Il saggio si interroga sugli spazi che l'autonomia collettiva può ritagliarsi nella disciplina del rapporto degli amministratori di società. Viene quindi sinteticamente dato conto di ciò che può essere ricompreso nell’accezione di “tutela collettiva” alla luce del diritto interno, per poi saggiarne la compatibilità di tali garanzie con il rapporto dell'amministratore sia alla luce dello stesso diritto interno che di quello eurounitario. Preso atto della profonda divergenza con cui i due ordinamenti affrontano la questione, massimamente inclusivo l’ordinamento interno ed invece sostanzialmente restio a riconoscere profili sindacali agli amministratori quello eurounitario, prima di porsi sul terreno della prevalenza dell’uno o dell’altro, il saggio, facendo riferimento alla teoria dell’universalismo selettivo delle tutele, si chiede se poi sia davvero necessaria e compatibile con la posizione di queste figure una tutela collettiva . La conclusione cui si giunge con un approccio, si ripete, sganciato dalla natura del rapporto e mirato al contenuto di tali tutele, è sostanzialmente negativa.
The essay examines the union profiles of the relationship of company directors, starting by attempting to give the notion of union profiles a concrete content to be used in order to carry out the verifications of compatibility with the relationship of those individuals. After a brief exam of the notion of trade union, it can be said that it's compatible with the director’s relationship in the light of in the light of the domestic law but not in the light of the EU law. Acknowledging the profound divergence with which the two legal systems approach the issue, with the internal legal system being maximally inclusive and the EU legal system substantially reluctant to recognise trade union profiles for administrators due to the nature of that relationship, and before setting out on the terrain of the pre-valence of one or the other, the essay, referring to the theory of collective universalism of protections, asks whether trade union protection is really necessary and compatible with the position of these figures. The conclusion is negative.
1. Premessa - 2. Gli spazi di intervento dell’autonomia collettiva e la loro riferibilità ai rapporti di lavoro autonomo - 3. La natura del rapporto degli amministratori - 4. Prove di universalismo selettivo delle tutele: è necessaria una tutela collettiva degli amministratori di società? - NOTE
I profili di diritto sindacale legati al lavoro degli amministratori di società sono apparentemente così ridotti dal porre l’interprete di fronte a due possibili strade opposte: congedare il tema con poche righe in cui si sottolinea l’attuale sostanziale assenza di una tutela collettiva degli amministratori, ovvero partire da quel dato empirico per esplorare la questione, chiedendosi se tale tutela è compatibile con, ovvero persino necessaria per, quei rapporti. Ovviamente, questo contributo sceglie di percorrere la seconda delle due strade prospettate che, a dispetto della scarsità del materiale “vivente”, si presenta sin da subito interessante e sfidante sotto il profilo delle riflessioni cui conduce. Essa, infatti, offre terreno fertile per sperimentare in concreto l’utilità di rileggere il diritto del lavoro nell’ottica di quello “universalismo selettivo delle tutele” che suggerisce di abbandonare la dicotomia subordinazione/autonomia per approdare a un sistema che guarda alla situazione da garantire o al rischio da cui tutelare, anziché alla natura del destinatario dell’apparato protettivo [1]. Dunque, la sostanziale assenza di profili sindacali del rapporto degli amministratori, di cui si darà conto nel prosieguo per consustanziare questa affermazione al momento acerba, costituisce il punto di partenza e non di arrivo di questa riflessione. Quanto al percorso, come immaginabile esso si snoda su terreni trasversali che, sul piano delle fonti, incrociano il diritto del lavoro, il diritto commerciale e quello, tipicamente europeo, della libertà di concorrenza muovendosi, dunque, tra l’ordinamento interno e quello eurounitario. Proprio quest’ultimo, infatti, pone importanti ostacoli allo sviluppo di una tutela collettiva degli amministratori, considerati alla stregua di imprese e non lavoratori dipendenti. Nell’approcciare il tema occorre, però, prima dare conto di una serie di difficoltà che derivano dal fatto che esso non si affronta un istituto tipico, ma si interroga sulla possibile relazione tra due “personaggi in cerca di autore”, quali sono la figura dell’amministratore di società da una parte e, dall’altra, i profili di tutela collettiva che li riguardano. Infatti, se, come dimostrano altri saggi contenuti in questo volume [2], la natura della [continua ..]
Come anticipato, occorre partire dalla consapevolezza che la nostra Costituzione consente, ed anzi impone, una nozione lata di libertà sindacale in cui rientrano profili individuali e collettivi di azione e di astensione; a tale nozione sono ricondotte la contrattazione collettiva, i diritti sindacali, l’astensione dal lavoro (quando non riveste i caratteri dello sciopero di cui all’art. 40 Cost.) nonché tutte le forme di lotta sindacale che non sfociano in un’illecita violazione di diritti altrui. La grande duttilità della locuzione ha permesso che negli anni che ci separano dalla Costituzione il suo perimetro si allargasse ben oltre i soggetti inizialmente pensati come coloro che ne erano i naturali destinatari, cioè i lavoratori subordinati [4], includendo le azioni a tutela non solo degli insiders ma anche degli outsiders, e quindi dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi [5] nonché dei lavoratori che oggi occupano la zona grigia delle collaborazioni. Sotto l’ombrello protettivo della norma costituzionale sono così ricadute tutte quelle forme di tutela collettiva che coinvolgono soggetti caratterizzati per avere, aver avuto o cercare di avere un rapporto di collaborazione con l’impresa e dunque da un legame la cui proiezione temporale abbraccia non solo l’oggi, ma anche l’ieri ed il domani. Oggi è quindi possibile affermare che la tutela collettiva di cui all’art. 39 Cost. può essere realizzata secondo molteplici modalità ed essere rivolta a tutti coloro che possono vantare interessi collettivamente sintetizzabili in ragione della loro collaborazione presente, passata o futura con l’impresa. In altre parole, è “sindacale” tutto ciò che si fa portatore di interessi collettivi, e quindi super individuali, agiti tramite gli strumenti tipici dell’azione sindacale ed appartenenti a soggetti che li rivendicano in forza della loro relazione lavorativa con l’impresa. La stessa accezione ampia ha investito anche il prodotto dell’attività sindacale, cioè il contratto collettivo, che nel tempo ha assunto funzioni diverse e molto articolate superando la mera dimensione del contratto normativo [6]. Vero è, però, che è scritto nel DNA del diritto del lavoro e dell’autonomia collettiva che essi hanno una primaria funzione di calmiere [continua ..]
Così delineato il perimetro di copertura delle tutele collettive, diventa importante interrogarsi sulla natura del rapporto degli amministratori, oggetto, come noto, di un ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza [20]. Quest’ultima, peraltro, dopo aver inizialmente ricondotto il rapporto degli amministratori (pur riguardato – dal lato interno – alla stregua di un rapporto organico) ai rapporti di collaborazione ex art. 409 c.p.c. [21], ha rivisto il proprio orientamento e pronunciandosi nuovamente a sezioni unite nel 2017 [22] ha concluso per l’estraneità di quel rapporto rispetto alla fattispecie normata dal codice di rito [23]. È importante richiamare alcuni passaggi argomentativi di quella decisione che andranno tenuti in considerazione nel ragionare del nostro tema. Le sezioni unite, infatti, hanno escluso che il rapporto degli amministratori sia riconducibile alle collaborazioni di cui all’art 409 c.p.c. sul presupposto che quella norma prevede un coordinamento necessariamente verticale tra le parti del rapporto e quindi presuppone un assoggettamento del collaboratore all’azienda con cui collabora, incompatibile con la posizione dell’amministratore. Nel fare tale affermazione le sezioni unite si fanno forza della riforma del diritto societario che, per riprendere le parole della Cassazione, ha indiscutibilmente reso l’amministratore il vero “egemone dell’ente”. Secondo la Corte, dunque, l’amministratore non può per la natura del suo rapporto trovarsi in quella posizione di debolezza che è implicita al coordinamento di cui all’art. 409 c.p.c. e per questo motivo non è meritevole della tutela rafforzata prevista per i lavoratori subordinati e quelli coordinati e continuativi. Lo stesso ragionamento sviluppato dalle sezioni unite impedisce, ad avviso di chi scrive, di ritenere che l’amministratore genuino possa trovarsi in una situazione di ancora più accentuata soggezione quale è quella che caratterizza i collaboratori eterorganizzati di cui all’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015. Vero è che la stessa norma al comma 2, lett. c), richiama la figura dell’amministratore per escluderla dall’applicazione del disposto del comma 1 e quindi dall’estensione a quelle figure della disciplina del lavoro subordinato, così potendo [continua ..]
Al termine di queste premesse si può affermare che lo status degli amministratori è quello di soggetti legati da un rapporto di immedesimazione con la società di cui sono “egemoni”, rapporto che, laddove genuino, è ben lontano dallo stato di soggezione anche solo attenuata di cui all’art. 409 c.p.c. Gli amministratori sono, dunque, autenticamente autonomi ed hanno rispetto alla società che amministrano una posizione di parità, se non di supremazia. Così configurato il loro rapporto, essi, in quanto autenticamente autonomi, ricadono nello spettro di azione del divieto di contrattazione di cui all’art. 101 TFUE. La loro forza contrattuale, più volte sottolineata dalle sezioni unite nella citata sentenza del 2017, impedisce altresì di ritenere che valga nei loro confronti una delle ipotesi di esclusione di cui agli orientamenti della Commissione europea del settembre 2022. Si assiste, dunque, ad una situazione in cui a fronte di un diritto interno assolutamente aperto a garantire le tutele collettive a questi soggetti, il diritto Unieuropeo non solo non offre forti appigli ma anzi pone alcuni limiti. Giunti a tale impasse, ma prima e senza scomodare la teoria dei controlimiti [24], che porterebbe a soppesare i due ordinamenti, è opportuno passare al piano concreto e quindi chiedersi se, al di là della qualificazione del rapporto degli amministratori, esso necessiti di tutele sindacali e in caso affermativo di quali. Alcune considerazioni legate alla posizione di questi soggetti portano a ritenere che una tutela collettiva degli amministratori non è necessaria né forse addirittura ipotizzabile. E ciò sia per i temi su cui normalmente si confronta la tutela sindacale sia, e forse ancora prima da un punto di vista logico, per l’estrema difficoltà nell’individuare un interesse collettivo e super partes che possa connotare un intervento di un soggetto terzo a favore degli amministratori di società alla stregua di un interesse sindacale. Si è detto, infatti, che nell’ampiezza della previsione di cui all’art. 39 Cost. ciò che qualifica la tutela collettivo/sindacale è il fatto che si tratti di una tutela che sintetizza e fa propri interessi collettivi dei tutelati e dunque che agisce il nome di diritti e per ottenere garanzie che superano il singolo interessato. Se [continua ..]