione statutaria [85]. Non diversamente da quanto osservato in tema di mansioni, con l’art. 23, d.lgs. n. 151/2015 il legislatore è intervenuto direttamente nell’ottica testé ricordata, lasciando, però, inalterata «l’impostazione tradizionale volta a sottoporre l’installazione degli strumenti di controllo ad un filtro destinato a valutare in concreto la sussistenza delle causali giustificatrici di cui al comma 1 e a conseguire il più equilibrato contemperamento dei contrapposti interessi in gioco» [86]. Insomma, il ruolo, di tipo autorizzatorio, assegnato all’autonomia collettiva non risulta nella sostanza mutato. Sì che, quantunque vada stigmatizzata l’ennesima ipotesi di «incomunicabilità tra normative giuslavoristiche» [87], stante il mancato coordinamento espresso delle due discipline, pare doversi comunque confermare, in punto di diritto, la perdurante vigenza dell’art. 8, comma 2, lett. a); tanto più che la “materia” individuata da quest’ultimo risulta sicuramente più ampia rispetto a quella indicata dall’art. 4 Stat. lav. [88], nell’altra, tuttavia, contenuta. Non è ovviamente questa la sede per esemplificare dettagliatamente gli spazi ancora potenzialmente occupabili dalla contrattazione di prossimità [89], ma, ai fini che qui interessano, almeno due osservazioni di ordine generale sembrano opportune per precisare l’affermazione in ordine alla loro giuridica persistenza, in particolare con riferimento all’ipotesi in cui l’oggetto dell’eventuale contratto collettivo riguardi proprio il [continua ..]
Quanto «ai contratti a termine», richiamati dall’art. 8, comma 2, lett. c) [97], la materia – in ragione della regolamentazione alluvionale che l’ha interessata nel tempo [98] – risulta decisamente intricata, al punto che pare impossibile dare conto, in modo esaustivo, delle tante questioni che potrebbero essere oggetto di riflessione, a partire dal contenitore che le ingloba tutte, ossia quello dei rinvii alla contrattazione collettiva da parte della legge; tema classico e spesso foriero, da ultimo con il c.d. “decreto dignità”, di non pochi problemi di diritto transitorio, specie con riguardo al delicato profilo, di cui non ci si può occupare in questa sede, del conflitto/concorso fra disposizioni contrattuali vigenti e mutato contesto normativo [99]. In effetti, anche dopo il d.l. n. 87/2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 96/2018, continuano a essere affidati consistenti poteri derogatori alla contrattazione collettiva ex art. 51, d.lgs. n. 81/2015 [100], con riferimento, ad esempio, alla durata massima dei rapporti a termine fra i medesimi soggetti (art. 19, comma 2, d.lgs. n. 81/2015), agli intervalli tra due contratti (art. 21, comma 2, d.lgs. n. 81/2015), al numero complessivo di contratti a tempo determinato (art. 23, comma 1, d.lgs. n. 81/2015), sebbene la tematica dei rinvii non sia impermeabile alla novità rappresentata dalla reintroduzione, nell’ordinamento, delle causali, su cui si tornerà a breve. A titolo d’esempio, in relazione al limite massimo dei ventiquattro mesi, derogabile dai contratti collettivi come già prevedeva l’originaria versione del Jobs Act (pur se con riguardo alla diversa soglia di trentasei mesi), va osservato che la finalità di contenere il ricorso al contratto a termine risulta oggi garantita in modo più sicuro proprio dalla necessaria presenza delle causali, la cui sussistenza è indispensabile per procedere al rinnovo: sicché, non essendo più quello della durata massima un vincolo determinante, di riflesso lo stesso peso riconosciuto in proposito all’autonomia collettiva risulta ridimensionato [101]. Fermo restando che, stante il ragionamento finora seguito, i percorsi di deroga, testé ricordati in via esemplificativa, dovrebbero prevalere sulle previsioni dell’art. 8 in virtù della specialità della [continua ..]