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Del diritto alla disconnessione
Andrea Allamprese, Professore associato di Diritto del lavoro, Università di Modena e Reggio Emilia
L’articolo intende accertare – alla luce del dibattito nell’ambito dell’Unione europea e della disciplina contenuta nel Code du travail francese – se l’istituto del diritto alla disconnessione, per come è concepito e regolato in Italia dalla legge n. 81/2017 e dal Protocollo nazionale del 7 dicembre 2021 con riferimento al lavoro agile nel settore privato, risulti adeguato al perseguimento della finalità di protezione contro i rischi per la salute e sicurezza dei dipendenti, evitando un prolungamento eccessivo della prestazione lavorativa.
The article intends to ascertain – in the light of the debate within the European Union and of the regulation contained in the French Code du travail – whether the legal institution of the right to disconnection, as conceived and regulated in Italy by Law no. 81/2017 and by the national protocol of 7 December 2021 with reference to agile work in the private sector, is adequate to pursue the aim of protecting against risks to the health and safety of employees, avoiding excessive prolongation of work performance.
Keyword: Smart Work - Right to disconnect - Working Hours - Rest periods - Health and Safety.
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Sommario:
1. Premessa - 2. Il dibattito nell’Unione europea - 3. Il diritto alla disconnessione nell’ordinamento francese (cenni) - 4. Segue. … e nell’ordinamento italiano. Il tempo di disconnessione, contenuto necessario dell’accordo sul lavoro agile - 5. I limiti di esigibilità della prestazione di lavoro agile in assenza di una regolamentazione del diritto alla disconnessione - 6. Il lavoratore agile non è “senza orario” - 7. Conclusioni - NOTE
1. Premessa
L’utilizzo da parte del prestatore di lavoro di strumenti digitali e di piattaforme (sia per lo svolgimento della prestazione on line come nel crowdwork, sia ai fini della messa a disposizione della prestazione di lavoro nelle piattaforme che offrono servizi in loco, come la consegna di merci o i servizi di trasporto tipo Uber), se da un lato può aprire nuove possibilità nella gestione dell’intreccio tra tempi di vita lavorativa e tempi di vita fuori dal lavoro [1], dall’altro comporta l’emergere di nuovi rischi (fisici e psicosociali) per la salute e sicurezza del lavoro. L’impiego di questi strumenti espone chi lavora, in primo luogo, al rischio di vedere espanso illimitatamente l’arco temporale della propria attività professionale, senza limiti all’orario di lavoro, con lesioni della salute ed una compressione del tempo libero [2]. È stato detto che la “porosità” del confine tra tempo di vita lavorativa e tempo di vita extra-lavorativa, generata dall’utilizzo delle tecnologie digitali (con implicazioni sulla sfera della salute e della riservatezza), esige un’apposita considerazione [3] ed una tecnica protettiva contro il rischio di vedere illimitatamente dilatati i tempi di lavoro consiste nella costituzione in capo al lavoratore di un “diritto alla disconnessione” dagli strumenti tecnologici di lavoro. A prima vista potrebbe apparire superfluo sancire espressamente un principio così basilare e scontato come quello di “staccare la spina” dal lavoro per poter separare l’ambito professionale dalle altre dimensioni dell’esistenza. Eppure, si tratta di un tema di grande attualità e di particolare delicatezza, come dimostrano un Rapporto di iniziativa legislativa approvato dal Parlamento Europeo nel 2021 e, nell’ordinamento italiano, la legislazione e la contrattazione sul lavoro agile nonché alcune pronunce giurisprudenziali in tema di limiti dell’obbligo di diligenza nello svolgimento della prestazione lavorativa subordinata. L’esperienza francese ha offerto uno stimolo per il riconoscimento anche nel nostro paese di un diritto «della persona di nuova generazione» come quello alla disconnessione [4]. La tecnica protettiva in discorso ha trovato – come noto – un riconoscimento legislativo nella legge 22 maggio 2017, n. 81, che al [continua ..]
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2. Il dibattito nell’Unione europea
A differenza di quanto accade in alcuni Stati membri dell’Ue, il diritto alla disconnessione dagli strumenti tecnologici di lavoro non ha ancora trovato nell’ordinamento eurounitario una sua disciplina specifica. Le iniziative legislative sul punto si sono finora limitate ad una Risoluzione del Parlamento europeo, con allegate raccomandazioni sul contenuto di una proposta di Direttiva concernente norme e condizioni minime per garantire che i lavoratori possano esercitare efficacemente il loro diritto alla disconnessione e per disciplinare l’uso degli strumenti digitali esistenti e nuovi a scopi lavorativi [5]. In considerazione del sempre più ampio utilizzo del lavoro da remoto, quale strumento di contenimento dei rischi – sanitari ed economici – connessi al persistere della pandemia [6], e dei rischi psicofisici a cui può essere soggetto chi lavora always online, la Risoluzione definisce il diritto alla disconnessione come «diritto fondamentale, costituendo esso una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro dell’era digitale» [7]. Il Parlamento propone – come detto – l’adozione di una Direttiva, precisandone i contenuti. La proposta stabilisce prescrizioni minime che «consentano ai lavoratori che utilizzano strumenti digitali (…), per motivi di lavoro, di esercitare il loro diritto alla disconnessione ed assicurino il rispetto [di quest’ultimo] da parte dei datori di lavoro». Essa si applica «a tutti i settori, sia pubblici che privati, ed a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro» (art. 1, par. 1) [8]. Per «disconnessione» si intende «il mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell’orario di lavoro» (art. 2, punto 1). L’art. 3 della proposta pone in capo agli Stati l’obbligo di garantire che i «datori di lavoro prendano i provvedimenti necessari per fornire ai lavoratori i mezzi per esercitare il loro diritto alla disconnessione» (par. 1); gli Stati assicurano altresì che i datori «istituiscano un sistema obiettivo, affidabile ed accessibile, che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun prestatore di lavoro nel rispetto del diritto dei [continua ..]
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3. Il diritto alla disconnessione nell’ordinamento francese (cenni)
La “disconnessione” è oggetto di un vero e proprio diritto per il prestatore di lavoro nell’ordinamento francese. Tale diritto viene riconosciuto compiutamente con la legge n. 2016-1088, che pure non individua limiti precisi nel Code du travail, ma opera a tal fine un rinvio alla contrattazione collettiva [14]. A decorrere dal 1° gennaio 2017, nell’ambito della negoziazione obbligatoria in materia di «uguaglianza professionale tra donne e uomini e qualità di vita nel lavoro» [15], devono essere discusse e precisate «le modalità del pieno esercizio del (…) diritto alla disconnessione e la predisposizione ad opera dell’impresa di dispositivi di regolazione dell’uso degli strumenti digitali» da parte dei lavoratori dipendenti in generale (art. L. 2242-17, punto 7, Code du travail, come modificato dall’art. 7 dell’ordinanza n. 2017-1385) e dei lavoratori dipendenti “en forfait jours” in particolare (art. L 3121-64, II, punto 3 [16]). L’obiettivo è quello di garantire «il rispetto dei tempi di riposo e di congedo nonché della vita personale e familiare» (art. L. 2242-17, punto 7, cit.). In mancanza di accordo collettivo, il datore di lavoro è tenuto ad elaborare unilateralmente le regole che permettono l’esercizio del diritto in discorso, previo parere del comitato d’impresa o, in mancanza, dei delegati del personale. Tali regole prendono la forma di una “charte” (addenda al regolamento interno o impegno unilaterale), la quale definisce «le modalità di esercizio del diritto alla disconnessione» e prevede la «realizzazione, in favore dei dipendenti e dei quadri e del personale direttivo, di azioni formative e di sensibilizzazione ad un uso ragionevole degli strumenti digitali» (art. L. 2242-17, p.to 7, 2° e 3° periodo). L’enunciazione per legge di un “diritto alla disconnessione” va presa sul serio. Ma ciò evidentemente non è sufficiente a renderlo effettivo. Nella dottrina francese ci si domanda come sia possibile assicurare la «disconnessione dal progetto professionale» [17] in un mondo perennemente connesso alla rete. Il datore di lavoro potrebbe essere tentato di mantenere una cesura spazio-temporale tra vita professionale e vita privata, costringendo, per esempio, i [continua ..]
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4. Segue. … e nell’ordinamento italiano. Il tempo di disconnessione, contenuto necessario dell’accordo sul lavoro agile
Benché i rischi per la salute e sicurezza richiamati all’inizio siano comuni a tutti i lavoratori che impiegano tecnologie di ultima generazione, il legislatore italiano se ne è fatto carico soltanto con riferimento al lavoratore subordinato agile [21], perché soltanto per esso prevede tra i contenuti dell’accordo accessorio [22] sul lavoro agile [23], oltre ai «tempi di riposo», anche «le misure tecniche ed organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro» (art. 19, comma 1, 2° periodo, legge n. 81/2017) [24]. Nel confronto con la normativa francese che ha previsto la misura in discorso, occorre rilevare che la configurazione dell’interesse alla disconnessione come diritto sembra contrastare con la disponibilità che della disconnessione stessa la legge nazionale consente alle parti. V’è da chiedersi quanto possa essere effettivo un diritto che, pur essendo espressione di tutele fondamentali anche di rango costituzionale [25], è solo enunciato dal legislatore e deve trovare la sua regolamentazione nell’accordo sul lavoro agile, ossia nella volontà delle parti del contratto di lavoro [26]. A ciò si aggiunge la mancata previsione di sanzioni operanti nel caso in cui il diritto alla disconnessione non sia rispettato dal datore di lavoro, unico rimedio restando la richiesta di risarcimento da parte del lavoratore con tutte le problematiche relative all’onere probatorio. Alcuni modelli di accordo individuale sul lavoro agile presentano sul punto un’ambiguità tale da rasentare la nullità per contrarietà a norma imperativa [27]. Infatti, se si legge con attenzione la previsione di cui all’art. 19 della legge n. 81/2017, ci si accorge come le «misure tecniche ed organizzative necessarie per assicurare la disconnessione» siano strettamente legate ai «tempi di riposo del lavoratore», e quindi, come tali, esse debbano essere specificamente individuate nell’accordo sul lavoro agile proprio al fine di rendere effettivo il periodo di riposo. L’interpretazione teleologica – non avrebbe senso infatti accordarsi sui tempi di riposo senza accordarsi sulle modalità di disconnessione – fa il paio con quella letterale, considerato che la norma specifica chiaramente che [continua ..]
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5. I limiti di esigibilità della prestazione di lavoro agile in assenza di una regolamentazione del diritto alla disconnessione
Abbiamo appena detto che il lavoratore agile, anche in assenza di una regolamentazione dettagliata del diritto alla disconnessione, resta comunque libero di disconnettersi al raggiungimento del limite legale di durata massima dell’orario giornaliero di 13 ore (fatte salve le pause), salvo deroghe della contrattazione. Altri “tempi di disconnessione”, così come i tempi di pausa, potranno essere frutto di accordo tra le parti individuali. Le parti potranno concordare un limite alla costante disponibilità del lavoratore durante l’orario di lavoro in modalità agile, stabilendo la disconnessione durante un periodo di pausa ulteriore rispetto a quello di legge [37]. Un problema si pone qualora manchi una regolamentazione sul tempo di disconnessione. Per il vero la questione dovrebbe configurare un caso di scuola, posto che, in mancanza di una regolamentazione nell’accordo individuale ex art. 19 della legge n. 81/2017, sopperiranno le clausole dell’accordo collettivo in materia di lavoro agile (in attuazione del Protocollo nazionale del 7 dicembre 2021) [38]. Naturalmente, ove dovesse mancare anche una disciplina collettiva su tale aspetto, ci si potrà interrogare su quali siano i “confini” della diligenza del lavoratore, per evitare che una lettura eccessivamente estensiva dilati illimitatamente la sfera dell’esigibilità della prestazione di lavoro agile. Sulla problematica può fissarsi un punto sin da ora. La legge n. 81/2017 è chiara nel porre come confine alla prestazione del lavoratore subordinato agile – e, di conseguenza, come obbligo implicito di disconnessione – i tetti complessivi dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale. Con la conseguenza che – come già detto –, anche in assenza di una regolamentazione specifica sul punto, dopo il superamento di quei limiti non potrà esigersi dal lavoratore agile alcuna prestazione. Le incertezze si concentrerebbero su quello spazio di tempo compreso tra l’orario “normale” legale di 40 ore settimanali (o quello inferiore eventualmente stabilito dalla contrattazione) e il limite complessivo giornaliero e settimanale. Questo spazio di tempo comprende il lavoro straordinario di legge, nonché eventualmente il lavoro “supplementare” (o “straordinario contrattuale”). Orbene, ove il datore di lavoro fosse [continua ..]
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6. Il lavoratore agile non è “senza orario”
Il lavoratore agile presta la propria attività «senza precisi vincoli di orario» [40], per cui egli può, entro certi limiti, individuare il tempo dello svolgimento della propria prestazione [41]. Il riconoscimento in capo al lavoratore di un ampio margine di scelta nella gestione del proprio tempo di lavoro è però giustamente affiancato dalla precisazione che anche la prestazione di lavoro agile non può oltrepassare i «limiti di durata massima dell’orario giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva» (art. 18, comma 1, 2° periodo). In ragione di quest’ultima precisazione, riteniamo che il lavoratore agile non rientri nel regime derogatorio previsto dall’art. 17, comma 5, del d.lgs. n. 66/2003. Si nota che ad una simile interpretazione conseguirebbe una minore flessibilità regolativa per il lavoro agile rispetto ad altre fattispecie di lavoro da remoto, ivi compreso il telelavoro, rientrando questo – per espressa previsione di legge – nel suddetto regime derogatorio [42]. Perciò, secondo alcuni A., tale interpretazione andrebbe corretta nel senso che anche il lavoratore agile (come il telelavoratore) può essere sottratto al rispetto delle norme di tutela (cioè ai limiti di «durata massima dell’orario»); ciò, ovviamente, a condizione che il lavoratore sia realmente impiegato in un’attività nella quale, a causa delle sue caratteristiche, la durata dell’orario «non è misurata e/o predeterminata o può essere determinata dal lavoratore stesso» (art. 17, comma 5), insomma a condizione che al lavoratore sia riconosciuta concretamente la facoltà di decidere del numero di ore di lavoro da prestare [43]. Orbene, è vero che il telelavoratore nel settore privato «gestisce l’organizzazione del proprio tempo di lavoro», nell’ambito della legge, della contrattazione collettiva e delle direttive aziendali (art. 8, comma 1, Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004); l’art. 8, nel suo incipit, sembra perciò riferirsi ad un telelavoro non interattivo (off line). Ma la disposizione è stata poi tradotta nei contratti collettivi nel senso che la prestazione lavorativa dovrà essere resa da remoto entro determinate finestre temporali e che l’inizio [continua ..]
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7. Conclusioni
Tirando le somme si può ora tentare di dare una risposta al quesito – che ci siamo posti all’inizio di questo contributo – se, anche alla luce delle proposte provenienti dall’Ue e della normativa d’oltralpe, l’istituto della disconnessione, per come concepito e regolato dalla legge n. 81/2017 e dal Protocollo nazionale del 7 dicembre 2021, sia in grado di perseguire l’obiettivo di tutelare la salute e sicurezza del dipendente, evitando un prolungamento eccessivo della prestazione lavorativa. Ebbene, la risposta al quesito, allo stato attuale, presenta ancora margini di incertezza. Se, infatti, il diritto alla disconnessione non corrisponde a tutto ciò che supera i limiti legislativi dell’orario di lavoro, ma si sostanzia in quel che è funzionale al riposo, le numerose possibilità di deroga incondizionata di cui all’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 66/2003, ed in particolare la possibilità per la contrattazione di derogare al periodo minimo di riposo giornaliero e all’intervallo per pausa, finiscono per porre il diritto di disconnessione nella disponibilità – almeno collettiva, se non anche individuale – delle parti. E questo rischia di vanificare una delle finalità della legge n. 81/2017, ossia la conciliazione tra tempi di vita lavorativa e tempi di vita fuori dal lavoro, con possibili gravi conseguenze sulla salute del dipendente dovute all’always on. È sì vero che la deroga contenuta nell’art. 17, comma 1, cit. comprende soltanto il riposo giornaliero, le pause e l’orario di lavoro notturno, e non il riposo settimanale, ma è anche vero che quest’ultimo va agganciato alla durata massima dell’orario settimanale il quale può essere calcolato come media su un periodo di quattro mesi (elevabili fino a sei o addirittura a 12 mesi). Prevedere nell’accordo sul lavoro agile un diritto alla disconnessione che elenchi precisamente le modalità di distacco dagli strumenti tecnologici all’interno di tali – lunghi – periodi appare però di difficile attuazione, data la sua complessità [50]. Vi è però da dire che la formulazione letterale sia dell’art. 2, comma 2, lett. f), sia dell’art. 3, comma 2, del Protocollo nazionale del 7 dicembre 2021 impongono chiaramente la previsione delle fasce di [continua ..]
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NOTE