Il saggio esamina il livello di tutele del diritto alla previdenza complementare eurounitaria e offre conferme sulla contraddittorietà dell'attuale fase storica e legislativa del processo di integrazione. Se, da un lato, il Legislatore eurounitario si è preoccupato di favorire l’accesso alla previdenza di secondo e di terzo pilastro, attraverso la rimozione degli ostacoli che si frappongono all’esercizio della libertà fondamentali dell’Unione; dall’altro, la Corte di Giustizia si è mostrata generalmente attenta a garantire che le esigenze del mercato interno non finiscano per condurre allo smantellamento dei regimi pensionistici complementari degli Stati dell’Unione, sebbene abbia fin qui esitato – tranne in qualche limitato ambito di applicazione – nel riconoscere giuridicità al diritto alla previdenza complementare. Quanto all’ambito domestico, lo scritto rileva l'uso surrettizio del diritto UE e della giustizia della Corte per giustificare soluzioni normative e interpretative che riguardano il diritto interno e non sono regolate specificamente dal campo eurounitario anche se incidono indirettamente sull’applicazione del diritto UE. Infine, lo scritto propone qualche riflessione conclusiva sulla necessità di un ripensamento della previdenza complementare eurounitaria, con il necessario smarcamento dalle ritrosie dei governi nazionali, alla luce delle nuove sfide che il diritto della sicurezza sociale pone nel contesto europeo multilivello.
The essay examines the level of protection of the right to supplementary euro-union pension provision and offers confirmation of the contradictory nature of the current historical and legislative phase of the integration process. If, on the one hand, the European union Legislator has been concerned to facilitate access to second and third pillar pensions through the removal of obstacles to the exercise of the fundamental freedoms of the Union, on the other hand, the Court of Justice has been generally careful to ensure that the requirements of the internal market do not end up leading to the dismantling of the supplementary pension schemes of the States of the Union, although it has so far hesitated – except in a few limited areas of application – to recognise the right to supplementary pensions as legal. As for the domestic sphere, the paper notes the surreptitious use of EU law and the Court's justice to justify regulatory and interpretative solutions that concern domestic law and are not specifically regulated by the EU field even if they indirectly affect the application of EU law. Lastly, the paper proposes some concluding reflections on the need for a rethinking of supplementary euro-unitary social security, with the necessary disengagement from the reluctance of national governments, in light of the new challenges that social security law poses in the multilevel European context.
1. Premessa - 2. La tutela dei diritti previdenziali nel mercato tra difficili equilibri e inevitabili disequilibri - 3. La tutela dei diritti previdenziali dal mercato tra diritto primario e legislazione derivata - 4. Qualche riflessione conclusiva - NOTE
La previdenza complementare eurounitaria è stata attraversata, in un contesto di metamorfosi generale, da profondi e diversi mutamenti, alcuni dei quali causati dall’interpretazione delle regole del mercato comune e altri originati dall’emanazione di un insieme di norme intese a rimuovere gli ostacoli frapposti all’esercizio delle libertà fondamentali del cittadino europeo. Prima di entrare nel vivo dell’esame della tutela dei diritti previdenziali, si ritiene opportuno operare qualche cenno all’evoluzione della disciplina della politica sociale a livello europeo [1], nella quale è ricompresa la previdenza complementare [2]. Sembrano lontani i tempi in cui il Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009, riformando i Trattati allora esistenti [3], – il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE) – sembrava volesse preludere ad una possibile modifica della competenza normativa dell’Unione in ordine all’attuazione degli obiettivi di politica sociale [4]. Certo, non si riscontrava nessun formale impegno degli Stati firmatari a realizzare una tale (auspicabile) evoluzione, ma l’avere portato a compimento il percorso di affermazione dei diritti sociali dava adito ad un prudente (e cauto) ottimismo [5]. Specie dopo avere equiparato alle norme dei Trattati le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali [6], tra i quali – è speculare rammentarlo – era (ed è) ricompreso “il diritto di ogni persona che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali” (art. 34, comma 2). Nulla è invece cambiato da allora. Il diverso fondamento giuridico delle libertà di mercato rispetto ai diritti sociali spiega come mai, alla “formale” equiparazione tra diritti operata dalla Carta, non corrisponda una loro identità di statuto giuridico nell’ordinamento dell’UE [7]. Se si volge lo sguardo alle norme dell’ordinamento eurounitario (e ancor prima in quello comunitario), il diritto alla previdenza complementare (o integrativa secondo l’accezione europea) riveste un ruolo, il [continua ..]
Se si sfogliano i repertori della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, con specifico riferimento alla disciplina sui regimi pensionistici complementari degli Stati membri, può cogliersi un indirizzo, al netto di alcune oscillazioni, che si sostanza nello sforzo di riequilibrare le libertà economiche con il diritto alla sicurezza sociale. La Corte di Giustizia UE assolve, ed ha assolto, nell’ambito della previdenza di secondo e terzo pilastro una funzione di tutela dei diritti previdenziali nel mercato. Pur rimanendo effettivamente modesto, se confrontato in altri ambiti, il suo apporto non va neppure giudicato come del tutto trascurabile. La Corte di Lussemburgo non è stata indifferente negli anni al bisogno di sicurezza sociale del cittadino europeo posto che, in diverse circostanze, ha evitato che gli Stati membri, che applicano il diritto eurounitario, o le istituzioni dell’Unione, che esercitano le loro competenze, causino con le loro azioni una diminuzione di tutela alla sicurezza sociale e alla protezione welfaristica dei lavoratori che si spostino all’interno dell’Unione. I diritti sociali possono ottenere uno specifico riconoscimento (fino ad essere elevati allo status di diritto fondamentale) quando, per l’appunto, contribuiscano ad attribuire rilevanza alle libertà economiche [11]. Cosicché la Corte ha ammesso, in alcune circostanze, che le libertà economiche, pur rappresentando principi fondamentali nel sistema del Trattato, possono subire restrizioni allorquando è compromesso il livello delle prestazioni di vecchiaia riconosciuto ai lavoratori interessati. Le note sentenze Albany International [12] e Van der Woude [13] colgono questa verità. In tali pronunciamenti, la Corte si è mostrata attenta a garantire che le esigenze del mercato comune, che impone che la concorrenza non si presenti falsata, non conducano allo smantellamento dei regimi pensionistici complementari dello Stato sociale. In particolare, è stata costruita un’area di immunità per l’azione contrattuale rispetto alla libertà di concorrenza in modo da riconoscere compatibilità delle frontiere dei sistemi di protezione sociale con lo spazio eurounitario [14]. La non applicabilità delle regole della concorrenza a fondi pensione di natura negoziale è stata riconosciuta dai giudici europei considerando la [continua ..]
Non vi è dubbio che la giurisdizione della Corte di Giustizia UE assolve nell’ambito della previdenza di secondo e terzo pilastro una funzione di tutela dei diritti previdenziali nel mercato. Quando però il problema è di favorire l’accesso al mercato della previdenza sindacale e commerciale, un tale compito non può che competere al legislatore eurounitario, e non può essere devoluto all’attività giurisdizionale di concretizzazione di principi del diritto dell’Unione. Si tratta allora di una tutela dei diritti previdenziali dal mercato, posto che la fonte normativa erurounitaria subentra nel momento in cui, fermo restando i limiti posti dai Trattati e dalla Carta di Nizza, si tratta di rimuovere gli ostacoli che si frappongono all’esercizio della libertà fondamentali dell’UE oppure di proteggere i soggetti deboli dalle vicende del mercato. Come è noto, diversi sono stati i profili critici che hanno suggerito al legislatore eurounitario di intervenire: la già citata direttiva del 2008 (di modifica alla direttiva del 1980), le due direttive IORP del 2003 e del 2016; la direttiva del 2014 sulla portabilità della posizione complementare del lavoratore migrante; la direttiva del 2017 sulle policy di voto, in qualità di azionisti, dei fondi pensione, il Regolamento del 2019 che disciplina il primo prodotto pensionistico paneuropeo ad adesione volontaria e di natura individuale [38]. Da un lato, le forme di previdenza complementari hanno visto ampliare il loro ambito operativo potenziale dal momento che questi interventi, tenendo a mente l’accresciuta mobilità dei lavoratori all’interno dell’Unione europea e l’ulteriore incremento che potrebbe realizzarsi in futuro, facilitano lo svolgimento dell’attività transfrontaliera [39]. L’idea di fondo resta quella di privilegiare la più ampia coesistenza possibile tra operatori, anche di diversa natura, al fine di stimolare la competizione, accrescere la propensione al miglioramento dei risultati nonché di favorire una riduzione dei costi. Dall’altro, i lavoratori e i beneficiari delle forme pensionistiche complementari che hanno visto rafforzato il proprio diritto alla previdenza complementare attraverso norme che, oltre a garantire una tutela minima in caso di insolvenza del datore di lavoro, preservano l’ambiente [continua ..]
Il discorso fin qui svolto deve volgersi ora a una conclusione, che – lo si sarà già inteso – non può che essere problematica e provvisoria, e dunque sollecitare la discussione, più che ambire a stabilire punti fermi. Non vi è dubbio che queste tappe della Corte di Giustizia e del legislatore eurounitario verso un obiettivo comune, la tutela dei diritti della previdenza complementare nel e dal mercato comune, recano un’ulteriore occasione di sviluppo e di approfondimento sul piano normativo dei rapporti tra Unione e Stati membri. Che vi sia oggi una maggiore concretezza al tema, lo si evince dall’attenzione risposta dal Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, il cui punto 15 sancisce espressamente che “I lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi in pensione hanno diritto a una pensione commisurata ai loro contributi e che garantisca un reddito adeguato”. Tuttavia, va rammentato che il Pilastro nasce come raccomandazione della Commissione del 26 aprile 2017 e, contestualmente, come proposta per una proclamazione congiunta – avvenuta il 17 novembre 2017 – da parte di Parlamento, Consiglio e Commissione UE. La realizzazione concreta del Pilastro [47], non appare al momento in grado di rispondere adeguatamente alla domanda di tutela effettiva dei diritti di sicurezza sociale proveniente dai cittadini europei e soprattutto neppure di offrire una soluzione al gap sociale espressione, a sua volta, del deficit democratico cui sono afflitte le istituzioni europee. I tempi, sono a mio avviso, maturi affinché la tutela dei diritti previdenziali complementari non sia costruita solamente come un’eccezione ai principi delle libertà economiche e, dunque, ammessa solo a condizioni restrittive. Né tanto meno può restare confinata al giusto equilibrio nella ponderazione degli interessi in gioco, tra il miglioramento del livello delle pensioni di vecchiaia dei lavoratori dell’UE e l’attuazione delle libertà fondamentali di stabilimento e di prestazione dei servizi, di apertura alla concorrenza e di libera circolazione. Pur continuando ad essere preservata a livello nazionale/domestico, il suo riconoscimento e sviluppo nel diritto dell’Unione si presenta indifferibile. Certo non bisognerà ricadere nell’esperienza della Carta dei diritti fondamentali allorquando riconoscendo “il diritto a un’equa [continua ..]